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Articolo commento discorso D'Alema su conflitto israelopalestinese
- Subject: Articolo commento discorso D'Alema su conflitto israelopalestinese
- From: "Agostino Spataro" <agspata@tin.it>
- Date: Tue, 13 Jan 2004 18:12:06 +0100
Carissimi,
vi invio l'allegato articolo, che apparirà sul giornale online
"Informazioni dal Mediterraneo" (www.infomedi.it), a commento
dell'importante discorso (il cui testo integrale troverete su Infomedi)
tenuto, recentemente, alla Camera dei Deputati dall'on. Massimo D'Alema,
Presidente dei DS ed ex Presidente del Consiglio dei ministri, sulle
prospettive di pace in M.O., a partire dal "Patto per la Pace" di Ginevra.
Come il solito, l'articolo può essere utilizzato in tutto in
parte, purché vengano indicati il nome dell'autore e la fonte di
riferimento. Cordialmente.
Agostino Spataro
9 gennaio 2004
D'Alema per la pace in Medioriente
UN DISCORSO DI ALTA RESPONSABILITA'
di Agostino Spataro
Sommario: un contributo che tonifica il panorama desolante della politica
estera italiana; un mutamento della prospettiva politica generale e
dell'approccio negoziale; noi, uomini e donne, della sinistraŠ; la "road
map" non fa un passo avanti; per il bene d'Israele non serve il facile
anatema dell'antisemitismo.
Nella foto: Agostino Spataro con Massimo D'Alema.
Un contributo che tonifica il panorama desolante della politica estera italiana
Siamo lieti di pubblicare il testo integrale del discorso che l'on. Massimo
D'Alema, presidente dei Democratici di Sinistra, ha tenuto recentemente
alla Camera dei Deputati sulla drammatica realtà e sulle prospettive di
soluzione del conflitto israelo-palestinese , a partire dal "Patto per la
Pace" sottoscritto, a Ginevra, da due eminenti personalità politiche: Yossi
Beiilin, ex ministro israeliano della giustizia, e da Yasser Abed Rabbo,
ex ministro dell'informazione nel governo palestinese.
Una posizione politica importante- a mio giudizio- non solo perché D'Alema
dice "qualcosa di sinistra" , come da più parti richiesto, ma soprattutto
perché offre un pregevole contributo di analisi e di proposta ( merce rara
di questi tempi), di respiro nazionale ed europeo, che tonifica l'attuale,
desolante panorama della politica estera italiana.
Da tempo, sulla vicenda mediorientale non si registravano prese di
posizioni così chiare, equilibrate e responsabili da parte di esponenti
politici italiani, anche nell'ambito del centro-sinistra.
Purtroppo, la politica del governo Berlusconi continua a caratterizzarsi
per il suo appiattimento acritico, talvolta perfino connivente, rispetto
alle scelte aggressive del governo di Sharon.
Un allineamento immotivato, forse poco convinto, che stride con una lunga e
condivisa tradizione di equidistanza attiva (o di "equivicinanza" come dice
D'Alema) della nostra politica mediorientale.
Il governo italiano, infatti, è andato al di là di ogni pessimistica
previsione, oltre le stesse posizioni, e fors'anche le richieste,
dell'amministrazione Bush da cui trae ispirazione: è l'unico al mondo ad
avere approvato la costruzione del muro israeliano della vergogna.
Un solidarismo sospetto, perché troppo politico, e a senso unico che viene
esibito ogni qual volta ci sono da commemorare vittime israeliane provocate
dagli attentati dei gruppi terroristici palestinesi, mentre vengono
regolarmente ignorate quelle palestinesi provocate dalle indiscriminate e
sanguinose rappresaglie dell'esercito di occupazione israeliano.
Come se le vittime israeliane fossero "più innocenti" di quelle
palestinesi, per altro più numerose.
