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La nonviolenza è in cammino. 164
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 164 del 29 marzo 2001
Sommario di questo numero:
1. Iaia Vantaggiato intervista Sylvie Germain su Etty Hillesum
2. Giulio Vittorangeli, la solidarieta' internazionale nell'epoca della
globalizzazione (parte prima)
3. Il 2 aprile a Orte
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'
1. RIFLESSIONE. IAIA VANTAGGIATO INTERVISTA SYLVIE GERMAIN SU ETTY HILLESUM
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 marzo riportiamo questo articolo li'
apparso col titolo "Etty, l'amore in corpo" ed il sottotitolo "La scrittura
e' un mistero che si da' quando irrompe l'amore e 'quelle a Dio sono le
uniche lettere d'amore che si dovrebbero scrivere'"
Iaia Vantaggiato scrive sul "Manifesto" e su altri periodici.
Sylvie Germain, scrittrice e docente di filosofia, e' autrice di Etty
Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma).
Etty Hillesum e' nata nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel 1943, il suo
diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in
questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione
diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. Opere
di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1996; Lettere 1942-1943,
Adelphi, Milano 1990]
Era il maggio del 1940 quando ebbe inizio l'isolamento degli ebrei olandesi.
Poco meno di un anno dopo, nel febbraio del 1941, veniva indetto ad
Amsterdam il primo sciopero anti-pogrom della storia europea. L'inasprimento
della repressione nazista che ne segui' porto' alla creazione dei ghetti e
dei "campi di lavoro": tra questi, quello di Wasterbrok - un
Durchgangslager, un campo di smistamento - ai confini con la Germania.
Wasterbrok, ultima tappa prima di Auschwitz.
Etty Hillesum aveva allora ventisette anni. Esuberante, generosa di se',
appassionata - di amore e filosofia - in sella a una bicicletta, portava i
suoi intensi occhi neri e il suo corpo fremente per le strade di Amsterdam.
Fra le labbra, l'immancabile sigaretta. Ma il 9 marzo 1941 - data in cui
comincia a stendere il suo diario - gia' scriveva: "Avanti, allora! E' un
momento penoso, quasi insormontabile: devo affidare il mio animo represso a
uno stupido foglio di carta a righe. (...) Mi sento molto impacciata, non ho
il coraggio di lasciarmi andare. Ma sara' pur necessario, se voglio
indirizzare la mia vita verso un fine ragionevole e soddisfacente. E' come
nel rapporto sessuale: alla fine, il grido liberatore rimane sempre chiuso
in petto per timidezza". Ricerca di senso e tensione erotica, eccessi e
ragionevolezza: questa era Etty Hillesum, la giovane ebrea olandese che a
Wasterbrok decise di andare per condividere il destino del popolo ebraico e
che all'inferno di Auschwitz - dove venne deportata il 7 settembre 1943
insieme al padre, alla madre e al fratello Mischa - sopravvisse solo due
mesi.
Sylvie Germain - docente di filosofia alla Scuola francese di Praga e
autrice di numerosi romanzi e racconti - l'ha incontrata per caso, in una
piccola nota, leggendo Hans Jonas. Da allora non ha mai smesso di seguirla
nei suoi sofferti percorsi esistenziali, di stupirsi per la sua (nonostante
tutto) incrollabile fiducia nella vita e per la sfida amorosa che aveva
lanciato al mondo, di ascoltarne la parola, "uno di quei diapason che 'crea
un tempio nell'udito'". Dall'incontro tra Etty e Sylvie e' nato Etty
Hillesum. Una coscienza ispirata (Edizioni Lavoro, pp. 253, L. 23.000),
partitura a due voci sull'amore e l'orrore, l'eros e la fede, il silenzio e
la scrittura.
Iaia Vantaggiato: Piu' che l'aspetto del saggio, il suo libro ha la forma di
un dialogo. Numerosi i frammenti di Etty - tratti dai "Diari" e dalle
"Lettere" - e ininterrotto l'ascolto. Da dove deriva questa scelta?
Sylvie Germain: Come per tutti i libri, anche in questo l'improvvisazione ha
giocato un ruolo importante. La mia non e' stata una decisione ragionata.
Piuttosto e' stato il farsi avanti del soggetto stesso, il suo svilupparsi
autonomamente e, per cosi' dire, da se' a decidere la forma della scrittura.
Inoltre, in un primo tempo, mi sono solo preoccupata di presentare Etty a un
pubblico francese che la conosceva poco e a definire i contorni del contesto
storico - l'Olanda occupata dal '40 al '44 - in cui viveva. In Olanda,
l'occupazione nazista fu particolarmente orrenda: tre quarti degli ebrei che
vivevano li' vennero deportati. E' di fronte a questo orrore che la sfida di
una scrittura e di una evoluzione spirituale maggiormente risaltano. Etty
vive l'orrore e, insieme, se ne tira fuori. E lo scrive: con le sue parole e
con quelle di Rilke, il suo - e il mio - poeta preferito.
I. V.: Prima di "tirarsi fuori" e raggiungere la serenita' del distacco,
tuttavia, Etty fa quella che lei definisce "la dolorosa esperienza della
bellezza che e' solo desiderio sfrenato, inappagabile e percio' destinato
all'infelicita'". Una esperienza impensabile senza un corpo incarnato,
sensuale e possessivo, capace di provare "un desiderio troppo fisico per le
cose".
S. G.: La dimensione dell'eccessivita', in Etty, e' stata in un primo tempo
addirittura molesta. Quando incontra Julius Spier, l'uomo che diventera'
prima suo amante e poi irrinunciabile compagno intellettuale - lo stesso che
contemplava le linee della mano come "un secondo viso"; l'allievo di Jung
che alla psichirologia si era completamente dedicato - Hillesum si lascia
travolgere completamente dalla passione e dalle sue contraddizioni. A volte
lo trova disgustoso e ripugnante, altre s'infervora e lo desidera. Sempre ne
subisce il fascino. Poi, piano, il loro rapporto cambia, si fa scambio
intellettuale, amore smorzato dagli ardori della passione. Per arrivare a
questo, si ha l'impressione che Etty abbia intrapreso un enorme lavoro su se
stessa.
I. V.: Ma la passione abita tutta la vita di Etty, tanto che scrive: "Una
volta, se mi piaceva un fiore, avrei voluto premermelo sul cuore, o
addirittura mangiarmelo. La cosa era piu' difficile quando si trattava di un
paesaggio intero, ma il sentimento era identico". E' il verbo "avere" a
dominare i primi anni della sua vita.
