Venezuela, la dittatura che non c'è
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- From: "Gennaro Carotenuto" <gc at gennarocarotenuto.it>
- Date: Mon, 3 Dec 2007 12:29:40 +0100
Venezuela, la dittatura
che non c'è I risultati ufficiali resi noti stanotte a Caracas, dicono che i NO alla
trasformazione in senso socialista della Costituzione bolivariana del 1999,
voluta dal presidente Hugo Chávez, avrebbero vinto con una differenza di appena
124.962 voti su quasi nove milioni, ottenendo il 50.7% di voti contro il 49,3%
di Sì. Dato decisivo è stato la crescita dell'astensione, al 45% contro il 30%
circa di tutte le consultazioni importanti degli ultimi anni. Il presidente Chávez ha riconosciuto la sconfitta, ma non ha avuto bisogno
di invitare alla calma i suoi giacché anche quella di ieri è stata una giornata
elettorale tranquilla a Caracas, e un esercizio di democrazia piena, inclusiva,
alla quale da meno di un decennio a questa parte partecipano anche gli esclusi
di sempre. IL 51% NON BASTA Il risultato del referendum induce a due riflessioni
importanti, la prima politica, la seconda mediatica. Il voto di ieri ha detto
che la proposta integrazionista bolivariana, sia sociale che regionale
latinoamericana, raccoglie il consenso dei due terzi dei venezuelani, mentre la
trasformazione in uno stato socialista perde spezzoni di consenso soprattutto
nell'ala socialdemocratica del movimento. E' come se il progetto bolivariano
avesse ieri segnato il suo confine massimo, la sua linea di massima espansione. Le prossime settimane diranno se sarà più forte la possibilità di
riassorbimento dell'ala socialdemocratica nel movimento bolivariano, o se
premierà l'avanguardismo dell'ala rivoluzionaria, che sostiene che non c'è
rivoluzione per via elettorale. Tale ala è stata finora sempre controllata dai
ripetuti successi e dagli evidenti miglioramenti materiali nelle condizioni di
vita delle classi popolari in questi anni di governo bolivariano. Il dato politico più significativo è stato allora rilevato dallo stesso
presidente nel suo discorso di stanotte: "in una situazione di sostanziale
pareggio è preferibile aver perso piuttosto che aver dovuto sostenere e gestire
una vittoria così importante con un margine così stretto". E' un riflesso allendista
e ancor di più berlingueriano: "la rivoluzione per via elettorale
non si può fare con il 51% dei voti". Durante la campagna elettorale
cilena del 1970 i Quilapayun cantavano: "questa volta non si tratta di
fare un presidente (che può e deve governare con il 51% dei voti), ma di fare
un Cile ben differente". Anche in Venezuela ieri non si trattava di fare
un presidente, ma di trasformare il paese. Cosa che non si può fare in pace e
in democrazia -che piaccia o no, la caratteristica principale del chavismo- con
un margine ristretto di voti. Ciò detto, non può passare una lettura riduzionista della sconfitta di ieri.
Chávez ieri ha fatto il passo più lungo della gamba e riassorbire il
contraccolpo della sconfitta non sarà facile. Invece di consolidare il processo
è partito all'assalto del cielo e per il momento ha dovuto rinunciare. La sconfitta elettorale rappresenta ora un'incognita e probabilmente non era
necessario sottoporvisi per intuirlo, ma in questi anni un elettoralismo
esasperato è stato l'arma legittima e legittimante per difendersi dalla
continua manipolazione ed aggressione contro il movimento bolivariano. L'opposizione segna così un punto dopo anni di sconfitte. Continua però ad
essere impresentabile, anche nelle proprie parti meglio spendibili, come
testimonia un movimento studentesco farsescamente preoccupato perché
l'Università resti elitaria e non diventi di massa (sic!). MA LA DITTATURA DOV’È? E veniamo al secondo punto, non meno
importante del primo. Dunque la CNE (la commissione elettorale), non è un
burattino del regime, se tranquillamente verbalizza una sconfitta per poche
migliaia di voti. Dunque Hugo Chávez non è un feroce dittatore se ha tranquillamente
riconosciuto la sconfitta e non ha scatenato le millantate milizie. Balle,
tutte balle e qualcuno -se non fosse troppo in malafede- lo dovrebbe ammettere,
dalla stampa venezuelana a quella internazionale a quella italiana, i Pierluigi
Battista, i Gianni Riotta, gli Omero Ciai, le Angela Nocioni e ainda mais. La sconfitta di strettissimo margine nel referendum svela nella maniera più
chiara la bassezza di un decennio di manipolazioni dell'informazione in senso
antichavista, l'invenzione a sangue freddo di una inesistente dittatura
chavista, la balla della presunta mancanza di libertà d'espressione in
Venezuela. Dov'è la dittatura? Dov'è il regime? Dov'è la repressione? Il
giornalismo all’anglosassone non si faceva con i fatti piuttosto che con le opinioni?
Forza, fuori i fatti! In Venezuela, giova ricordarlo una volta di più, ci sono decine di partiti
di opposizione, le elezioni sono le più monitorate del mondo, continua ad
esserci un semimonopolio mediatico di TV e giornali dell'opposizione, c'è piena
libertà di stampa e perfino piena libertà di mercato. L'opposizione continua ad
avere dalla sua l'appoggio degli Stati Uniti, delle gerarchie cattoliche, della
confindustria locale, dell’FMI e delle multinazionali straniere. Guarda caso
gli stessi soggetti che organizzarono e sostennero il golpe dell'11 aprile
2002. La sconfitta nel referendum svela allora in maniera chiara che contro la
democrazia venezuelana è stato costruito un cordone sanitario di menzogne teso
ad impedire con ogni mezzo che l'infezione di un governo che ha fatto
dell'integrazione sociale e regionale la propria ragione d'essere si
espandesse. E allora quel che emerge è altro ed è gravissimo. L'antichavismo dei grandi
media di comunicazione è sempre stato un antichavismo ideologico.
In questi anni non hanno mai raccontato il Venezuela bolivariano, non hanno mai
criticato Chávez per i mille difetti o errori che può avere commesso in questi
anni. Quelli non importavano; era più facile costruire una maschera di bugie
intorno al verboso negraccio dell’Orinoco, più che parlare di cose concrete,
del fallimento storico del neoliberismo, per spiegare cosa fosse la democrazia
partecipativa e degli sforzi sovrumani per restituire dignità a milioni di
vittime del modello instaurato in America latina. Oggi si svela chiara come il sole la grande contraddizione del sistema
mediatico mainstream: i grandi media commerciali non sono mai stati
indipendenti ma rispondono ideologicamente al pensiero unico neoliberale.
Siccome il pensiero unico si è autoattribuito il copyright del termine democrazia
chiunque osi mettere in dubbio che neoliberismo e democrazia siano sinonimi va
castigato, denigrato, demonizzato. E allora proprio la sconfitta nel referendum si converte invece in
un'ulteriore legittimazione per il movimento integrazionista di tutta l'America
latina della democrazia venezuelana e di Hugo Chávez in particolare. E chi in
questi anni ha sparso veleno e menzogne e lo ha descritto come un regime e una
dittatura dovrebbe cospargersi il capo di cenere. Sarà dura... |
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