Il libro Gesù di Nazaret – Tabù e
Trasgressione di Ida Magli, è stato pubblicato per la prima volta
nella collana “saggistica” della Editrice Rizzoli nel 1982, ottenendo
subito un grande successo di vendite, di interventi critici e un continuo
numero di ristampe fino alla prossima del 2004.
Le sue tesi di fondo, lungi dall’essere invecchiate,
appaiono oggi perfino più chiare e più sicure di quando sono state
formulate in quanto gli avvenimenti succedutisi in questi anni hanno
provveduto a convalidarle. E’ evidente, infatti, che se la Chiesa si
sforza di ricongiungersi con l’Antico Testamento, con l’ebraismo e con il
musulmanesimo, è perché l’opera di Gesù , come
affermato in questo libro, non è stata capita nel suo aspetto
eversivo nei confronti dell’ebraismo nemmeno dai suoi primi
seguaci; ed oggi si giunge a negare (pur senza ammetterlo), a svuotare di senso il lancinante messaggio di rottura
gridato con tanta violenza da Gesù. Il dialogo
interreligioso costituisce in realtà il ritorno al “sistema del
sacro”, un sistema che è presente, anche se con innumerevoli
varianti, in tutte le religioni, ma che nell’ebraismo si trova nella
forma più stringente a causa di un fattore essenziale: la proclamazione
che esiste un solo Dio. E’ questa unicità che costringe gli elementi
dispersi qua e là nelle singole credenze sacrali a concentrarsi in una
logica assoluta, mettendo in luce così il principio fondante del
rapporto di ogni gruppo umano con ciò che lo trascende, che lo
supera e lo intimorisce: il principio del sacrificio. Sacrificare
significa uccidere, offrire la morte al creatore della morte. Era
stato proprio questo: il passaggio immediato, con Gesù e
dopo Gesù, dalla concretezza dell’uccisione degli uomini (la
sacralità della guerra è appunto un sacrificio fra uomini), dell’uccisione
degli animali, della mutilazione del pene al simbolismo
del pane nella Messa e dell’acqua nel battesimo a connotare la
diversità radicale dei popoli mediorientali (ebrei e
arabi islamici) da quelli d’Occidente. Gesù – è questa la
inspiegabile rottura con il proprio mondo di cui si
discute in questo libro – ha segnato questa diversità e per
questo è stato subito ucciso. Le religioni, infatti, quali che
siano le spiegazioni che ogni singolo popolo ne dà, rivelano la
psicologia collettiva, l’atteggiamento verso il mondo, verso la
natura, verso la propria vita che contraddistingue ogni gruppo
umano in confronto agli altri e coprono perciò anche gli aspetti più
lontani dal centro logico di fondazione di una cultura. Naturalmente
i membri del gruppo di solito non sono per nulla consapevoli di questa
interconnessione logica di cui sono portatori; ma ciò non toglie che essa
agisca in modo coercitivo proprio perché è “ovvia”. L’ovvietà
acceca anche le menti più critiche tanto che solo i
massimi geni, quelli che per la loro assoluta unicità, sfuggono
perfino alla definizione di “genio”, si
avvedono dei significati della cultura nella quale si trovano a vivere.
Gesù è appunto un genio
assoluto, e ha applicato la sua immensa capacità
critica là dove nessuno ha mai provato a farlo: i mattoni di
fondazione del “Sacro” nell’ebraismo (come in tutte le
religioni), ossia il sacrificio, l’uccisione di una vittima, il
dono della morte. E’ questo, dunque, per Gesù il vero nemico
dell’umanità; l’unico, insuperabile ostacolo alla libertà di ogni
uomo così come per ogni gruppo: l’uccisione sacrificale.
Uccisione: il problema fondamentale dell’uomo.
Dover uccidere per poter vivere dato che questo è il meccanismo che regge
la Natura; e al tempo stesso impedirsi di uccidere per poter vivere in
gruppo. Il Potere nasce da lì: qualcuno ha assunto su di
sé il diritto e il dovere di uccidere e di far uccidere,
e lo ha messo al sicuro facendolo dipendere dalla
Divinità.Il Sacro
e il Potere perciò sono inscindibili. O meglio, Sacro e Potere sono una
cosa sola, nascosta sotto due termini che in apparenza rinviano
l’uno all’altro dando luogo a un sistema circolare infinito privo di
responsabilità. Neanche le rivoluzioni più violente e radicali (comunque
rarissime nel lungo itinerario della Storia) sono mai riuscite a
interrompere il sistema “uccisione-potere-sacralità”. Una volta giunte ad
uccidere, infatti, le rivoluzioni ricodificano il sistema,
spostandolo semmai da un ente ad un altro, da una classe ad un’altra, da
una autorità ad un’altra. L’unica rivoluzione che ha permesso di
intravedere dove fosse collocato il centro del potere è stata quella di
Gesù; e malgrado gli enormi, innumerevoli errori compiuti dai suoi
seguaci, l’Occidente rimane ancora l’unica speranza di coloro che vogliono
liberarsi dalla sacralità del potere. Ma forse dobbiamo dire “rimaneva”
dato che l’unificazione europea è stata progettata appositamente per
cancellare questa diversità e stabilire il primato dell’Oriente.
