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Le radici del male
- Subject: Le radici del male
- From: "Associazione Partenia" <partenia@katamail.com>
- Date: Sun, 16 May 2004 15:38:27 +0200
LE RADICI DEL MALE
di Corrado Piancastelli
isup@katamail.com
Allah è l'unico profeta di tutti gli islamici, come Cristo lo è dei
cristiani che, però, lo identificano con Dio stesso. Tuttavia sotto il
manto di Allah vi sono oltre una settantina di scuole teologiche islamiche
e un enorme numero di etnie, non solo in competizione se non in lotta tra
loro, ma diversificate e assimilate ai contesti sociali di ben 42 diversi
Paesi all'interno dei quali, politiche di accomodamento e di cambiamento
accumulatesi nel corso dei secoli, costituiscono una ulteriore
frantumazione ideologica e religiosa di cui in occidente abbiamo appena
una pallida idea. Anche il cristianesimo ha la sua frantumazione. Basti
pensare al gran numero delle teologie protestanti, ai cristiani orientali e
alle posizioni diversificate all'interno dello stesso cattolicesimo
ortodosso. I protestanti, ad esempio, non riconoscono il potere temporale
e divino del Papa. Ma qui, nonostante ciò, il cristianesimo ha retto nella
sua convergenza concettuale, forse perché per ciascuna teologia esiste una
corrispondente classe sacerdotale rigorosamente attestata sui precetti
delle rispettive gerarchie, una classe che l'Islam non ha nel senso
gerarchico del termine, per cui la tradizione è tutta affidata ai poteri
tribali degli ayatollah che detengono anche quello politico, e che leggono
il Corano secondo concezioni personali e non unificate (e unificabili)
attraverso un vertice comune e sovrano.
Già questo, rispetto all'occidente, è una stortura giuridica. Nelle società
moderne a carattere democratico ci sono un presidente unico rappresentativo
della sovranità popolare e un parlamento eletto dal popolo (uomini e
donne). Nelle istituzioni religiose questo non avviene perché il popolo dei
fedeli non è neppure consultato nelle cose banali. Ma c'è di peggio.
Nell'istituzione cattolica, ad esempio, il pontefice è eletto
esclusivamente dai cardinali e lo stesso corpo ecclesiastico non viene
consultato. Ciò è tipico delle società teocratiche che eleggono
l'antidemocraticità a sistema gerarchico, per cui l'investitura è solo
dall'alto (Dio) attraverso il ristretto gruppo della gerarchia superiore.
E' questo l'aspetto deleterio del concetto di "gerarchia" che avvilisce la
libertà degli stessi fedeli finanche nei suoi aspetti più intimi e
personali, determinandosi una dittatura della gerarchia concettualmente
assai simile (ma di segno opposto) alla dittatura del proletariato di
marxiana memoria.
Intendiamoci, la negatività non è nella esistenza di una gerarchia
politico-religiosa, peraltro necessaria per il controllo e lo sviluppo
sociale, quanto nella antidemocraticità di una tale rappresentatività che,
escludendo la partecipazione della base, instaura, di fatto, una vera
dittatura.
Nell'islam questo tipo di impostazione dittatoriale è a sua volta suddivisa
tra un esteso numero di ayatollah, per cui ci sono altrettanti poteri che
si autogenerano per tradizione familiare.
La lettura dell'islamismo diventa dunque difficilissima così come
del tutto utopico, nel presente momento storico, è la possibilità di aver
un interlocutore unico riconosciuto da tutti i governi e cittadini arabi.
Ad un ipotetico tavolo di discussione o di conciliazione o di confronto
serio, con quale corrente di pensiero dovremmo confrontarci sia che si
tratti di problemi politici che di quelli religiosi? Chi avrebbe il carisma
e l'autorità di poter parlare a nome di tutti gli islamici? Da qui la
realtà di più islam e il problema, molto serio, di un capo unificato che
tutti li comprenda.
Nella sola Italia, ad esempio, vivono 1 milione di musulmani di
cui circa 50.000 sono di cittadinanza italiana (10.000 sono ex cristiani
convertiti), ma per motivi di cui sopra questa entità di musulmani presente
sul nostro territorio è religiosamente e politicamente diversificata. La
suddivisione, emersa nell'ultimo Convegno del 2003 sul tema "L'Islam e
l'Italia", vede contrapposizioni tra almeno sei variegate tipologie: un
islam laico che non frequenta le moschee, un islam ecumenico che crede
nella capacità salvifica delle tre religioni monoteiste rivelate
(islamismo, cristianesimo e ebraismo), un islam apolitico, un islam
ortodosso (che rispetta il culto e cerca solidarietà fra tutti i musulmani
), un islam integralista (che crede nella fusione della politica con la
religione) e l'islam rivoluzionario (che crede nella guerra santa contro
gli infedeli e contro l'occidente).
