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LETTERE DAL CARCERE
- Subject: LETTERE DAL CARCERE
- From: "Luigi De Paoli" <luigi.depaoli@libero.it>
- Date: Fri, 30 Apr 2004 22:56:22 +0200
Carissime/i, vi allego una preziosa informazione (tratta da Jesus, aprile
2004) relativa alle lotte che alcuni/e statunitensi/e hanno ingaggiato
contro istituzioni del loro paese. Finché ci sono persone così al mondo,
possiamo ragionevolmente sperare. Pace e bene, Gigi
___________________________________________
Suor Kathy Long
LETTERE DAL CARCERE
di Mauro Castagnaro
Domenicana e pacifista, ha preso parte a una protesta nonviolenta contro la
"Scuola degli assassini" dell'esercito Usa. L'irruzione nella zona "off
limits" di Fort Benning le è costata tre mesi di reclusione: una
testimonianza evangelica, anche dietro le sbarre della prigione.
«Sono stata accusata di un reato penale, ma non mi sento una criminale e mi
dichiaro non colpevole. Le mie azioni, basate sulla fede, sono state
nonviolente e derivano da una lunga tradizione domenicana di predicazione
della verità, in difesa di coloro che vengono colonizzati e dominati con
durezza da poteri stranieri. Io non ho nulla da nascondere, ma so che c'è
molto di celato tra le attività della Soa, questa famosa scuola di
assassini. Il Dipartimento della difesa, il Pentagono e il Governo degli
Stati Uniti hanno nascosto la verità per anni. Il mio oltrepassare quella
linea sulla proprietà di Fort Benning è spirituale, una teologia pratica di
resistenza nonviolenta per salvare delle vite da coloro che vengono
addestrati in questo istituto di guerra. Cammino sulle orme di Gesù Cristo,
che ci sfida a essere portatori di pace, ci chiede di abbracciare la croce
e cercare la verità».
Così cominciava, il 28 gennaio 2003, l 'autodifesa di suor Kathleen Long,
religiosa della Congregazione domenicana del Santissimo Rosario di
Sinsinawa, condannata a scontare tre mesi di carcere nella prigione
federale di Pekin, nell'Illinois, per essere penetrata, con altre 95
persone, tra cui 7 suore, anch'esse tutte arrestate, nel perimetro
dell'Istituto dell'emisfero occidentale per la cooperazione alla sicurezza
(Whisc), già Scuola delle Americhe (Soa) dell'esercito degli Stati Uniti.
Da questo centro di addestramento sono usciti molti dittatori
latinoamericani, dagli argentini Leopoldo Galtieri e Roberto Viola al
boliviano Hugo Banzer, dal panamense Manuel Noriega all'haitiano Raoul
Cedras, dal paraguayano Alfredo Stroessner al guatemalteco Efrain Rios
Montt e centinaia di ufficiali regolarmente coinvolti nelle peggiori
violazioni dei diritti umani registratesi nel subcontinente, come la strage
dei 6 gesuiti dell'Università centroamericana (Uca) di San Salvador,
ammazzati nel 1989 insieme a due donne di servizio dai soldati del
Battaglione Atlacatl, una "unità d'elite" specializzata nella lotta
antiguerriglia già protagonista, otto anni prima, del massacro di El
Mozote, in cui furono trucidati quasi mille contadini.
Suor Long è un'attivista dell'Osservatorio della Scuola delle Americhe (Soa
Watch), fondato da padre Roy Bourgeois, ex veterano del Vietnam e oggi
religioso di Maryknoll, che dal 1990 ogni anno, in occasione dell della
strage della Uca, organizza proteste davanti al Whisc reclamandone la
chiusura. D'altro canto, religiose e religiosi delle maggiori congregazioni
sono sempre più in prima fila in quell'"altra America" pacifista, che si
oppone alla politica imperiale e alla guerra preventiva del presidente
Bush.
E non solo a parole.
Suore e frati organizzano marce e sit-in, veglie di preghiera e digiuni,
promuovono il boicottaggio delle imprese del complesso militare industriale
e premono sul Congresso, violano le installazioni dell'esercito e
dell'aviazione. Praticano con rigore la resistenza nonviolenta, si tratti
di mettere fuori uso un missile Trident, rifiutarsi di pagare le tasse
destinate alle spese belliche o superare la zona off limits della base
navale di Vieques, sull'isola di Portorico. E ne accettano le conseguenze.
