[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

La nonviolenza è in cammino. 159



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 159 del 24 marzo 2001

Sommario di questo numero:
1. Christa Wolf, non esiste una pace armata
2. Peppe Sini, cio' che e' mancato
3. Tiziano Tissino, invito alla via crucis Pordenone-Aviano del primo aprile
4. Noam Chomsky, l'alibi umanitario
5. Massimo Zucchetti, osservazioni critiche sul Rapporto Mandelli
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. CHRISTA WOLF: NON ESISTE UNA PACE ARMATA
[Questo minimo frammento (da una pagina di diario datata "Meteln, 21 agosto
1981") abbiamo estratto da Christa Wolf, Premesse a Cassandra, edizioni e/o,
Roma 1984, p. 133.
Christa Wolf e' nata nel 1929, è considerata la maggiore scrittrice tedesca
contemporanea; femminista e pacifista. Opere di Christa Wolf: segnaliamo
almeno Il cielo diviso, Edizioni e/o, poi Mondadori; Riflessioni su Christa
T., Mursia; Cassandra, Edizioni e/o; Premesse a Cassandra, Edizioni e/o]
Non esiste una pace armata. La pace o e' disarmata o non e' pace - qualsiasi
cosa uno pensi di dover difendere. Per due volte, in questo secolo, dalla
"pace armata" e' nata la guerra, e ogni guerra e' stata piu' dura della
precedente.
Brecht disse esattamente la stessa cosa negli anni Cinquanta: se non ci
armiamo avremo la pace. Se ci armiamo, avremo la guerra. Non vedo come si
possa pensarla diversamente.

2. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: CIO' CHE E' MANCATO
[Questo intervento e' stato scritto e diffuso l'8 giugno 1999, e
successivamente ripubblicato come primo capitolo de La nonviolenza contro la
guerra, Viterbo 2000 (testo disponibile in versione elettronica nella home
page del sito di Peacelink). Lo riproponiamo senza alcuna modifica]
* Una lettera aperta a tutte le persone impegnate per la pace
Poteva il movimento per la pace essere più efficace nel contrastare la
guerra? Sì.
Cosa ci è mancato? La limpidezza di posizioni e la preparazione all'uso
delle tecniche di lotta nonviolente.
Carissimi amici,
nella speranza che la guerra stia volgendo al termine, e mentre dobbiamo
continuare a manifestare contro la scellerata continuazione sia dei
bombardamenti sia della "pulizia etnica", e mentre dobbiamo prepararci agli
impegni ulteriori contro la guerra, i suoi apparati ed i suoi presupposti
(ed a tal fine occorrerà una rinnovata iniziativa per il disarmo; per lo
scioglimento della Nato; contro il razzismo e in difesa dei diritti umani
ovunque), occorre altresì che riflettiamo sui limiti della nostra iniziativa
in questi mesi.
* Potevamo come pacifisti fermare la guerra? Sì
Poteva il nostro movimento per la pace essere più efficace nel contrastare
la guerra? A nostro parere, sì. La mobilitazione generosa in tutta Italia di
centinaia di migliaia di persone, la tenacia nell'opporsi alla guerra e nel
chiedere il rispetto della Costituzione italiana e del diritto
internazionale che questa guerra proibiscono, la capacità di argomentare con
chiarezza ed efficacia le ragioni della pace proprio coniugandole con le
ragioni della solidarietà, dell'opposizione al razzismo e della difesa dei
diritti umani, e l'aver tenuto costantemente unite l'opposizione alla guerra
con l'aiuto concreto alle vittime della guerra, delle deportazioni, della
repressione nei Balcani, sono tutti elementi che hanno caratterizzato e
qualificato il movimento per la pace nel nostro paese rendendolo un
autentico rappresentante del popolo italiano nel momento in cui il nostro
governo tradiva la legge fondamentale e si rendeva complice di un orribile
cumulo di crimini, di un'orribile serie di stragi.
* Una particolare circostanza che aumentava la nostra responsabilità
Ed il nostro movimento per la pace poteva essere più efficace nel
contrastare la guerra anche in virtù di una particolare circostanza tattica:
che la gran parte dei bombardamenti stragisti sulla Jugoslavia sono partiti
dalle basi Nato dislocate in territorio italiano. Questo aumentava la nostra
responsabilità, la nostra angoscia, ma anche le nostre possibilità di
intervento efficace contro la guerra.
* Perché non siamo riusciti a fermare la guerra?
La domanda che ora ci poniamo è: perché non siamo riusciti ad essere più
efficaci contro la guerra? Cosa ci è mancato? Non ci è mancata la
possibilità di agire: l'abbiamo avuta. Non ci è mancata la cognizione del
ruolo peculiare dell'Italia, ridotta a gigantesca portaerei di bombardieri
stragisti: lo abbiamo saputo fin dall'inizio. Non ci è mancata neppure la
volontà di opporci intransigentemente alla guerra: ripetiamo, a centinaia di
migliaia lo abbiamo saputo, lo abbiamo detto, abbiamo cercato di farlo.
* E' mancata la scelta corale e persuasa della nonviolenza
Quello che ci è mancato è stata l'adozione del punto di vista giusto: il
punto di vista della nonviolenza e quindi la scelta della lotta nonviolenta;
e conseguentemente l'adozione delle tecniche di lotta giuste: le tecniche
dell'azione diretta nonviolenta; punto di vista e tecniche che richiedevano
un serio ed onesto dibattito di tutto il movimento su questa grande
sconosciuta: la nonviolenza, l'accoglimento collettivo e persuaso di essa, e
una seria e rigorosa formazione alla nonviolenza. Questo è mancato.
* Una posizione limpida contro la violenza
E' mancata una posizione limpida nel giudizio sulla violenza: anche nel
movimento che si oppone alla guerra molti hanno idee confuse e posizioni
ambigue su questo decisivo punto.
Sulle bandiere delle manifestazioni hanno campeggiato perlopiù volti di
eroici combattenti per la giustizia, ma certo non per la pace. Per dirla in
termini schematici, i manifestanti facevano riferimento più a Guevara che a
Gandhi. Orbene, il riferimento a Guevara è sicuramente di grande valore
nella storia della lotta di liberazione, per affermare l'uguaglianza, per
contrastare l'oppressione imperialista e colonialista; ma in un movimento di
lotta contro la guerra e per la pace sarebbe bene che si facesse riferimento
a figure più coerenti con l'obiettivo per cui ci si sta impegnando.
Molti, invece, hanno avuto un atteggiamento ambiguo: proprio mentre
criticavano la Nato per aver condotto una guerra spacciandola per "giusta"
(e nessuna guerra lo è), riproducevano lo stesso schema argomentativo
definendo "giusta" la violenza a seconda di chi ne fa uso (e nessuna
violenza lo è; naturalmente fermo restando il principio giuridico che ad
ogni aggredito va riconosciuto il diritto di legittima difesa).