S. G.: Si', ma poi all'avere si sostituisce l'essere, alle apparenze le
essenze. Un cammino comune a tutte le religioni e alle diverse forme di
misticismo. Cio' che in Etty risulta particolarmente affascinante, tuttavia,
e' che la sua spiritualita' passa attraverso un forte carica di sensualita'.
Non ci sarebbe stata in lei una spiritualita' cosi' intensa senza una
sensualita' cosi' esplosiva.
I. V.: Questo rapporto cosi' stretto tra sensualita' e spiritualita' puo'
spiegare, secondo lei, perche' l'estasi mistica non venne mai confusa, da
Etty, con la mortificazione del corpo?
S. G.: Il rapporto di Etty col suo corpo e' sempre molto sano. Non si
presenta mai nella forma di una mortificazione. Certo a segnarlo e' anche la
fragilita': spesso lamenta male ai piedi, alla testa, alla pancia. E mai
dimentica che quello stesso corpo sara' costretto a subire qualcosa di
terribile: per questo, attraverso la disciplina, si prepara. Ecco, piu' che
di mortificazione, parlerei di preparazione.
I. V.: Cosi' Etty decide di mangiare ogni giorno di meno. E disciplina,
insieme, anima e corpo. Sottrazioni successive, dunque, e non aggiunte. Non
crede che qui riecheggi un tema proprio dell'ebraismo, quello
dell'autocreazione per sottrazione?
S. G.: Senz'altro e questo va ad aggiungersi a quanto abbiamo detto sul
passaggio dall'avere all'essere. Per raggiungere un certo livello di essere,
bisogna spogliarsi, rinunciare a tutto cio' che possediamo, compresa la
nostra volonta' di potenza. Piu' va incontro alla morte piu' Etty si spoglia
e, spogliandosi, nasce a una seconda vita. Anche qui il percorso e'
terrestre, materiale. Elementi, questi, che riecheggiano nel suo misticismo
rendendolo anomalo, eccentrico. Etty stessa scrive che il misticismo deve
fondarsi su un'onesta' cristallina: "quindi prima bisogna aver ridotto le
cose alla loro nuda realta'".
I. V.: In Etty, la sottrazione riguarda, pero', anche la forma sempre piu'
minimale che la sua scrittura va, col tempo, acquisendo.
S. G.: Sulla scrittura Hillesum aveva un progetto importante cui
progressivamente rinuncia. Ed e' di una stampa giapponese che si serve come
esempio per esprimere lo stile depurato cui aspira. Poche pennellate e uno
spazio tutt'intorno, non vuoto ma ricco d'anima.
I. V.: E, infatti, dice: "E' cosi' che voglio scrivere: con altrettanto
spazio intorno a poche parole". Dall'amore della scrittura, insomma, alla
scrittura dell'amore. Lei descrive efficacemente questo passaggio quando
afferma che "Se l'amore della scrittura crea nel linguaggio feste, accende
fuochi e fa scaturire canti, la scrittura dell'amore crea radure, terreni
incolti e abbandonati al vento, alla limpidezza del silenzio".
S. G.: Per citare Mallarme' - che non a caso e' il poeta del mistero
dell'esistenza - direi che l'amore della scrittura prosegue "nero su bianco"
mentre la scrittura dell'amore vaga di bianco in bianco. Per Etty,
all'inizio, c'e' solo il piacere di scrivere. Poi la scoperta: la scrittura
e' un mistero che si da' quando a farsi avanti, attraverso un cammino
mistico, e' l'amore. E' a questo punto che Etty rinuncia alla sua ambizione
letteraria: la scrittura diventa, per lei, espressione dell'amore di dio:
"In fondo - scrive - quelle a Dio sono le uniche lettere d'amore che si
dovrebbero scrivere".
I. V.: Lei ha "incontrato" Hillesum leggendo Jonas. Ovvero, si puo' parlare
ancora di Dio dopo Auschwitz? Gia' Adorno aveva negato questa possibilita',
lo stesso Jorge Semprun aveva dichiarato inconciliabili la scrittura e la
vita. Etty opera, invece, una sorta di capovolgimento: non solo parla di un
Dio nascosto ma anche di un Dio ferito cui le piacerebbe donare un tetto.
S. G.: Il Dio nascosto e il Dio ferito sono, in realta' e dopo Auschwitz,
quell'unico Dio che non e' piu' onnipotente e che necessita di nascondersi
nel cuore degli uomini per guarire le sue ferite. Paul Celan, proprio a
partire da Auschwitz, ha scritto poesie sino alla fine della sua vita, sino
a morire di poesia. E', questo, lo stesso cammino intrapreso dalla teologia
nell'affrontare il dramma della Shoah. Certo, non sempre a cio' e'
corrisposto un analogo atteggiamento da parte delle gerarchie
ecclesiastiche. Come cristiana, sono ferita e tormentata dai silenzi di Pio
XII; un papa capace di scagliare anatemi contro il comunismo ma incapace di
pronunciare una sola parola di condanna contro il nazismo o di affermare che
semita e' la radice della nostra spiritualita'.
I. V.: Qual e', per lei, il senso riposto in quell'incipit - "Avanti,
allora" - con cui Etty apre il diario?
S. G.: Lo leggo come un invito a uscire dalla pigrizia, a muoversi, a fare
qualcosa. Mi fa pensare alla traduzione della Bibbia di Chouraqui, al libro
delle Beatitudini. Li' non si dice "Beati i poveri, beati i disperati" ma
avanti i poveri e avanti i disperati. In una parola, "alzatevi!". Anche
molte traduzioni del Cantico dei cantici o dei Salmi invitano ad alzarsi e
ad andare al di la' di se stessi.
I. V.: Da Edith Stein a Simone Weil, il suo libro e' popolato da numerose
figure femminili che come la regina Ester - e con il loro silenzio - hanno
contribuito a salvare il popolo ebraico.
S. G.: Beh, va detto, Etty stessa e' il diminutivo di Esther. E il libro di
Ester e' bellissimo pur essendo atipico. In esso il nome di Dio non e' mai
pronunciato sebbene tutto venga fatto nel nome di Dio.
I. V.: Ci sono delle espressioni che, nominando orizzonti, li fanno
esistere. Etty, "cuore pensante della baracca" e Edith Stein, "anima
profumata".
