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Arrestato per una telecamera
dallla nuova sardegna.it del 24\07\2001
Arrestato per una telecamera»
Lo studente cagliaritano scappava dalla zona dei disordini
di Giuseppe Centore
CAGLIARI. «Senza vestiti, appoggiato a un muro con le mani dietro alla testa
per tutta la notte, trattato come un criminale, alla mercè di chiunque.
Calci, pugni, schiaffi e minacce». È ancora scosso Pietro Ulzega, lo
studente cagliaritano arrestato venerdì pomeriggio a Genova a margine degli
scontri tra manifestanti e forze dell'ordine. L'origine del suo arresto è
tanto banale quanto preoccupante. Ulzega è stato tradito dalla sua
curiosità, dalla passione per le immagini, e dalla sua telecamera.
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CAGLIARI. «Senza vestiti, appoggiato a un muro con le mani dietro alla testa
per tutta la notte, trattato come un criminale, alla mercè di chiunque.
Calci, pugni, schiaffi e minacce». È ancora scosso Pietro Ulzega, lo
studente cagliaritano arrestato venerdì pomeriggio a Genova a margine degli
scontri tra manifestanti e forze dell'ordine. L'origine del suo arresto è
tanto banale quanto preoccupante. Ulzega è stato tradito dalla sua
curiosità, dalla passione per le immagini, e dalla sua telecamera.
Il giovane pacifista, studente di filosofia, è stato fermato, picchiato e
poi arrestato dalla Polizia forse solo perché aveva una telecamera. Ulzega è
stato scarcerato ieri mattina dalla casa circondariale di Alessandria, e,
dopo una sosta a Firenze, oggi rientrerà a casa.
Voce ferma, palesemente acerba, Ulzega ricostruisce la sua odissea.
- Quando è arrivato a Genova?
«Sono arrivato mercoledì sera, da solo, e mi sono diretto al centro
informazioni del Gsf. Mi hanno indirizzato allo stadio Carlini, dove sono
rimasto, per riposarmi dal viaggio. Avevo con me la telecamera, che ho
subito usato».
- La mattina dopo c'è stata la prima manifestazione, quella dei migranti.
«Ci sono andato, e ho fatto una trentina di minuti di ripresa, poi la
batteria si è esaurita. Subito prima sono andato al press center e mi sono
registrato come teleoperatore freelance. Mi hanno dato un pass che ho appeso
al collo, e con quello ho ripreso la manifestazione stando dall'altra parte
del corteo, dove c'erano i giornalisti e gli operatori tv. Passavamo in
mezzo ai poliziotti, ma ci ignoravano, nessuno ci ha fermato».
- E veniamo alla giornata dell'arresto. Cosa ha fatto quella mattina?
«Sono andato via dallo stadio Carlini all'ora di pranzo. Ho seguito da solo,
all'esterno del quadrato formato dalle lastre di plexiglass, insieme agli
altri giornalisti il corteo. Ho ripreso un'ora di manifestazione. Sono
andato verso la coda del corteo, per poi risalirlo. Quando sono iniziati gli
scontri più intensi, verso le 16.30, ho cercato una via di uscita per
allontanarmi dalla zona calda. Ho superato indenne un cordone delle forze
dell'ordine, e ho raggiunto piazza Tommaseo, dove mi hanno preso».
- Può raccontare la dinamica dell'arresto?
«Appena arrivato in piazza ho superato il secondo cordone di polizia, quello
più lontano dalla zona degli scontri. Indossavo pantaloni di velluto, una
maglietta verde e scarpe da tennis. Avevo al collo il tesserino, e nella
borsa la telecamera, con me c'era un ragazzo, che stava prendendo appunti
vocali con un registratorino. I poliziotti mi hanno chiamato e sono tornato
indietro».
- Cosa chiedevano?
«Volevano sapere se avevo il tesserino. Io ho risposto di sì, e loro hanno
cominciato a correre verso di me. Mi hanno spinto e buttato a terra,
distrutto la telecamera e il nastro, e preso per i capelli mi hanno
trascinato verso una camionetta. Appena sono salito mi hanno spruzzato un
qualcosa di irritante che mi ha mezzo accecato. Sono stato ammanettato e
portato in Questura, non avevo l'orologio, ma ho visto che erano passate da
poco le diciassette».
- Cosa è successo dopo l'arrivo in questura?
«Siamo entrati in cinque, due italiani e tre spagnoli. Ci hanno chiesto i
documenti, domandandoci se volevamo un avvocato di ufficio. Io ho preteso di
contattare il mio legale di fiducia, dopo hanno chiesto che firmassi un
foglio dove c'era scritto che avevo fatto resistenza a pubblico ufficiale.
Mi sono rifiutato di farlo. Siamo rimasti in questura, in uno stanzone
grande, in sette, tutti contro al muro. Vietato parlare o muovere la testa.
Eravamo soli, non è entrato nessuno per due ore. Una situazione assurda».
- Quanto tempo siete rimasti in questura?
«Sino alle 20.30. Poi, ammanettato, sono stato caricato su una volante, e
con due agenti seduti davanti e isolati dal plexiglass divisorio, sono stato
condotto in una diversa località, distante una ventina di minuti dalla
Questura. Era un centro di smistamento e "accoglienza" per gli arrestati.
Anche qui mi hanno portato in una grande stanza, faccia al muro e
silenziosi. Venivamo chiamati a turno, per le impronte e le foto
segnaletiche. Alle 22 anche questa operazione era completata. Da quel
momento è stato l'inferno. Senza vestiti, impossibilitati a muovere anche un
solo muscolo siamo rimasti all'aperto sino alle sei, faccia al muro, alla
mercè di chi passava. Calci, pugni, insulti di ogni genere. Abbiamo passato
l'alba dentro a un cellulare, e siamo partiti verso il carcere di
Alessandria».
- Come è stato trattato in carcere?
«Sembrava di stare in un hotel. Pensavano di trovarsi di fronte a dei
delinquenti smaliziati e violenti e invece le guardie si sono visti arrivare
noi ragazzini. Molte erano sarde, il mio cognome mi è stato utile. Mi hanno
rifocillato, abbiamo mangiato e bevuto, mi hanno anche dato delle sigarette.
Ieri, dopo l'interrogatorio il gip ha disposto la scarcerazione. Ieri sera
siamo andati al pronto soccorso dell'ospedale civile di Alessandria dove mi
hanno visitato, riscontrando ferite in varie parti del corpo e una costola
incrinata. È questo il mio souvenir da Genova».
IL CASO
Il giovane di Castelsardo
tornava a casa dall'ufficio
CAGLIARI. Ieri mattina gli interrogatori, e per i due giovani sardi
arrestati, Pietro Ulzega e Alessandro Cairoli, si sono aperte dopo pochi
minuti le porte del carcere. Il pm aveva chiesto la misura cautelare in
carcere, ma il gip ha disposto la scarcerazione. Per entrambi l'accusa è di
resistenza aggravata a pubblico ufficiale, ma se la storia di Ulzega è
comune a tanti giovani, quella di Cairoli, è unica nel suo genere. Cairoli,
30 anni, nato a Castelsardo ma residente a Genova da diverso tempo, è stato
arrestato mentre tornava a casa dall'ufficio. «Con la manifestazione non
c'entravo nulla. Ero sceso controllare che l'auto del mio capufficio e la
mia moto non avessero subito danni e poi ho deciso di andare a casa. Visti i
tafferugli, ho fermato la moto e mi sono avviato a piedi in via Smirne.
C'era un posto di blocco, sono stato preso, bloccato, picchiato e
arrestato».
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