Oscar Niemeyer, cento anni pensando il Sud
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- Date: Sat, 15 Dec 2007 13:03:34 +0100
Oscar
Niemeyer, cento anni pensando il Sud
Voglio celebrare oggi, nel giorno del centesimo compleanno di Oscar
Niemeyer, tutta l’architettura brasiliana del XX secolo. Oscar Niemeyer, è il genio dell’architettura, l’uomo delle curve e del
cemento armato, che a cent’anni continua a lavorare e pensare che
"l’architettura e il comunismo siano i due strumenti per costruire un
mondo migliore". Oscar Niemeyer, il genio delle curve, le curve delle
montagne, delle onde del mare, della donna, le curve che "se la retta è il
tragitto pù breve tra due punti, allora la curva è la linea che cerca
l’infinito". Oscar Niemeyer, il discepolo di Le Corbusier, dal quale
apprende l’uso del cemento armato, ma che è il modernista che uccide il
modernismo e lo rigenera in forme lontane dall’Europa. "L’architettura non
deve essere funzionale, ma bella", afferma ed a meno di 40 anni è già un
eretico. E’ Oscar Niemeyer, che prende per mano la Río de Janeiro barocca e la
trasforma nel gioiello della modernità incastonata nel paesaggio naturale
carioca più sconvolgente del mondo, restituendola così alla contemporaneità.
Andate a Niteroi (nella foto più sotto) e vi sembrerà di salpare verso lo
spazio ma restando pienamente tra la selva e l’Oceano. Negli ultimi anni, almeno nell’ultimo quarto di secolo, in quante
espressione irriconducibile della nostra contemporaneità è stata suturata dal
postmodernismo. In primo luogo il mondo occidentale, e statunitense in
particolare, non ha mai smesso di considerare il Brasile e l’America latina
tutta come subcultura e cultura subalterna (i due termini sono solo
apparentemente sinonimi) alla quale guardare con paternalismo, ovvero
proteggere, senza mai riconoscere caratteristiche di avanguardia, visionarietà,
progresso. E’ che il progresso occidentale, anche nella migliore espressione di sé, ha
condotto un percorso di accettazione e difesa di quelle che considera (sic!)
minoranze, le donne, i gay, i negri, il pluralismo religioso, il sud
del mondo, il pluralismo in genere, il multiculturalismo. Accettazione e
difesa, non riconoscimento e dialogo. Sono "microcosmi panda", che
visti da Occidente si reggono solo sotto il grande ombrello monopolista della
cultura occidentale che non può riconoscere a culture altre, ibridate o meno al
proprio interno, dei valori universali che sono sinonimi dei valori occidentali
e sintetizzati da questi. Il valore occidentale per eccellenza, la tolleranza è
la fotografia del considerare l’altro subalterno, non uguale, men che mai
avanti. Dal luogo di questo localismo occidentale diventa inconcepibile riconoscere
la centralità, l’universalità anche e forse soprattutto nell’architettura, del
Brasile. Eppure è proprio Niemeyer e il suo intorno culturale, già nei
primissimi anni ‘40 del XX secolo, a denunciare la fine del moderno, soffocato
tanto dai totalitarismi come dalla commercializzazione capitalista della
conversione dell’arte in industria. Di fronte alla radicalità di tale denuncia, il percorso postmoderno
occidentalocentrico non può fare altro che ignorare. Non può fare altro che
ignorare un’architettura nata e concepita come responsabilità politica e
soprattutto ecologica del paesaggio urbano e degli spazi. Non può non ignorare
l’espressione massima di questa cultura, l’invenzione di Brasilia, che era il
progetto politico di Juscelino Kubitschek e urbanistico di Niemeyer e Lucio
Costa. "Ordem e Progresso", come recita il motto impresso sulla
bandiera brasiliana, una sorta di Pienza ciclopica nelle dimensioni e
nell’incontro pacificato tra due forze, quella della civiltà industriale e
quella del sertão selvaggio che si coniugano con un territorio senza
frontiere. "Brasilia sorse come una magia -racconta ancora oggi Niemeyer-
noi dicevamo, lì il Congresso, là un teatro, e quelli crescevano".
Brasilia è il centro del mondo. |
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