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armare la popolazione ?



Cari amici,
                  in questo momento oscuro mi pare urgente riproporvi il
seguente articolo comparso esattamente due anni fa sul nostro bollettino
(in occasione di una scellarata proposta di liberalizzare l'uso delle armi
da fuoco, allora rientrata).

Magarti fatelo girare un po'.

Cordiali saluti
Giuseppe Lodoli

UNA SOLUZIONE ALL'AMERICANA: ARMATE LA POPOLAZIONE! 

Assai pericolosa in Italia si potrebbe rivelare l'idea avanzata a fine
aprile di scoraggiare i crimini violenti dotando un gran numero di
cittadini di armi di difesa personale. Purtroppo non ci troviamo di fronte
alla richiesta estemporanea di una persona qualunque esasperata da una
disavventura personale, ma ad una proposta avanzata da uomini di governo! 
   Può sembrare una mossa lapalissiana per diminuire il senso di
insicurezza della popolazione spaventata dai crimini, consentire a tutti di
armarsi. Tuttavia occorre osservare in primo luogo che il senso di
insicurezza dipende da molti fattori e non soltanto del tasso di
criminalità. Più dei dati oggettivi sulla criminalità, può generare forti
emozioni nel pubblico il modo in cui i crimini vengono riportati dai media.
   Le stesse promesse fatte dei politici (da Rutelli a Berlusconi) di
garantire "città più sicure", suonando come una conferma dell'esistenza di
un elevato pericolo criminale, aumentano il senso di insicurezza. Anche il
maggior grado di benessere della classe media produce ansia per la
possibile perdita dei beni posseduti.
   Se agire sul sistema sociale con azioni che tendano a diminuire per
quanto possibile la probabilità dei reati è un dovere dei governanti,
perniciosa si può rivelare la doppia strategia che da una parte rafforza il
senso di insicurezza e dall'altra conquista il favore del pubblico con
l'emanazione di norme repressive e violente nei riguardi della criminalità. 
   Ci inorridisce che uomini di governo si rapportino ai problemi di
pubblica sicurezza in termini sempre più emotivi anziché razionali, per
esempio con l'imbarbarimento del codice penale minorile, con l'occhio ai
sondaggi di opinione più che ai dati relativi alla criminalità. 
   Dobbiamo opporci finché siamo in tempo allo scivolamento verso una
risposta sempre più ottusa e violenta della società italiana nei riguardi
del crimine, una società peraltro sempre meno disposta ad approfondire e
contrastare le cause reali della devianza.
   Già da una prima riflessione emergono con evidenza le cause sociali che
influiscono sul tasso reale di criminalità: i delinquenti appartengono in
gran parte alle fasce di popolazione emarginata in una società sempre più
competitiva e orientata al "successo". Una condizione effettiva di
emarginazione - ma anche la percezione soggettiva di una sconfitta nella
corsa al successo - è la molla principale che spinge settori delle giovani
generazioni dei paesi ad economia liberista verso la delinquenza.   
   Senza allargare troppo il discorso, per valutare l'impatto che può avere
una risposta emotiva e demagogica alla delinquenza e la larga diffusione
delle piccole armi da fuoco, possiamo riflettere su alcuni dati che
riguardano gli Stati Uniti d'America.
   Non tutti sanno che gli Stati Uniti avevano in pratica abolito la pena
di morte tra gli anni sessanta e settanta e che nei decenni successivi la
ripresa esponenziale delle esecuzioni capitali è avvenuta di pari passo con
l'elezione alle cariche politiche, amministrative e giudiziarie di
personaggi che in campagna elettorale fomentavano il senso di insicurezza
della gente promettendo risposte sempre più dure al crimine, a cominciare
dalle esecuzioni capitali. L'elevato "rendimento elettorale" della pena di
morte indusse anche i democratici, dopo la sconfitta dell'abolizionista
Dukakis, a cominciare da Clinton, a imitare i repubblicani rinunciando alla
loro consolidata opposizione al patibolo.
   E' nota la grande diffusione delle armi personali negli Stati Uniti,
