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Anche il movimento pacifista inglese è fermo.
- Subject: Anche il movimento pacifista inglese è fermo.
- From: "akira" <akira80 at hotmail.com>
- Date: Sat, 11 Dec 2004 15:14:29 +0100
Sono appena tornato da un breve soggiorno a Londra dove ho avuto
l'occasione di assistere alla giornata di dibattiti e workshop sull'Iraq
organizzata da Iraq Occupation Focus, un gruppo inglese antiwar.
Tra i relatori, giornalisti e accademici anglo-iracheni, avvocati e
attivisti difensori di diritti umani, il parlamentare inglese che ha
chiesto l'impeachment per Blair, un ex soldato USA che ha combattuto in
Iraq ma che da un anno ha fondato un'associazione di veterani (Iraq
Veterans Against War) che si batte contro la guerra e per il ritorno a casa
delle truppe; e un altro ex soldato USA in Vietnam, che ha perso un figlio
in Iraq e che è il fondatore di Military Families Speak Out, associazione
di parenti di soldati attiva negli USA contro la guerra in Iraq.
Quindi sulla carta c'erano tutti i presupposti per un'interessante giornata.
Purtroppo sono rimasto un po' deluso dalla superficialità con cui certi
temi sono stati trattati; per esempio l'argomento elezioni non è stato
toccato affatto, perlomeno negli incontri a cui ho assistito, perché gli 8
workshop pomeridiani erano tutti contemporanei ed era chiaramente
impossibile essere presente a tutti; una superficialità causata infatti
anche dall'eccessivo programma previsto per una sola giornata, troppo
contingentati i tempi degli interventi dei relatori e quello per le domande
successive.
Un altro elemento che mi ha sorpreso negativamente è che non c'è stato
nessuno tra i relatori, eccetto Sami Ramadani, giornalista iracheno del
Guardian in esilio in Inghilterra da anni, che abbia chiaramente sostenuto
la legittimità della resistenza armata irachena a usare tutti i mezzi
possibili nella lotta contro gli occupanti.
Qualcuno infatti ha anche cercato di mettere quasi sullo stesso piano gli
abusi commessi dalle truppe USA con quelli commessi da alcuni gruppi armati
della resistenza, senza però portare prove concrete in merito, e lo stesso
Ramadani lo ha fatto presente al giornalista americano che si era espresso
in quel modo (Christian Parenti, giornalista di The Nation).
In conclusione, non è uscito da questa giornata un chiaro e netto sostegno
politico alla resistenza armata irachena, cosa che però succede anche nel
movimento pacifista italiano, che infatti ora ha grosse difficoltà sul come
procedere dopo le grandi manifestazione pre-guerra del 2003.
Anche in Italia c'è chi non vuole sostenere politicamente la resistenza
armata, non accorgendosi che in questo modo legittima lo status quo di
perenne occupazione e genocidio del popolo iracheno e delegittima invece
chi combatte contro il più potente esercito del mondo.
Chi combatte contro gli occupanti non ha bisogno né di uomini, né di soldi
né tantomeno di armi; ma necessita assolutamente di un chiaro e
inequivocabile sostegno politico da parte di chi è sceso in piazza a Roma e
in altre città del mondo il 15 Febbraio 2003 e dopo.
Mi domando infatti quale sia oggi la priorità del movimento pacifista in
Italia, ma anche nel resto del mondo. E' la cacciata degli occupanti, o
cosa? E' sostenere politicamente chi sta combattendo gli occupanti, o cosa?
E' continuare a fare capziosi distinguo tra i buoni e i cattivi resistenti?
E' attendere in silenzio le elezioni farsa e arrendersi quindi
all'occupazione perenne, o cosa?
Mi piacerebbe che prima o poi si discuta pubblicamente su quali siano oggi
gli obiettivi del movimento, nel frattempo però gli occupanti continuano a
massacrare.
Se il movimento non fa' questo scatto in avanti è destinato alla sconfitta,
ma forse purtroppo ha già perso perché inconsapevolmente sta andando
proprio nella direzione di chi ha voluto questa guerra.
Adesso non basta più chiedere il semplice ritiro delle truppe o denunciare
singoli casi di abusi dei diritti umani da parte degli occupanti. Cos'è
successo dopo le denunce su Abu Ghraib?....niente, anzi no, il genocidio di
Falluja e la Conferenza di Sharm el Sheik.
Mi sembra quindi sia arrivato il momento per l'intero movimento antiwar
europeo e statunitense di sostenere politicamente chi sta combattendo per
cacciare le truppe occupanti ed è il minimo che si debba fare. Meglio tardi
che mai.
Enrico Sabatino