* E' mancata una conoscenza seria ed onesta della nonviolenza
Questo limite di confusione e di ambiguità è dipeso dalla purtroppo ancora
scarsa conoscenza e presenza nel nostro paese, nella nostra riflessione, nel
nostro dibattito, nella nostra comune formazione morale e civile (e quindi
politica), di quella straordinaria tradizione di lotta e di pensiero che è
la nonviolenza.
Purtroppo anche molti, moltissimi pacifisti, hanno della nonviolenza un'
immagine del tutto falsa: la confondono con la viltà, con la passività, con
la mera predicazione retorica, o al più con la vocazione al martirio come
scelta individualistica ed ininfluente, o con l'astrattezza di chi pretende
di collocarsi al di sopra della mischia ed invece se ne trova al di sotto, e
così via: riproducendo così, senza rendersene conto, gli stessi stereotipi e
le stesse mistificazioni che contro la nonviolenza sono usati dagli
oppressori, dai militaristi, dagli idolatri della violenza.
* La nonviolenza è lotta, la più rigorosa
Ed invece la nonviolenza è lotta, è la più rigorosa forma di lotta, quella
che va alla radice, quella che pratica la coerenza tra i fini ed i mezzi,
quella che nel corso stesso della lotta contro la violenza istituisce un'
umanità fraterna e di eguali.
Ma nonostante nel nostro paese siano vissuti uomini come Aldo Capitini e
Danilo Dolci, Lorenzo Milani ed Ernesto Balducci, in Italia la nonviolenza è
ancora largamente sconosciuta, anche tra coloro che pur se ne riempiono la
bocca a sproposito.
* Era possibile opporci efficacemente: usando le tecniche della nonviolenza
La conoscenza della nonviolenza, e l'uso delle tecniche della nonviolenza,
sarebbero state straordinariamente efficaci in questo terribile frangente.
Un esempio per tutti: era possibile bloccare tutti i decolli da tutte le
basi Nato in Italia semplicemente lanciando mongolfiere di carta nello
spazio aereo sovrastante e circostante le piste di decollo. Questa azione
diretta nonviolenta, realizzata da un piccolo gruppo di poche persone,
bloccò i decolli per alcune ore ad Aviano in aprile. Se fosse stata fatta
propria dall'intero movimento pacifista e realizzata a livello di massa
dinanzi a tutte le basi Nato in Italia giorno dopo giorno avrebbe potuto
avere un ruolo rilevante, ed avrebbe dimostrato come la nonviolenza possa
intervenire efficacemente nel conflitto ed essere concretamente più forte
del più forte apparato militare del mondo.
Per oltre due mesi abbiamo proposto a tutti gli interlocutori possibili di
far propria questa iniziativa rigorosamente nonviolenta e dimostratamente
efficace, ma solo in pochi hanno aderito, solo pochissimi l'hanno realizzata
o hanno tentato di realizzarla.
Purtroppo quasi tutte le grandi organizzazioni e le più ampie reti di
affinità presenti nel movimento non hanno colto questa occasione, preferendo
perlopiù iniziative meramente simboliche (quando non semplicemente
propagandistiche) e largamente inefficaci, ed inefficaci anche perché
sovente non limpide. Non limpide perché da una parte si è preferito
mantenere rapporti ambigui (anche per convergenti interessi) con il governo
responsabile della guerra e le principali forze politiche che lo compongono;
da un'altra si è privilegiata una presenza prevalentemente autopromozionale
nel movimento; da un'altra parte ancora si è restati chiusi su posizioni
nichiliste che quanto più si ammantavano di retorica ultrarivoluzionaria
assolutamente dereistica tanto più erano totalmente subalterne ed
effettualmente autoreferenziali.
* Perché è andata così? E' mancata la formazione alla nonviolenza
Perché è andata così, e il movimento per la pace non è stato
sufficientemente efficace, sebbene abbia comunque svolto un'azione generosa
che ha ottenuto dei risultati non disprezzabili (si pensi alla decisiva
influenza della marcia Perugia-Assisi nel forzare il Parlamento italiano
alla richiesta di sospensione dei bombardamenti)?
A noi sembra di poter dire che è andata così perché è mancata la formazione
alla nonviolenza: occorreva aver cominciato tutti da anni a fare dibattiti
sulla nonviolenza, ad esaminarne, approfondirne ed introiettarne
criticamente valori, metodi, dimensioni; ed occorreva aver cominciato tutti
da anni a fare training di addestramento alle tecniche della nonviolenza.
Quei purtroppo ristretti settori del movimento che queste esperienze di
dibattito e di formazione avevano condotto, e che hanno proposto all'intero
movimento di fare un salto di qualità in questa direzione, si sono trovati
di fatto isolati: sovente rispettati per il loro rigore e addotti ad
esempio, ma quasi sempre inascoltati nelle loro proposte di intervento
concreto, di impegno comune.
* Per non concludere
Speriamo che la guerra stia per concludersi: ma dopo questa altre guerre
verranno se non sapremo lottare per prevenirle. Ed è quindi una necessità
per il nostro movimento cominciare subito una permanente attività di studio
e discussione della nonviolenza, una permanente attività di formazione alla
nonviolenza, di vero e proprio addestramento all'uso delle tecniche della
nonviolenza ed alla comprensione dei valori della nonviolenza.
Non abbiamo tempo da perdere. I bombardieri decollano ancora, le industrie
armiere producono ancora, i poteri stragisti persistono ancora. La voce
strozzata della pace, o della coscienza, ci chiede un impegno ancora più
profondo, ancora più persuaso: ci chiede di far crescere la nonviolenza come
unica coerente alternativa alla guerra e all'oppressione.
* Che ne pensate?
Saremo grati a tutti coloro che vorranno farci sapere la loro opinione su
queste appena accennate, frettolose e provvisorie riflessioni. La
discussione è aperta. Frattanto facciamo tutti tutto quel che possiamo per
ottenere la cessazione della guerra.
Un abbraccio,
Viterbo, 8 giugno 1999

3. INIZIATIVE. TIZIANO TISSINO: INVITO ALLA VIA CRUCIS PORDENONE-AVIANO DEL
PRIMO APRILE
[Ringraziamo di cuore Tiziano Tissino per questo suo intervento.
Tiziano Tissino e' impegnato nel movimento ecclesiale per la pace "Beati i
costruttori di pace", nella "Rete di Lilliput", in numerose iniziative di
pace, solidarieta', nonviolenza]
Giusto due anni fa, iniziarono i bombardamenti contro la Serbia ed il
Kossovo. Aviano fu la principale base aerea utilizzata in quella guerra.
Quali siano i danni che provoco' e quanto poco abbia contribuito a costruire
una vera pace basata sul rispetto dei diritti umani, sulla giustizia, sulla
riconciliazione, e' sotto i nostri occhi proprio in questi giorni: da un
lato, e' emerso il criminale uso dell'uranio impoverito, punta dell'iceberg
di una vera e propria guerra contro l'ambiente (ricordo solo i gravissimi
bombardamenti sul petrolchimico di Pancevo, cosi' come su tutte le altre
industrie chimiche della Serbia); dall'altro, quanto sta accadendo in
Macedonia dimostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, come la guerra
abbia inasprito ed approfondito gli odi etnici, rafforzato i fautori della
violenza, indebolito il senso della convivenza.
