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La nonviolenza è in cammino. 156
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 156 del 21 marzo 2001
Sommario di questo numero:
1. Tiziano Tissino, da Butembo a Genova passando per Napoli
2. Wim Wenders, la ragione smarrita
3. Bruno Gravagnuolo intervista Luce Irigaray
4. Angela Dogliotti Marasso, una bibliografia essenziale sull'educazione ai
diritti umani
5. Tribunale Clark: da rifare l'indagine Mandelli
6. Daniele Passanante intervista padre Jean-Marie Benjamin
7. Notizie dalla delegazione italiana in Turchia per il Newroz
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. RIFLESSIONE. TIZIANO TISSINO: DA BUTEMBO A GENOVA, PASSANDO PER NAPOLI
[Ringraziamo di cuore Tiziano Tissino per averci messo a disposizione questo
intervento da lui scritto per la mailing list lilliput-g8.
Tiziano Tissino e' impegnato nella Rete di Lilliput, nei "Beati i
costruttori di pace" ed in altre esperienze di pace, solidarieta',
nonviolenza]
Ciao a tutti,
permettetemi di raccontarvi in poche parole quello che e' successo un paio
di settimane fa a Butembo, nel Nord-Kivu, Repubblica Democratica del Congo.
Abbiate un po' di pazienza, e vedrete che il messaggio e' tutt'altro che
off-topic.
Sono stato uno dei trecento italiani che hanno partecipato all'iniziativa
'Anch'io a Bukavu'. A fine febbraio, abbiamo partecipato al Simposio
Internazionale per la Pace in Africa (SIPA): in quei giorni, per la prima
volta da molti anni i vari protagonisti della guerra che da tre anni
insanguina il Congo (le varie fazioni in lotta, la societa' civile, le
chiese...) si sono confrontate vis-a'-vis, dicendosi in faccia con
franchezza ma senza odio quello che dovevano dirsi, ed arrivando alla
conclusione che solo il dialogo, la riconciliazione, il rispetto dei diritti
umani e la nonviolenza possono portare alla costruzione di una pace giusta e
duratura.
Il simposio si e' concluso con una gigantesca manifestazione: duecentomila
persone hanno invaso la spianata della Cattedrale. Una manifestazione
bellissima, colorata e coinvolgente, una manifestazione 'per' la pace, la
liberta', la giustizia...
Sul palco delle autorita', c'era anche Jean-Pierre Bemba, il Presidente
Ribelle che controlla militarmente un terzo del Congo. Bemba si e'
autoproclamato Presidente, senza avere alcuna legittimazione popolare, forte
solo dell'appoggio dell'esercito invasore della vicina Uganda.
La gente di Butembo avrebbe avuto tutte le ragioni per contestare duramente
Bemba. E se fosse successo questo, chissa', la giornata avrebbe anche potuto
concludersi in un bagno di sangue. Ma la gente ha fatto festa anche davanti
a Bemba: gli sono state presentate le conclusioni del SIPA, e' stato chiesto
anche a lui di sottoscriverle, e di dimostrare con qualche gesto concreto la
sua dichiarata volonta' di pace. E Bemba ha risposto facendo una cosa che
nessun signore della guerra prima di lui ha mai avuto il coraggio di fare:
davanti a quelle duecentomila persone, ha chiesto perdono per i crimini
commessi dai suoi soldati, ed ha dato immediato ordine agli stessi di
ritirarsi da una vasta area della regione.
Io lo so che i miracoli non succedono tutti i giorni, altrimenti non
sarebbero miracoli. Non pretendo di estendere il significato di quel che e'
successo a tutte le possibili manifestazioni, ma credo che l'esperienza di
Butembo possa quantomeno aiutarci a fare tutta una serie di riflessioni, che
spero ci possano essere utili anche in vista del prossimo G8.
Intanto, lasciatemi tornare ancora una volta sul tema della legittimita':
Bemba e' sicuramente molto piu' 'illegittimo' del G8. Eppure, a Butembo e'
stato accolto con tutto il rispetto che si deve ad un Presidente. Al tempo
stesso, la gente gli ha fatto capire molto bene quel che voleva: la pace e
la giustizia. Il vescovo di Butembo, mons. Sikuli, ha letto uno splendido
discorso davanti a Bemba, senza risparmiargli nessuna critica, ma al tempo
stesso senza alcun rancore e richiamandolo ai suoi doveri nei confronti del
suo popolo.
Il G8 e' stato paragonato alla cupola mafiosa, ed e' stato detto che non ha
senso andare con il cappello in mano dal capobastone per supplicare qualche
favore. Giustissimo. A Butembo ci hanno pero' dimostrato che si puo' parlare
anche con il proprio oppressore, senza per questo perdere la propria
dignita' e senza doverlo considerare un nemico da annientare.
In secondo luogo: manifestare 'per' o 'contro'? Anche qui, la risposta che
ci arriva dal Congo, soprattutto se la confrontiamo con la recente
esperienza di Napoli, mi pare assai chiara: contrapporsi a tutti i costi
serve a ben poco, se non e' addirittura controproducente. Attenzione: non si
tratta di convertirsi al buonismo, di fingere che non esistano differenze di
interessi, concentrazioni di potere, politiche catastrofiche e quant'altro.
Si tratta di far capire a chi abbiamo di fronte (e di lato, e di sopra) che
non ce l'abbiamo con loro. Con Bemba, questa strategia ha avuto un risultato
al di la' di ogni aspettativa, e non e' che adesso mi aspetto che Bush si
commuova e si presenti da un balcone di Palazzo Ducale a chiedere perdono
dei crimini suoi e dei suoi compari. Ma manifestare 'per' anziche' 'contro'
potrebbe aiutarci a portare a casa altri due importanti risultati: 1) la
pelle (nel senso di evitare di farci massacrare dai celerini); 2) l'immagine
(nel senso di far capire all'opinione pubblica che non siamo noi che deve
temere, ma le politiche dei G8). E scusate se e' poco.
Per finire, lasciatemi fare un'ultima riflessione, anche in seguito a quel
che e' successo a Napoli la settimana scorsa: per un po' di tempo, ho
accarezzato l'idea di lasciare Genova deserta, di dimostrare cosi' tutto la
nostra opposizione al G8, facendo emergere fino in fondo la militarizzazione
della citta', proprio togliendo il pendant che le forze dell'ordine si
aspettano di dover affrontare, le orde dei militanti 'anti-globalizzazione'.
La voglia di essere a Genova, pero', e' tanta, troppa, per pensare di poter
trasformare in realta' questa idea. E cosi', andremo a Genova. Perche'
comunque vogliamo ribadire il nostro diritto di manifestare pacificamente, e
contestare il diritto di 8 signori di decidere il futuro del pianeta. E sia:
abbiamo deciso di ballare, balliamo anche noi. Ma se dobbiamo metterci in
gioco, cerchiamo almeno di farlo alle nostre condizioni, evitiamo di
trovarci a Genova imbottigliati tra gruppi di facinorosi da una parte e
celerini altrettanto pronti allo scontro dall'altra, facendoci trovare
impreparati, com'e' successo a Napoli.
