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L'attuale ideologia degli Stati Uniti
- Subject: L'attuale ideologia degli Stati Uniti
- From: "Edizioni Al Hikma" <alhikma@uno.it>
- Date: Tue, 13 Jan 2004 15:39:56 +0100
L'attuale ideologia degli Stati Uniti
di Samir Amin
Oggi, gli Usa sono governati da una giunta di criminali di guerra arrivati
al potere attraverso una specie di golpe. Anche se quel golpe ha potuto
essere preceduto da alcune [dubbie] elezioni, non dobbiamo dimenticare che
Hitler fu un politico eletto allo stesso modo. In quest'analogia, l'11
settembre svolge il ruolo dell'"incendio del Reichstag", consentendo alla
Giunta di salvaguardare i suoi poteri, simili a quelli della Gestapo, quale
forza di polizia. Hanno il loro Mein Kampf - la Strategia di Sicurezza
Nazionale, le loro associazioni di massa, le organizzazioni patriottiche- e
i loro predicatori. È vitale che si abbia il coraggio di dire queste verità
smettendo di mascherarle con frasi come "i nostri amici statunitensi", che
non hanno più senso.
La cultura politica è il prodotto a lungo termine della Storia. In quanto
tale, è ovviamente specifica di ogni paese. La cultura politica
statunitense è chiaramente diversa da quella emersa dalla storia del
continente europeo: genocidio dei popoli indigeni del continente, schiavitù
degli africani, emergere di comunità emarginate dalle proprie specificità
etniche -risultato delle successive ondate migratorie del secolo XIX-,
tutto ciò è stato configurato dalla fondazione della Nuova Inghilterra da
parte di sette estremiste protestanti.
La modernità, il secolarismo e la democrazia non costituiscono il risultato
di un'evoluzione delle credenze, né di quelle religiose né di quelle
rivoluzionarie; al contrario, per soddisfare le esigenze di queste nuove
forze la fede si è dovuta adattare. Quest'adattamento non si è prodotto
esclusivamente nel protestantesimo; ha avuto lo stesso impatto nel mondo
cattolico, anche se in maniera diversa. Si è creato un nuovo spirito
religioso, liberato da tutti i dogmi. In questo senso, pur se la tesi di
Weber è stata ampiamente accettata nelle società protestanti europee,
favorita dall'importanza che le è stata attribuita, non è stata la Riforma
a creare la precondizione per lo sviluppo capitalista e non rappresenta
neppure interpretazioni precoci del cristianesimo; al contrario, è stata
semplicemente la più primitiva e confusa forma di rottura.
Un aspetto della Riforma è stato il lavoro delle classi dominanti,
finalizzato alla creazione di chiese nazionali [anglicana o luterana] da
esse controllate. Queste chiese hanno rappresentato, quindi, un compromesso
tra la borghesia emergente e i grandi proprietari terrieri, che hanno
potuto così controllare la minaccia rappresentata dai poveri e dai
contadini.
L'efficace marginalizzazione dell'idea cattolica di universalità mediante
le chiese nazionali è servita in particolare a rafforzare il potere della
monarchia, la sua autorità quale arbitro tra le forze dell'antico Regime e
dell'ascendente borghesia, ritardando, così, l'affiorare di nuove forme di
universalismo, che sarebbero state solo più avanti promosse dal socialismo
internazionalista.
Indubbiamente, altri aspetti della Riforma sono stati guidati dalle classi
più basse, principali vittime delle trasformazioni sociali provocate dalla
nascita del capitalismo. Questi movimenti fecero ricorso a forme di lotta
tradizionali, derivate dai movimenti millenaristi del Medio Evo. Lungi
dall'aprire un cammino, sono stati, invece, predestinati a ritardare le
necessità del proprio tempo. Le classi dominanti avrebbero dovuto aspettare
fino alla Rivoluzione Francese -con la sua mobilizzazione democratica,
popolare, laica e radicale- ed all'avvento del socialismo per trovare
strade [che avrebbero permesso] di articolare effettivamente le loro
esigenze rispetto alle nuove condizioni in cui vivevano. I primi gruppi
protestanti moderni, al contrario, si cimentarono in illusioni
fondamentaliste, il che ha favorito la duplicazione infinita di sette
schiave di quello stesso tipo divisione apocalittica che prolifica
attualmente negli Usa.