Fra una settimana, ci sara' la quinta via crucis Pordenone-Aviano.
Cammineremo, ancora una volta, lungo la strada che porta alla Base Usaf, per
chiedere che quella base venga smantellata, ma soprattutto per rimettere in
discussione questo sistema economico e sociale, che ha bisogno di basi come
Aviano per sopravvivere.
Sara', lo sappiamo, un piccolo gesto, ma quelli tra noi che sono stati a
Butembo, il mese scorso, hanno potuto sperimentare come anche piccoli gesti,
se compiuti da una moltitudine, possono dare risultati insperati.
E' per questo che ti chiedo di accompagnarci in questo percorso, e di
diffondere questo invito, coinvolgendo quanti piu' amici possibile. Ci
vediamo il primo aprile, allora?
Di seguito:
- l'appello di convocazione della via crucis;
- l'elenco delle adesioni;
- il programma, con l'elenco degli interventi.
* L'appello
"Beati i Costruttori di Pace" del Friuli Venezia Giulia e nazionale, Pax
Christi Italia - Centro "Ernesto Balducci" di Zugliano (UD) promuovono la
Via Crucis Pordenone - Base Usaf di Aviano il primo aprile 2001.
Continua il cammino di speranza insieme agli impoveriti e umiliati della
Terra, vittime della violenza strutturale del nostro mondo, di cui la Base
di Aviano e' emblema, artefice e presidio.
Il segno della Via Crucis rende visibili gli itinerari quotidiani, le parole
e le scelte di nonviolenza attiva di persone e comunita', in un tempo
difficile e complesso, apparentemente sfavorevole.
Nell'anno del grande Giubileo, paradossalmente, la Base Usaf di Aviano,
santuario della violenza e sentinella armata del nuovo ordine mondiale, ha
vissuto il suo massimo ampliamento. La certezza della presenza di armi
atomiche nell'area della Base e l'uso di decine di migliaia di bombe
all'uranio impoverito nelle recenti guerre del Golfo e del Kossovo hanno
reso evidenti le dimensioni e la pericolosita' dei mezzi bellici che si
progettano, si realizzano e si usano per gli interventi, cosiddetti, di
"ingerenza umanitaria". Tutto questo si e' svolto nel pressoche' totale
silenzio delle istituzioni, della politica, delle religioni,
nell'indifferenza dei piu'.
E' ormai diffusa la convinzione che preparare e poi fare la guerra sia una
necessita' ineluttabile. La sua legittimazione e' tale che anche il
dibattito sull'uranio impoverito ha portato solo alla richiesta di bandire
questo tipo di armi, senza porsi il problema di mettere in discussione la
guerra stessa in quanto tale. Per altro, la guerra in Serbia e Kossovo e'
stata messa sotto accusa a posteriori soltanto per i rischi dei nostri
soldati e non per i danni irreparabili inflitti alle popolazioni civili,
all'ambiente...
Il risultato e' che, nella nostra regione, ospitiamo armi, chi le produce e
le usa, e rifiutiamo accoglienza alle persone in fuga dalle guerre e dalle
conseguenze di un ingiusto ordine mondiale.
Si e' depositato in modo indelebile nelle nostre coscienze e nei nostri
cuori l'intenso momento vissuto davanti alla Base di Aviano nel settembre
2000 con i rappresentanti delle vittime di Hiroshima, dei neri del Brasile,
degli Indios Nasa delle Ande Colombiane e delle comunita' del Chiapas... Il
loro silenzio, la loro vibrante denuncia, la loro resistenza progettuale, la
preghiera intensa per ricevere il conforto della profezia, i segni di
speranza affidati a ciascuno, ci incoraggiano.
Restano altresi' nella nostra memoria le celebrazioni "giubilari" della
terra e della pace, vissute con grande partecipazione emotiva sulla diga del
Vajont e all'unico campo di sterminio nazista in Italia, la Risiera di San
Sabba di Trieste. Cosi' come non ci e' possibile ignorare i tanti cammini di
resistenza per la giustizia e la pace che ad ogni latitudine persone di
buona volonta' e comunita' conducono nel segno della speranza.
Tutti invochiamo la pace, molti pregano per la pace; quando poi si chiamano
per nome le situazioni di violenza, di ingiustizia, di guerra, ci si divide
e pare che la ideologia e la politica soffochino la profezia della pace che
e' il cuore stesso del Vangelo. Eppure "quelle cose che facevano inorridire
Geremia, Isaia, Osea, Amos, sono le stesse che abbiamo davanti agli occhi,
anche peggiori, che debbono farci inorridire e gridare" (Escher).
Le armi in generale e quelle nucleari in particolare non servono a difendere
la liberta' ma la posizione di privilegio iniquo di cui gode il mondo
nord-occidentale. "Rinunciare ad esse significherebbe rinunciare al nostro
vantaggio economico sugli altri popoli. La pace e la giustizia procedono
insieme. Sulla strada che seguiamo attualmente, la nostra politica economica
verso gli altri paesi ha bisogno delle armi nucleari. Abbandonare queste
armi significherebbe abbandonare qualcosa di piu' che i nostri strumenti di
terrore globale; significherebbe abbandonare le ragioni di tale terrore: il
nostro posto privilegiato in questo mondo" (R. Hunthousen, arcivescovo di
Seattle).
La Via Crucis, segno che attinge alla verita' dell'uomo sul Golgotha, si
colloca come seme nel terreno della storia: chiediamo percio' alle
istituzioni civili e religiose una presa di posizione su rifiuto,
allontanamento e distruzione delle testate atomiche e dei proiettili a
uranio impoverito. Chiediamo altresi' che si avvii uno studio serio sulla
riconversione della Base Usaf di Aviano.
Ripetiamo con fiducia il gesto del seminatore, perche' non possiamo proprio
rassegnarci a constatare la desertificazione della speranza, della
giustizia, della legalita', dei progetti e dei segni di pace. Vogliamo
contribuire affinche' nella nostra terra friulana e in ogni luogo del
pianeta si possa costruire una convivenza pacifica, libera dal ricatto,
dalla violenza e dalle armi.
In cammino, dunque!