E' bello, importante, che tanti gruppi e realta' diverse abbiamo gia' preso
pubblicamente posizione impegnandosi ad una condotta rigorosamente
nonviolenta. Ma ancora non basta, a mio avviso. Dobbiamo fare un passo di
piu', perche' non possiamo ignorare che il trend attuale ci indica
chiaramente che, soprattutto lungo la linea di confine intorno alla zona
rossa (ma probabilmente in tutta la citta') la tensione sara' altissima, sia
da una parte che dall'altra. In situazioni del genere, basta una scintilla,
anche non voluta, per scatenare il finimondo. In quelle condizioni, non
basta che noi diciamo che non vogliamo lo scontro; dobbiamo cercare (fin da
ora!) di creare tutte le condizioni possibili per evitare che lo scontro ci
sia.
Non basta star attenti a non provocare scintille, perche' da qualche parte
qualcuno (giallo, rosso, blu o nero che sia) col cerino in mano saltera'
fuori: l'unica maniera per cavarcela e' trovare il modo per rendere
'ignifuga' la situazione. Quindi, non solo astenerci dal compiere atti
aggressivi, ma inventare cose per ridurre la tensione e l'aggressivita'. Per
esempio, sederci tutti per terra e metterci a cantare 'Imagine' ("Imagine
all the people sharing all the world..."): non sarebbe un bel modo per far
vedere che non siamo contro la globalizzazione, ma contro questa
globalizzazione? Che non abbiamo intenzione di aggredire nessuno, ma al
tempo stesso siamo determinati nel non voler collaborare in alcun modo con
chi sta distruggendo il pianeta?
2. RIFLESSIONE. WIM WENDERS: LA RAGIONE SMARRITA
[Questa meditazione sulla guerra del grande regista apparve sul quotidiano
"La Repubblica" il 28 maggio 1999.
Wim Wenders, regista cinematografico tra i piu' grandi, e' nato a Düsseldorf
nel 1945. Tra le opere di Wim Wenders segnaliamo almeno Alice nelle città
(1973), Nel corso del tempo (1975), Lo stato delle cose (1981-82), Paris,
Texas (1984), Il cielo sopra Berlino (1987), Così lontano così vicino
(1993). Tra le opere su Wim Wenders: Filippo D'Angelo, Wim Wenders, Il
Castoro Cinema]
Sono tante le cose che non comprendo di questa guerra e cosi' poche quelle
che afferro.
Una sola mi sembra abbastanza certa: ogni guerra e' una guerra.
Ogni guerra finisce per mangiarsi le sue ragioni quand'anche fossero le
migliori.
E continuo a pensare che combattere il male con altro male non puo', alla
fine, essere un bene.
3. RIFLESSIONE. BRUNO GRAVAGNUOLO INTERVISTA LUCE IRIGARAY
[L'intervista seguente e' apparsa su "L'Unita'" del 13 aprile 2000 col
titolo "Io donna non saro' piu' te uomo" e il sottotitolo "La cultura di
Luce Irigaray, pensatrice della differenza. La ricerca di una filosofia a
due soggetti per un incontro senza dominio. Esiste un'altra logica che si
oppone a quella del neutro universale".
Luce Irigaray, tra le piu' influenti pensatrici contemporanee, e' nata in
Belgio, vive e lavora a Parigi dove è direttrice di ricerca al CNRS. Tra le
opere di Luce Irigaray: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975;
Questo sesso che non è un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Sessi e
genealogie, La Tartaruga, Milano 1987; Parlare non è mai neutro, Editori
Riuniti, Roma 1991; Amo a te, Bollati Boringhieri, Torino 1993; Essere due,
Bollati Boringhieri, Torino 1994; La democrazia comincia a due, Bollati
Boringhieri, Torino 1994; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli,
Milano 1995]
Pensare la "differenza". E' dai primordi del pensiero che l'Occidente ci
prova. Il problema se lo ponevano i presocratici, che tentavano, con Talete,
Anassimandro e Anassimene, di ridurre a un medesimo principio la varieta'
degli elementi naturali: terra, acqua, aria, fuoco. E addirittura ricavando
una "mente", con Anassagora, dal molteplice fisico. Anche Parmenide si
imbatteva nello scoglio, quando con gesto logico maestoso cancellava il
"non-essere". Ribadendo pero' in negativo l'"alterita'", proprio nel
proclamare l'Essere. Se Eraclito faceva viaggiare il Logos nel fiume del
molteplice, Platone, nel celebrare l'Eterno-Tutto, cercava di salvarne le
"parti", magari come sue "ombre dileguanti". E Aristotele? Lui ci ha dato il
principio di "non contraddizione": A non e' B, e quando e' B, allora non e'
A. Tutto risolto? Magari! Perche' dal dilemma non si esce.
Infatti da sempre nella storia del pensiero, la relazione, e dunque
l'unita', minaccia le "differenze". Che poi per esser tali vanno paragonate,
relazionate. Incantesimi millenari del pensiero, reiterati, riformulati.
Oppure rifiutati. Ad esempio da quanti come Nietzsche e Heidegger han
contestato la prigione identitaria della logica, rifiutando il
"sillogizzare" che ingabbia il "non-identico".
Sara' forse per questo che il moderno pensiero femminile sente affine quel
"rifiuto". Perche' ci trova una strada alternativa al "pensiero maschile". E
in base all'assunto che vi e' un'altra "logica". Quella "differenziale"
ostile all'"universale neutro" che salva i soggetti diversi: in primo luogo
il "soggetto femminile", nel segno della radicale alterita'.
Ma e' poi possibile questo "gesto di pensiero"? E che significa? E quale la
sua mira finale? E l'enfasi sul "femminile" non e' un'altra "astrazione"?
Per cercare di capirlo non c'e' che da sentire una pensatrice storica della
"differenza". Una tra le prime a teorizzare quel "gesto": Luce Irigaray,
francese. Autrice di "Speculum", "Etica della differenza sessuale", "Amo a
te" e altri scritti segnavia del femminismo radicale. E' in Italia per una
serie di conferenze che la porteranno da Firenze a Pordenone: a cominciare
da quella di oggi pomeriggio - a cura del Gramsci - nella Sala fiorentina
del Montepaschi Siena. Intitolata: "La lotta delle donne: dall'eguaglianza
alla differenza".
Bruno Gravagnuolo: Signora Irigaray, il concetto di "differenza" in se' e
per se', e' qualcosa di molto logico e astratto. Nel pensiero femminista
vuole essere qualcosa di molto concreto. Un rovesciamento del pensare e del
fare. Ma, esattamente, cosa vuol dire pensare "a partire dalla differenza"?
Luce Irigaray: Rispondo a nome mio, non posso parlare a nome delle altre.
Per me la differenza presuppone un mutamento radicale di cultura. Per questo
e' cosi' difficile intendersi. Per secoli abbiamo vissuto in una cultura a
soggetto unico, e, non a due soggetti. A questo soggetto unico corrispondono
oggetti e costruzioni logiche che privilegiano la logica dell'"identita'" e
del "medesimo". Passare all'epoca della differenza significa passare a un
soggetto doppio. Ed entrare in una cultura coerente con questa duplicita' di
fondo. Accordata a valori inseparabili dalla dualita' di genere.
B. G.: Lei dice: la cultura fin qui e' stata solo maschile. Cio' puo' valere
per il costume, le leggi e la mentalita'. Ma io e lei comunichiamo, usando
meccanismi universali. Dunque, c'e' qualcosa di universale che permane. Non
le pare?
