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R: Risposta a Gianni Riotta in "ALTRO CHE MERCENARI"
In tempi tristi e vergognosi di guerra imperante un giornalista che in qualche momento abbiamo creduto più libero si adegua all'ammirazione della guerra, fino al punto da chiamare coraggio l'impegno nella ingiustificabilissima e criminalissima seconda guerra mondiale nazifascista - infatti, non è virtù il "coraggio" speso in un'azione ingiusta (dovemmo già scriverlo a Ciampi celebrante a El Alamein) ma, nel migliore dei casi, ignoranza ingannata, come ha testimoniato Nuto Revelli, altrimenti sarebbe coraggio anche quello di un rapinatore - e fino al punto di attribuire a nonviolenti il pensiero impossibile che si possa estrarre pace dalla guerra, cioè risultati giusti da mezzi ingiusti, come voler dipingere di bianco un muro usando vernice nera. Su questo punto essenziale, cuore di ogni politica decentemente umana, copio qui un mio breve modesto appunto.
Politica - "Il problema dei fini e dei mezzi è uno dei problemi fondamentali, potremmo dire il problema fondamentale della filosofia politica. (.) I mezzi devono essere proporzionati e appropriati al fine, poiché sono le vie verso il fine e in certo modo il fine stesso in divenire" (Jacques Maritain, L'uomo e lo Stato, Marietti 2003, pp. 54-55). Questo punto è il cuore della nonviolenza attiva, nel pensiero e nell'azione di Gandhi, al vertice dei frutti positivi del Novecento, secolo ambiguo, di sangue e di umanità. È molto importante che questa riflessione ritorni oggi, nei movimenti alternativi, ma anche nelle sedi politiche più attente ai nuovi diritti, bisogni e doveri, per reagire nel profondo al bellicismo imperante e alla debolezza ideale che ad esso si sottomette. La ricerca di mezzi giusti per fini giusti è politica, non l'interesse privato in atti pubblici, non un'opposizione che offre alternanza ma non alternativa decisa, nell'economia e nella pace, alla falsa politica.
Coraggio, Gianni Riotta, aiutiamoci tutti, a mente libera, a buttare la guerra fuori dalla politica, perché la guerra - quella statale e quella appaltata, che sono entrambe un crimine pari al terrorismo non autorizzato - uccide la politica insieme a migliaia di vite degne e preziose almeno quanto la tua e la mia, più degne e preziose di tutti i governi, sistemi, "democrazie" violente e soprattutto economie rapaci. Onore vero d'Italia è la poca propensione alla guerra. Non disonoriamo la patria che noi amiamo davvero, a differenza di chi la sporca in guerra.
Enrico Peyretti
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti
http://www.arpnet.it/regis
www.ilfoglio.org
----- Original Message -----
From: Marco Trotta <mrta@bfsf.it>
To: <pace@peacelink.it>; <forum@liste.bologna.social-forum.org>
Sent: Sunday, April 18, 2004 6:12 PM
Subject: Risposta a Gianni Riotta in "ALTRO CHE MERCENARI"
> [Questo articolo è in attesa di approvazione nel Forum di Gianni Riotta.
> Intanto lo faccio girare nei "bassifondi di internet", allego il suo testo
> in basso. MT]
>
>
> Alcune precisazioni all'articolo di Gianni Riotta
> 1) Riotta afferma che ai corsi di peace keeping di Torino , dei quali non
> indica neanche un riferimento internet, parteciperebbero anche
> intellettuali nonviolenti. Da una ricerca sul sito del progetto
> http://www.peacekeeping.it/docenti.htm non risulta nulla di tutto questo.
> 2) Risulta, invece, una forte presenza militare tanto che qualcuno si è
> perfino sentito in dovere di ringraziarla
> (http://www.corriere.it/corrforum/corriere/Thread?forumid=91&postid=230197).
> Ma la cosa più sorprendente, in realtà, non è questa. E' lo stravolgimento
> dei termini. "Gli schifosi mercenari", il cui appellativo ha tanto
> sconvolto il signor Riotta, sono persone che lavorano per agenzie private
> andate a combattere in Iraq in una guerra "appaltata" e con un giro
> spaventoso di soldi. Cosa c'entra questo con il peacekeeping? E soprattutto
> perché Riotta non si è posto l'unica domanda coerente che ci si dovrebbe
> aspettare con queste premesse e che altri si sono fatti
> (http://italy.peacelink.org/disarmo/articles/art_4465.html)? Questi signori
> a chi rispondono per la loro missione e per i loro sbagli?
> 3) Quanto al peace keeping con le stellette. Per tutti valga questa
> considerazione qui: "possiamo chiamarle 'operazioni di polizia
> internazionale', ma quando si sganciano bombe, si lanciano missili e si
> abbattono aeroplani forse si tratta di qualcosa di più e di diverso di
> un'operazione di polizia, anche se il linguaggio della diplomazia non ha
> più nel proprio vocabolario la parola 'guerra'". Un pacifista? No, il gen.
> Mario Arpino nel '98 che non ha certo bisogno di presentazioni. Mentre
> quello che è successo a Fallujia qualche giorno fa, in questo senso, non ha
> bisogno di ulteriori commenti.