* Adesioni
Acli Regionale del Friuli Venezia Giulia, Acli Provinciali di Udine, Giovani
della Acli (Ud), Associazione per la Pace di Pordenone, Associazione
Armadilla (Conegliano), Caritas Diocesana (Vittorio Veneto), Caritas
Parrocchia di Cristo Re (Pn), Cipax (Roma), Commissione Ecumenismo (Pn),
Commissione Giustizia e Pace CNBB (Conferenza Episcopale Brasiliana) Norte
II, Commissione Giustizia e Pace (Vittorio Veneto), Comitato "No AMX",
Comunita' di San Martino al Campo (Ts), Centro Missionario Diocesano (Pn),
Gruppo Pace di Quartier del Piave, GIM (Gioventu' Impegno Missionario) del
Triveneto, IPSIA (Istituto Pace e Innovazione delle Acli) Nazionale,
Missionari Comboniani (Pd), Postulanti Missionari Comboniani (Pd), Monasteri
Clarisse di San Marino, Paganico (Aq), Monte Giorgio (Ap), Novaglie (Vr),
Regina Mundi (Pg), Pollenza (Mc), Ravenna; Piccoli Fratelli di Alfonsine,
Parrocchie di Vallenoncello, B. V. delle Grazie (Pn), Cristo Re (Pn), S.
Maria Assunta (Ud), San Domenico (Ud), Zugliano; parroci forania di
Valvasone (Pn), Rete Radie' Resch, Voce Isontina (Go), C.V.C.S. (Go),
ufficio pastorale missionaria Diocesi di Lucca, don Angelo Moratto, Nanni
Salio.
* Programma
- Ore 14.00: partenza da piazzetta San Marco.
- Ore 18.00: arrivo davanti ai cancelli della Base Usaf.
Propongono le riflessioni: mons. Ovidio Poletto, Vescovo di Pordenone;
Comunita' di San Martino al Campo (Trieste); Comunita' Rinascita (Tolmezzo);
GIM del Triveneto; mons. Diego Bona, vescovo presidente di Pax Christi.
Sono previste alcune testimonianze in diretta telefonica da diverse
situazioni del pianeta Terra (p. Jean-Marie Benjamin, da anni impegnato
contro l'embargo all'Iraq e nella denuncia dell'uso dell'uranio impoverito;
Gino Strada, fondatore di Emergency; un/a rappresentante della comunita'
nera di San Salvador de Bahia, Brasile; suor Rosemary Linch, francescana, da
trent'anni impegnata nelle lotte nonviolente contro gli esperimenti nucleari
nel deserto del Nevada, Usa; mons. Melkisedek Sikuli, vescovo di
Butembo-Beni, Nord-Kivu, R. D. Congo, promotore ed organizzatore del
Simposio Internazionale per la Pace in Africa, tenutosi a Butembo dal 26
febbraio al primo marzo 2001).
La Via Crucis si concludera' con un segno: i partecipanti saranno invitati a
contribuire all'acquisto di medicinali per l'Iraq: come gesto alternativo
all'uso del denaro nel mondo dell'accumulo, del consumismo sfrenato, degli
investimenti inaccettabili per gli armamenti; come partecipazione alle
condizioni di sofferenza e di morte, in particolare di migliaia di bambini,
causate dall'embargo; come consapevolezza che la guerra del Golfo, con
l'implicazione dell'Italia e anche della Base di Aviano, ha operato una
svolta nella legittimazione della guerra che successivamente si e' di nuovo
e terribilmente realizzata.
Sara' a disposizione un bus-navetta per tornare a Pordenone.
Per adesioni ed informazioni: "Beati i Costruttori di Pace" di Pordenone,
tel. e fax 0434.578140; associazione nazionale "Beati i Costruttori di
Pace", tel. e fax 049.8070699; Centro di accoglienza "Ernesto Balducci",
tel. 0432.560699, fax 0432.562097.

4. RIFLESSIONE. NOAM CHOMSKY: L'ALIBI UMANITARIO
[Il seguente intervento di Noam Chomsky e' apparso sul quotidiano "La
Repubblica" il 25 aprile 1999 durante la guerra dei Balcani.
Noam Chomsky e' nato a Philadelphia nel 1928. Illustre linguista, docente
universitario al MIT di Boston, è uno degli intellettuali americani più
prestigiosi. Da decenni impegnato per i diritti civili e dei popoli, contro
la guerra e l'imperialismo. Opere di Noam Chomsky: prescindendo dagli
scritti più specialistici di linguistica e filosofia del linguaggio, qui
segnaliamo soltanto due volumi di conferenze: Conoscenza e libertà, Einaudi;
Linguaggio e problemi della conoscenza, Il Mulino. Per quanto riguarda gli
scritti di intervento civile segnaliamo almeno I nuovi mandarini, La guerra
americana in Asia, Riflessioni sul Medio Oriente, tutti presso Einaudi,
Torino; La quinta libertà, Alla corte di re Artù, Illusioni necessarie,
tutti presso Elèuthera, Milano; Anno 501: la Conquista continua, I cortili
dello zio Sam, Il club dei ricchi, tutti presso Gamberetti, Roma; La società
globale (con Heinz Dieterich), presso La Piccola, Celleno (VT); Linguaggio e
libertà, La fabbrica del consenso, Sulla nostra pelle, Atti di aggressione e
di controllo, presso Marco Tropea. Opere su Noam Chomsky: la monografia
migliore è di J. Lyons, Chomsky, Fontana Press, London 1991. Interessante ed
utile il volume che raccoglie il dibattito su e tra Jean Piaget e Noam
Chomsky, con contributi di vari altri studiosi: Théories du langage.
Théories de l'aprentissage, Seuil. In italiano esistono molti studi su
Chomsky linguista e sulla grammatica generativa trasformazionale, ma a
nostra conoscenza non c'è una monografia complessiva su Chomsky come
intellettuale pacifista ed attivista per i diritti umani e dei popoli]
Esiste un regime di diritto internazionale e un ordinamento internazionale,
basato sulla Carta delle Nazioni Unite, sulle sue successive risoluzioni e
sulle sentenze della Corte internazionale. Questo regime vieta la minaccia e
l'uso della forza, tranne nei casi in cui il Consiglio di sicurezza abbia
dato la sua esplicita autorizzazione, dopo aver accertato l'insuccesso dei
mezzi pacifici, oppure per la propria difesa in caso di "attacco armato" (un
concetto restrittivo) fino all'entrata in azione del Consiglio di sicurezza.
Ma esiste, quantomeno, una divaricazione, se non una diretta contraddizione,
tra le regole dell'ordinamento mondiale stabilite dalla Carta dell'Onu e i
diritti specificati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. La
Carta bandisce l'uso della forza in violazione della sovranita' degli Stati,
mentre la Dichiarazione garantisce i diritti degli individui contro gli
Stati che li opprimono. L'argomento dell'"intervento umanitario", usato per
giustificare l'intervento Usa-Nato nel Kosovo, prende le mosse da questa
divaricazione.
Un parere su questa questione e' stato espresso sul "New York Times" da Jack
Goldsmith, esperto in diritto internazionale alla Chicago Law School. Chi
critica i bombardamenti della Nato, osserva Goldsmith, "dispone certo di
forti argomenti giuridici", ma "molti ritengono che esista un'eccezione per
l'intervento umanitario sul piano consuetudinario e pratico". Di fatto, se
un'eccezione del genere esiste, deve essere basata sulla premessa della
"buonafede" di coloro che intervengono. E questa presunzione di buonafede
non puo' basarsi sulla retorica, bensi' sui precedenti di ciascuno di essi,
in particolare in materia di osservanza dei principi del diritto
internazionale, delle decisioni della Corte internazionale e cosi' via.
