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Global Forum, lo scontro invisibile



Global Forum: lo scontro invisibile.

Durante i lavori del "Terzo Global Forum" dedicato al "governo elettronico" 
del pianeta, i disordini e il fumo dei lacrimogeni hanno nascosto 
all'opinione pubblica il vero "terreno di scontro" tra due diversi modelli 
di sviluppo.

Di Carlo Gubitosa <c.gubitosa@peacelink.it>

Il 16 marzo, nonostante la bella giornata di sole, sin dal mio arrivo alla 
stazione di Napoli il cielo era oscurato dal pesante clima di "emergenza" e 
dalla militarizzazione capillare della città, un "assetto di guerra" che 
lasciava già presagire le violenze e gli scontri del giorno successivo. 
"Guardi che in centro non si può entrare", mi dicono mentre mi dirigo verso 
il Palazzo Reale. Mi vergogno un pò a dire di essere uno dei pochi "eletti" 
invitati a parlare durante i lavori del forum. Il ruolo che cerco di 
rivestire è quello dell'"infiltrato", per portare all'interno del Global 
Forum la voce di chi è stato escluso dal grande banchetto telematico 
organizzato dai governi e dalle multinazionali.

"L'educazione nella società dell'informazione" è il titolo del workshop al 
quale sono invitato come rappresentante dell'associazione PeaceLink, nata 
nel 1991 durante la guerra del golfo, all'interno di un computer portatile 
di un insegnante trasformato in "redazione mobile" e portato in giro per le 
classi come strumento di educazione e informazione. Da quel computer, che 
alcuni anni più tardi sarebbe diventato il punto di partenza di una vera e 
propria rete telematica, partivano documenti e bollettini che denunciavano 
gli effetti spietati di quelle che allora erano state appena battezzate dai 
media col nome di "bombe intelligenti".

Raggiungere la sede ufficiale del forum è un'impresa tutt'altro che 
semplice: Napoli è una città blindata, e l'ingresso al Palazzo Reale è 
molto difficile anche per chi, come me, ha un invito ufficiale. Dietro le 
divise dei poliziotti e dei carabinieri incontro alcuni sguardi pieni del 
rammarico di chi è chiamato a svolgere suo malgrado un compito sgradevole, 
ma è ugualmente pronto a svolgerlo con tutta la determinazione possibile, 
una determinazione che qualche ora più tardi si trasformerà in una furia 
selvaggia e incontenibile, documentata dai giornalisti coinvolti nei 
pestaggi mentre cercavano di fare il loro lavoro.

Più tardi, nel corso della conferenza stampa organizzata dai promotori del 
"controvertice", avrei rivisto sguardi simili negli occhi di altri ragazzi, 
sinceramente convinti che i veri "nemici" da combattere fossero le forze 
dell'ordine e non i "burattinai" che da una parte e dall'altra delle 
barricate utilizzano strumentalmente poliziotti e manifestanti come pedine 
per nascondere complessi equilibri di potere dietro il paravento degli 
scontri e dei disordini di piazza.

Dopo lunghe peripezie per raggiungere la sede del workshop, riesco 
finalmente a prendere posto accanto a Stefano Rodotà e agli altri relatori, 
che presentano i loro progetti di istruzione e formazione basati 
sull'impiego delle tecnologie telematiche. L'ultimo intervento tocca a me, 
e sento un brivido percorrere la schiena dei presenti quando annuncio di 
essere venuto per esprimere le perplessità e le critiche dei cosiddetti 
movimenti "anti-globalizzazione", presentando un "Manifesto per la "libertà 
della comunicazione", realizzato assieme ad altre associazioni e e diffuso 
attraverso la rete. (www.peacelink.it/dossier/globalforum).

Tra i molti spunti di riflessione contenuti nel "Manifesto" spicca la 
critica ad un modello di sviluppo in cui si dà per scontato che l'obiettivo 
primario dell'educazione sia fornire ad ogni singola persona un computer ed 
un accesso all'internet, senza che nessuno abbia avviato una seria 
riflessione sulla sostenibilità e sulla concreta realizzabilità dello 
slogan "internet per tutti".

Se l'istruzione telematica è un obiettivo per tutti, non si capisce come 
mai si debba perseguire questo obiettivo prima di fornire a tutti gli 
abitanti del pianeta gli strumenti linguistici e culturali di base, 
soprattutto a quel miliardo di analfabeti che (guarda caso) coincide con la 
fascia della popolazione mondiale che vive al di sotto della soglia di 
povertà. Se invece l'utilizzo delle nuove tecnologie è un privilegio da 
riservare a pochi bisogna avere l'onestà intellettuale di dichiarare 
esplicitamente che il fantomatico "villaggio globale" è in realtà un 
villaggio globalizzato, un mondo a due velocità con un'istruzione di serie 
A e un'altra di serie B.

Il grande inganno culturale del "Global Forum" è stato lo scambio del fine 
con il mezzo, la descrizione della telematica e dell'informatizzazione come 
un fine da perseguire per il progresso umano e non come un semplice 
strumento per l'incontro delle culture e la denuncia delle ingiustizie. Una 
visione della realtà confermata dallo stesso Giuliano Amato, che nel 
discorso pronunciato in occasione del forum ha ribadito la necessità di 
"aprire i mercati" delle telecomunicazioni anche ai paesi impoveriti.