L. I.: Cerco di comunicare con lei, ma cio' non elimina la differenza di
genere. Che affiora sempre. Lavoro da anni sul linguaggio. Con campionature
eseguite su lingue e culture diverse. Quel che emerge e' che uomini e donne
non parlano affatto allo stesso modo. Se chiedo a ragazzi e ragazze di
comporre frasi per esprimere relazioni, usando 'io/tu", "condividere",
"amare", "lei/lui", viene fuori una reale diversita' tra i sessi. I ragazzi
privilegiano il rapporto soggetto-oggetto, l'uno-molteplice, la relazione
con lo stesso o il medesimo. E poi la verticalita', cioe' la genealogia e la
gerarchia. Le ragazze privilegiano invece la relazione tra soggetti. La
relazione a due, la relazione nella differenza, e orizzontale...
B. G.: Lei vuoi dire che le donne privilegiano l'emotivita', l'immaginario,
l'intuitivita' concreta?
L. I.: No. Questo e' il suo modo - e con le sue categorie - di intendere il
mio discorso. Non e' quel che io dico. Nella filosofia occidentale, quando
si affronta il tema della relazione con altri, al centro c'e' quasi sempre
il rapporto tra soggetto e oggetto, oppure il predominio logico del legame
uno-molteplice. Non e' in gioco la maggiore emotivita' della donna o
l'immediatezza del "femminile". A livello logico - da un punto di vista
femminile - quel che viene privilegiato e' invece l'intersoggettivita'. La
relazione a due, con l'altro. Contro l'idea di un individuo isolato,
autosufficiente e astratto. E a favore di una soggettivita' che si relaziona
all'altro orizzontalmente.
B. G.: Non c'e' a suo avviso una sintassi cognitiva comune a uomini donne?
L. I.: No, e lo riscontriamo grazie all'esistenza di lingue con sintassi
diverse da quella occidentale. Lingue che non privilegiano la costruzione
soggetto-predicato o soggetto-oggetto. Bensi' il nesso soggetto-soggetto.
Non esiste una unica sintassi universale, come quella ipotizzata da Chomsky.
B. G.: Per lei il femminile e' addirittura un principio logico a se', e non
una specifica indole esistenziale o biologica dell'umano?
L. I.: La differenza di genere non e', come si e' creduto nel passato, solo
biologica. E neanche, come si crede spesso oggi, fatta soltanto di
stereotipi sociali. E' anzitutto una differenza di identita' relazionale.
Verificata, come gia' detto, dalle analisi sul linguaggio.
B. G.: Che cosa comporta questa visione, sul piano del sentire e del
pensare? Essa riguarda solo le donne, o anche gli uomini?
L. I.: Nel mio lavoro ci sono tre tappe. La prima riguarda la critica di una
cultura a soggetto unico. La seconda, la definizione di mediazioni per la
costruzione di un'identita' femminile autonoma. La terza tappa, quella che
mi interessa di piu', e' la ricerca di un cammino per la convivenza a due.
Tra uomini e donne.
B. G.: Immagina questa convivenza come alleanza, o come ineliminabile
conflitto?
L. I.: Immaginare un'alternativa secca tra le due dimensioni sarebbe
ingenuo. Non si tratta di restare in una conflittualita' semplice e senza
fine. Piuttosto occorre pensare a un'alleanza fondata sul riconoscimento di
uno spazio negativo e insuperabile tra i sessi. Che custodisca la
differenza. Significa: "Io non saro' mai te, ne' tua", e viceversa...
B. G.: Non crede che questo discorso valga in generale per il rapporto fra
tutti gli individui, uomini o donne che siano?
L. I.: No. Non allo stesso livello. Una vera cultura della differenza,
all'altezza del tempo, deve includere la dialettica di relazione tipica del
soggetto maschile. Quella tipica del soggetto femminile. E infine una terza
dialettica. Quella che include la relazione tra soggetti maschili e soggetti
femminili. Nella differenza.
B. G.: Ma, se una relazione tra differenze e' pur sempre possibile, non
riemerge cosi' un legame neutro e universale, anche se piu' ricco?
L. I.: Attenzione, perche' nel caso di una cultura della differenza non c'e'
piu' un individuo universale e neutro. La base dell'universalita' si trova
nella relazione tra due soggetti diversi. E abbiamo bisogno di tale
relazione tra diversi. Non solo in vista della liberazione femminile, ma
anche nel quadro piu' ampio della civilta' multiculturale e multietnica.
Anche se poi la relazione tra diversi, quella piu' universale e
fondamentale, rimane pur sempre la relazione uomo-donna.
B. G.: Lei ritiene quindi, che maschile e femminile siano due mondi
radicalmente differenti, ciascuno con il suo mondo simbolico e il suo
linguaggio specifico?
L. I.: Si', ed e' una ricchezza dell'umanita'. E' cio' che caratterizza
l'umanita'. E' solo a livello dei bisogni che si puo' pensare a un mondo
neutrale. A livello del desiderio, che possiamo pensare come caratteristica
dell'umano, la differenza uomo-donna sussiste sempre. E richiede una
negativita' che marca il limite di ciascuno, e che consente l'incontro.
Senza dominio o consumo dell'altro. Per giungere ad una nuova maniera di
relazionarsi. Non ancora raggiunta dalla nostra civilta'.
B. G.: Che cos'e' per lei il "maschile", guardato dall'angolo visuale del
pensiero della differenza?
L. I.: Cerco di non farmi troppe idee a riguardo. Per non cadere di nuovo
nell'ideologia. Quale sia l'identita' maschile ho cercato in qualche modo di
dirlo prima. In base all'analisi del linguaggio. Per il resto, mi aspetto
dagli uomini che loro stessi ripensino la loro soggettivita', fuori
dall'universale neutro. Cio' che posso auspicare e' che la differenza tra
sessi sussista. Perche' e' la fonte del pensiero e della creativita'...
B. G.: Entrare nel pensiero della differenza sarebbe come travalicare il
pensiero logico occidentale?
L. I.: Andare oltre la metafisica occidentale e' un gesto gia' richiesto da
Nietzsche e Heidegger. Spero sia possibile, grazie a una filosofia a due
soggetti, rispettosi delle reciproche differenze. Una filosofia che non
cancelli la singolarita'. E dove il "Noi" sia, ciascuna volta, una relazione
nella diversita'. Per raggiungere questo, occorre ripensare la relazione
genealogica. La donna non puo' cancellare la genealogia materna, e neanche
limitarsi a fare come la madre, o all'opposto di essa. L'uomo non puo'
rimuovere la sua nascita materiale, a favore di un'origine soltanto
culturalmente costruita.
B. G.: E il padre, che fine fa in questo percorso che non rimuove la madre?
L. I.: Invece di rimuovere la madre, creando una cultura scissa dalla
corporeita', perche' l'uomo non ha assunto la sua identita' maschile? Meglio
essere in due. Per generare cultura e bambini fatti da due. Senza scissioni
tra natura femminile e cultura maschile. Non e' meglio essere in due?
4. MATERIALI. ANGELA DOGLIOTTI MARASSO: UNA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
SULL'EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI
[Questa bibliografia abbiamo ripreso dal sito della Direzione didattica di
Pavone Canavese (www.pavonerisorse.to.it/storia900/).