S. G.: Edith Stein contrappone un'anima profumata all'odore nauseabondo
delle baracche, lo stesso dei campi, del nazismo. L'espressione "cuore
pensante" e' tanto piu' importante perche' arriva di colpo: e' vero, Etty
vorrebbe essere il cuore pensante di tutta la baracca del campo. Ma,
soprattutto, questa espressione non va presa in modo sentimentale e
affettivo. Essa risponde a due esigenze: quella del cuore, dell'amore e
dell'affettivita' nel senso piu' elevato e quella di pensare e ragionare su
cio' che avviene.
I. V.: Di nuovo il corpo e l'anima, la spiritualita' e la sensualita'. Come
"cuore pensante", Etty riesce a risolvere questa contraddizione?
S. G.: In realta' si tratta di una contraddizione apparente. Cui si aggiunge
un ulteriore elemento: per gli ebrei esiste una differenza tra carne e
corpo. La carne e' il corpo abitato dallo spirito e che vive al ritmo dello
spirito. E lo spirito e' incarnato nel corpo...
I. V.: Etty, lei dice, ha percorso i tre versanti dell'amore: l'eros, la
filia e l'agape. Anche qui un percorso che l'ha portata dall'amore carnale
alla misericordia?
S. G.: Eros e' la prima tappa del suo rapporto con Spier. Rapporto nel
quale, tuttavia, Etty gia' raggiunge la dimensione della "filia". Poi, con
gli orrori della guerra e della persecuzione, arrivera' alla terza tappa,
quella della compassione, del campo, della baracca, del cuore pensante.
I. V.: La preghiera di Etty, lei sostiene, rientra nella categoria del
discorso amoroso, piena com'e' di gioia, tenerezza, stupore e desiderio. E
cita Roland Barthes, il suo "io-ti-amo", reiterato proferimento del grido
d'amore.
S. G.: Questo passo, tratto dai Frammenti di un discorso amoroso, riprende
la frase tipica di chi e' innamorato che non fa che ripetere io ti amo.
Tutto il discorso amoroso si riduce a questo. Un discorso che e' lo stesso
dei mistici che, rivolgendosi a Dio, ripetono "io ti amo". In Etty
l'"io-ti-amo" diventa quel "mio Dio" ripetuto che compare nei suoi testi con
sempre maggiore insistenza. Mio Dio dice la meraviglia e la sorpresa - "ti
vedo, sei tu" - del suo amore per Dio. L'io-ti-amo e' il punto piu' alto del
suo misticismo.
I. V.: Un'altra giovane donna, Anna Frank, e un altro diario rivolto, pero',
ad una immaginaria interlocutrice, Kitty.
S. G.: Le differenze tra i due diari sono enormi. Anna, quando scrive, e'
poco piu' di una bambina che, di colpo, e' stata privata di tutti i suoi
compagni. E' per questo che inventa Kitty. Troppo giovane per accedere a una
dimensione mistica che, forse, non avrebbe mai fatto parte della sua natura.
Etty e' una donna che e' arrivata alla maturita' affettiva e spirituale e il
suo unico interlocutore e' Dio.
2. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE
NELL'EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE (PARTE PRIMA)
[Il testo seguente e' quello della relazione introduttiva di Giulio
Vittorangeli al convegno su "La solidarieta' internazionale nell'epoca della
globalizzazione" svoltosi a Celleno (VT) il 18 luglio 1998, promosso
dall'Associazione Italia-Nicaragua, dalla redazione di "Amanecer", con il
patrocinio del Comune e l'adesione di numerose istituzioni, associazioni,
esperienze.
Giulio Vittorangeli, una delle piu' lucide e rilevanti figure della
solidarieta' internazionale, e' nato a Tuscania (VT) il 18/12/1953, e'
impegnato nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e
di solidarietà. E' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di
Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio, ed è
impegnato in alcuni progetti di solidarietà concreta. Opere di Giulio
Vittorangeli: suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni
da lui stesso promossi: tra i più recenti di tali convegni di cui sono stati
pubblicati i materiali segnaliamo quello su Primo Levi, testimone della
dignità umana, tenutosi a Bolsena nel maggio 1998; quello su La solidarietà
nell'era della globalizzazione, tenutosi a Celleno nel luglio 1998; quello
su I movimenti ecopacifisti e della solidarietà da soggetto culturale a
soggetto politico, tenutosi a Viterbo nell'ottobre 1998; quello su Rosa
Luxemburg, tenutosi a Viterbo nel maggio 1999. Per anni ha curato una
rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarietà sul
settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le
pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarietà"]
In Bolivia, nel 1851, Simon Rodriguez, amico e maestro di Simon Bolivar,
scriveva: "Apriamo la storia: e per quello che ancora non e' stato scritto,
ciascuno legga la propria memoria".
*
1. La globalizzazione tra modello neoliberista e pensiero unico
Scopo dell'iniziativa odierna e' quello di tentare una lettura dei terremoti
che il dominio dell'economia (il neoliberismo globalizzato, di una
attualita' lancinante!) provoca nella politica e nella cultura di interi
popoli; molto spesso come degrado della democrazia, distorsione e
cancellazione della memoria.
La prima riflessione riguarda proprio il termine "globalizzazione"; un
insieme di processi molto complessi, con dimensioni diverse: politiche,
economiche, militari, culturali, ecc.; ma quello prevalente e' legato al
neoliberismo. Si tratterebbe, da questo punto di vista, di una nuova forma
assunta dal mercato mondiale che, liberato dal vincolo della politica,
sarebbe finalmente diventato uno "spazio" unico, in grado di trasformare
l'intero pianeta in un sistema "globale" di scambi funzionante secondo
un'unica logica, quella del capitalismo. Come dire, l'avvenuta
universalizzazione planetaria del capitalismo occidentale (il Giappone e un
pezzo di Europa, l'area forte dell'Unione europea) ed in modo particolare
del modello nordamericano.
Primo aspetto, quindi, da tenere presente e' "l'egemonia planetaria del
modello capitalistico di economia". In parole semplici, la globalizzazione
e' la forma che assume l'organizzazione dell'economia del capitalismo a
livello mondiale, come lo e' stato a suo tempo il colonialismo,
l'imperialismo e la schiavitu'. Ma non e' la forma del capitalismo nazionale
di vent'anni fa; e' una forma diversa, di un capitalismo che rompe la forma
nazionale del processo di accumulazione e invece si accumula e si sviluppa a
livello planetario in modo ineguale: il Nord e il Sud. Allora,
globalizzazione e' una parola niente affatto neutrale, bensi' carica di
messaggi ideologici, di utopia -in definitiva- di un'utopia di dominio. E'
cosi' tutt'altra cosa che la generalizzazione dei valori universali di
emancipazione immaginata dall'Illuminismo. Ne' essa comporta la democrazia,
i diritti dell'uomo, la fraternita' planetaria che si allarghino come il
mercato. Piuttosto, quel che ogni giorno si puo' constatare e' proprio il
contrario.
