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Cordolio e dolore per la scomparsa improvvisa di Tom Benetollo - Presidente dell'ARCI



Grazie TOM,

Le bandiere della pace esposte alle finestre non sono mai state tolte e vi
rimarranno finchè non sarà "veramente pace".

Ciao

Associazione La Conta



da l'Unità del 21/06/2003



Tom, la grande politica del fare di Piero Sansonetti



Tom era una persona rara. Lo dico senza nessuna retorica, e non perché
adesso è morto. Tom era un uomo politico di altissimo livello, come pochi,
aveva grandi capacità di pensiero, di mediazione, di organizzazione; e
aveva una statura morale che lo faceva sembrare quasi un personaggio del
passato. Sapete qual era la sua rarità? Questa: l'amore travolgente per la
politica, accompagnato dalla più gigantesca riservatezza che abbia mai
visto; e da uno spirito che era tutto il contrario del narcisismo. Non
voleva mai apparire. Lui lavorava sodo, pensava, costruiva: il momento
della pubblicità lo lasciava agli altri, non gli interessava. Conoscete
molte altre persone così?

E' morto domenica mattina al policlinico di Roma. Un aneurisma all'aorta e
poi un'emorragia. Si era sentito male sabato, mentre parlava a un convegno
sul pacifismo organizzato dal "manifesto". Lo aveva soccorso Gino Strada,
che era al tavolo con lui. Lo aveva portato al San Giacomo e poi di corsa
al Policlinico. Dieci ore sotto i ferri. Inutile.

Forse Tom si ispirava al vecchio modello del funzionario di partito: la
politica al primo posto e l'"io" all'ultimo. Però se era un funzionario di
partito era il più fantastico e moderno funzionario che si sia mai visto.
Guardava lontano, gli piaceva il futuro, odiava gli schemi. Se oggi in
Italia c'è il movimento pacifista più forte del mondo, non so in quale
percentuale lo dobbiamo a lui: comunque in una percentuale alta. E' fra
quelli che capì il futuro del pacifismo 20 anni fa, e da allora fu coerente
e impegnò tutto se stesso. Era un pacifista senza se e senza ma, rigoroso:
cioè era un pacifista. Si scontrò col suo partito, fece le marce contro i
missili di Comiso, andò a rischiare la vita in Jugoslavia, subì l'assedio
di Sarajevo, organizzò le proteste contro la prima guerra dell'Iraq, contro
la guerra della Nato alla Serbia e ora contro Bush. Se dobbiamo dire i nomi
di tre padri del pacifismo italiano moderno, i nomi sono quelli: Lucio
Lombardo Radice, Ernesto Balducci e Tom. Due vecchi e il giovane Benetollo
che fu il loro allievo prediletto. Sono morti tutti e tre. Tom mi diceva
che Lombardo Radice e Balducci avevano lasciato un vuoto incolmabile, che
non era mai stato riempito.

Adesso anche Tom Benetollo è morto, all'improvviso, a poco più di
cinquant'anni, e anche lui lascia un vuoto enorme dietro di se: non sarà
facile colmarlo. Non solo perché sua moglie Eva e il piccolo Gabriele, che
non ha ancora 3 anni, sono rimasti soli e disperati; non solo per l'enorme
perdita umana che la sua morte rappresenta; non solo per il senso di vuoto,
di pianto, di desolazione che lascia tra i suoi amici e nella sua
organizzazione, l'Arci, della quale era il presidente; ma anche perché -
sebbene pochi lo sappiano - Benetollo in Italia ricopriva un ruolo politico
notevolissimo e unico. E' lui che ha guidato l'Arci nella scelta pacifista
e anti-liberista e ne ha fatto una delle colonne portanti del movimento
no-global. Cioè, è lui che ha governato quella straordinaria operazione di
saldatura tra il movimento allo stato nascente e una parte vasta
dell'opinione pubblica, soprattutto giovanile, che veniva da esperienze
politiche diverse e più tradizionali. Dal 2001 a oggi - diciamo dalle
giornate del luglio genovese - la politica italiana è cambiata moltissimo,
e la sinistra ha subìto una formidabile trasformazione. Non è più la
sinistra prudente, moderata e governista che era tre anni fa: è diventata
una formazione assai più complessa, variata, aperta, fantasiosa e radicale.
Non dovete pensare che i protagonisti di questa trasformazione siano solo
quelli che stanno in Parlamento e che parlano nelle interviste in prima
pagina ai giornali, o alla Tv. Tom è stato uno dei protagonisti assoluti,
uno dei maggiori, di questo cambiamento.