Angela Dogliotti Marasso e' impegnata nei movimenti nonviolenti e nell'
educazione alla pace. Tra le opere di Angela Dogliotti Marasso: Aggressività
e violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino]
- Fortat R. - Lintanf L., Education aux droits de l'homme, Chronique
Sociale, Lyon, 1989.
- Amnesty International, Tortura, Ega, Torino, 1986.
- Amnesty International, Scomparsi, Ega, Torino, 1987.
- Molino D., Pena di morte, Ega, Torino, 1989.
- Olmi M., Minoranze, Ega Torino, 1987.
- Silvi B., Il diritto nell'era nucleare, Ega Torino, 1989 (quaderni del
Progetto di educazione alla pace-area tematica diritti umani , Ega).
- AA. VV., Il tempo dei diritti: piccolo "ideario" per l'educazione ai
diritti umani, (a cura di Drerup A.), Edizioni Cultura della Pace, S.
Domenico di Fiesole, 1996.
- Bibliografie di pace: raccolta bibliografica sui temi della pace, dei
diritti umani, della cooperazione internazionale, Regione Veneto, 1995.
- Bobbio N., L'eta' dei diritti, Einaudi, Torino, 1990.
- Balbo L. - Manconi L., I razzismi reali, Feltrinelli, Milano, 1992.
- Ben Jelloun T., Il razzismo spiegato a mia figlia, Bompiani, Milano, 1998.
- Ceserani R., Lo straniero, Laterza, Roma-Bari, 1998.
- Donne. Rapporto sulle violazioni dei diritti umani delle donne, (a cura di
Amnesty International), Sonda, Torino-Milano, 1991.
- Donne in prima linea: contro le violazioni dei diritti umani (a cura di
Piattelli V.), Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole, 1995.
- Giustinelli F., Razzismo scuola societa': le origini dell'intolleranza e
del pregiudizio, La Nuova Italia, Firenze, 1992.
- L'intolleranza: uguali e diversi nella storia, (a cura di Bori P.), Il
Mulino, Bologna, 1986.
- Irigaray L., Il tempo della differenza: diritti e doveri civili per i
sessi. Per una rivoluzione pacifica, Editori Riuniti, Roma, 1989.
- Educazione interculturale, (a cura di Nigris E.), Mondadori, Milano, 1996.
- Durino A., Verso una scuola interculturale, La Nuova Italia, Firenze,
1993.
- Santerini M., Cittadini del mondo: educazione alle relazioni
interculturali, La Scuola, Brescia, 1994.
- Russo V., E lo chiamano sviluppo: poverta', diseguaglianza e potere nel
mondo, Piero Manni, Lecce, 1998.
- Tutela dei diritti sociali: l'impegno degli obiettori di coscienza per
costruire la pace, (a cura di Stabellini M. e De Stefani P.), Fondazione
Zancan, 1994.
- Papisca A., Democrazia internazionale, via di pace, Angeli, Milano, 1990.
- Rigaux F., La carta di Algeri: la dichiarazione universale dei diritti dei
popoli, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole, 1988.
- Il libro dei diritti dei bambini. Sonda, Torino-Milano, 1991.
- Lodi M., I diritti del bambino, dell'uomo e della natura, Sipiel, 1991.
- Violazioni dei diritti dei bambini, Ega, Torino, 1995.
5. URANIO IMPOVERITO. TRIBUNALE CLARK: DA RIFARE L'INDAGINE MANDELLI
[Dal Tribunale Clark (tribunaleclark@mclink.it) riceviamo e ridiffondiamo
questa nota dell'agenzia giornalistica Ansa]
(ANSA) - ROMA, 21 MAR - L'indagine sull'uranio impoverito svolta dalla
commissione Mandelli ''non ha alcuna validita', deve essere ritirata e
rifatta daccapo con nuovi criteri''. A sostenerlo sono l'Anavafaf,
associazione familiari vittime arruolate nelle forze armate, e il Tribunale
Clark, che da anni si batte per il rispetto dei diritti civili.
''Il rapporto - ha detto il presidente dell'Anavafaf, Falco Accame, nel
corso di una conferenza stampa - e' basato su falsi dati di partenza. Per
fare un esempio: sono stati presi in considerazione i militari che sono
stati in Albania, dove l'uranio non e' stato usato, e non quelli in Somalia,
dove invece e' stato usato. Bisognava fare l'esatto contrario''.
Altre critiche da Giorgio Cortellessa, fisico che guida la controcommissione
di esperti nominata dal Tribunale Clark. ''Il confronto sull'incidenza dei
tumori con la popolazione civile - ha spiegato - e' stato fatto in maniera
scorretta. Ci si e' basati sui registri dei tumori del Nord, dove
l'incidenza di queste malattie e' molto piu' alta che nel resto del Paese.
La maggior parte dei militari italiani impiegati nelle missioni, invece,
proviene dal Sud. Insomma, i numeri contenuti nell'indagine non hanno
diritto di cittadinanza nella comunita' scientifica. Questo malessere,
peraltro, serpeggia nelle pieghe del rapporto''.
Alla conferenza stampa ha partecipato anche Giambattista Marica, reduce
della Somalia che e' riuscito a guarire da un linfoma di Hodgkin: ''Il mio
caso - ha detto - non e' stato preso in considerazione dalla commissione
perche' dicono che allora l'uranio non fu usato. Ma chi mi garantisce che
sia andata davvero cosi' ''.
6. URANIO IMPOVERITO. DANIELE PASSANANTE INTERVISTA PADRE JEAN-MARIE
BENJAMIN
[Dalla lista di discussione pck-armamenti@peacelink.it riportiamo la
seguente intervista]
Le rivelazioni e le accuse di Padre Benjamin
Un muro di ipocrisia dietro al quale gli Stati e le organizzazioni mondiali
si trincerano. Un prete che da dieci anni lotta per fare conoscere la
verita'. Padre Jean-Marie Benjamin sulla questione "uranio impoverito"
lancia accuse al vetriolo.
Daniele Passanante: Cosa pensa dell'ultima indagine medica condotta da una
commissione di esperti del ministro della Difesa, presieduta dal professor
Franco Mandelli?
Jean-Marie Benjamin: Sono molto inquadrati, io so indirettamente che hanno
avuto delle raccomandazioni sul risultato finale. L'inchiesta Mandelli, come
tutte le inchieste che faranno, non potra' mai ammettere che abbiamo
inquinato l'Europa per gli anni a venire. Vorrebbe dire riconoscere che
l'Italia e' colpevole, che l'Europa e la Nato sono colpevoli.
D. P.: Dopo che la fulminea Desert Storm americana mise a tacere la boria di
Saddam Hussein e il deserto torno' alla sua immobilita' millenaria, lei si
chiese cosa era accaduto alle popolazioni e ai bambini iracheni e inizio' a
viaggiare verso il sud dell'Iraq, la parte piu' colpita del Paese. Qual e'
la sua testimonianza?
J.-M. B.: Denuncio un alto tasso di radioattivita' e di contaminazione
radioattiva ormai da due anni. Quando non hanno piu' potuto nascondere che
gli A10 sparano proiettili all'uranio impoverito, non hanno piu' potuto
negare. Fin dal 1999 ho provato a coinvolgere le autorita' italiane, senza
riuscirci.
D. P.: Da anni lei chiede di inviare in Iraq una commissione di esperti, ma
ne' l'Unione Europea ne' il Governo italiano hanno mai inviato alcuna
delegazione. Perche'?