Qui una fede senza compromessi si sposa con la cultura anglosassone della
disobbedienza civile e con quel femminismo che invita ad agire «in prima
persona» e «a partire dal proprio corpo». Così suor Long si è trovata a
festeggiare il 25° anniversario dei propri voti dietro le sbarre.
Durante la detenzione le è stato permesso di scrivere solo una lettera la
settimana, ma questi testi testimoniano una serena e lucida radicalità
evangelica. In esse si intrecciano un forte afflato spirituale e una solida
coscienza politica, tenute assieme da una sensibilità spiccatamente
femminile che sa indignarsi davanti alle ingiustizie e mostrare compassione
verso chi le subisce, siano le vittime della repressione militare in
Centroamerica o le compagne di prigione.
L'esperienza del carcere è per suor Kathy una tappa in un «viaggio di fede
e resistenza» iniziato nel 1992, quando, con un gruppo di consorelle,
assunse l'impegno di «resistere alle attuali manifestazioni di ingiustizia
agendo nella fede, attraverso la preghiera, lo studio e la conversione
personale. In collaborazione con altri ci impegneremo in azioni di
resistenza nonviolenta. La nostra resistenza, fondata sulla fede, ci
consentirà di cercare, creativamente, soluzioni alternative per dare vita a
relazioni e strutture nuove». Perciò «la mia detenzione è una presa di
posizione religiosa e basata sulla fede contro l'impero americano che si
espande nel mondo. Quando rifletto sulle Scritture lette in questa Pasqua,
sento la conferma di questo. Sono alla ricerca di una direzione e della
saggezza di Dio. Il mio tempo di servizio qui è una pubblica dimostrazione
della forza trovata in un Dio misericordioso. Non posso interpretare quanto
dice Gesù nel Vangelo di Giovanni "la pace sia con voi" come la necessità
di costruire un mondo col potere delle armi di distruzione di massa
detenuto dagli Stati Uniti».
L'impegno antimilitarista è prima di tutto una scelta etica cristiana: «La
mia fedeltà è a Cristo, non al Governo americano. Come Oscar Romero ha
predicato, "niente è più importante della vita umana". Né oleodotti
petroliferi né imperi militari e poteri politici. Come Chiesa - popolo di
Cristo - noi accogliamo la vita umana come dono e benedizione del Signore».
A ciò segue una critica della politica estera statunitense dal punto di
vista degli esclusi: «Ho oltrepassato il perimetro a Fort Benning nel
tentativo di attirare l'attenzione sulla Soa e indurre il nostro Governo a
chiudere questa scuola di tortura e repressione. Sono stata arrestata
perché coinvolta in attività politiche. Ma, come dice, monsignor Romero,
"il sangue dei poveri va oltre ogni politica". Io ho manifestato il mio
dissenso con la nonviolenza perché sono venuta a sapere delle vittime.
Accetto tre mesi di prigione per onorarle. Questa è la teologia della
resistenza che abbraccio. Sono sicura che la violenza in Colombia potrebbe
fermarsi se gli Stati Uniti cambiassero la loro politica estera. Il denaro
inviato in Colombia non serve a sradicare la droga, ma sta uccidendo
vittime innocenti. Attivisti, responsabili di associazioni, religiosi sono
presi di mira perché promuovono il rispetto dei diritti umani. E il
Whisc-Soa continua ad addestrare i soldati colombiani e i loro capi. I
contadini sono bersagliati come i loro raccolti, gli animali e le fattorie
dalle fumigazioni aeree che servono, si dice, per distruggere le
piantagioni di coca, ma si estendono ben oltre queste. Il Governo americano
continua a finanziare il Plan Colombia, ignorando i ben noti abusi dei
diritti umani dell'esercito colombiano. C'è il petrolio in Colombia, non
solo in Iraq!».
Lotta e contemplazione vanno di pari passo: «Un'azione di resistenza
nonviolenta è basata sull'accettazione delle conseguenze. La nonviolenza
attiva mi ha portato a dissentire dal militarismo della politica estera
degli Usa in America latina. Sono contro l'addestramento militare del
personale alle tecniche di guerra di bassa intensità. In questa Pasqua ho
riletto gli Atti degli Apostoli, raccogliendo la sfida di abbracciare il
Gesù risorto e il messaggio evangelico dell'amore, della verità, della
compassione e della giustizia. Il Gesù che seguo mi ha portato a rompere il
silenzio sull'addestramento dei militari americani al Whisc-Soa. La mia
condanna è segno di un uso oltraggioso del sistema penale. Questo periodo
di carcere mi permetterà di denunciare con forza la violenza impartita
dentro i cancelli di Fort Bennig. Il silenzio è stato rotto dagli arresti.