Gesù dunque è stato ucciso in base alla necessità logica della
“vittima sacrificale”; quella stessa logica che in nessuna
religione è stata mai esposta con tanta chiarezza quanto nell’ebraismo,
nel racconto, privo di veli, dell’uccisione di Isacco. Uccidere il
“figlio”, ossia uccidere la prosecuzione della vita, il futuro del gruppo.
Gesù è stato sconfitto, ma ha costretto il sistema del sacro a spostarsi
in Occidente, dove la passione per il dubbio logico, per la
rappresentazione della bellezza, presente nei Greci e nei Romani, rendeva
impossibile accettare la concretezza delle mutilazioni del corpo, il
divieto delle immagini e quindi dell’arte, la rinuncia al pensiero
simbolico. Qui, dunque, anche se il sistema del “Sacro-Potere” non è stato
infranto, si è però verificata una rottura epistemologica nei significati
culturali, tracciando un abisso fra l’Antico Testamento e i Vangeli. Chi,
del resto, potrebbe ingannarsi, leggendo i Vangeli, sulla loro assoluta
novità poetica, sulla loro appartenenza al mondo di chi ama la
rappresentazione della bellezza? Per questo, nessuno, credente e non
credente, ignorante e colto, è mai riuscito a prendersela con Gesù: in
Occidente l’amore per il bello è più forte di qualsiasi cosa.
Oggi, però, la Chiesa
sta compiendo il passo più pericoloso: togliere al
cristianesimo anche quel piccolo granello di senape che Gesù vi ha
posto senza che i suoi seguaci abbiano saputo farlo
crescere e sviluppare: la rottura con l’Antico
Testamento. E’ soprattutto la Chiesa wojtyliana che
lavora in questa direzione, seguendo due tracciati in apparenza diversi ma
alla fine convergenti. Il primo è esplicito e dichiarato: ripartire dal
“Padre Abramo” affermando che, nel monoteismo, siamo tutti uguali e
fratelli. Il secondo è, viceversa, molto nascosto e forse, addirittura
inconsapevole. Celebrare il massimo della sacrificalità
nell’indicare in ogni individuo il sacrificatore e la vittima, spronando
tutti al “dono” di sé come dono all’altro uomo, senza più passare
attraverso Dio. Difficile capire se Wojtyla creda di poter sopperire
in questo modo alla mancanza di fede, o almeno a quella che lui ritiene
mancanza di fede, nell’Occidente cristiano. Sotto questo aspetto il
cristianesimo si riassumerebbe nelle sole “opere di
bene”, prive di Dio. Un errore così tragico non era mai
stato compiuto dalla Chiesa, neanche nei suoi momenti peggiori. Il
sacrificio della vittima riusciva almeno a tenere a freno
l’aggressività dell’uomo scaricandola, sia pure ingiustamente, su di
un solo individuo e dando un minimo di respiro al potere della
morte dal momento che lo poneva sotto il controllo della divinità. Fare,
invece, di ogni singolo uomo il sacrificatore e la vittima dell’altro,
eliminando la trascendenza, eliminando il timore della morte come base
della religione, significa consegnare gli uomini alla più feroce delle
distruttività, ristabilire la legge dell’Homo homini lupus. Una
delle conseguenze più immediate la si è vista con i trapianti nella
rapacità sul cadavere, poi, inevitabilmente, sul “morto ancora non morto”,
infine sul vivo cui si strappano organi, con il denaro o per “dono”,
ossia per “sacrificio”. L’esortazione, assillante al punto da diventare
coercitiva, a “donare gli organi” è l’estremo limite di una
sacrificalità senza trascendenza, senza altra passione che la morte
dell’altro per la vita di-qua, la sopravvivenza biologica di uno per
se stesso. E’ la fine del cristianesimo; la fine di qualsiasi
possibilità di religione in Occidente. Ma anche, forse, una
volta distrutta la religione, la possibilità di ricominciare da
Gesù. |