> 4) D'altra parte mi sembra che i militari in Italia godano di così tanta
> considerazione che si possono permettere anche le dichiarazioni che Gianni
> Riotta conosce bene perché quelle di Tricarico sono state pubblicate sul
> Corsera del 4/12/03: http://lists.peacelink.it/pace/msg06703.html. Ovvero:
> meno diritti per combattere il terrorismo. Una bella conquista per un paese
> che ha visto vertici militari processati per ipotesi di colpi di stato e
> depistaggi nelle stragi impunite.
> 5) Tutte cose che nulla hanno a che fare con i bassifondi di internet,
> signor Riotta. Sono semplicemente lo specchio di una realtà che è sempre
> più distante dalle cose che scrive nei suoi editoriali. Che abbia o meno
> "il verbo," come sostiene qui
> (http://www.corriere.it/corrforum/corriere/Thread?forumid=91&postid=230317),
> il problema è non toglierlo agli altri. Soprattutto quando, anche per tutto
> quello scritto sopra, sono i milioni di persone che il 15/02/03 e il
> 20/03/04 hanno manifestato in tutto il mondo contro la guerra in Iraq
> Cordialmente. Marco Trotta
>
>
>
>
> ------------------------------
> Corriere della Sera
> sabato, 17 aprile, 2004
> FORZE ARMATE
>
> Pag. 001
>
> ALTRO CHE MERCENARI
>
> Riotta Gianni
>
> NEW YORK - L' immagine degli italiani in guerra era legata ai luoghi
> comuni, mandolini, fiasco di Chianti e bandiera bianca come la ciurma del
> film Mediterraneo del regista Salvatores, o, peggio, al sarcasmo dei
> militari stranieri «la vostra flotta ha le chiglie in vetro così vedete le
> navi perdute». Né cialtroni, né vigliacchi erano stati in realtà gli
> italiani durante la Seconda guerra mondiale, da Luigi Durand de La Penne
> che sabota le corazzate inglesi, a Mario Rigoni Stern sergente in Russia,
> ad Amedeo Guillet guerrigliero in Africa, fino alla Resistenza che ingaggiò
> le divisioni tedesche. Per cancellare i clichés, però, occorrono tempo e
> fatica. Abbiamo cominciato a Beirut, ai tempi di Sandro Pertini, poi con l'
> impegno di pace dal Vietnam all' Africa, i Balcani, la prima guerra del
> Golfo, la missione in Kosovo e adesso nell' aspro dopoguerra in Iraq.
> Un importante ambasciatore dell' Onu commenta, non riuscendo a nascondere
> un filo di sorpresa: «Siete stati bravissimi in diplomazia, nel salvare il
> patrimonio archeologico della Mesopotamia, con i volontari della Croce
> Rossa, i carabinieri e i militari. Avete il rispetto di tutti». Per i
> facinorosi dei bassifondi di Internet Filippo Quattrocchi era «uno schifoso
> mercenario», ma le sue ultime, stoiche, parole impressionano l' America.
> Indro Montanelli raccontò del falso generale Della Rovere, uomo qualunque
> che le SS infiltrarono a San Vittore come delatore e che morì da eroe: non
> importa solo dove si milita, insegnava Montanelli «importa come si milita».
> Sempre più spesso gli italiani militano bene. Negli Usa il sito Zipgenius
> espone il tricolore e invita a pregare nelle ore di angoscia per i tre
> ostaggi superstiti. La rete tv Nbc, la Cnn, il quotidiano Daily News
> apprezzano la condotta dei nostri, gente che prova a compiere una missione
> senza perdere il cuore, come i padri e i nonni nelle foto ingiallite.
> Questa nuova generazione, militari e volontari, diplomatici e tecnici, non
> nasce dal nulla, tanti si sono formati al «Master di peacekeeping» di
> Torino, dove l' Università, la Scuola di Applicazione dell' Esercito e le
> Nazioni Unite mettono sugli stessi banchi intellettuali nonviolenti,
> diplomatici, cattolici e colonnelli degli Alpini per imparare ad estrarre
> pace dalle fauci della guerra. La stima che gli italiani raccolgono in
> Iraq non è immagine effimera per il governo di Silvio Berlusconi, che anzi
> all' Onu, e con i partner europei, meglio dovrebbe spendere questo credito,
> dando al Paese più ruolo nei negoziati. E' un contributo duraturo alla
> reputazione della Repubblica ed è positivo che la stessa percentuale di
> cittadini, di destra e sinistra, il 58%, voglia restare in Iraq, con l' Onu
> garante. Nessun 8 settembre, nessun «Tutti a casa!», niente maschera
> dell' italianuzzo in fuga con il salame in valigia. Il presidente Carlo
> Azeglio Ciampi può esser fiero del lavoro che ha fatto: il mondo ha per noi
> un nuovo rispetto. Non si tratta di bearsi con la retorica, ma di impegnare
> la credibilità ritrovata da protagonisti del dialogo atlantico e della
> pace, in Medio Oriente e in Iraq. Brava gente, ma saggia, coraggiosa,
> risoluta, ecco il nuovo Made in Italy di cui essere fieri, insieme.
> www.corriere.it/riotta
>
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