Alle cifre precedenti bisogna poi aggiungere i circa 85.000
islamici irregolari che tuttavia pur vivono nel nostro paese. Da tutto ciò
si ricava che anche in Italia manca un interlocutore unico col quale
sedersi, in modo serio e autorevole, ad un tavolo di discussione.
Ciò che colpisce, però, é l'impossibilità di un confronto su
materie teologiche, cioè sulle vere ragioni della contrapposizione. Se i
cattolici, gli islamici e gli ebrei dovessero sedere allo stesso tavolo, di
cosa dovrebbero parlare? Il terrorismo ideologico, infatti, non nasce tanto
dalla politica come dialettica sociologica e civile, ma soprattutto dai
radicalismi teologici ed economici, addirittura i primi più che i secondi.
Il tabù in materia di fede è del tutto indiscutibile sia da parte delle
correnti religiose occidentali che di quelle islamiche ed è quello il nodo
dell'intera politica dell'odio. L'integralismo islamico che tanto
atterrisce gli occidentali fa dimenticare , ad esempio, il pericolosissimo
integralismo cristiano puritano attualmente al potere che ha aperto fronti
di guerra in molte parti del mondo e non solo in Irak.
Il nome di Dio è invocato sia in Islam che in occidente e ciascuno
adopera le stesse folli frasi che si tratta di una lotta del Bene contro il
Male. Giorge Bush ha più volte ripetuto di essere guidato da Cristo; Bin
Laden dice che Allah lo porterà alla vittoria contro gli infedeli. Abbiamo
un Dio che guida gli americani e un Dio che guida gli islamici. La visione
mistica di Dio padre di tutti e di tutto annega dunque miseramente nella
umana degradazione della follia totale e del buon senso perduto.
E' dunque una guerra tra fondamentalismi, i cui ingredienti si
mescolano con le infauste leggi del potere e dell'economia e, ovviamente,
con gli interessi irriducibili che ne conseguono. Le parole della pace, in
questo retroterra sub-culturale, suonano più che false. La pace non è una
parola da predicare, ma un significato dell'agire. Qualsiasi pace comprende
una serie di atti impliciti nel senso stesso dell'etica che l'accompagna.
La pace si raggiunge eliminando le gravi fratture fra i ceti sociali
promuovendo la cultura e la consapevolezza, con la politica dei diritti e
dell'eguaglianza, con la creazione di lavoro e di secolarizzazione per
tutti, con i principi liberali della tolleranza e della libertà. Al di
fuori di questo "agire" il termine pace è addirittura una insolenza gettata
sulla faccia di quella parte del mondo che in questo"agire" non viene
coinvolto.
Come può stare in pace un povero cristo che guadagna due dollari al giorno
con il suo vicino che ne guadagna duecento, cinquecento, mille? Chi glielo
dice al povero cristo che, nonostante le disparità, gli uomini sono tutti
fratelli? In che modo dovremmo convincerlo? L'ideologia del radicalismo
fondamentalista è strisciante, silenziosa, si maschera nell'informazione
che ci mostra solo l'efferratezza del "nemico"e i buoni propositi
dell'amico. Ma nessuno dice che è proprio l'illiberale e antisociale
principio del fondamentalismo a fondare il seme della violenza e dell'odio.
Un qualsiasi popolo se realizza la giustizia sociale, se cresce nella
cultura e nel lavoro, è assai meno propenso ad odiare il vicino di casa o
altri popoli di quanto invece lo sia se considera il vicino un infedele o
un demone solo perché appartiene ad un'altra religione. E' il legame tra
Dio e potere mondano che massacra la giustizia e la libertà dei popoli,
proprio perché un potere mondano non si può costituire senza il potere
economico e l'economia, come tutti sanno, non guarda in faccia a nessuno
perché segue leggi senza etica.
Sono dunque le religioni radicate nell'economia le radici
dell'odio che ogni volta si confrontano anteponendo le false maschere
delle proprie ideologie come se veramente provenissero da Dio. I cristiani
hanno sempre odiato gli ebrei perché per secoli ci hanno detto che sono
stati loro a condannare a morte Gesù. Gli ebrei a loro volta dicono che
Gesù è un falso Dio, è solo un profeta, perché l'unica vera legge è quella
di Mosè. Gli islamici ritengono Maometto l'ultima voce di Dio per cui il
loro profeta è superiore a Gesù e allo stesso Mosè.
Queste visioni allucinate e indimostrabili di un Dio che, tra
l'altro, non ha mai confermato in prima persona le varie ciarle teologiche,
si scontrano con un processo storico che in occidente è culminato
nell'Illuminismo che ha fatto piazza pulita di tutte le superstizioni
perseguendo il modello della ragione e non di una fede salvifica
indimostrabile.