J.-M. B.: La ragione e' molto semplice: dovrebbero ammettere che ormai il
40-48 per cento del territorio e' al momento contaminato dall'espansione
delle tempeste di sabbia, con una prospettiva spaventosa di decessi e di
aumenti di malattie fino al 700 per cento. Nessuno studia l'inquinamento
delle falde acquifere, o dell'ecosistema. Migliaia di proiettili radioattivi
sono caduti sul territorio e oltre 2000 carri armati sono stati colpiti dai
missili all'uranio. Quei carri ora stanno arrugginendo nel deserto: una
ruggine radioattiva che si disperde in polvere nelle tempeste di sabbia
contaminando l'ambiente.
D. P.: Nel '90 i giornali erano come impazziti. Qualche giornalista
esprimeva la propria ammirazione per una guerra lampo "con pochi morti e un
buon risultato". E' stato cosi'?
J.-M. B.: L'effetto delle esplosioni durante la guerra del Golfo ha
provocato oltre 50mila morti fra i bambini nel sud dell'Iraq. L'effetto
secondario della contaminazione, che durera' per molti secoli, fara' danni
ben maggiori. In Iraq aumentano del 200 per cento le leucemie, il cancro, le
malformazioni dei bambini.
D. P.: Ma i mezzi di informazione oggi la stanno appoggiando?
J.-M. B.: Ho fatto venire la settimana scorsa a Roma alcuni esperti
iracheni: la Rai ha passato il servizio all'1,20 di mattina e i media non
hanno diffuso assolutamente i dati emersi nella conferenza stampa. I comandi
militari non possono pubblicare notizie di questo genere, vista la posizione
della Nato, che e' quella del Pentagono. Hanno persino bloccato
l'informazione sul "Washington Post" quando stavano per pubblicare uno
speciale. E la Nato va anche a fare ironia dicendo che "l'uranio impoverito
non inquina piu' di un cellulare".
D. P.: Cosa e' emerso dalla relazione degli scienziati di Baghdad?
J.-M. B.: Gli esperti iracheni che lavorano nelle basi hanno costituito
stazioni di prelievo e hanno identificato la presenza di particelle
radioattive nel sangue dei pazienti. Il ministro iracheno della Sanita' ha
scritto all'Oms, all'Agenzia atomica di Vienna, al Segretario generale delle
Nazioni Unite chiedendo l'invio di esperti. Nessuno ha risposto, nessuno
viene inviato in Iraq.
D. P.: Fra i politici italiani con cui lei ha avuto modo di parlare, chi si
e' dimostrato piu' disponibile?
J.-M. B.: Il ministro della Difesa Sergio Mattarella mi ha incontrato due
mesi fa: ho presentato tre chili di documentazione. Mi ha risposto che
dobbiamo aspettare le commissioni di inchiesta, ma ha ammesso che sulla
vicenda c'e' stata poca trasparenza. L'unico che si e' mosso attualmente e'
il ministro per le Politiche Comunitarie Gianni Mattioli che ha scritto alla
commissione europea per l'ambiente raccomandando di inviare una commissione
in Iraq. Solo andando sul luogo si puo' capire meglio il problema: e non si
puo' piu' dire - come accade sempre piu' spesso - che i documenti del
ministero iracheno sono inaffidabili. Qualcosa si muove, ma dietro a tutto
questo ci sono pressioni: non vogliono annullare l'embargo.
D. P.: Quali interessi ci sono oggi a mantenere l'embargo?
J.-M. B.: Con l'embargo non si sentono in dovere di dare assistenza ai
malati: dovrebbero ammettere i danni della guerra del Golfo e indennizzare
l'Iraq. Anche i soldati americani potrebbero richiedere un risarcimento. E'
una tale montagna di denaro quella che dovrebbero pagare che sminuiscono il
problema, negando la presenza di radioattivita' e di pericoli per la salute.
Quello che si verifica nel sud dell'Iraq puo' verificarsi anche nel cuore
dell'Europa.
D. P.: Una sporca questione di soldi, quindi, giustificata dalla distanza
geografica e culturale con la terra delle mille e una notte. Ma la
situazione nei Balcani non sembra essere differente: e' cosi'?
J.-M. B.: Nei Balcani, in Kosovo e in Bosnia, ma soprattutto in Serbia, si
e' trovato del plutonio: c'era uranio impoverito nel penetratore dei
proiettili, ma negli esplosivi c'era anche plutonio e persino elementi
chimici vietati dalle convenzioni internazionali. Gli Stati vicini hanno
paura che questi effetti si sappiano per evitare che la popolazione del
Kosovo fugga dal proprio Paese: cominciano a esserci famiglie che hanno
avuto bambini con malformazioni.
D. P.: Lei dice che l'America ha prima negato e poi sminuito il problema
della radioattivita' in Iraq. Fino a quando continuera' a farlo?
J.-M. B.: Non possono piu' negare. Ramsey Clark (l'ex ministro della
giustizia statunitense - ndr) e' andato nel sud dell'Iraq al confine con
l'Arabia Saudita: hanno messo una tuta e delle maschere, hanno rilevato
dalle strumentazioni emissioni radioattive con valori 2000 volte sopra la
norma. La persona che ha fatto queste misurazioni, l'esperto che ha fatto i
rilevamenti, si e' contaminato restando un'ora vicino a questi carri
armati...
D. P.: Se gli effetti sull'uomo si stanno manifestando con malattie e
malformazioni genetiche, le conseguenze sulla natura sono incerte. Lei ha
testimonianze di alterazioni visibili sull'ambiente?
J.-M. B.: C'e' un industriale di Terni che, grazie ad accordi con la
commissione delle sanzioni, vende sementi al ministero iracheno
dell'Agricoltura. I semi di pomodori piantati al sud hanno generato frutti
di 800 grammi, grandi come meloni. Tutto diventa di dimensioni enormi, che
cos'e' se non radioattivita'? Abbiamo chiesto di fare le foto e di avere una
documentazione.
D. P.: In tutto questo il Vaticano la sta appoggiando?
J.-M. B.: Il Papa difende la pace. Mi ha inviato personalmente gli auguri
per quanto faccio per il popolo iracheno. Mi danno la benedizione e io vado
avanti con i miei mezzi: i diritti d'autore, una fondazione. Il difficile
non e' tanto lavorare, ma far vedere che il problema esiste, che non e' una
fiction: la cosa piu' difficile e' abbattere la montagna di ipocrisia.
D. P.: Il generale Carlo Jean afferma in una nostra intervista che l'affare
"uranio impoverito" e' frutto delle esagerazioni dei giornali. Cosa replica
al generale?
J.-M. B.: (Padre Benjamin ride di gusto. Ma e' una risata amara a cui
risponde con un invito provocatorio, ndr) Gli offro il viaggio e lo invito a
fare una passeggiata nel deserto. Io parto il 26 marzo con un aereo per
Baghdad. Lo invito a condizione che faccia queste tre cose: salire su un
carro armato colpito da proiettili all'uranio impoverito, mangiare uno dei
polli che mangiano i cittadini di Bassora in una trattoria del posto e bere
un bicchiere d'acqua. La stessa acqua che bevono i bambini. E' una politica
completamente idiota quella di negare l'evidenza. Ma arrivera' il momento in
cui saranno costretti ad ammettere. In Iraq hanno visto arrivare un sacco di
giornalisti negli ultimi tempi. Al sud dell'Iraq la popolazione comincia a
capire. Ed e' molto preoccupata.
