[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

Liberiamole - di I. Barbarossa ed E. Deiana



Liberiamole

È difficile vincere l’orrore suscitato dalla vicenda della scuola dei
bambini di Beslan, elaborare il lutto e dire parole per comunicare il
dolore. Lo dice il poeta Evtuscenko in una struggente poesia pubblicata
su Repubblica. Eppure abbiamo tentato di farlo, a partire certo – come
sarebbe stato possibile altrimenti? – dai corpi e dagli sguardi dei
piccoli innocenti, dalla nudità materiale e simbolica con cui sono stati
costretti a offrirsi a noi spettatori e spettatrici. Ma anche abbiamo
messo al centro della nostra riflessione la responsabilità di cittadine
e cittadini di questa nostra Europa, dove nel Novecento si è consumata
la tragedia più grande, dove si è concentrato tutto l’antiumano
possibile e immaginabile, vero e proprio paradigma di ogni altro orrore
possibile.
Tra la gelida faccia di Putin, i confusi ma micidiali servizi segreti
russi, l’irruzione scoordinata (solo scoordinata?) delle teste di cuoio
e la ferocia disumana di chi ha con gelida indifferenza assorbito e
annullato quegli occhi bambini, si è consumata un’altra volta la morte
della pietà. In diretta, con la forza dirompente dell’immagine e insieme
con il subdolo potere di creare adattamento che essa possiede.
Pensiamo che il governo russo avrebbe dovuto trattare trattare trattare
con l’obbiettivo di salvare le vite umane, ma non possiamo non
contestualizzare la ferocia del terrorismo ceceno dentro la storia della
occupazione e della devastazione che da tempo la Russia ha operato nel
territorio caucasico. Senza alcuna sbavatura giustificazionista, che non
ci è mai appartenuta: riteniamo il terrorismo uno sciagurato fenomeno
politico autonomo e non semplicemente il frutto dell’occupazione
occidentale. Ma per contrastarlo esso va decifrato, letto nei contesti e
nelle modalità in cui si produce, nelle soggettività politiche e nei
progetti che ad esso danno il suo imput di morte. Non tutto il
terrorismo è automaticamente riconducibile alla piovra di al Qaida e
alla sua strategia.
 Gli attentati omicidi-suicidi palestinesi, che stanno devastando anche
la società civile palestinese, intrappolandola in un tunnel senza via
d’uscita, sono anch’essi il frutto di precise scelte politiche ma
rispondono ad altri obiettivi, tutt’affatto diversi da quelli di al
Qaida .
Dunque sempre il contesto. Pur nella sua autonomia, il terrorismo è oggi
strettamente legato alla guerra preventiva e permanente dichiarata
dall’amministrazione Bush a quelle parti di mondo che non stanno ai suoi
ordini, all’occupazione, alla devastazione del territorio, alle
uccisioni, ai bombardamenti massicci di ospedali, ponti, strutture
civili. Esso si alimenta con la guerra, qui trova il suo humus e la sua
causa di diffusione. I video dell’orrore sono il suo linguaggio, la sua
comunicazione, la sua propaganda. L’alta e tecnologica precisione delle
Torri Gemelle oggi è la ferocia dei tagliatori di teste e dei loro
cameramen.
Ci rimandano una risposta parallela e feroce, come macabra irrisione nei
confronti dei soldati americani (uomini e donne) che si sono messi in
posa ad Abu Graib con i corpi nudi e violati dei prigionieri torturati.
E sono il controcanto dei bombardamenti anglo-americani che da settimane
straziano senza sosta le città irachene, senza distinguere tra miliziani
e civili. Quale video ci mostrerà i corpi straziati dei bambini di
Baghdad?
Questo è l’umano e l’antiumano che tocca vivere all’inizio del millennio
a noi che invece ci siamo formate nell’idea – principio di speranza -
che tra uccidere e morire ci sia una terza via, vivere.
Con questo spirito abbiamo affrontato anche il terribile evento del
rapimento delle “due Simone” e degli altri due ostaggi iracheni, colombe
di pace in Iraq, volontarie di un’associazione come “Un ponte per”, da
sempre contraria alla guerra, all’embargo, all’occupazione. Un lavoro di
ponte che ha contribuito a rompere ogni silenzio lì a Bagdad, dove ora
donne e bambini trovano il coraggio di manifestare per la loro
liberazione, appunto per la vita.
Puntiamo dunque  alla salvezza delle vite umane, ma insieme senza
arretrare nella nostra analisi. La guerra è il contesto della ferocia,
il terreno di coltura dei gruppi di criminali che stanno coprendo di
sangue la pur legittima resistenza irachena, annegata e invisibile in
quello scannatoio che è diventato l’Iraq; è la guerra preventiva di una
potenza imperiale che vuole assoggettare il mondo agli interessi suoi e
dei suoi alleati e non demorde di fronte a nulla e tutto utilizza per
legittimarsi agli occhi di noi occidentali. Se tutti sono oggi contro il
terrorismo, non tutti sono contro la guerra, anzi la guerra sfuma e si
diluisce di fronte alla potenza mediatica che ambiguamente accende i
fari soprattutto sul terrorismo. Del terrorismo va destrutturato il
potenziale devastante, ma ne va affrontato il contesto esplosivo, la
guerra. Insieme le due cose. Non esistono a nostro avviso due livelli
dell’analisi e della proposta politica: come abbiamo da sempre chiesto
il ritiro delle truppe di occupazione, così continuiamo a chiederlo, con
la stessa coerenza, la stessa determinatezza. I livelli etico e politico
vanno tenuti insieme, giacché si tratta per noi  di costruire una
politica che faccia dell’etica il suo mezzo ma senza ridurre mai la
prima alla seconda.
Bisogna fare di tutto, di tutto, di tutto per salvare gli ostaggi, per
riportare a casa “le due Simone”. Per quanto ci riguarda parteciperemo a
tutte le iniziative, continuando a chiedere la liberazione degli
ostaggi, la salvezza delle vite umane, ma anche a dire con forza:
immediata cessazione dei bombardamenti, fine dell’occupazione, via le
truppe italiane dall’Iraq, fuori la guerra dalla storia.
Imma Barbarossa ed Elettra Deiana