Le sette protestanti, obbligate ad emigrare dall'Inghilterra nel secolo
XVII, avrebbero sviluppato una forma di cristianesimo differente sia dal
cattolicesimo che dal dogma ortodosso. La loro immagine del cristianesimo,
pertanto, non era condivisa neppure dalla maggioranza dei protestanti
europei, compresi gli anglicani, da cui è emersa la maggior parte della
classe dirigente britannica. In termini generali, possiamo dire che la
genialità essenziale della Riforma è stata reclamare il Vecchio Testamento,
che era stato marginalizzato dal cattolicesimo e dalla Chiesa ortodossa, al
momento della definizione del cristianesimo come rottura con l'ebraismo. I
protestanti ricollocarono il cristianesimo al suo posto, quello di
legittimo successore dell'ebraismo.
Legittimità Biblica
L'attuale ideologia statunitense continua ad essere configurata da quella
particolare forma di protestantesimo che ha trovato la sua strada nella
Nuova Inghilterra. Per prima cosa, facilitò la conquista del "Nuovo
Continente" fondando la sua legittimità su riferimenti biblici [quello
della violenta conquista della "Terra Promessa" da parte di Israele
costituisce un tema reiterato costantemente nel discorso degli Usa]. Più
tardi, gli Usa hanno esteso la loro missione ordinata da Dio fino ad
abbracciare il mondo nella sua totalità. Gli statunitensi hanno, quindi,
cominciato a vedere se stessi come il "popolo eletto" [in pratica, un
sinonimo del termine nazista Herrenvolk]. Questa è la minaccia che ci
troviamo attualmente di fronte. E' per questo che imperialismo statunitense
[e non l'Impero] sarà persino più brutale di quelli che l'hanno preceduto,
i quali, nella maggioranza dei casi, non hanno rivendicato una missione
divina a loro investitura.
Non sono tra coloro che credono che il passato possa solo ripetersi. La
Storia trasforma i popoli. È quello che è successo in Europa. Senza dubbio,
purtroppo, la storia degli Usa, lontana dal tentare di estirpare le sue
orribili origini, ha rafforzato quell'orrore e ne ha perpetuato gli
effetti. Ciò è vero sia per la "Rivoluzione americana" che per la
colonizzazione del paese mediante ondate migratorie successive.
Nonostante le attuali intenzioni di promuovere le sue virtù, la
"Rivoluzione americana" non è mai stata altro che una limitata guerra
d'indipendenza, abbastanza carente di qualsiasi dimensione sociale. Nel
corso della rivolta contro la monarchia britannica, i coloni americani non
hanno mai cercato di trasformare le relazioni economiche e sociali: si sono
semplicemente rifiutati di continuare a dividere i benefici con le classi
governanti della metropoli. Volevano il potere per se stessi, per
continuare a fare, con più determinazione e maggiori margini, le stesse
cose, senza cambiarle. L'obiettivo prioritario era procedere alla
colonizzazione dell'Ovest, che implicava, tra l'altro, il genocidio dei
nativi americani. Allo stesso modo, i rivoluzionari non hanno mai cambiato
la schiavitù. Di fatto, la maggior parte dei leader rivoluzionari erano
proprietari di schiavi ed i loro pregiudizi sulla questione si dimostrarono
incrollabili.
Il genocidio dei nativi americani era implicito nella logica della nuova
scelta della missione divina per i popoli. Il loro massacro non poteva
essere condannato sulla base semplicemente della morale di un passato
arcaico e distante. Fino al 1960, molto orgogliosamente, il genocidio
attuato veniva proclamato ancora aperto. I film di Hollywood opponevano il
diavolo nativo americano al bene dei cowboys e questa tergiversazione del
passato è stata il centro dell'educazione delle generazioni successive.
Lo stesso accade per la schiavitù. Dopo l'indipendenza, è dovuto
trascorrere ancora un secolo circa prima che venisse abolita. E quando è
successo, la cosa non aveva niente a che vedere con la moralità
[semplicemente non era più necessaria alla causa dell'espansione
capitalista], nonostante le istanze contrarie della Rivoluzione francese.
Così, gli afroamericani hanno dovuto aspettare un altro secolo perché si
concedessero loro alcuni diritti civili minimi. Ed anche allora, il
razzismo è stato sfidato con difficoltà, essendo profondamente radicato
nelle classi dirigenti. Fino agli anni Sessanta, il linciaggio ha
continuato ad essere un fatto abituale, che procurava pretesti nei pic-nic
familiari. Questa pratica persiste di fatto ancora oggi, direttamente ed
indirettamente, attraverso i canali di un sistema giudiziale che manda a
morte migliaia di persone [in maggioranza afroamericane], nonostante in
genere si sia al corrente dell'innocenza della metà almeno dei condannati.