Fonte dell'intervista: news2000.iol.it
7. INIZIATIVE. NOTIZIE DALLA DELEGAZIONE ITALIANA IN TURCHIA PER IL NEWROZ
[Dal Centro d'informazione sulle attivita' della delegazione italiana in
Turchia e sulla situazione in occasione della celebrazione del Newroz
(e-mail: uiki.onlus@tin.it; ass.azad@libero.it; delegazione@hotmail.com)
riceviamo e diffondiamo le seguenti notizie]
* Incontro con TUAD, Associazione familiari detenuti politici
Tutela sia i detenuti politici che i comuni. I detenuti politici Kurdi sono
attualmente circa 8000 in tutta la Turchia. Quelli turchi circa 2000.
L'associazione fornisce assistenza materiale (aiuti economici) e morale ai
detenuti ed alle loro famiglie. Non possono avere fondi governativi e hanno
difficolta' ad avere finanziamenti dall'estero.
I membri dell'associazione sono spesso accusati di avere rapporti con il PKK
e sottoposti alla legge antiterrorismo. Per questa ragione le stesse
famiglie dei detenuti hanno paura anche a rivolgersi alla loro assistenza.
La domanda principale che viene dalle famiglie e dai detenuti e' di arrivare
alla pace.
Istanbul ha cinque prigioni e dopo la rivolta e la repressione di dicembre
la situazione e' ulteriormente peggiorata, le visite sono piu' difficili e
non si sa dove sono i prigionieri.
Altre 10 associazioni lavorano come loro in altre parti della Turchia e sono
coordinate tra loro.
I prigionieri vengono trasferiti frequentemente e aumentano i casi di
trattamento in celle di isolamento tipo F.
Dopo il decreto di febbraio i detenuti devono anche pagarsi l'elettricita'
che consumano e i pasti della mensa (ai familiari non e' concesso portare
neppure cibo e vestiti ai detenuti). Solo ai detenuti comuni e' peraltro
concesso di lavorare all'interno del carcere. Non possono tenere nulla di
personale e gli stessi vestiti devono essere pagati e forniti dallo stesso
carcere che li da' di colore tutti uguale.
Il fine chiaro di questo sistema carcerario e' quello di distruggere nel
fisico e psicologicamente i detenuti. Durante il giorno vengono anche fatte
sentire fino a mezzanotte tramite altoparlanti musiche ossessive e canzoni
deprimenti.
L'associazione e' sottoposta anche a sanzioni amministrative e pesantissime
multe per errori contabili di poco conto.
A Erzurum c'e' la prigione pilota per il nuovo sistema di isolamento e le
torture psicologiche e no.
L'associazione accusa i governi europei di finanziare attraverso l'UE i
progetti per la costruzione di carceri di tipo F (celle di una due o max tre
persone contro le stanze attuali di diverse decine di persone).
* Incontro con TOHAV, Associazione per la ricerca sociale e giuridica nata
nel 1994
In particolare interviene per le violazioni dei diritti umani e gli abusi
sui detenuti durante i processi. Si occupa anche dal punto di vista medico
di riabilitazione delle vittime della tortura. L'associazione era
inizialmente composta di avvocati e ora anche di medici.
Gli avvocati denunciano la repressione e la politica d'isolamento crescente
degli ultimi anni. 13 detenuti nel 1996 sono morti per sciopero della fame e
nello stesso anno durante una ribellione furono trucidati 10 militanti del
PKK. I colpevoli della strage sono stati individuati ma il processo subisce
continui rinvii e gli stessi sono ancora in servizio.
Dopo l'assalto alle carceri del 19 dicembre sono aumentate enormemente le
violazioni dei diritti umani ed i sistematici pestaggi contro i detenuti e
anche stupri di donne e uomini. Gli avvocati stessi hanno difficolta' a
vedere i detenuti che possono incontrare solo una volta la settimana per
non piu' di un'ora e spesso mancano addirittura le stanze ove svolgere gli
incontri. Un avvocato che ha piu' di 10 clienti non e' materialmente in
condizione di lavorare.
I cavilli procedurali impediscono in molti casi i ricorsi degli avvocati
agli organismi internazionali. In molti casi in cui sono state sottoposte le
loro denunce alla Corte di Giustizia Europea lo stato turco e' stato
condannato a risarcire i familiari. Risulta in totale una cifra di 4,5
milioni di dollari. Tuttavia le richieste di cambiamento delle leggi sono
respinte, tranne la riduzione della custodia preventiva, e l'eliminazione
dei militari dalla composizione dei tribunali speciali che giudicano i reati
politici (dal processo Ocalan).
Nell'ultimo anno hanno ammesso 380 ricorsi alla Corte Europea su casi
singoli. L'associazione e' convinta che piu' che le azioni giudiziarie dei
singoli sia necessario un intervento politico ed economico dell'UE contro il
governo turco. Uno degli avvocati riferisce che Ocalan e' sempre in stato
d'isolamento e le condizioni fisiche non sembrano peggiorate. Gli appunti
degli avvocati che lo incontrano sono fotocopiati dalle guardie. Sono
censurati libri e giornali che gli sono consegnati con gran ritardo.
Hanno la possibilita' di collaborare formalmente con associazioni di altri
paesi ma in pratica in altre parole non e' possibile.
* Incontro con GOC DER, Associazione di assistenza ai profughi
Non si sa esattamente quanti profughi ci siano, ma se si calcolano 1.000
abitanti per ognuno dei 4.000 villaggi distrutti o evacuati, abbiamo un
totale di circa quattro milioni di persone emigranti interni. Da due anni e'
iniziato il ritorno di una parte ai loro villaggi, sperando nella
democratizzazione e in seguito alla proposta di pace del GOC DER, che ha
permesso il ritorno di circa due milioni di persone, reso pero' difficile
dalle leggi d'emergenza e le "guardie di villaggio" (kurdi
collaborazionisti). Il progetto governativo prevede invece una
villaggio-baraccopoli in una landa desolata, senza possibilita' di coltivare
o allevare bestiame e con l'obbligo di pagare un mutuo al 20% per acquistare
la baracca: il villaggio, finanziato dall'U.E., e' disabitato. Dopo la
denuncia dell'Associazione, il parlamento europeo ha bloccato ulteriori
finanziamenti.
L'Associazione ha quattro commissioni: salute, stampa, ricerca, problemi
sociali. Il governo la reprime duramente e ha chiuso molte loro sedi con
scuse varie. Stanno aprendo nuovi uffici in varie citta'. Amnesty
International vogliono chiedere finanziamenti per ripopolare i villaggi
evacuati, ma l'Associazione non puo' ricevere finanziamenti dall'estero.
La presenza di delegazioni straniere in Turchia e' molto importante per la
loro attivita'.
I rifugiati non hanno diritto di residenza e non possono richiedere
documenti, perche' le leggi d'emergenza cancellano le altre leggi: le
amministrazioni locali quindi non possono aiutarli e quelle governative non
si occupano di loro. Sono "migranti interni", che spesso vengono anche presi
dalla polizia e massacrati di botte. Dal 1993 l'esercito ha evacuato i
villaggi con ultimatum alla popolazione di due giorni o anche poche ore,
oppure arrivavano e bruciavano le case, oppure li deportavano in altri
villaggi. Fino al 1995 lo stato turco negava queste deportazioni, ma
un'inchiesta parlamentare ha fatto emergere i primi dati e costretto il
governo a promettere di risolvere il problema (ma non l'ha fatto).