Infatti produce -nel Nord del globo terrestre- omologazione nei
comportamenti e nei consumi: per funzionare al massimo dell'efficienza ha
bisogno di un pubblico capace di comprare la stessa merce e tenuto a pensare
ovunque allo stesso modo, una vera cultura di consumo omologata; oltre che
una concentrazione di ricchezza, tecnologia, potere militare e politico come
mai prima nella storia dell'umanita'. Nel divario Nord-Sud, la
concentrazione delle conoscenze tecnico-scientifiche, e' quattro volte
superiore alla stessa concentrazione della ricchezza.
Nel Sud del pianeta, la globalizzazione produce marginalizzazione per i tre
quarti dell'umanita'; considerando che le risorse, a livello planetario, non
solo sono limitate ma inegualmente distribuite: 80% al Nord, 20% al Sud,
determinando cosi' delle inclusioni e delle esclusioni, sorta di apartheid
mondiale. L'attuale sistema globale puo' essere rappresentato (secondo una
nota definizione) come una coppa di champagne, in cui il 20% piu' povero
della popolazione mondiale si situa nella stretta base del bicchiere e
registra soltanto l'1% delle entrate, mentre il 20% piu' ricco si trova
nella parte alta e piu' ampia del calice e controlla l'83% delle ricchezze.
Basti pensare che le duecentoventicinque persone piu' ricche del mondo sono
proprietarie di risorse che equivalgono a quanto possiedono due miliardi di
persone in tutto il mondo, cioe' il 44% circa dell'umanita'.
Si prospetta una civilta' del XXI secolo espressa dalla formula "20/80",
ossia dalla accettazione dell'assioma che il 20% della forza-lavoro mondiale
e' sufficiente per garantire il funzionamento dell'economia sul piano
globale e quindi la produzione di ricchezza e che conseguentemente il
restante 80% della popolazione mondiale debba solo essere assistito e
governato. Questo spiega perche' intere nazioni, dal Nicaragua al Sudan, non
fanno piu' notizia; sono paesi cancellato dal mappamondo neoliberale (1).
Cosi' i teorici della globalizzazione ci spiegano con naturalezza che il
mondo che verra' sara' "a pelle di leopardo", costruito intorno ad aree di
sviluppo emergenti che dialogano strettamente tra di loro a migliaia di
chilometri di distanza, sganciando le aree geografiche circostanti (le
periferie mondiali), saltate a pie' pari dalla globalizzazione
dell'economia. E' la marginalizzazione economica crescente di grandi aree
del mondo.
*
1.1. Gli esuberi dell'Occidente e la fine dello Stato e del "welfare"
Stessa sorte spetta gia' agli "esuberi" della forza lavoro in Occidente.
Nell'Occidente del dopoguerra e' nato il compromesso "keynesiano":
l'intervento bilanciatore dello stato nell'economia rendeva il "tutto"
contenibile dentro le ragioni di una sana conflittualita' sociale, che
fungeva addirittura da motore dello sviluppo. La crescita del reddito
nazionale si accompagnava ad una distribuzione del reddito, per cui anche i
piu' poveri in qualche modo godevano dei benefici di questa crescita; con un
avvicinamento tra la prima fascia di popolazione piu' ricca e l'ultima
fascia piu' povera (2). La grande svolta che si e' verificata a partire dal
decennio '80, e' invece riassumibile come ritorno ad una radicale
divaricazione tra economia e societa': ristrutturazione, post-fordismo,
flessibilita' della manodopera, produrre di piu', ridurre i costi, aumentare
i profitti, fine del lavoro (oppressione e schiavitu', ma anche occasione di
liberazione e presa di coscienza di se'), crescenti quote di disoccupazione
e minacce costanti ai livelli della previdenza e di quella che un tempo si
chiamava la "sicurezza sociale" (3). Con la ristrutturazione e' arrivata
anche la paura. I concetti di solidarieta', uguaglianza, partecipazione alla
vita sociale sono stati sostituiti con valori socialmente disgreganti come
concorrenzialita', mercato, centralita' dell'impresa, arrivismo, ecc.
E' la sconfitta della cultura della solidarieta' ed il passaggio alla
cultura della sopravvivenza, della carriera, del successo del singolo. In
Italia, tutto questo ha un momento preciso; e' rappresentato dalla sconfitta
operaia alla FIAT del 1980, dopo la straordinaria lotta dei 35 giorni. Si
chiudeva un decennio di grande lotte, iniziato sul finire degli anni '60
quando, anche per effetto dell'immigrazione, i lavoratori entravano in
conflitto con alti livelli di sfruttamento, con bassi salari e con un
livello di servizi assolutamente insufficiente (4).
Sono tanti i segnali di questo terribile movimento tellurico, che ha a che
fare con i fenomeni dell'economia globalizzata: crescita economica senza
occupazione, risanamento finanziario contro stato sociale, moneta unica
europea contro i diritti sindacali. Dentro questo meschino percorso, secondo
il quale prima di tutto occorre inseguire la logica di un mercato delle
imprese e dei capitali (ma chi non e' competitivo che deve fare?
suicidarsi?), non si registrano differenze sostanziali tra governi di destra
e di sinistra: solo sfumature o dettagli. Prevale una forte omologazione
della sfera politica tutta spostata verso le ragioni del capitali, motore
della produzione, dunque della societa' e dello stato. Per questo i nostri
governi ci mobilitano per lo sviluppo economico, per la "guerra economica",
ripetendoci che dobbiamo stringere la cinghia, vivere nell'austerita',
imporre a noi stessi dei piani di aggiustamento strutturale, per guadagnare
fette di mercato (a detrimento degli altri, naturalmente).
Allo stesso tempo, prevale l'ideologia della "fine delle ideologie", della
richiesta di brusco ridimensionamento dello Stato. Secondo l'ideologia
neoliberista dell'era della globalizzazione, gli Stati sono o stanno
rapidamente divenendo ininfluenti e superflui, i governi anche, i partiti e
la politica non hanno futuro alcuno. Fine dello Stato-nazione, dunque: la
globalizzazione e la transnazionalizzazione dell'impresa avrebbero spiazzato
definitivamente lo Stato, spuntando le armi della politica intesa come sfera
autonoma anche se non separata. Il welfare state e' finito. Per alcuni, tra
breve, finira' del tutto anche lo Stato schiacciato a monte dal mercato
mondiale e a valle dai regionalismi e dai localismi. In tutto questo c'e'
certamente un fondamento di verita'; conquistare lo Stato e' conquistare
praticamente la scatola vuota, perche' i condizionamenti economici
internazionali sono tali che ci si "ammazza" per prendere lo Stato e poi
finire "schiavo" del Fondo Monetario Internazionale o della Banca Mondiale.
