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cronaca attendibile della liberazione
- Subject: cronaca attendibile della liberazione
- From: "Nello peacelink" <n.margiotta at peacelink.it>
- Date: Wed, 29 Sep 2004 08:58:56 +0200
fonte : La Repubblica
Poche ore prima della liberazione di Torretta e Pari si è rischiato che
tutto andasse a monte per il riscatto
L'ultima telefonata coi rapitori Un litigio con i mediatori
Le due ragazze erano state ritenute due spie e perciò sottoposte a una
sorta di processo
dal nostro inviato RENATO CAPRILE
BAGDAD - Alle 14.17 del giorno in cui sarebbero state poi liberate, si è
rischiato che tutto andasse a monte. Che le due Simone potessero restare
prigioniere. Proprio come i due giornalisti francesi. Perché alle 14.17 in
punto una voce alterata dall'altro capo del filo rimproverava allo sceicco
Ali Al Dulemi d'aver intascato soldi.
Quei 500 mila dollari di cui parlava un quotidiano di Kuwait City. Danaro
che i sequestratori giuravano di non aver assolutamente preteso. Così almeno
dicevano con tono offeso. Calava il gelo nel ricco studio di Dulemi in
Masbah Street, non lontano da Karrada out e dal centro di Bagdad.
Il leader del Consiglio centrale dei capitribù iracheni e arabi, un vero e
proprio contropotere, che stava da giorni mediando il rilascio delle due
volontarie italiane, alzava a sua volta la voce: "Come ti permetti di
accusarmi di una cosa del genere, non capisci che abbiamo molti nemici e
sicuramente qualcuno stata tentando di fregarci, sabotando la trattativa? Mi
chiedi chi, prova a ragionare. Noi non ci sporchiamo le mani per mezzo
milione di dollari", parole dure ma che forse andavano a segno. Lo sceicco
chiudeva la comunicazione con un secco "mi aspetto che le liberiate al
massimo entro le 13 di domani - oggi per chi legge, ndr - altrimenti noi ci
facciamo da parte".
Quattromila tribù: sunnite, sciite, curde, turcomanne, integrate da
componenti cristiane. In pratica tutto l'Iraq che conta. Professionisti,
gente che parla le lingue, che sa usare i computer e che non esibisce
fucili. L'intellighenzia moderata di un possibile Nuovo Iraq. Ecco che cos'è
il Consiglio centrale delle tribù.
Ci avevano contattato nel tardo pomeriggio di domenica scorsa. Cercavano
giornalisti italiani a cui far sapere che la liberazione delle due ragazze
era vicina. Che stavano bene, che nessuno le aveva sfiorate nemmeno con un
dito, che non sarebbe stato pagato alcun riscatto, che le condizioni per il
rilascio erano altre. E nemmeno le si poteva chiamare condizioni, perché le
condizioni si impongono e quelle - dicevano - erano solo proposte.
Insistevano con forza sul fatto di non volere denaro. Particolare che
ovviamente resta tutto da verificare anche perché nessuno può ancora sapere
quali altri canali e intermediari si siano intrecciati nella vicenda. In
ogni caso ci raccontavano tutto a condizione di pubblicare il resoconto solo
a cose fatte.
Dulemi che è di Ramadi ed è una sorta di premier di questo "governo ombra",
dava poi la parola al dottor Tareq Alani, responsabile degli affari politici
del Consiglio e di fatto una sorta di ministro degli Interni. Alto, robusto,
vestito all'occidentale, Alani spiegava di essere in contatto da giorni con
due esponenti dei servizi segreti italiani: Andrea Cresmo e Abu Laila. "Non
mi illudo che siano i loro veri nomi, ma ho le prove che trattano per conto
del vostro governo. Abu Laila parla arabo, un discreto arabo classico, ma
non è arabo. L'ultima telefonata l'ho ricevuta un'ora fa. Ho detto loro che
tempo 48 ore e le ragazze saranno libere e che avrebbero dovuto inviare in
gran fretta un aereo qui a Bagdad".