Ad esempio, l'Iran si era offerto di intervenire in Bosnia per impedire i
massacri, in un periodo in cui l'Occidente non faceva nulla per
contrastarli. La proposta e' stata scartata come ridicola. Ma se si vuole
essere razionali, la questione deve essere approfondita. I precedenti
dell'Iran sono peggiori di quelli degli Stati Uniti in materia di interventi
e di violenza? Che valutazione dare della buonafede dell'unico paese che ha
opposto il suo veto alla risoluzione con la quale il Consiglio di sicurezza
invitava tutti gli Stati a obbedire alle leggi internazionali? E quali sono
i suoi precedenti storici? Prima dell'inizio degli attuali bombardamenti,
esisteva gia' nel Kosovo una situazione drammatica, imputabile in
larghissima misura alle forze militari jugoslave. Le vittime erano in
maggioranza kosovari di etnia albanese.
In casi del genere, il mondo esterno si trova di fronte a tre alternative:
1) aggravare la catastrofe; 2) non intervenire; 3) cercare di mitigare la
catastrofe. Queste alternative sono illustrate da altri casi contemporanei.
Ci limiteremo ad esaminarne alcuni di dimensioni analoghe, chiedendoci fino
a che punto il caso del Kosovo corrisponda ai modelli proposti.
Colombia. In questo paese, secondo le valutazioni del Dipartimento di Stato,
ogni anno il numero degli assassinii politici ad opera del governo e dei
gruppi paramilitari legati ad esso e' analogo a quello del Kosovo prima dei
bombardamenti, e i profughi che fuggono per sottrarsi a quelle atrocita'
superano di molto il milione. La Colombia occupa il primo posto tra i paesi
dell'emisfero occidentale che hanno ricevuto armi e addestramento militare
dagli Stati Uniti durante tutti gli anni '90, in cui la spirale della
violenza ha continuato a crescere. Questi aiuti sono oggi in ulteriore
aumento, con il pretesto della "guerra alla droga", giudicato del tutto
inattendibile da quasi tutti gli osservatori seri. L'amministrazione Clinton
ha elogiato con particolare entusiasmo il presidente colombiano Cesar
Gaviria, il cui governo, secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti
umani, e' responsabile di "livelli di violenza spaventosi", che hanno
segnato un peggioramento anche rispetto ai precedenti governi. In questo
caso, la reazione degli Usa e' del primo tipo: aggravare le atrocita'.
Turchia. In base a valutazioni molto prudenti, la repressione dei curdi in
Turchia e' di dimensioni paragonabili alle violenze perpetrate nel Kosovo.
Il loro punto culminante risale ai primi anni '90. Un'indicazione della
portata di questa repressione e' data dall'esodo di oltre un milione di
curdi, fuggiti dalle campagne per cercare scampo a Diyarbakir, capitale
ufficiosa del Kurdistan, tra il 1990 e il 1994, quando l'esercito turco
devastava i villaggi. Nel 1994 si registrano due dati di rilievo: secondo il
giornalista Jonathan Randal, che si era recato sul posto: "Quello fu l'anno
della piu' feroce repressione nelle province curde della Turchia". E fu
anche l'anno in cui la Turchia "era passata al primo posto tra i paesi
importatori di forniture militari americane, divenendo cosi' anche il primo
paese importatore d'armi del mondo". Quando le associazioni di difesa dei
diritti umani denunciarono l'uso da parte dei turchi di jet statunitensi per
bombardare i villaggi, l'amministrazione Clinton trovo' il modo di eludere
le leggi che imponevano la sospensione di forniture belliche alla Turchia.
Ecco un altro esempio della prima alternativa: aggravare le atrocita'. Si
noti che sia la Colombia che la Turchia spiegano le violenze perpetrate (con
il sostegno degli Usa) adducendo la necessita' di difendere il loro paese
dalla minaccia di guerriglieri terroristi. Esattamente come il governo della
Jugoslavia.
Laos. Nella Piana delle Giare, al nord del Laos, ogni anno migliaia di
persone, per lo piu' bambini e contadini poveri, perdono la vita sul teatro
delle operazioni militari degli anni '60 e '70: oggi sappiamo che quelli
furono i piu' violenti bombardamenti di obiettivi civili mai registrati
nella storia, e probabilmente anche i piu' crudeli. La maggior parte delle
persone colpite sono vittime delle cosiddette "bombies", minuscoli ordigni
anti-uomo, che provocano effetti molto peggiori delle mine. Sono congegni
specificamente designati per uccidere e mutilare, mentre non provocano alcun
danno ai camion, agli edifici e cosi' via. L'intera pianura e' gremita di
questi ordigni, che secondo la casa produttrice, la Honeywell, hanno un
grado di probabilita' del 20-30 per cento di non esplodere al primo impatto.
Un dato che potrebbe denotare un controllo di qualita' particolarmente
scadente, o rivelare una politica di massacro ad azione ritardata di civili.
Secondo una valutazione piuttosto riduttiva, quest'anno il numero delle
vittime nel Laos sarebbe approssimativamente comparabile a quello del Kosovo
prima dei bombardamenti, con la differenza che tra le persone uccise dalle
bombies la percentuale dei bambini e' molto piu' elevata. Sono stati
compiuti molti sforzi per sensibilizzare l'opinione pubblica su questo
flagello e cercare di porvi rimedio. Il Mine Advisory Group (Gruppo di
consulenza sulle mine), che ha sede in Gran Bretagna, sta tentando di
rimuovere questi ordigni letali, ma secondo quanto riferisce la stampa
britannica, gli Stati Uniti rifiutano di mettere a disposizione i loro
esperti in procedure di disinnesco, che consentirebbero di svolgere
l'operazione in modo "molto piu' rapido e sicuro". Queste procedure non
vengono rese pubbliche a motivo del segreto di Stato, che negli Usa copre
l'intera faccenda.
La stampa di Bangkok riporta una situazione molto simile in Cambogia, in
particolare nella regione orientale del paese, dove i bombardamenti Usa
raggiunsero il massimo dell'intensita' nei primi mesi del 1969. In questo
caso, la reazione statunitense e' del tipo 2: non intervenire. E la reazione
dei media e dei commentatori e' il silenzio, in osservanza alle norme in
base alle quali la guerra nel Laos e' stata definita "una guerra segreta":
in realta', una guerra conosciuta ma sottaciuta, come nel caso della
Cambogia nel marzo 1969. Era stato raggiunto allora uno straordinario
livello di autocensura, analogo a quello attuale.