Le sentenze sembrano essere un modo per farci stare zitti e spaventarci. Ma
noi non abbandoneremo la lotta finché la "Scuola degli assassini" non sarà
chiusa». E d'altra parte, «stare nella prigione di Pekin è la volontà del
Signore per me in questo momento. Questi tre mesi sono una vera esperienza
di contemplazione. Qui vedo più chiaramente il mio servizio come un e un
dono agli altri dei frutti di questa contemplazione».
In prigione suor Long sperimenta, con stupore, impotenza e dipendenza, ma
riesce a ritrovare libertà interiore: «Non ho nessun potere per adattare o
cambiare le regole che determinano la mia quotidianità. La punizione è la
minaccia per la loro violazione. Mi rendo conto sempre più chiaramente dei
limiti nei quali vivo. Tuttavia mi sento libera nello spirito. Posso
scegliere ogni minuto come stare qui, come vivere, come accettare me
stessa, come rapportarmi con gli altri. Io ho scelto la nonviolenza come
stile di vita. Ciò si è espresso nell'apertura a tutte le nuove persone che
sono entrate nella mia vita. Ci sono 276 donne e 30-40 guardie e impiegati.
Nessuno qui è "nemico". Il nemico che affronto è la violenza sistematica
perpetrata dalla "Scuola degli assassini", l'eccessivo militarismo della
politica estera degli Usa, che abusa degli esseri umani nel mondo, in
particolare in America latina. Tutto ciò va contro il Gesù nonviolento di
cui celebro la Pasqua».
C'è poi la riflessione, in cui si sente l'eco del pensiero femminista, sul
proprio ruolo e sulla solidarietà tra donne: «Oggi, durante una preghiera,
ho condiviso la mia vulnerabilità, perché lavorando tanti anni in
parrocchia durante la Settimana Santa mi sono sempre sentita in una
posizione di autorità e di potere. Ora non lo sono: sono una che riceve.
Qui comanda il sistema carcerario, anche se sono le detenute che in questi
primi giorni mi stanno aiutando a orientarmi. Dipendo da loro per tutto.
Sono così care e generose con me. Sono immersa in una comunità di donne che
cercano la giustizia e il cambiamento nelle loro vite, lottano perché
separate dai loro figli, combattono economicamente nella nostra società.
Vivendo in mezzo a questo sistema oppressivo vedo donne incoraggiarsi a
vicenda e cooperare affinché esso non uccida il loro potere personale.
Parlare, condividere emozioni, ridere, cantare, giocare a carte o a
softball sono tutte strategie per praticare la nonviolenza. Intorno è tutta
una preghiera! Dio è in mezzo a noi!».
La stessa spiritualità è vissuta al femminile: «Mi sento circondata dallo
Spirito del Signore da quando sono qui. L'amore delicato di Sophia mi
sostiene e mi guida in questa esperienza unica di ministero. In questa
Pentecoste io sento lo Spirito di Dio, la saggezza di Sophia che mi chiama».
Progressivamente cresce anche la critica degli aspetti vessatori
dell'apparato carcerario: «Qui a Pekin i tentativi di intimidazione
continuano. Il sistema penale è un controllo militaresco delle persone.
Questa prigione federale è piena di donne accusate di crimini nonviolenti.
Le pressioni psicologiche sono nella norma. Il controllo e la manipolazione
sembrano far parte del manuale di addestramento degli impiegati. Ma io lo
accetto. Io sono qui perché un mondo di giustizia e speranza possa essere
costruito».
Più avanti la denuncia si fa più circostanziata: «A Pekin la vita è
opprimente per tutte le donne detenute. Essere qui è una forma di
punizione. Al di là della sentenza, ogni giorno lo staff della prigione
cerca tutti i modi per irritarci, dominare e opprimerci. Le inutili regole
e i regolamenti vengono cambiati secondo il capriccio dei responsabili.