L'Alto Commissariato ONU per i rifugiati non puo' intervenire nelle
"migrazioni interne", a meno che lo richieda il governo del paese
interessato. Una recente riunione dell'OCSE sulle "migrazioni interne ed
evacuazioni forzate" ha discusso di Cecenia, Kosovo e Kurdistan, ma senza
arrivare a un documento finale.
Il problema puo' essere risolto solo con il programma dell'Associazione.
* Incontro con HADEP (rimandato al 23 marzo per mancanza di traduttore
disponibile)
Nella loro sede abbiamo visto le foto di due dirigenti del partito
sequestrati a Silopi dalla polizia il 25 Gennaio e di cui non si sa piu'
nulla. Questo e' avvenuto dopo una serie di grosse manifestazioni di
protesta, nella zona, contro la repressione nelle carceri, che sono state
violentemente attaccate dalla polizia. Dal giorno dell'assalto alle
prigioni, a dicembre, ben 10 attivisti di varie organizzazioni kurde sono
scomparsi. Resta alto anche il pericolo di un attacco militare dei 10.000
soldati turchi in Irak contro i guerriglieri del PKK, minacciati anche dai
kurdi del PUK (alleato dei turchi).
* Incontro con il KESK, Sindacato del pubblico impiego, turco e kurdo
La legge e' molto restrittiva per i lavoratori pubblici di enti governativi
(circa due milioni): niente diritto di sciopero, ne' di organizzazione e
trattativa sindacale. Il KESK ha 300.000 iscritti e punta ad arrivare presto
a 500.000; e' indipendente da tutti i partiti politici e ha una forza reale
perche' organizza varie iniziative. Comincia l'attivita' nel 1989, ma rimane
illegale fino al 1995, quando riesce a costituirsi formalmente.
La sua lotta e' per la democrazia, i diritti e contro la globalizzazione
neoliberista. Il 4 Aprile del 2000 organizzo' una manifestazione di 40.000
lavoratori ad Ankara, riuscendo a impedire l'approvazione di una legge
liberticida dei diritti sindacali nel settore pubblico. Il KESK e' l'unico
sindacato di sinistra in Turchia: gli altri (TURKIS, DISK, HAKIS) sono piu'
o meno di destra, solo il DISK (che era di sinistra e forte prima del colpo
di stato del 1980) ha qualche rapporto con il KESK.
Il problema principale da risolvere, per loro, e' far finire la guerra
contro i kurdi, anche perche' grossa parte del bilancio statale e' destinata
alle forze armate e non per migliorare le condizioni economiche dei
lavoratori e dei poveri, la sanita' o l'istruzione. L'inflazione, secondo il
governo, era l'anno scorso al 35%. Il salario reale di un insegnante e'
calato, nell'ultimo anno, da 300 a 200 dollari. Il livello di poverta' e'
considerato 600 dollari.
Il KESK subisce una dura repressione in Kurdistan, dove molte sue sedi sono
state chiuse. Il KESK ha avuto 150 militanti uccisi o scomparsi e di questi
ben 25 erano insegnanti. Dopo la repressione nelle carceri a dicembre, ne
sono stati arrestati un centinaio, poi rilasciati tranne 6 che sono ancora
in galera. Altri 2 sindacalisti sono stati condannati a 18 anni di carcere
per appoggio al "terrorismo": ossia, sono stati accusati di avere contatti
con militanti del PKK.
Il KESK e' contro l'Europa dei capitali e delle banche, vorrebbero un'Europa
sociale e dei lavoratori. I problema della Turchia non potranno comunque
essere risolti dall'esterno. La fase attuale apre qualche spiraglio, ma la
propaganda governativa contro i kurdi fa presa su molti lavoratori.
Il KESK organizzera' molte manifestazioni di protesta contro la crisi
economica e per la pace e la democrazia ad aprile e poi il primo maggio.
* Incontro con ODP, Partito della Liberta' e della Solidarieta'
Subisce la repressione del governo, con divieti di conferenze stampa, di
manifestazioni e arresti: il segretario ha fatto un mese di galera per una
conferenza stampa non autorizzata che denunciava la repressione nelle
carceri. E' all'interno della "piattaforma" di 15 partiti e gruppi della
sinistra. Riunisce socialisti, ambientalisti, socialdemocratici ed e'
antimilitarista e antimperialista.
Alle elezioni legislative del 1999 ha ottenuto lo 0,87%, ma ad Ankara e
Istanbul arriva al 2%. Non ha deputati a causa dello sbarramento del 10%.
L'ODP critica la globalizzazione neoliberista e la politica di FMI, BM, OMC,
che ha aumentato il divario tra Nord e Sud del mondo.
Partecipera' al Newroz in tutta la Turchia e sta organizzando una grossa
manifestazione il primo aprile contro la crisi economica e la corruzione
dello stato turco. L'ODP ritiene prioritario il problema della democrazia e
della lotta per il miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori
e dei poveri: il problema kurdo e' importante, ma non il piu' importante.
Televisioni e giornali censurano la nostra attivita'. Un'importante
manifestazione fu organizzata dall'ODP nel 1999 contro la base militare di
Adana, da cui partivano i bombardamenti turchi contro i guerriglieri kurdi.
* Diyarbakir, 20 marzo 2001
Nottata breve, solo tre ore di sonno per arrivare in tempo all'aeroporto.
Sul Turkish News leggo che il vice primo ministro Yilmaz ha annunciato un
piano di riforme economiche, amministrative, legislative e permettera'
l'insegnamento della lingua e della cultura kurda (quest'ultima
"concessione" sembra fatta apposta per compiacere la U.E.). Leggo anche di
scontri armati con la guerriglia del PKK con una dozzina di morti, compresi
alcuni militari.
Alle 9.00 siamo a Diyarbakir e subito un compagno della delegazione viene
fermato dalle guardie perche' ha scattato una foto a una sulla scaletta
dell'aereo: niente da fare, vogliono il rullino e glielo dobbiamo dare.
Cordiale accoglienza del partito HADEP.
Molti giornalisti - o forse erano per lo piu' guardie - ci fotografano e
videoregistrano all'uscita dell'aeroporto. La polizia ci segue fino
all'hotel, dove ci sono altri agenti. Ci confermano che il Newroz si potra'
fare legalmente, ma in una zona lontana dalla citta'.
Il programma di incontri si apre con la sezione locale del GOC DER,
associazione di assistenza ai profughi. Aperta da solo sei mesi, non ha dati
precisi sul numero die profughi anche perche' durante i 15 anni di guerra
(fino al 1999, dopo l'arresto del presidente A. Ocalan e il ritiro dei
guerriglieri oltre frontiera le informazioni erano difficili e frammentarie.
Dal 1990 al 1998, 17.000 civili sono stati ammazzati in Turchia spesso in
strada, con colpi di pistola - e ben 1.500 solo a Diyarbakir, anche se non
c'erano scontri armati con la guerriglia in citta'. Gli assassini non sono
mai stati presi ne' processati.