Lo stesso governo sandinista in Nicaragua fu costretto, in qualche maniera,
per frenare la deflagrante situazione economica, ad imporre delle
misure -anche se fortemente limitate e controllate- di "aggiustamento
strutturale".
Il mercato (idolatrato come quintessenza della modernita'), la libera
circolazione dei capitali, piegano ogni ordinamento sociale: si passa dal
diritto dei popoli al disporre di se stessi, al diritto degli investitori di
disporre dei popoli. Il "potere" non sta piu' nei governi nazionali, ma
nelle duecento compagnie transnazionali (TNC) che controllano il mondo (5).
Questo determina una sfasatura tra il piano nazionale e quello
sovranazionale; uno scollamento tra struttura nazionale dello stato e
struttura transnazionale del capitale, dell'impresa e del mercato. Cosi' lo
svuotamento delle istituzioni rappresentative (prima) e lo smantellamento
dello stato sociale (poi) costituiscono le due mosse poste in essere in
questo secolo, all'inizio e alla fine, da parte delle forze della
conservazione capitalista per neutralizzare politicamente il conflitto
sociale, lo scontro capitale-lavoro. Del resto, dietro ogni arricchimento
speculativo c' sempre un impoverimento del lavoro.
*
1.2. L'immoralita' del sistema "globalizzato" e la crisi della democrazia
Questo sistema e' profondamente immorale.
La cosiddetta deontologia degli affari e l'etica del mercato sono un bidone.
La truffa e' la regola e l'onesta' l'eccezione. E' un terreno propizio allo
sviluppo dei traffici. I narcotrafficanti si muovono ormai nelle corte dei
grandi ad armi pari con le imprese legali. Il narcotraffico, che genera
circa 750 miliardi di dollari all'anno, e' pari al reddito del 44%
dell'umanita' (6). E' stato stimato che tra il 30% e il 50% della ricchezza
dell'economia mondiale e' stata accumulata illegalmente. Cio' include il
traffico di armi e droga; il navigare battendo "bandiera ombra", che puo'
provocare catastrofi ecologiche quando le petroliere si incagliano;
trafficare con bambini e donne per la prostituzione e l'adozione
clandestina; il riciclaggio di denaro coprendosi con il segreto bancario e
operando nei paradisi fiscali (7). La spesa ufficiale per armamenti e
pubblica sicurezza (eserciti e polizie) non accenna a diminuire ed equivale
alle entrate del 49% piu' povero della popolazione mondiale. Un vero
discorso a parte, meriterebbe la notizia della realizzazione di semi
manipolati geneticamente, che non si riproducono, cosi' che l'agricoltore
debba ogni anno ricomprarli. Gli effetti sulla vita quotidiana possono
essere drammatici perche' impedirebbero ai paesi del terzo mondo di
conservare i semi da un anno all'altro, o di scambiarli liberamente. Per non
parlare dei brevetti sui prodotti farmaceutici, che mettono in discussione
la produzione massiccia delle medicine generiche che permetterebbero
all'India, per esempio, di curare la sua popolazione a minor costo. Non
solo, non puo' non inquietare che il capitalismo finanziario decida se la
ricerca medica debba impegnarsi nel trovare un vaccino contro la malaria,
oppure nelle forme piu' sofisticate di riproduzione assistita. Eppure la
malaria e' la malattia che uccide di piu' su tutto il pianeta, certo uccide
i poveracci. Rimandiamo alle acute osservazione di Lidia Menapace, secondo
cui il concentrarsi della ricerca medico-scientifica sui problemi della
procreazione delle donne del Nord del mondo, toglie risorse alla
sopravvivenza a donne del Sud del mondo (8). Finche' i bambini neri e gialli
muoiono come mosche non ha senso fare leggi per la fecondazione alle donne
bianche.
E' evidente che in un mondo sempre piu' polarizzato tra ricchi e poveri,
deregolato ma in effetti regolato clandestinamente dalle multinazionali con
metodi che ricordano molto la mafia, la democrazia e' in regresso anche nei
paesi dove formalmente e' rispettata.
E' evidente che in una societa' nella quale le sedi delle decisioni si
allontanano e si oscurano, si allontana e si oscura anche la democrazia, e
si complica tremendamente.
Oggi si parla di "democrazie ristrette" o "a bassa intensita'", dove il
mercato si mette di traverso all'universo dei diritti umani. In America
latina, la fine delle sanguinose dittature militari, e l'ingresso della
democrazia non ha significato l'entrata nella vita e nella verita'. Si e'
passati dal terrorismo di stato al terrorismo dell'economia, dalla dittatura
militare a quella economica. Cio' che manca e' una ridistribuzione del
potere, nonche' il rispetto per la partecipazione politica della maggioranza
popolare. La democrazia e' nata bacata. Fermo restando che non esistono solo
i critici della globalizzazione, ma anche gli "entusiasti", coloro che
facendo centro sul fallimento dell'esperienza sovietica, leggono la
globalizzazione come la ripresa del cammino dell'umanita' intera verso il
benessere e la collaborazione, cammino che l'esperienza sovietica avrebbe
solo interrotto.
*
1.3. La globalizzazione culturale: deculturazione/disgregazione
Tra le diverse forme della globalizzazione, va ricordato anche quella
"culturale".
Questa e', da una parte, la conseguenza della globalizzazione economica e
politica, che porta ad una concentrazione del potere culturale; e d'altra
parte, una condizione di stabilizzazione del nuovo ordine mondiale, nella
misura in cui ci porta alla convinzione che essa non ha alternative.
Secondo l'economista statunitense Susan George, vi sarebbe una funzione di
"lobby ideologica": "Ogni anno, centinaia di milioni di dollari sono
investiti per produrre e diffondere l'ideologia neoliberale. Migliaia di
intellettuali e decine di "boites a' penser", periodici, quotidiani,
programmi radiotelevisivi, ecc., ricevono ingenti somme da privati per
sviluppare l'infrastruttura intellettuale che sottende la mondializzazione.
E' soprattutto grazie a loro che il "pensiero unico" ha trionfato" (9). Lo
scopo di questa lobby ultra-liberista mondiale e' quello di spingere verso
lo smantellamento di ogni protezione sociale e di ogni servizio pubblico.