Nulla è mai logico o utile. Il sistema di questa prigione è un modello
militaristico e non di ristabilimento della giustizia. L'assistenza
sanitaria è pessima. Il benessere e la salute delle prigioniere non sono
importanti. Una donna ha avuto due piccoli attacchi di cuore per aver
ricevuto dai medici una dose eccessiva di insulina. L'organizzazione medica
è un altro aspetto di questo ambiente oppressivo».
Qualche settimana dopo suor Kathy racconta: «Alcune donne sono arrivate qui
da altre prigioni, con capi di vestiario acquistati altrove. Ora a Pekin le
autorità dicono che possiamo indossare solo abiti venduti qui. Così è stato
detto loro di comprarne di nuovi e spedire a casa quelli delle altre
carceri. Questa istituzione pretende conformismo, uniformità, anche se
l'Ufficio dei prigionieri vende diversi tipi di abbigliamento per i
detenuti ed essi sprecano i soldi perché sono obbligati a comprarli».
Alla vigilia della fine della pena conclude: «Da quando sono qui, ho visto
le maggiori ingiustizie proprio nel sistema. La scorsa settimana sei donne
sono state punite per un problema legato a ciò che devono pagare. Per la
maggior parte di loro nella sentenza è prevista una multa, le cui rate
vengono detratte ogni mese dall'Ufficio dei prigionieri direttamente dal
loro conto. Questa volta un impiegato ha spostato per via telematica la
cifra dal fondo delle detenute a quello della prigione, ma per una
differenza di orario tra il pagamento e il deposito i soldi non erano
disponibili in quel momento e il computer ha rifiutato l'operazione. Così
le sei donne sono state spostate dai loro letti nella stanza comune e si
vedranno tagliate le paghe per 30 giorni. A una delle donne mancava solo un
centesimo! E dovrebbe andare via tra sei giorni! Qui a Pekin niente ha una
logica. Molte di noi hanno offerto quel centesimo, ma non ci è stato
permesso di darlo».
A volte la realtà esterna fa drammaticamente breccia nelle mura della
prigione: «Abbiamo appena appreso che il nipote di una detenuta è stato
ucciso a Baghdad. Era un militare. Che tragedia». E tuttavia non manca lo
spazio per qualche considerazione divertita: «Sono una delle poche detenute
a non avere un tatuaggio!».
Suor Long ha potuto contare, durante la detenzione, sul forte sostegno
della Congregazione. Il maestro dell'Ordine dei domenicani, padre Carlos
Azpiroz, scrive, riferendosi anche ad Ardette Platte, Carol Gilbert e
Jackie Hudson, le tre consorelle condannate a pene comprese tra 30 e 41
mesi di carcere per essere penetrate nel perimetro della base militare di
Greely, in Colorado, dove sono custoditi i missili Minuteman a testata
nucleare, e aver inscenato un "sabotaggio" cercando di "disabilitare" un
ordigno con piccoli martelli: «Le vostre azioni simboliche e le vostre
posizioni per un mondo senza guerre sono state per me una splendida messa
in pratica del messaggio cristiano. Come Gesù vi siete dimostrate
disponibili a soffrire affinché l'azione profetica e un mondo nuovo possano
realizzarsi.
A nome dell'Ordine ti ringrazio per la tua poderosa predicazione».
Arresti e processi non hanno comunque fermato la lotta. Nel novembre scorso
oltre 10 mila persone, tra cui diverse centinaia di gesuiti, religiosi di
altre congregazioni ed esponenti di diverse confessioni cristiane, hanno
dato vita alla più grande manifestazione davanti alla Soa, chiedendo pure
il ritiro delle truppe statunitensi dall'Iraq. Anche questa volta una
cinquantina di presenti hanno realizzato un'azione di disobbedienza civile,
violando il perimetro dell'installazione, sono stati arrestati e condannati
a diversi mesi di carcere, che stanno ancora scontando. Tra essi ci sono un
pastore presbiteriano e cinque religiosi cattolici, tra cui padre José
Mulligan, gesuita impegnato con le comunità ecclesiali di base in Nicaragua
e nel far luce sulla morte di padre James "Guadalupe" Carney, che - ironia
della sorte! - era stato addestrato nella Soa prima della II Guerra
mondiale e che nel 1983 fu torturato e fatto scomparire, dopo essersi unito
a un gruppo di guerriglieri locali, da militari honduregni usciti dallo
stesso centro di formazione.
Mauro Castagnaro
(ha collaborato Laura Ferrari
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