L'associazione ancora oggi non puo' nemmeno avvicinare i profughi, la
polizia li tallona e glielo impedisce: solo se i profughi vengono alla sede
possono raccogliere notizie e sapere di cosa hanno bisogno. Fino al '99 i
profughi emigravano a Ovest del paese, poi hanno cercato di tornare ai loro
villaggi, ma l'esercito glielo impedisce. I loro villaggi sono stati
distrutti, bruciati, gli animali uccisi e le piante tagliate: sono fuggiti
senza piu' nulla. Il governo ha consentito il ritorno solo in un villaggio
costruito come una caserma, senza possibilita' di coltivare la terra o
allevare le bestie. Il governo non ha previsto nessun piano di aiuti
economici per questa gente, stimata in un minimo di 2 e un massimo di 4
milioni di "profughi interni".
A Diyarbakir sono stati costruiti negli ultimi anni 30.000 alloggi, ma sono
tutti illegali perche' il governo militare della zona non autorizza nessuna
nuova costruzione per i profughi. La citta' aveva 300.000 abitanti quattro
anni fa, ora ne ha circa un milione. La prima necessita' del GOC DEM e'
trovare finanziamenti per poter aiutare i profughi e pagare il lavoro di
esperti (agronomi, ingegneri, ecc.) che possano preparare tecnicamente i
progetti che potrebbero essere finanziati dalla U. E. o dall'associazionismo
di altri paesi, come l'Italia.
Incontro con EGITIM SEN, sindacato degli insegnanti affiliato al KESK. Ci
fanno vedere una lista di 29 dipendenti pubblici kurdi - tra cui 17
insegnanti - trasferiti da un paio di settimane in altre citta' della
Turchia, molto lontane da Diyarbakir, in zone dove ci sono molti fascisti.
Questo per punirli della loro attivita' sindacale. Dal 1992 a oggi, ben 480
dipendenti pubblici sono stati trasferiti lontano dal Kurdistan.
Il sindacato degli insegnanti e' attivo in tutto il paese e raccoglie anche
artisti e scienziati: ha 3.500 iscritti e lotta per la democrazia e i
miglioramenti economici. Gli stipendi degli insegnanti sono tra i piu' bassi
del mondo: 180 $ al mese iniziali e un massimo di 310 $ dopo 25 anni di
lavoro. Gli altri impiegati pubblici guadagnano da 2 a 5 volte di piu'.
Quanto guadagnano i militari non si sa. Per l'istruzione lo stato spende
l'8% della spesa pubblica, per le forze armate il 24%. Questa politica
favorisce le scuole private, per i figli dei ricchi.
Il sindacato e l'adesione sono consentiti, ma lo sciopero e' vietato; chi lo
fa ne subisce personalmente le conseguenze. Le quote dei lavoratori non
bastano a coprire le spese per le attivita', ma lo stato non concede nessun
aiuto.
Il primo dicembre scorso il sindacato organizzo' una grande manifestazione
di 40.000 persone, per aumenti dei salari e per la democrazia. A Diyarbakir
la repressione e' piu' forte, sono sempre in vigore le leggi antiterrorismo.
Il presidente della sezione fu arrestato il 6 febbraio con altri
collaboratori. Negli ultimi sei mesi la polizia e' entrata tre volte nella
loro sede. Difficile unire in una lotta comune le tante associazioni e
organizzazioni della sinistra. Scrivere in kurdo e' sempre vietato, non
crediamo alle promesse del governo, sono anni che le fa ma poi non cambia
nulla.
* 21 marzo, Il Newroz piu' grande: oltre due milioni in piazza
Una folla incalcolabile, forse piu' di due milioni di persone, sta dando
vita in queste ore alla piu' grande festa del Newroz (Festa di nuovo anno,
rinascita e liberazione) che si ricordi nella storia kurda in Turchia.
La delegazione italiana di 43 persone sta seguendo le due manifestazioni
piu' grandi, oltre 500.000 persone a Diyarbakir e 150.000 a Van. Tutte le
citta' kurde brulicano di folle danzanti intorno ai fuochi della liberta':
120mila a Batman, 30mila a Antep, 20mila a Urfa, Hakkari e Siirt, 10mila a
Dogubeyazit e Mus, migliaia anche in piccoli centri come Adyaman, Dersim,
Agri, Elbistan, Nusaybin, Sirnak, Silopi, Bingol, Patnos. Ma anche nelle
citta' turche i profughi kurdi hanno dato vita a grandi raduni: 150mila a
Mersin, 70mila a Adana, 60mila a Izmir e a Istanbul (dove si moltiplicano
altre manifestazioni in ogni quartiere), 10mila a Manisa, Bursa, Konya, 7-8m
ila ad Ankara, tremila a Kocaeli...
Non sempre le manifestazioni si sono svolte tranquillamente: a Mersin la
polizia ha attaccato la folla dopo la comparsa di un grande ritratto di
Ocalan, a Marmaris e' stato arrestato il presidente del partito Hadep e a
Silopi e' stata sigillata la sede del partito, si registrano scontri ad
Antalya e, con numerosi feriti, a Sirnak. Ma nel complesso la pressione
popolare ha avuto ragione dei tentativi di vietare le manifestazioni o di
ricondurle a una celebrazione formale e folklorica.
Ovunque gli slogan per Ocalan ("Biji Serok Apo"), per la pace, la convivenza
e la dignita' dei popoli e contro la repressione hanno dato al Newroz il
valore di un nuovo inizio. Particolarmente toccante il minuto di silenzio
per Ocalan, le dita levate in alto, dell'immensa folla di Diyarbakir. Grande
la presenza delle donne che hanno colorato le manifestazioni, specialmente a
Batman, con i colori kurdi, nonostante i controlli della polizia che ovunque
perquisiva i partecipanti e sequestrava ogni cartello e oggetto in lingua
kurda o nei colori kurdi.
Il presidente dell'Hadep, Murat Bozlak, ha detto a Diyarbakir che "i milioni
di kurdi che oggi si sono levati in piedi sono la miglior risposta ai
signori della guerra, a coloro che continuano a sequestrare, torturare e
uccidere nelle citta' turche o preparano avventure militari nel Kurdistan
irakeno".
Centinaia di migliaia di kurdi hanno manifestato e festeggiato in tutte le
citta' tedesche, in molte metropoli europee e nel Medio oriente, in
particolare a Kirmanshah (Iran) e nelle citta' libanesi, cosi' come nei
campi profughi come quello di Mahmura, nel Kurdistan irakeno.
Gli osservatori italiani hanno incontrato numerose organizzazioni della
societa' civile a Diyarbakir, mentre a Van la polizia ha interrotto
brutalmente il loro incontro con l'Hadep e impedisce ogni ulteriore contatto
con la popolazione. A Diyarbakir pero' la polizia ha sequestrato per tre ore
e picchiato il loro interprete kurdo. Domani e' previsto che raggiungano
Hasankeyf, la storica citta' destinata da una diga alla distruzione, e
Dogubeyazit, il centro sull'Ararat amministrato da una donna dell'Hadep gia'
protagonista della marcia Perugia-Assisi.
Al ritorno in Italia, sabato 24, terranno una conferenza stampa alle 12.30
nella libreria Odradek di Roma (via dei Banchi Vecchi 57) e poi
parteciperanno a Bologna alla grande festa italiana del Newroz, nel Tpo di
viale Lenin, con tutta la diaspora kurda in Italia e gruppi musicali
dall'estero.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 156 del 21 marzo 2001