Momento culminante dell'espropriazione culturale e' l'interiorizzazione da
parte dei popoli dominati, dell'identita' e dei valori dei dominatori, il
riconoscimento della loro superiorita' e l'accettazione della dipendenza
come "normale". Cosi' si spingono i poveri all'apatia, al fatalismo e
all'individualismo, verso l'adesione acritica ai valori del Primo Mondo, ai
suoi modelli culturali, a prezzo della rottura delle proprie tradizioni e
dei legami collettivi e comunitari.
E' in atto una vera e propria invasione "culturale" del Sud da parte del
Nord, senza reciprocita' (quale banca africana aprira' mai i suoi sportelli
a Parigi?); che comporta una drammatica "deculturazione" (disgregazione e
distruzione delle identita' culturali) del Sud, che non ha spesso altra
risorsa che la propria cultura, o cio' che ne resta.
A livello culturale la globalizzazione non solo si esprime attraverso la
diffusione del consumismo, della sua cultura e della sua "etica", ma e' una
minaccia seria ai valori della comunita' e alla diversita' culturale. Ha
scritto recentemente Giulio Girardi: "La mia tesi di fondo a questo riguardo
e' la seguente: l'espropriazione culturale, di cui sono stati evidentemente
oggetto gli indigeni e i neri, attraverso le conquiste e le colonizzazioni,
non e' affatto un fenomeno circoscritto ad essi, ma colpisce la maggioranza
dell'umanita'. Perche' in forme piu' occulte, ma piu' penetranti e piu'
generalizzate, la conquista e la colonizzazione continuano, attraverso il
processo di globalizzazione neoliberale: diventando quindi aspetti
essenziali del nuovo ordine mondiale. Ma mentre indigeni e neri stanno
prendendo coscienza dell'espropriazione anche culturale di cui sono stati e
continuano ad essere vittime, e stanno quindi ribellandosi contro
l'organizzazione della societa' e del mondo di cui essa e' espressione, il
resto dell'umanita', quello particolarmente che vive nei cosiddetti paesi
ricchi, sembra essersi perfettamente adattato a questa condizione di
dipendenza intellettuale, considerandola normale e definitiva" (10).
*
1.4. Le Istituzioni Finanziarie Mondiali: Fondo Mondiale Internazionale
(F.M.I.) e Banca Mondiale
La globalizzazione, a livello economico, impone la propria egemonia
attraverso i programmi di aggiustamento strutturale richiesti dalle
istituzioni finanziarie mondiali: liberalizzazione delle economie nazionali
per permettere l'accesso dei capitali transnazionali. Come a dire che la
globalizzazione ha il nome tecnico di "PAS: Programma di Aggiustamento
Strutturale" (SAP: Structural adjustement program), che consiste
nell'obbligo - per i paesi del Sud del Mondo - di limitare molto la
produzione per il mercato interno a vantaggio delle popolazioni e di
lavorare invece per il mercato internazionale, nel tentativo di accumulare
valuta estera per pagare i creditori.
Le due strutture finanziare internazionali principali sono il Fondo
Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale. Fondo e Banca
"controllano" con le loro riforme (deleterie per i poveri della terra) le
economie dei paesi "non sviluppati", a vantaggio delle economie forti e di
quei paesi ricchi che con il 15% della popolazione mondiale, controllano
quasi l'80% del reddito di tutto il pianeta. Il credo liberista e' alla base
del pensiero di queste istituzioni. Per concedere un prestito, sotto forma
di "aiuto" (in realta' si tratta di un credito usuraio), si toglie ogni
autonomia al paese richiedente, operando in due fasi.
La prima contempla programmi di "stabilizzazione economica": svalutazione
della moneta, liberalizzazione dei prezzi, austerita' dei bilanci,
deindicizzazione dei salari.
La seconda prevede programmi di "riforma strutturale" che, tra il resto,
impone la liberalizzazione degli scambi commerciali, la dismissione e la
privatizzazione delle aziende statali, riforma fiscale con generose
esenzioni per societa' a capitale straniero, deregolamentazione del sistema
bancario cosi' che le banche straniere possano accedere senza difficolta'
nel paese, liberalizzazione dei movimenti capitali cosi' e' possibile per le
societa' straniere rimpatriare liberamente i propri profitti in valuta
straniera.
Le conseguenze sono drammatiche per i settori piu' vulnerabili (11), e cosa
c'e' di piu' vulnerabile dei bambini?
I rapporti Unicef denunciano che meta' dei poveri sono bambini e spiegano in
maniera chiara il divario crescente tra Nord e Sud del pianeta: "Ogni anno
circa dodici milioni di bambini al di sotto dei cinque anni muoiono senza
ragione, soprattutto a causa di malattie infantili facilmente prevenibili"
(12).
Secondo dati Unesco un miliardo di persone, di cui 130 milioni di bambini,
sono analfabeti o "analfabeti funzionali" (cioe' coloro che, non usandole
mai, hanno dimenticato le loro capacita' di lettura e scrittura).
Per scolarizzare tutti i bambini occorrerebbero solo 7 miliardi di dollari
l'anno: meno di quanto si spende ogni anno negli Usa per i cosmetici.
Purtroppo la sorte miserabile dei bambini e bambine del mondo con le
spaventose cifre dell'analfabetismo (le bambine sono i due terzi di chi non
va a scuola) occupano in modo sensazionale le pagine dei nostri giornali,
per lo piu' presentate come "naturali", oppure come segno di arretratezza
umana e quasi con una punta di razzismo. Inevitabilmente, in questo contesto
di poverta' diffusa, estrema e disperata, i bambini diventano un problema,
un pericolo. Pensiamo - al caso forse piu' noto - ai bambini di strada
(meninos da rua) del Brasile. Ma il fenomeno dei bambini di strada riguarda
anche il Centro America, in particolare il Guatemala. Dove ragazze e
ragazzi, di origine maya, vengono violentate, disprezzate, umiliate,
torturati, uccisi. Ma il vissuto della strada non e' solo violenza, fame,
malattie, dolore, sterminio da parte di poliziotti e squadroni della morte;
e' anche casa, famiglia, amicizia, amore e solidarieta', ribellione, festa
(13).
In realta', la Banca Mondiale e il FMI, create con lo scopo di controllare
la speculazione finanziaria internazionale (14), favoriscono la speculazione
avendo trovato la maniera di "aggiustare" le economie dei paesi poveri del
Terzo Mondo. Siamo quindi di fronte ad un aperto sostegno ad un meccanismo
di spoliazione che assume le caratteristiche di una ulteriore "economia di
rapina", cioe' di uno sfruttamento di tipo coloniale realizzato con
strumenti moderni e raffinati.