Tareq spiegava anche come teneva i contatti con i rapitori. Chiamava un
numero fisso e lasciava un messaggio in codice. Cinque minuti dopo il suo
cellulare squillava. Dall'altra parte sempre lo stesso uomo. Ma perché
rapire proprio quelle due ragazze? Sospettavano che fossero spie, agenti dei
servizi segreti. Le hanno sottoposte nei giorni della prigionia a una sorta
di processo. Le hanno interrogate a lungo e alla fine si sono convinti che
erano davvero quello che dicevano di essere: due volontari, in Iraq per
aiutare i più deboli. Dovevano quindi essere liberate e senza condizioni.
Una specie di ammissione di colpa, un implicito: abbiamo sbagliato. E allora
la trattativa poteva andare avanti, cercando di ottenere dal governo
italiano alcune cose che certamente Berlusconi non si sarebbe rifiutato di
dare.
Le due volontarie italiane
subito dopo la liberazione
Essenzialmente quattro richieste, di natura per dire così umanitaria. La
prima: trenta bambini di Falluja gravemente feriti da curare negli ospedali
del nostro paese. La seconda: l'impegno del governo a partecipare alla
ricostruzione di Falluja e Ramadi, quasi completamente distrutte. La terza:
una pressione italiana sull'alleato americano perché metta fine ai
bombardamenti nel triangolo sunnita. Quarta ed ultima: l'invito in Italia di
alcuni esponenti del Consiglio perché possano spiegare all'opinione pubblica
l'altra faccia della guerra. Quella sconosciuta, che ha fatto migliaia di
vittime innocenti.
Roba seria, dunque. Niente di irragionevole. Una specie di miracolo a tempo
scaduto. Cresmo e Abu Laila garantivano che si poteva fare. L'aereo italiano
era già sulla pista dell'aeroporto internazionale di Bagdad in attesa del
prezioso carico. Aveva però fatto scalo in Giordania prima di decollare alla
volta della capitale irachena. Gli americani avevano chiesto spiegazioni
prima di dare l'ok e si erano sentiti rispondere: stiamo andando a prendere
le due Simone.
E forse non è un caso che proprio dalla Giordania partisse l'indiscrezione
che le due ragazze erano vive e vicine ad essere liberate. Il corrispondente
del quotidiano del Kuwait scriveva del pagamento di un riscatto. Un milione
di dollari da versare in due trance. I primi 500 mila subito, gli altri a
liberazione avvenuta. Circostanza questa che metteva a repentaglio la
riuscita di tutta l'operazione. Dulemi ci convocava nuovamente. Lo sceicco
Yahya Al Hazà s'incaricava di scortarci dall'hotel Palestine alla villetta
in Masbah Street. Nello studio di Al Dulemi era in corso una riunione. Le
facce erano piuttosto scure. Al Dulemi non nascondeva che le cose si erano
improvvisamente complicate. E le notizie di riscatto correvano il rischio di
affondare la trattativa. Addirittura temeva che si fosse inserito un terzo
soggetto. E il nostro accordo non aveva più valore.
Avremmo potuto scrivere tutto e raccontare l'eventuale sconfitta dell'ala
moderata della guerriglia irachena. Qualche speranza c'era ancora, ma quei
maledetti 500 mila dollari potevano compromettere tutto. "Credetemi - ci
diceva - tra noi ci sono imprenditori e proprietari terrieri per i quali
quella cifra, pur considerevole è poca cosa. Ma il gruppo che ha in mano le
vostre ragazze pensa che vogliamo fregarli. Tareq è riuscito a spiegare la
fuga di notizie dalla Giordania e dal Kuwait, ma sui soldi non è stato
convincente. Vogliono parlare con me. Sto aspettando la loro telefonata".
Che alle 14.17 in punto per fortuna arrivava. Al Dulemi riusciva a trovare
le parole giuste.
Ma c'era sempre un piccolo margine di rischio che tutto saltasse all'ultimo
momento. Un blitz, un ripensamento. Ci salutavamo con la speranza che tutto
si concludesse entro le 13 di oggi. Poi alle 18.30 ora di Bagdad (le 16.30
in Italia) i rapitori chiamavano Tareq Alani: "Le stiamo liberando". Era
vero. E il resto è la cronaca di un giorno felice.
(29 settembre 2004)