dalle pistole ai fucili mitragliatori da guerra: vi è quasi un'arma
personale per ogni cittadino, uomo o donna, lattanti compresi. Si tratta di
armi cariche che finiscono con lo sparare, ferire od uccidere. In confronto
con le centinaia di omicidi che avvengono annualmente in Italia, vi sono
quindicimila omicidi l'anno negli USA (e negli anni scorsi si è arrivati ad
oltre ventiduemila). Si uccide con grande leggerezza: giovanissimi sparano
a sangue freddo per impossessarsi di un'automobile, di un portafogli o di
un po' di droga. Coloro che entrano negli appartamenti per rubare sono
armati e non esitano a far fuoco non solo ad un minimo cenno di resistenza
degli occupanti ma anche in modo preventivo. Come non vedere nel disprezzo
per la vita umana mostrato dai piccoli delinquenti il riflesso dei
sentimenti di una popolazione violenta e armata? Il ricco che spara e
uccide "per legittima difesa" se la passa senza nessuna conseguenza, ma
molto spesso spara per primo il poveraccio, il piccolo delinquente che sa
di rischiare comunque la vita. 
   Pur essendoci negli Stati Uniti un numero di reati contro la proprietà
non superiore al dato europeo, lì sono molto più frequenti le rapine. Il
tasso di omicidi è addirittura dieci volte maggiore. Rispetto agli altri
paesi occidentali, negli USA le armi da fuoco sono molto più usate dai
criminali. Ad esempio negli Stati Uniti queste ultime vengono impiegate nel
41% delle rapine e nel 68% degli omicidi, in Inghilterra le corrispondenti
percentuali sono del 5% e del 7%.
   E' evidente che in Italia una maggiore diffusione delle armi da fuoco
farebbe fare un "salto di qualità" ai criminali comuni, quelli che
attualmente attentano soltanto ai beni del prossimo e che non si
sognerebbero di uccidere. Non ne guadagnerebbe la nostra sicurezza e la
nostra civiltà ma soltanto i fabbricanti e i mercanti di armi. Quale
sarebbe il passo successivo? Forse adottare la pena di morte per adulti e
minorenni come avviene negli USA? Forse costruire nuove prigioni per tenere
'dentro' un numero sempre più alto di detenuti?
   Negli Stati Uniti una diminuzione del (sempre elevatissimo) tasso di
criminalità si è potuto ottenere negli ultimi anni costruendo velocemente
enormi prigioni e incarcerando un'elevata percentuale della popolazione
(costituita soprattutto da neri ed ispanici). A partire dai 380 mila
detenuti degli anni settanta si è superata nel 2000 la soglia dei due
milioni di detenuti (senza contare i minorenni imprigionati) che possiamo
confrontare con i 56 mila detenuti italiani. Se si aggiungono coloro che
sono fuori sulla parola o sotto sorveglianza arriviamo a quasi sei milioni
di cittadini in regime penale su 275 milioni di persone. 
   Il problema delle carceri americane è arrivato ad un punto critico. Ogni
detenuto costa in media 20 mila dollari l'anno. Le prigioni costano troppo
(molto più di quanto sarebbero costati interventi nel sociale diretti alla
prevenzione del crimine). Alcuni stati spendono di più per incarcerare i
giovani che per la loro istruzione nei college. Il Washington Post si
domanda con grande preoccupazione che cosa succederà quando verranno
liberati gli attuali detenuti, esacerbati da condizioni di detenzione
durissime e formati alla scuola del crimine dai peggiori compagni di
prigionia. 
   Si sarebbe in tempo per prevenire una nuova crescita degli omicidi con
una limitazione del possesso delle armi da fuoco? Alcuni saggi ma timidi
tentativi di ridurre la circolazione delle armi personali sono stati fatti
recentemente specie sotto l'amministrazione Clinton, tutti stroncati sul
nascere dalla lobby delle aziende armiere che non hanno avuto pudore nel
tratteggiare positivamente lo stereotipo storico del cittadino americano
armato. Simili iniziative non verranno ripetute dall'amministrazione Bush.
Anche se qualcuno ci provasse si troverebbe davanti ad enormi difficoltà:
tanto è facile armare così è difficile disarmare.