Lo avevo visto per l'ultima vota giovedì scorso. Eravamo andati a
incontrare il presidente del consiglio provinciale di Roma, Adriano
Labucci, che voleva organizzare un convegno sul pacifismo e ci aveva
chiesto qualche idea. L'ufficio di Labucci è all'ultimo piano di Palazzo
Valentini, nella vecchia Roma. Scale ripide, lunghe. Io avevo preso
l'ascensore, lui aveva voluto salire a piedi. Credo che soffrisse un po' di
claustrofobia. Era arrivato prima di me e senza fiatone. Sembrava in
salute. E aveva dato parecchie idee a Labucci, impegnandosi a fondo in
quella riunione, come faceva in tutte le occasioni della sua vita. Non ho
avuto il tempo per parlargli a lungo, giovedì, perché dovevo andare a una
commemorazione di Berlinguer. Tom amava molto Berlinguer. Lo aveva
conosciuto abbastanza bene negli anni '80, quando aveva lavorato alla
commissione esteri del Pci, e aveva cercato di fare entrare nelle vene del
vecchio partito comunista un po'di sangue pacifista. Berlinguer lo aveva
aiutato. Due mesi fa ho intervistato Tom proprio su Berlinguer, per il
libretto che ha pubblicato l'Unità. E lui mi ha detto che di Berlinguer
apprezzava soprattutto una cosa: la sua idea di politica come espressione
del senso di responsabilità. Responsabilità collettiva, di classe, di
gruppo e individuale. Tom sosteneva che questa idea della politica era la
singolarità e la grandezza di Berlinguer. Credo che lui l'avesse ereditata.

Si era iscritto al Pci nel 1970, a Padova. Il segretario di sezione gli
spiegò subito una cosa che poi gli rimase chiara per tuta la vita: «Evita -
gli disse - i due grandi difetti della sinistra: il riformismo e il
massimalismo. Il riformismo è il vizio di chi vuole ottenere "subito" aria
fritta; il massimalismo è il vizio di chi vuole ottenere grandi cose, in un
giorno infinitamente lontano».

Il giovane Benetollo fece tesoro di questa lezione. Poi per un periodo
restò ai margini della politica. Tornò negli anni della Fgci di D'Alema, di
Fumagalli e di Folena. Cioè all'inizio degli anni '80. Si impegnò nella
politica internazionale e per questa strada diventò pacifista convinto. Ai
tempi di Comiso (tra l'82 e l'83) cercò di persuadere il partito che la via
giusta era quella del superamento di blocchi, di una nuova concezione del
mondo. Fu in prima linea nella battaglia contro l'installazione di missili
americani e sovietici in Europa. Poi negli anni '90 si gettò a corpo morto
nella campagna per la pace in Jugoslavia. Una volta mi ha raccontato di
quel giorno che se ne stava in un sottoscala di Sarajevo, dove era arrivato
insieme a un altro centinaio di pacifisti, sotto le bombe, e un amico gli
lesse al telefono, da Roma, gli articoli dell'Unità e di Repubblica che se
la prendevano coi pacifisti assenti sulla questione Sarajevo. Ne erano già
morti 14 di pacifisti, nella guerra di Bosnia, e molti altri morirono dopo.
Ma i giornali italiani non se ne accorsero mai e continuarono a dire: "I
pacifisti sanno fare le manifestazioni solo contro l'America…." Era una
cosa che lo mandava in bestia, questa, perché lui ci aveva rischiato la
pelle.

Tom Benetollo era un leader, un vero leader. Di quelli che al mercato della
politica-politicante valgono poco. A lui piaceva la politica e non
l'immagine. La politica intesa come "teoria e pratica" della lotta contro
le ingiustizie. Piacevano le idee, il pensiero, e piaceva moltissimo
l'azione. Diceva che era tornato dalla Jugoslavia con una certezza: che la
politica della solidarietà non ha nessun senso se non è riempita di
concretezza, di solidarietà praticata, di stili di vita. Andava
controcorrente. E' duro andare controcorrente, anche per un uomo come lui,
alto un metro e novanta, con l'anima di ferro e con la scorza dura.

Viene da ridere, Tom, a pensare che sei stato abbattuto da una stupidissima
arteria sbagliata. Viene da piangere, vecchio, dolce, carissimo Tom, a
pensare che non ci sei più.