Un mutamento della prospettiva politica generale e dell'approccio negoziale
Tale inusitato appiattimento, inoltre, sta modificando, in negativo, la
percezione che dell'Italia democratica e progressista si aveva nel mondo
arabo, sia sul terreno politico e culturale sia su quello economico e
commerciale.
Anche questi sono danni (e che danni!) che lasciano il segno e che, prima o
poi, bisogna cominciare a conteggiare.
Perciò, D'Alema, oltre a fare chiarezza sulle responsabilità, invoca un
mutamento della prospettiva politica generale, di approccio e di conduzione
del negoziato, riaffermando e rilanciando valori e propositi della sinistra
democratica, largamente condivisi in Europa e nel mondo.
Un accordo di pace fra palestinesi e israeliani per essere equo e duraturo
dovrà fondarsi, in primo luogo, sul principio dei "due popoli, due Stati",
indipendenti e, possibilmente, fra loro cooperanti. Poiché, non è scritto
in nessun "libro" che arabi ed ebrei debbano percepirsi come irriducibili
nemici e farsi la guerra in eterno. L'ideale sarebbe la convivenza in uno
stesso Stato, ma questa prospettiva, al momento irrealistica, viene
percepita come una minaccia. Addirittura, il premier palestinese Abu Ala
l'ha presentata (ieri, 8/1/04) come una opzione polemica, come una sorta di
ritorsione, in caso di fallimento della "road map".
Tutto ciò, a dispetto della millenaria esperienza storica che ha visto i
due popoli (entrambi biblicamente "semiti") convivere in pace in Palestina
e in varie parti del mondo arabo-islamico.
Un breve inciso. Ancora nel 2004, siamo alle prese col biblico Sem e i suoi
pretese discendenti (semiti) che restano un riferimento discriminante nella
moderna politica internazionale.
E perché nessuno si ricorda di Cam, l'altro figlio di Noè e capostipite
degli africani? Forse, perché l'Africa non interessa proprio a nessuno!
Anche questo è un problema notevole che crea odio e alimenta fanatismi. Se
arabi e israeliani avessero lasciato la religione fuori dalla politica
forse la tragica vicenda mediorientale si sarebbe risolta da un bel pezzo.
Noi, uomini e donne, della sinistraŠ
Tuttavia, se proprio se si vuole insistere su questo tasto, più che di
"antisemitismo" bisognerebbe, parlare di "antiebraismo", circoscrivendone
la dimensione ai fenomeni effettivi, provati, che bisogna combattere, senza
generalizzazioni controproducenti, con le leggi (che esistono) e
soprattutto con azioni di corretta informazione e movimenti culturali e
umanitari.
L'antiebraismo, infatti, è un odioso sentimento razzista, nato e
sviluppatosi in Europa e in genere nell'Occidente cristiano, che ha
provocato le conseguenze gravissime e inaccettabili che sappiamo e che la
visita di Fini (in cerca di legittimità) in Israele non può far dimenticare.
Noi, uomini e donne della sinistra, non abbiamo dimenticato l'immane a
tragedia della Shoa e ancora oggi ci commoviamo quando vediamo un
documentario o un film sui campi di sterminio.
Spero che altri non dimentichino che, insieme ai milioni di ebrei, la
follia del nazismo e del fascismo deportò e trucidò centinaia di migliaia
di comunisti, socialisti, anarchici e di sinceri democratici, di zingari,
religiosi cristiani, di soldati antifascisti, ecc.
Un tremendo campionario di morte formulato, scientemente, sulle base di
deliranti motivazioni, non solo razziali, ma politiche e culturali.
Massimo D'Alema giustamente rivendica alla sinistra italiana "una
tradizione di dialogo con Israele e le sue classi dirigenti".
Aggiungo che noi, per tradizione e per educazione, non abbiamo mai
coltivato sentimenti di tipo razzista né contro gli ebrei né contro altri
popoli del mondo. Siamo per l'uguaglianza e per la fratellanza fra tutti
gli uomini e i popoli. Perciò non ci tange la "bolla antisemita" che
potrebbe essere emanata da qualche fanatico o da qualche fascistello
convertito.