Kosovo. La minaccia dei bombardamenti Nato ha provocato un'impennata
nell'escalation delle atrocita' dell'esercito serbo e delle forze
paramilitari, aggravatesi ulteriormente in seguito alla partenza degli
osservatori internazionali. Come ha dichiarato il generale Wesley Clark,
comandante supremo della Nato, l'inasprimento della violenza e delle
atrocita' dei serbi dopo i bombardamenti della Nato era "del tutto
prevedibile". Il Kosovo e' quindi un altro esempio dell'alternativa 1:
aggravare la violenza. Le aspettative erano esattamente queste. Un argomento
standard e' quello di chi dice: non c'era altro da fare contro quelle
atrocita'. Ma questo non e' mai vero.
E' anche troppo facile trovare esempi per illustrare l'alternativa 3, almeno
per chi voglia attenersi alla retorica ufficiale. In un suo saggio, uno dei
piu' importanti tra i recenti studi accademici sugli "interventi umanitari",
Sean Murphy analizza gli avvenimenti successivi al patto Kellogg-Briand del
1928, che dichiarava illegale la guerra, e quindi gli sviluppi del periodo
successivo alla promulgazione della Carta dell'Onu, nella quale quel testo
era stato articolato e rafforzato. Nel primo dei periodi esaminati, scrive
Murphy, gli esempi di "interventi umanitari" di maggior rilievo sono
l'aggressione giapponese contro la Manciuria, l'invasione dell'Etiopia per
ordine di Mussolini e l'occupazione di alcune zone della Cecoslovacchia da
parte delle truppe di Hitler.
Tutte queste azioni di guerra sono state accompagnate da un'edificante
retorica umanitaria. Il Giappone doveva creare un "paradiso in terra" e
difendere la popolazione della Manciuria dai "banditi cinesi", con il
sostegno dei leader nazionalisti cinesi: una figurazione assai piu'
credibile di tutte quelle che gli Usa siano riusciti ad rappresentare
durante il loro attacco contro il Vietnam del Sud. Mussolini doveva liberare
migliaia di schiavi e portare avanti la "missione di civilta'"
dell'Occidente. Quanto a Hitler, aveva proclamato l'intenzione della
Germania di porre fine alle tensioni etniche e alla violenza, nonche' di
"salvaguardare le individualita' nazionali dei popoli tedesco e ceco". Il
presidente slovacco gli aveva chiesto di dichiarare la Slovacchia un
protettorato. Paragonare queste oscene giustificazioni con quelle addotte
per gli attacchi armati e i vari "interventi umanitari" del periodo
successivo alla Carta dell'Onu puo' costituire un utile esercizio
intellettuale.
In quel periodo, l'esempio forse piu' pregnante di alternativa 3 e'
l'invasione vietnamita della Cambogia, nel dicembre 1978, che ha posto fine
alle atrocita' di Pol Pot. Il Vietnam invoco' allora il diritto di
difendersi contro un attacco armato. Nel periodo in questione, questo fu uno
dei pochi casi in cui l'argomento della difesa era plausibile. I Khmer Rossi
o DK (Democratic Kampuchea) stavano perpetrando una strage nelle zone di
confine. La stampa Usa condanno', accusandoli di oltraggio e violazione
della legalita' internazionale, i "prussiani" dell'Asia, che furono
duramente puniti per aver posto fine ai massacri di Pol Pot, prima con
l'invasione cinese (sostenuta dagli Usa), e quindi con l'imposizione di
durissime sanzioni da parte degli Stati Uniti. L'America riconobbe l'espulsa
DK come governo ufficiale della Cambogia, adducendo la sua "continuita'" con
il regime di Pol Pot, come ebbe a spiegare il Dipartimento di Stato. E
successivamente, senza troppe finezze, gli Usa sostennero i Khmer Rossi nei
loro continui attacchi alla Cambogia.
Nonostante gli sforzi disperati degli ideologi per dimostrare che il cerchio
e' quadrato, e' difficile dubitare degli effetti distruttivi dei
bombardamenti Nato su cio' che resta della fragile struttura delle leggi
internazionali. Gli Usa lo hanno detto peraltro con estrema chiarezza, nel
corso delle discussioni conclusesi con la decisione della Nato. A parte il
Regno Unito (che attualmente e' indipendente pressappoco quanto lo era
l'Ucraina prima dell'avvento di Gorbaciov) i paesi della Nato si sono
dimostrati scettici nei confronti della politica Usa. Oggi, l'opposizione
all'insistenza di Washington sull'uso della forza e' in aumento, anche
all'interno della Nato, in particolare nei paesi piu' vicini al teatro del
conflitto (Grecia e Italia). La Francia ha chiesto una risoluzione del
Consiglio di Sicurezza dell'Onu per autorizzare lo spiegamento di forze Nato
di mantenimento della pace; richiesta alla quale gli Usa hanno opposto un
rifiuto netto, riaffermando con insistenza che la Nato "deve poter agire
indipendentemente dalle Nazioni Unite", come hanno spiegato esponenti
ufficiali del Dipartimento di Stato.
Analogamente, i bombardamenti sull'Iraq hanno costituito un'espressione
plateale di disprezzo per l'Onu, manifestatasi anche attraverso la scelta
del momento per scatenare l'attacco, e recepita come tale. Lo stesso vale
per gli attacchi che alcuni mesi prima avevano distrutto meta' degli
impianti di produzione farmaceutica di un piccolo Stato africano. Fu durante
gli anni della presidenza Reagan che gli Usa assunsero una posizione di
aperta sfida nei confronti del diritto internazionale e della Carta
dell'Onu. Le massime autorita' spiegarono con brutale chiarezza che la Corte
internazionale, l'Onu e gli altri organismi ormai non contavano piu' nulla,
dato che non ottemperavano piu', come negli anni del dopoguerra, agli ordini
degli Usa. Sotto la presidenza di Clinton, la sfida all'ordine mondiale e'
divenuta cosi' estrema da preoccupare tutti gli analisti politici, compresi
i piu' accaniti falchi.
Nell'ultimo numero di "Foreign Affairs", il piu' importante giornale
dell'establishment, Samuel Huntington avverte che agli occhi di buona parte
del mondo (probabilmente della maggior parte) gli Usa "stanno diventando la
superpotenza malandrina", e sono considerati come "la principale minaccia
esterna contro le rispettive societa'".
Gli Usa hanno scelto una linea d'azione che conduce, come hanno
esplicitamente riconosciuto, a un'escalation (prevedibile, secondo
l'espressione di Clark) delle atrocita' e della violenza; e ovviamente,
cosi' facendo assestano un nuovo colpo a un ordinamento internazionale che
ancora offre ai piu' deboli almeno una limitata protezione nei riguardi
degli stati predatori. Le conseguenze a piu' lungo termine sono impossibili
da prevedere. Un argomento standard e' che bisognava per forza intervenire:
davanti a quelle atrocita' non c'era altro da fare. Ma questo non e' mai
vero. La scelta dovrebbe essere sempre quella dettata dal principio di
Ippocrate: "Prima di tutto, non nuocere". Se non si riesce a trovare un modo
per rispettare questo elementare principio, meglio astenersi dall'agire.