Anche dai più sperduti angoli del pianeta, ormai basta avere un piccolo 
computer e un collegamento telefonico per produrre e consultare 
informazione in rete, dando nuove opportunità di crescita sociale e 
culturale anche a chi prima era inesorabilmente tagliato fuori dai grandi 
circuiti informativi.

Dietro questo effetto di apparente "equalizzazione" sociale, tuttavia, si 
nascondono gli interessi economici delle grandi compagnie di informatica e 
telecomunicazioni, che hanno tutto l'interesse ad esasperare l'introduzione 
delle nuove tecnologie. Più computer, più cavi, più telefoni, più 
satelliti, più software: dietro l'orizzonte è in agguato una nuova 
"colonizzazione tecnologica", per portare l'internet lì dove non c'è ancora 
l'acqua.

I colossi delle tecnologie dell'informazione hanno deciso che anche il sud 
del mondo ha bisogno di informatizzarsi e di mettersi velocemente "On 
Line". A qualunque costo. Partendo dal Sudafrica, aziende come Microsoft e 
IBM hanno iniziato la loro "invasione digitale" per penetrare anche nel 
resto del continente. Già nel 1997 Bill Gates, dopo aver affermato che "c'è 
un mercato potenzialmente enorme in Africa", è atterrato a Johannesburg per 
l'inaugurazione del primo "villaggio digitale" di Soweto, il primo passo di 
un investimento da dieci milioni di dollari.

Il "controvertice" visto dai media

L'analisi critica della "società dell'informazione" e dei diversi modelli 
di sviluppo che si sono scontrati a Napoli richiede uno sforzo non 
indifferente. Probabilmente è stato proprio questo il motivo che ha spinto 
la maggior parte dei mezzi di informazione ad evitare la fatica 
dell'approfondimento, appiattendo il livello della discussione e riducendo 
la realtà ad un semplice scontro tra "indiani" e "cow-boys". Indubbiamente 
è molto più semplice fare la cronaca degli scontri che analizzare in 
dettaglio le posizioni di "globalizzatori" e "globalizzati".

Chi ha partecipato direttamente ad azioni dirette nonviolente, ad esempio 
durante le varie manifestazioni contro i bombardamenti Nato del 1999, sa 
benissimo che in ogni corteo basta anche un minimo atto di violenza per 
azzerare qualsiasi messaggio positivo e propositivo, che inevitabilmente 
passa in secondo piano. Le risse "fanno notizia" e stimolano la curiosità 
dei lettori molto più di qualsiasi analisi sociale e politica.

Quali sono stati i messaggi che, attraverso i mezzi di informazione, hanno 
raggiunto quel 90% della popolazione escluso dal giro dei "vip" e dalla 
ristretta cerchia degli attivisti no-global ? Indubbiamente è più facile 
ricordare le immagini ad effetto degli scontri di piazza che le riflessioni 
sui modelli di sviluppo dominanti.

Dal punto di vista mediatico ed informativo, bisogna ammettere onestamente 
che le contromanifestazioni di Napoli sono state un grave autogol, un 
"danno di immagine" che nel futuro renderà ancora più difficile il lavoro 
di tutti i movimenti anti-globalizzazione. Quel variegato insieme di 
persone e di organizzazioni che i mezzi di informazione definiscono 
sbrigativamente "il popolo di Seattle" è ormai associato nell'immaginario 
collettivo alla violenza e all'estremismo, grazie alla semplificazione 
operata dai media e grazie al teatrino della violenza in cui ognuna delle 
parti ha recitato il suo ruolo alla perfezione, staccando la spina del 
cervello e dando libero sfogo ad una rabbia non molto lontana dalla rabbia 
con cui i gladiatori dell'antica Roma si scannavano tra loro nel Colosseo 
mentre i potenti sghignazzavano in tribuna.

Dopo questo "strappo mediatico" tra la società civile e i movimenti 
anti-globalizzazione sarà necessario un duro lavoro per rendere visibile il 
lavoro di chi, pur affermando modelli di sviluppo lontani da quelli della 
cultura dominante, non si riconosce nella violenza e nello scontro fisico.

Nel frattempo c'è chi approfitta della distrazione dei mass-media, troppo 
impegnati a fare il conto dei feriti nelle piazze, per tracciare il futuro 
dell'informazione in Italia senza fare troppo rumore. Il riferimento è ad 
un documento di 10 pagine firmato Mediaset, distribuito durante uno dei 
workshop del Global Forum, in cui si legge testualmente che la legge 
relativa ai servizi di trasmissioni digitali terrestri, approvata dal 
Senato il 7 marzo scorso, permette di "ritenere superato l'attuale regime 
antitrust sull'analogico", e che, quando il segnale televisivo non sarà più 
analogico, ma trasmesso sotto forma di "bit", ci sarà "la possibilità di 
superare, nella frontiera digitale, i divieti di proprietà incrociate tra 
stampa, televisione e telecomunicazioni". Quanto basta per un buon 
articolo. Ma allora perché nessuno ne parla ?

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