Un'ultima considerazione sul ruolo avuto dal F.M.I. nella guerra della ex
Jugoslavia.
Le politiche di aggiustamento del Fondo Monetario Internazionale e della
Banca Mondiale hanno avuto un ruolo non secondario nello smembramento della
Federazione Jugoslava. La convivenza delle diverse etnie non e' stata
distrutta solo dai fanatismi nazionalisti o dalla "malvagita'" dei serbi, ma
anche dal distruttivo impatto con il mercato. A partire dal 1980,
l'andamento dei prezzi delle materie prime e quello dei tassi di interesse
produce la crisi del debito estero che colpisce con particolare forza
l'Africa e l'America Latina. Della stessa crisi rimane vittima la
Jugoslavia, che per ottenere la ristrutturazione del debito, deve sottoporsi
alle misure di "stabilizzazione economica" del F.M.I. Queste misure
provocano una grande inflazione cui si sommano gli effetti negativi della
liberalizzazione delle importazioni e il congelamento dei crediti
all'industria. Ma la situazione precipita dal gennaio '90, quando viene
imposto un pacchetto economico (ancora piu' drastico: tagli alla spesa
pubblica, smantellamento dello Stato sociale, privatizzazioni, ecc.) tramite
i soliti accordi con il Fmi e i prestiti di "aggiustamento strutturale"
della Banca Mondiale. I tagli di bilancio conseguenti a tali accordi
provocano la deviazione delle entrate federali verso il servizio debito e la
sospensione dei trasferimenti monetari da Belgrado ai governi delle
repubbliche e delle provincie autonome. Cosi' sono poste le condizioni delle
future secessioni.
*
1.5. La globalizzazione come strategia militare
Nella globalizzazione dei mercati, la presenza militare e' fattore
indispensabile per garantire i rapporti di forza, molto spesso di rapina,
oggi esistenti.
Vale a dire che un'economia globalizzata (da post-guerra fredda) funziona
solo se sorretta da una strategia militare di egemonia planetaria; per cui i
potenti saranno sempre piu' potenti e ricchi e le guerre diventeranno uno
strumento utile per il rafforzamento del nuovo ordine globale, mentre
nessuno spazio avranno i poveri in questo "dialogo" impari.
Il ruolo fondamentale e' giocato dagli Stati Uniti, oggi forse piu' di ieri,
tanto che si parla di "nuovo ordine statunitense",egemonia americana
associata al neoliberismo, ecc.
"La mano invisibile del mercato non funzionera' mai senza un pugno
invisibile. McDonald's non puo' prosperare senza McDonnel Douglas, il
progettista degli F-15. E il pugno invisibile che tiene al sicuro il mondo
per la tecnologia di Silicon Valley si chiama esercito americano, forza
aerea, marina militare e marines". L'autore di queste righe e' Thomas
Friedman, il consigliere di Madaleine Albright. La classe dirigente
americana sa che l'economia e' politica, e che sono le sue relazioni di
potere -potere militare incluso- che comandano il mercato. Non ci sara' un
"mercato globale" senza un impero militare americano, dicono.
Lo strumento per imporre questa egemonia e' dunque militare. Il budget
militare degli Usa e' del 30% piu' alto del budget totale degli altri stati
della Nato presi insieme. Scrive Samir Amin (studioso marxista egiziano,
ispiratore del "Forum Mondiale delle Alternative" e direttore del "Forum du
Tiers Monde"): "Lo scopo dichiarato della strategia americana e' non
tollerare l'esistenza di alcun potere in grado di resistere agli ordini di
Washington, e di conseguenza smantellare tutti quei paesi considerati
'troppo grandi' e allo stesso tempo creare il maggior numero possibile di
stati-pedina, facile preda per l'insediamento di basi americane che ne
garantiscono la 'protezione'. Solo uno stato ha il diritto di essere
'grande': gli Stati Uniti, come i loro ultimi due presidenti hanno detto
esplicitamente. Il metodo praticato, tuttavia, non si limita a brandire il
randello e manipolare i media. Prova a chiudere i popoli in alternative
immediate e inaccettabili: piegarsi all'oppressore, sparire, mettersi sotto
il protettorato Usa. Perche' questo accada, e' necessario stendere un velo
di silenzio sulle politiche che hanno creato la tragedia. Possiamo citare
come esempio i precipitosi riconoscimenti degli stati dell'ex-Jugoslavia,
sanciti senza preoccuparsi di prepararli stabilendo con un metodo
democratico il destino dei popoli interessati (...). La forza e' eretta a
principio supremo, a totale detrimento del diritto internazionale, al quale
il discorso dominante ha sostituito un singolare 'diritto di intervento',
che fastidiosamente ricorda la 'missione civilizzatrice' dell'imperialismo
del XIX secolo. La lotta per la democrazia restera' totalmente inefficace se
accompagnata dalla sottomissione all'egemonia americana. La lotta per la
democrazia non e' separabile da quella contro l'egemonia di Washington".
L'altra conseguenza piu' evidente, e' che piu' della meta' degli stati del
mondo hanno subito la minaccia o la realta' di sanzioni economiche o
commerciali degli Usa. Stati "paria" (cosi' li hanno definiti gli Usa) come
l'Iraq, la Corea del Nord, il Sudan, Cuba e la Libia, portano sulle spalle
il peso della "rabbia" americana; uno di questi, l'Iraq, e' sottoposto ad un
vero e proprio genocidio che lo sta dissolvendo, grazie alle sanzioni Usa
che continuano al di la' di qualsiasi ragionevole obiettivo, se non quello
di soddisfare il senso della vendetta di chi si ritiene dalla parte del
giusto. Cosi' si lancia al mondo un messaggio di terrore che non ha nulla a
che vedere con la sicurezza, gli interessi nazionali, o ben definiti
obiettivi strategici. Si tratta del potere per il potere.
*
Note
1. Serge Latouche, "Il tetto" n. 205/206, marzo-giugno '98, nell'art.
"Economia ed Ecologia: un approccio anti-utilitaristico", pag. 11: "Dal
punto di vista dell'inquinamento, 1 Svizzero vale 40 Somali, ma dal punto di
vista militare, 1 Nordamericano vale 1.000 iracheni! (115 soldati americani
uccisi nella Guerra del Golfo contro 100.000 iracheni)".