Migrazione e Individualismo
Le successive ondate di immigrazione hanno, allo stesso modo, aiutato il
rafforzamento dell'ideologia statunitense. Gli immigrati non sono in alcun
modo responsabili della miseria e dell'oppressione, cause del loro esilio.
Lasciano la loro terra come vittime. Indubbiamente, emigrare significa
anche rinunciare alla lotta collettiva per cambiare le condizioni dei
propri paesi di origine; la propria sofferenza viene scambiata con
l'ideologia individualista del paese che accoglie, sradicandosi. Questo
cambiamento ideologico ritarda anche l'affiorare della coscienza di
classe, che raramente ha tempo di svilupparsi prima che arrivi una nuova
ondata di immigrati, che favorisce l'aborto della propria espressione
politica. Ovviamente, la migrazione contribuisce anche al "rafforzamento
etnico" della società statunitense. La nozione di "successo individuale"
non esclude lo sviluppo di forti comunità etniche di appoggio [irlandese o
italiana, per esempio] senza le quali l'isolamento individuale risulterebbe
insopportabile. È indubbio che, anche in questo, il rafforzamento delle
identità etniche sia un processo che il sistema statunitense coltiva
unicamente per recuperarlo, poiché inevitabilmente debilita la coscienza di
classe e la cittadinanza attiva.
Così, mentre il popolo di Parigi si stava preparando ad "assaltare il
cielo" [secondo la Comune del 1871], le città degli Usa furono lo scenario
di una serie di guerre assassine tra bande, formate da generazioni
successive di poveri emigranti [irlandesi, italiani, ecc.] cinicamente
manipolati dalle classi dirigenti.
Negli Usa oggi non c'è, né c'è mai stato, un partito dei lavoratori. I
potenti sindacati dei lavoratori sono apolitici, nel senso più ampio del
termine. Non hanno vincoli con nessun partito con cui possano esprimere e
condividere le proprie preoccupazioni; non sono mai stati capaci neppure di
articolare una visione socialista propria. Al contrario, sottoscrivono,
come tutti, l'ideologia liberale dominante, che resta in questo mondo
incontrastata. Quando lottano, lo fanno sulla base di un'agenda limitata e
concreta, che non mette in discussione in nessun modo il liberalismo. In
questo senso, erano e continuano ad essere postmodernisti.
È indubbio che, per le classi lavoratrici, le credenze comunitarie non
possono sostituire l'ideologia socialista. Il che è vero persino per la
comunità più radicale degli Usa, quella degli afroamericani, poiché la loro
lotta ideologica comune si limita, per definizione, a quella contro il
razzismo istituzionalizzato.
Uno degli aspetti più disattesi delle differenze tra le ideologie europee
[nella loro diversità] e quella statunitense è l'impatto dell'Illuminismo
sul loro sviluppo. Sappiamo che la filosofia illuminista è stata decisiva
per lanciare la creazione delle culture e delle ideologie europee moderne,
tanto che il suo impatto continua ad essere considerevole ancora oggi, non
solo nei centri di sviluppo capitalista, sia cattolici [Francia] che
protestanti [Gran Bretagna e Olanda], ma anche in Germania ed in Russia.
Negli Usa, in contrasto con tutto ciò, l'Illuminismo ha avuto un impatto
marginale, attraendo solamente una minoranza aristocratica [e favorevole
alla schiavitù], un gruppo che i posteri hanno incarnato con
Jefferson, Madison e pochi altri. Generalmente, le sette della Nuova
Inghilterra rimasero indenni dallo spirito critico dell'Illuminismo e la
loro cultura è rimasta più vicina alle Streghe di Salem che all'empio
razionalismo dei Lumi.
I frutti di questo rifiuto sono emersi quando la borghesia yankee è
diventata maggiorenne. Nella Nuova Inghilterra è emersa una credenza
semplice e sbagliata secondo la quale la Scienza [cioè, le scienze pure
come la Fisica] doveva determinare il destino della società, opinione che è
stata ampiamente condivisa per più di un secolo negli Usa, non solo dalla
classe dirigente, ma dalla gente comune.
La sostituzione scienza-religione spiega alcuni dei tratti fondamentali
dell'ideologia statunitense: spiega perché la filosofia è così
insignificante, ridotta all'empirismo più riduttivo; ed anche il frenetico
sforzo per ridurre le scienze umane e sociali a scienze pure [cioè dure]:
così, l'Economia pura occupa il posto dell'Economia politica e la scienza
dei "geni" rimpiazza l'Antropologia e la Sociologia.