A un tavolo di discussione l'irriducibilità dei convenuti, tutti
attestabili su posizioni del tutto astratte e inverificabili, renderebbe
del tutto inutile ogni tentativo di dialogo perché nessuno intenderà mai
mettere in discussione il proprio primato di verità. Si discute, infatti,
del velo, del crocefisso, del burqa o di altri aspetti secondari, si
discute debolmente anche di cose importanti come i diritti umani e di
parità, ma nessuno affronta il vero nodo del problema, nessuno rimette in
discussione principi che, essendo diventati radicali e dogmatici, sono per
loro natura tabù per cui hanno la forza di scatenare l'odio che, come tutti
sanno, è esattamente il contrario della ragione dialettica la quale, per
sua natura, è antidogmatica e laica perché reclama la fondazione del
soggetto intorno alla sua libera natura di mente e di anima.
In questo nodo di vipere che si trastullano con infinite teologie
che mostrano la raggelante iperbole dell'errore umano per il quale la
verità è una soltanto e solo uno la detiene (ma se tre teologie si
scontrano sui principi è più che evidente che almeno due, se non tutte e
tre, sono sbagliate!), l'unico che non parla è proprio Dio. E viene
spontaneo chiedersi perché mai, pur affermando tutte le teologie che Dio è
comunque unico per tutti, Egli accetta che di lui si possa parlare in modo
così frammentario e contrastante senza sentire la necessità, se non
l'obbligo morale, di pronunciarsi definitivamente in modo proprio
autonomo e tale da non lasciar dubbi sulla sua origine, al fine di mettere
a tacere ogni diaspora e ogni incertezza teologica.
Come può Dio accettare e in nome di quale etica, che milioni di
persone possano morire o uccidere in suo nome contrabbandando verità che
non esistono perché Lui, proprio Lui tace e consente alle teologie di
presentarsi come vere producendo, in tal modo, solo distorsioni teoriche,
dolore e violenza? Non sorge il dubbio o che Dio non esiste affatto o che
di Lui non abbiamo capito proprio nulla?
In realtà ci troviamo tragicamente di fronte ad una situazione paradossale.
Di far dipendere, cioè, le ragioni del mondo da fondamentalismi teologici
per loro natura indimostrati ed indimostrabili sui quali si innestano
ingiustizie e interessi in cui il potere economico si auto-giustifica,
attribuendo alla volontà di Dio quelle che sono, invece, volontà solo
umane. Si è venuta così a creare una teologia finanziaria di natura
concreta il cui dio è la potenza del denaro e della forza simile alla
teologia benefica del dio trascendentale. Entrambi prosperano
sull'ignoranza, sul frazionamento ideologico, sull'incapacità culturale di
utilizzare la razionalità soggettiva, sull'impossibilità di
auto-realizzazione del singolo, sulla debolezza umana di non sapersi
affidare a se stesso e di farsi mediare dalle religioni e dalla bassa
politica. Alla fine può darsi benissimo che, essendosi la coscienza
geneticamente modificata nel corso dei secoli, Dio esista ma veramente non
possa più parlare agli uomini. Infatti a quale coscienza ed a quale forza
inconscia potrebbe parlare se l'essere umano, ormai distruttivamente
condizionato sia in senso cognitivo che culturale, riconosce se stesso non
attraverso l'uso della ragione pura, ma solo per mezzo di una ragione che è
stata costruita e deformata dagli ayatollah, dai concili vaticani, dalle
tradizioni ebraiche, dagli agenti della C.I.A., dalle concentrazioni
capitalistiche, dalle false notizie spacciate dai mass-media, dai servi che
si prestano, per piatti di lenticchie e piccoli poteri a perpetuare e
diffondere i nuovi vangeli dei padroni della terra? Siamo diventati del
tutto incapaci di meditazione, di sacralità mistica, di immergerci nel
mentale silenzio interiore, di uscire dai condizionamenti, per cui se Dio
veramente volesse parlarci troverebbe sul suo cammino solo paletti e
difese, solo deformazioni e pregiudizi religiosi o solo l'assenza di ogni
traccia spirituale, di ogni vero abbandono. Non c'è più simmetria tra
l'uomo e il divino, non il divino mediato dalle religioni, ma quello che
si crea nella propria interiorità. Per cui, capovolgendo un commento di
Meister Eckhart, credo sia giusto dire che "l'occhio con cui noi vediamo
Dio non è lo stesso occhio con cui Dio vede noi." E' questa l'asimmetria
che probabilmente impedisce ogni comunicazione tra il sacro e il profano e
ne determina, anzi, la promiscuità e il dualismo di ogni possibilità di
levare il nostro discorso al di sopra delle parole convenzionali.
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