Esistono sempre altre vie da prendere in considerazione. Quelle della
diplomazia e dei negoziati non sono mai esaurite.
Il diritto all'"intervento umanitario" sara' probabilmente invocato sempre
piu' spesso in futuro - in maniera giustificata o meno - ora che i pretesti
della guerra fredda hanno perduto la loro efficacia. Percio' vale forse la
pena di ascoltare un commentatore altamente autorevole come Louis Henkin,
professore emerito di diritto internazionale alla Columbia University. In un
suo libro che e' un testo di riferimento nel campo dell'ordinamento
internazionale, Henkin definisce "deplorevoli le pressioni volte a erodere
il divieto dell'uso della forza" e dichiara: "Gli argomenti addotti per
legittimare l'uso della forza (in caso di violazioni dei diritti umani) sono
poco convincenti e pericolosi. Tali violazioni sono purtroppo talmente
diffuse che se si ammettesse la possibilita' di porvi rimedio attraverso
l'uso esterno della forza, non vi sarebbero piu' leggi in grado di vietare
l'uso della forza contro qualsiasi stato da parte di qualsiasi altro. Credo
che si debbano rivendicare i diritti umani, e porre rimedio ad altre
ingiustizie, in maniera diversa, con mezzi pacifici, e non aprendo le porte
alle aggressioni e vanificando il piu' importante passo avanti compiuto nel
campo del diritto internazionale: quello che ha posto fuori legge la guerra
e ha proibito l'uso della forza".
Certo, questi principi non risolvono automaticamente i problemi specifici.
In ogni singolo caso va considerato il merito della questione. Chi rifiuta
di adottare il modello comportamentale di Saddam Hussein deve assumersi il
non facile onere della prova, quando si tratta di far uso della minaccia o
di ricorrere alla forza in violazione ai principi dell'ordinamento
internazionale. Forse, le condizioni per far fronte a quest'onere ci sono.
Ma questo deve essere dimostrato, e non soltanto proclamato con argomenti
retorici ed emotivi. E le conseguenze di ogni violazione del genere devono
essere accuratamente valutate, in particolare riguardo a cio' che si
considera "prevedibile".

5. URANIO IMPOVERITO. MASSIMO ZUCCHETTI: OSSERVAZIONI CRITICHE SUL RAPPORTO
MANDELLI
[Diffondiamo questa qualificatissima presa di posizione del prof. Massimo
Zucchetti, docente al Politecnico di Torino]
Con riferimento ai lavori della Commissione scientifica sull'uranio
impoverito nominata dal Ministro della Difesa, presieduta dal prof.
Mandelli, il sottoscritto ha esaminato la Relazione Preliminare emessa dalla
Commissione in data 19.3.2001.
Nell'esprimere apprezzamento per il lavoro effettuato dai membri della
Commissione e per i dati messi a disposizione, si esprime stupore tuttavia
sul fatto che i risultati di questo lavoro siano stati intesi come
"Assoluzione dell'uranio impoverito", facendo ampio torto al reale contenuto
del rapporto stesso e alle dichiarazioni dello stesso prof. Mandelli.
Inoltre, sullo specifico del metodo utilizzato nel rapporto e sui suoi
risultati preliminari, verranno espresse alcune osservazioni critiche, atte
piu' che altro, se prese in considerazione, a migliorarne i contenuti.
1) La relazione preliminare non e' (e non poteva essere) una "assoluzione"
dell'uranio impoverito.
Il sottoscritto in particolare, a questo riguardo, concorda pienamente con
il prof. Mandelli ed i membri della Commissione sui seguenti punti:
- Si tratta di una relazione preliminare su un aspetto specifico dell'intera
questione, ovvero la maggior incidenza di tumori rispetto al normale nei
militari italiani in missione nei Balcani.
- La quantita' di dati a disposizione era troppo esigua per poter permettere
sia di negare sia di affermare con certezza il legame fra uranio impoverito
e certe neoplasie.
- Sara' necessario un accurato monitoraggio nel tempo, sia per quanto
riguarda l'acquisizione di eventuali nuovi casi, sia per controlli da
effettuare su altre popolazioni a rischio, sia per seguire nel tempo la
coorte dei soggetti militari esposti.
E' necessario in particolare aggiornare il numero di casi di neoplasie
mediante l'acquisizione della documentazione necessaria alla conferma
diagnostica delle segnalazioni che arriveranno alla Commissione nei prossimi
mesi.
- Il ruolo di altre cause oltre all'uranio impoverito non ha potuto essere
preso in considerazione.
- Le considerazioni effettuate sul ruolo dell'uranio impoverito sono
preliminari e derivano dalla letteratura e dalle campagne recenti dell'Unep.
- L'incidenza di alcune forme tumorali (linfoma di Hodgkin, ma anche altre)
e' superiore all'atteso, anche se, viste le precedenti premesse, erano di
statistica dubbia e l'attribuzione all'uranio impoverito non e' stata
possibile. Vi sono tuttavia lavori in letteratura che indicano una possibile
correlazione fra linfoma di Hodgkin e esposizione interna da uranio
impoverito.
Se questa e' una sentenza assolutoria, allora il sottoscritto qui, alla pari
dei membri della Commissione nel Rapporto, si e' probabilmente espresso in
una lingua diversa dall'italiano corrente!
2) Sui seguenti punti della relazione si esprimono invece alcune
perplessita' e osservazioni. In particolare:
A) La statistica sulla normalita' o meno rispetto all'atteso del numero di
casi di malattia riscontrati dipende ovviamente da due parametri, cioe': a)
Il numero di casi di tumore preso in considerazione. b) La popolazione
globale presa come campione statistico. Se infatti 10 casi di tumore, ad
esempio, sono "sotto il normale" su una popolazione di 1 milione di persone,
sono "sopra il normale" su una popolazione di 1.000 persone.
Sulla determinazione di queste grandezze il rapporto solleva dei dubbi.
Infatti:
a) L'esame dei casi di malattie e morti attribuibili all'uranio impoverito
deve prendere in esame, vista l'esiguita' del fenomeno, la maggior base
possibile di casi significativi, per migliorare la affidabilita'
dell'indagine. Allora, i molti ulteriori casi segnalati dalle associazioni
di militari colpiti (quali la AnaVafaf e altre) non possono non essere presi
in considerazione, e probabilmente, visti i piccoli numeri, potrebbero
modificare alcune delle conclusioni ora tratte nel Rapporto.
b) La popolazione considerata "esposta" ai fini della statistica sulla
normalita' dell'insorgenza dei tumori e' di ben 57.164 soggetti, includendo
fra i potenzialmente esposti anche soggetti che sono stati nei Balcani per
una sola volta e per tempi brevissimi (anche fino ad un sol giorno, in
teoria), oppure in date talmente posteriori ai bombardamenti e/o in luoghi
cosi' lontani da essi da poterne escludere con ogni probabilita'
l'esposizione da uranio. La statistica stessa sui colpiti da linfoma di
Hodgkin, ad esempio, indica in 173 giorni la durata media della permanenza,
con un minimo di 64 giorni per un solo caso.