2. Rossana Rossanda, "Il manifesto" (28/08/98): "Lo Stato Sociale non e' una
invenzione del socialismo; una societa' che si pretende non capitalista non
ne ha bisogno. Non e' neanche una invenzione della socialdemocrazia, e'
quella che piu' l'ha praticata. Il Welfare e' un'invenzione liberale
dell'Inghilterra, prima potenza economica e militare del mondo, dopo la
crisi del '29. Dalla "Teoria generale dell'occupazione" di Keynes nel 1936
al cosiddetto Piano Beveridge (lord liberale inglese, N.d.R.) del 1924 e
1944, non sono le sinistre ma un paio di lords pensanti che portano avanti
questo tema. I laburisti inglesi ne avrebbero realizzato le idee attorno al
1948 con il National Insurance Act e il servizio sanitario nazionale (...).
La filosofia del Welfare, non e' gia' (come alcuni scrivono oggi) proteggere
le figure deboli, ma rendere diritti universali alcuni beni fondamentali: lo
spettro del Bisogno sarebbe stato vinto da politiche di piena occupazione,
l'Ignoranza attraverso la gratuita' obbligatoria degli studi, la Malattia
attraverso il servizio sanitario nazionale, la Vecchiaia attraverso la
previdenza. Questa e' stata la differenza del Welfare rispetto all'idea
caritativa della destra e al solidarismo dei cattolici. Oggi si ritorna
all'800 -diciamo al 1906- alle leggi per i poveri, i deboli, ai servizi
differenziati per chi li puo' pagare e chi no".
3. Asor Rosa, La societa' dei due terzi, "Due terzi ricchi e opulenti,
contenti, garantiti e felici e un terzo invece disperato" (Questo appartiene
al passato. Secondo molti osservatori internazionali, la societa' verso cui
andiamo e' una societa' di un quinto, dove una minoranza domina il sistema
dal punto di vista economico, sociale e alla fine anche elettorale. N.d.R.).
4. Atti del Convegno Attualita' del pensiero e dell'opera di G. A.
Maccacaro, a cura del Centro per la salute "Giulio A. Maccacaro",
Castellanza, Milano, 1988. Dalla pag. 198: "Un decennio durante il quale la
classe operaia ha dato vita ad una esperienza straordinaria nella storia del
nostro Paese, ponendosi come soggetto antagonista ai valori dominanti nella
societa' e quale punto di riferimento per un arco di forze ampio che
postulavano una trasformazione dei rapporti di produzione e della societa'.
Una delle idee forza che hanno caratterizzato quella fase era "cambiare la
fabbrica per cambiare la societa'"".
5. Frederic Clermont, Le duecento societa' che controllano il mondo, "Le
Monde Diplomatique", edizione italiana, n. 4/1997.
6. "Envio", edizione in castigliano, n. 186, settembre 1997; in particolare
l'intervento di Pedro Marchetti.
7. Campagna Globalizzazione dei Popoli, Documenti, n. 13, Kairos Documento
Europa, pag. 12, Criminalita' economica.
8. Lidia Menapace, Tavolo di donne sulla bioetica, supplemento al n. 29/30
del 25/6/97 dell'Agenzia quotidiana "Il Paese delle Donne", Roma: "Sono
molto interessata alla globalizzazione, perche' non e' innocente nemmeno su
questa questione delle tecniche produttive (...) Ma e' legittimo coltivare,
suscitare, eccitare un desiderio di maternita' che assomiglia a un istinto,
a quello che generalmente definiamo istinto, al di fuori di qualsiasi
considerazione, tanto che io posso fare un figlio pur sapendo che questo
comportera' la morte dei figli di altre donne perche' le risorse sono
determinate, non infinite? (...) Se non assoggetteremo liberamente il nostro
desiderio di maternita' alla coscienza del limite produrremo e favoriremo, e
non ridurremo -non individualmente ma come soggetti collettivi- la morte di
altri figli nelle aree del pianeta in cui le risorse non arrivano".
9. Susan George, La mondializzazione e i pericoli per la democrazia,
"Critica marxista", n. 4/1998, pag. 18.
10. Giulio Girardi, "Alternative Europa", n. 98. pp. 47-50.
11. Non e' certo causale che in molti paesi all'applicazione delle misure
suggerite dal F.M.I. abbiano fatto seguito sommosse popolari con vittime,
saccheggi, distruzioni. In Venezuela e in Argentina nel 1989, in Zambia nel
1990, le popolazioni hanno cercato disperatamente di rifiutare delle misure
insopportabili per chi gia' vive al di sotto dei livelli di poverta'.
12. Un neonato, infatti, comincia la sua vita con un debito di 997 dollari
se vede la luce in Mauritania, di 1213 dollari in Nicaragua e di 1872 nel
Congo.
13. Si veda il bel libro scritto da Gerard Lutte, Principesse e sognatori
nelle strade in Guatemala, Edizioni Kappa, Roma 1994, L. 24.000); e'
importante ricordare che i diritti di autore sono utilizzati per il progetto
"Las Quetzalitas" il cui scopo e' di aiutare le ragazze e i ragazzi a
realizzare i loro sogni, in particolare a formare un movimento autogestito
per difendere i loro diritti. (Per informazioni rivolgersi a Terra Nuova,
Via Urbana n. 156, Roma tel. 06.485534). Cosi' come e' importante ricordare
il lavoro di solidarieta', in favore dei bambini del Guatemala, che svolge
oramai da anni nella nostra provincia l'Associazione Vivere Insieme di Nepi,
con Moraldo Adolini.
14. L'FMI e' stato creato, insieme alla Banca Mondiale, dalla Conferenza
internazionale di Bretton Wood (localita' del New Hampshire, negli Stati
Uniti) nel luglio 1944, come parte del sistema delle Nazioni Unite. Alla
conferenza parteciparono 44 paesi e, sotto l'egemonia statunitense, furono
poste le basi del sistema monetario e commerciale post-bellico, fondato sul
dollaro e sull'oro. A tutelare tale sistema vennero create le due citate
organizzazioni. Giappone, Germania e Italia vi furono ammesse a guerra
conclusa. Attualmente il FMI e' formato da 151 membri.
(Parte prima - segue)
3. INCONTRI. IL 2 APRILE A ORTE
Lunedi 2 aprile, dalle ore 14 alle ore 16, si terra' il dodicesimo incontro
del corso di educazione alla pace del liceo scientifico di Orte (VT); esso
avrà per tema "Il metodo del consenso e la valorizzazione delle differenze".
4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
5. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 164 del 29 marzo 2001