Siamo convinti che così parlando e scrivendo, e talvolta manifestando,
difendiamo il vero diritto d'Israele alla sicurezza nella pace.
La "road map" non fa un passo avanti
Purtroppo, la pace appare ancora lontana, difficile da conquistare mediante
un negoziato paritario e internazionalmente garantito. La "road map" non
riesce a fare un passo avanti, anche perché impantanata dentro un'ipotesi
procedurale atipica, non perfettamente definita, che ognuna delle parti
interpreta secondo la propria convenienza politica. Addirittura, come
accade nel Likud, secondo gli interessi di corrente e gli equilibri interni
del partito di Sharon, il quale più si ostina nella sua politica
avventuristica più disastri combina.
E in primo luogo, a danno dell'immagine dello stato d'Israele e
dell'avvenire del suo popolo.
I recenti sondaggi svolti in Europa e negli USA, frettolosamente cestinati
sulla base dell'abusata e generica formula dell'antisemitismo, confermano
l'esistenza di un crescente e diffuso sentimento di disapprovazione e di
forte e giustificata preoccupazione verso la politica dei governanti
israeliani.
Se questo si pensa in Occidente, figurarsi in Oriente!
Invece d'interrogarsi per capire il senso e la natura di tale
preoccupazione ( se, per esempio, la causa non sia da individuare
nell'attuale politica di Sharon), si pretende di zittire e di bollare
chiunque, profittando della contingenza, apparentemente, favorevole.
Bando- dunque- ai sondaggi e guai a chi osa criticare i governanti
israeliani! Così facendo non si programma un futuro di pace e di sicurezza,
ma un nuovo disastro.
Liquidare come "antisemita" la maggioranza degli europei e il 40 % degli
americani "rei" di pensare che la principale minaccia alla pace mondiale
venga dall'attuale politica israeliana, mi pare una colpevole e arrogante
miopia.
Per il bene d'Israele non serve il facile anatema dell'antisemitismo
Come può uno Stato, l'unico al mondo nato per decisione dell'Onu e il primo
al mondo che non rispetta le tante deliberazioni dell'organismo che lo
generato, che da oltre 50 anni si trova in guerra con i popoli confinanti,
che è circondato dall'ostilità del mondo islamico, liquidare con tanta
superficialità un sentimento fortemente maggioritario nell'opinione
pubblica occidentale ?
Una dirigenza responsabile dovrebbe, invece, preoccuparsene e avviare una
seria riflessione per cercare di capire se c'è qualcosa che non funziona
nell'ingranaggio della politica e, se del caso, correggere quanto c'è da
correggere. Finché c'è tempo.
Fare quadrato attorno all'attuale governo israeliano, come sta avvenendo, è
l'errore più grave che si possa compiere, poiché s'identifica il destino
d'Israele (che per fortuna non è un blocco monolitico) con quello del
governo oltranzista di Sharon.
Per il bene d'Israele, l'Italia, l'Europa, gli stessi Stati Uniti non
possono assecondare le politiche avventuriste di Sharon. E' semplicemente
umiliante per un Paese democratico e civile qual è l'Italia che il suo
governo avalli la costruzione del muro della vergogna e dell'apartheid.
Anche contro l'accorato grido del Papa ("ponti e non muri") che per i
ministri cattolici del governo dovrebbe costituire un richiamo morale
indefettibile.
Così come, per il bene del popolo martire di Palestina, bisogna ricordare
alla dirigenza palestinese l'esigenza di una più incisiva trasparenza
amministrativa, di una maggiore coesione politica per una lotta più decisa,
senza giustificazionismi, contro il terrorismo, suicida e non, dei gruppi
più oltranzisti.
Per risparmiare vite innocenti e per non fornire nuovi alibi all'azione
dilatoria ed equivoca di Sharon che- come osserva D'Alema- "mette nelle
mani dell'ultimo gruppo terrorista la possibilità della pace".
Agostino Spataro
9 gennaio 2004.