In sostanza, se si includono nella statistica persone che all'uranio non
sono state esposte mai, da un lato, e si escludono invece casi di patologie
che potrebbero aumentare la statistica, dall'altro, risulta ovvio come si
possa giungere alle conclusioni sulla "normalita' rispetto alle attese"
dell'incidenza di tumori.
B) Per quanto riguarda lo screening dei militari esposti per accertare
l'esposizione ad uranio impoverito (ovvero gli esami da effettuare su
potenziali contaminati, ma senza patologie) e' ben noto [si veda come solo
esempio la ref. 1] che esami ematologici e delle urine "standard" non
possono, a distanza di qualche anno, rilevare alcunche', tranne il caso di
militari con proiettili ritenuti, che non si applica qui. La tipologia di
esami da effettuare risulta piu' complessa in questo caso. E' anche
improbabile, che, a distanza di anni, il meccanismo di esposizione alla
risospensione di polveri da parte di militari "alla prima esperienza" sia in
grado, a distanza di anni dai bombardamenti, di provocare in costoro una
esposizione significativamente rilevabile. Si fa notare in ultimo che
l'analisi "Whole Body Counter" e' poi inefficace alla rilevazione di
contaminazioni da alfa emettitori quali l'uranio.
C) Si concorda con la Commissione che la via di esposizione piu' rilevante
per l'uranio impoverito e' l'inalazione e che, dai polmoni, una frazione non
trascurabile dell'attivita' in questi depositata si concentri nei linfonodi
del mediastino. Questo tuttavia, al di la' delle comprensibili cautele e
premesse della Commissione gia' esaminate, appare un segnale significativo
di correlazione fra l'eccesso di casi di linfomi di Hodgkin e l'esposizione
a uranio impoverito. Si concorda pero' su come occorra meglio chiarire il
ruolo della contaminazione interna da uranio nella eziologia dei linfomi,
campo di ricerca sul quale non vi sono sufficienti dati.
D) Fra le statistiche del UNSCEAR citate nel Rapporto riguardo il linfoma di
Hodgkin, risultano purtroppo di scarsa utilita' quelle legate a esposizione
a Iodio-131 e al gas Radon, mentre e' interessante la statistica del 1994
che riporta, fra i lavoratori addetti alla lavorazione del minerale
uranifero (quindi professionalmente esposti a inalazione di polveri di
uranio) casi in eccesso di linfoma di Hodgkin, pur in presenza di normale
incidenza di tumori a polmoni e ossa.
E) La citazione dei rassicuranti risultati del rapporto UNEP [2]: "non e'
stata registrata una contaminazione significativa delle aree sottoposte a
mitragliamento con dardi all'uranio impoverito" non rassicura affatto,
purtroppo, a causa di forti dubbi riguardo la liceita' di tali conclusioni.
Infatti:
- Le misurazioni sono state fatte a distanza di anni dai bombardamenti. Il
sottoscritto ha gia' ampiamente spiegato in altre sedi [3] come sia
improbabile, a distanza di anni, rilevare l'inquinamento da DU con le usuali
misure di contaminazione ambientale. Occorre ricorrere a
bioindicatori/bioaccumulatori, nei quali si puo' ancora rilevare il DU anche
dopo parecchio tempo dai bombardamenti.
- Il rapporto afferma infatti di non aver trovato concentrazioni ambientali
rilevanti di DU e questo appunto non stupisce. Tuttavia, contraddice le sue
stesse conclusioni (il DU in seguito ad un bombardamento non si sparge
nell'atmosfera se non entro un piccolo raggio dall'esplosione, ergo
l'esposizione della popolazione nel suo insieme risulta trascurabile),
leggendo quanto scritto nell'Appendice VI del Rapporto stesso.
- In essa vengono riportati i dati sui rilevamenti di DU in certi
bioindicatori (licheni e muschi). Si legge che in tutti i casi in cui si e'
ricorso a questa misura si e' trovato rilevante traccia di DU, segno che
esso si era polverizzato e sparso nell'atmosfera. Questo, anche in
concomitanza con rilevazioni nulle di contaminazione del suolo. Si
raccomanda nel Rapporto l'uso di questi bioindicatori in future rilevazioni.
- Questa appare percio' una implicita affermazione di non aver utilizzato le
tecniche piu' adeguate per la rilevazione del DU. Risultano percio'
opinabili ed inficiate tutte le affermazioni del rapporto sulla
pericolosita' del DU.
- Inoltre, solo in 11 siti sugli oltre 100 indicati sono state effettuate
misurazioni. Date le caratteristiche "a spot" dell'inquinamento da DU,
questo compromette la completezza ed esaustivita' dell'indagine.
F) Si concorda con la Commissione che i coefficienti di rischio attualmente
raccomandati dall'ICRP (derivati da alte esposizioni croniche esterne
principalmente a nuclidi beta e gamma emettitori - statistiche su Hiroshima,
Nagasaki e pazienti alto-irraggiati per errate cure con raggi X negli anni
quaranta) siano di difficile applicazione al caso in esame (esposizioni
interne croniche ad alfa emettitori). Questo, tra l'altro, costituisce un
ulteriore elemento di critica a molte delle rassicuranti stime recentemente
pubblicate [4].
In conclusione, il sottoscritto, al contrario di considerarlo una sentenza
assolutoria, considera il Rapporto della Commissione come un pregevole primo
risultato di una analisi che andra' ovviamente completata. Segnala in
particolare la necessita' di migliorare e rivedere la statistica (come
riportato nel punto A di questo Documento) e di proseguire nell'interessante
analisi della correlazione fra alcune forme tumorali (linfoma di Hodgkin) e
l'esposizione interna da Uranio (punti C e D di questo Documento).
Rimanendo a disposizione per ogni eventuale chiarimento, porgo distinti
saluti,
Prof. Ing. Massimo Zucchetti
Professore di Ruolo di Impianti Nucleari, DENER - Politecnico di Torino
* Note
1. F. J. Hooper et al., "Elevated urine uranium excretion by soldiers with
retained uranium shrapnel", Health Phys. 77(5) (1999) 512-519.
2. Unep, Depleted Uranium in Kosovo - Post-Conflict Environmental
Assessment, marzo 2001, reperibile al sito:
http://balkans.unep.ch/du/reports/report.html
3. M. Cristaldi, A. Di Fazio, C. Pona, A. Tarozzi, M. Zucchetti, "Uranio
impoverito (DU). Il suo uso nei Balcani, le sue conseguenze sul territorio e
la popolazione", "Giano", n. 36 (sett.-dic. 2000), pp. 11-31.
4.  Unione Europea, Opinion of the group of experts established according to
Article 31 of the EURATOM Treaty - Depleted Uranium, reperibile al sito:
http://europa.eu.int/comm/environment/radprot/opinion.pdf

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 159 del 24 marzo 2001