Quest'ultima e sfortunata aberrazione offre un altro punto di contatto tra
l'ideologia statunitense contemporanea e l'ideologia nazista, favorito
senz'altro dal profondo razzismo che percorre tutta la storia degli Usa.
Un'altra aberrazione causata da questa peculiare visione della scienza è la
debolezza della speculazione cosmologica [di cui la teoria del Big Bang è
l'esempio più conosciuto].
L'Illuminismo ci ha insegnato, tra le alte cose, che la Fisica è la scienza
[che studia] alcuni limitati aspetti dell'universo, che sono stati
differenziati quali oggetti d'indagine, e non la scienza dell'universo
nella sua totalità [concetto metafisico più che scientifico]. A questo
livello, il sistema di pensiero statunitense è più vicino a quei tentativi
pre-moderni di conciliare la fede e la ragione che non alla tradizione
scientifica moderna. Questa visione regressiva si è adattata perfettamente
sia ai propositi delle sette protestanti della Nuova Inghilterra che al
tipo di società religiosa onnipresente che hanno prodotto. Come sappiamo,
questo è il tipo di regressione che minaccia oggi l'Europa.
Democrazia e Mercato
Questi due fattori -ideologia biblica dominante e assenza di un partito dei
lavoratori-, che configurano la formazione storica della società
statunitense, si sono combinati fino a produrre una situazione
completamente nuova: un sistema retto de facto da un unico partito, il
partito del capitale. I due segmenti che formano questo partito condividono
la stessa formula fondamentale del liberalismo. Entrambi dirigono solo la
minoranza [un 40% dell'elettorato] che partecipa a questo tipo di
democrazia monca ed impotente. Dato che, come regola generale, la classe
lavoratrice non vota, ogni segmento del partito ha la sua clientela della
classe media, sulla quale ha calibrato il suo discorso. Entrambi hanno
scolpito il proprio elettorato, composto da alcuni settori degli interessi
capitalistici [lobbies] e da gruppi di appoggio comunitari.
L'attuale democrazia statunitense costituisce il modello avanzato di ciò
che ho denominato "democrazia a bassa intensità". Il suo funzionamento si
basa sulla separazione totale tra la gestione della vita politica, mediante
la pratica della democrazia elettorale, e la gestione della vita economica,
governata dalle leggi dell'accumulazione di capitale. Più ancora: questa
separazione non è soggetta a nessuna forma di cambio radicale, poiché fa
parte di un qualcosa che si può denominare consenso generale. Senza dubbio,
questa stessa separazione distrugge in effetti tutto il potenziale creativo
della democrazia politica e castra le istituzioni rappresentative
[parlamentari ed altre] che si sono massicciamente arrese, per
sottomissione, al mercato ed ai suoi dictat. In questo senso, la scelta se
votare per i democratici o per i repubblicani è in fondo futile perché ciò
che determina il futuro del popolo statunitense non è il risultato delle
preferenze elettorali bensì le variazioni dei mercati finanziari e degli
altri mercati.
Il risultato è che lo Stato statunitense esiste esclusivamente per servire
l'economia, cioè il capitale, a cui obbedisce, abbandonando del tutto le
questioni sociali. La ragione per cui lo Stato può funzionare in questo
modo è primordiale: il processo storico che ha portato alla formazione
della società statunitense ha bloccato lo sviluppo di una coscienza
politica delle classi lavoratrici.
Gli Stati europei, invece, sono stati [e possono nuovamente diventarlo] il
foro obbligato nel quale si è sviluppato il confronto tra i gruppi
d'interesse sociale.
E' per questo che favoriscono i compromessi sociali, che si convertono in
pratiche democratiche con un significato reale. Quando la lotta di classe
ed altre forme di lotta politica non costringono lo Stato a funzionare in
questo modo e non possono continuare ad essere autonome di fronte
all'esclusiva logica dell'accumulazione del capitale, la democrazia diventa
un esercizio completamente inutile, come succede negli Usa. La combinazione
di una pratica religiosa dominante -ed il suo sfruttamento attraverso il
discorso fondamentalista- e dell'assenza di coscienza politica tra le
classi oppresse, dà al sistema politico degli Usa un margine di manovra
senza precedenti, con cui può distruggere il potenziale impatto delle
pratiche democratiche e ridurle a rituali benigni [la politica come
intrattenimento, l'inaugurazione delle campagne elettorali con animatori,
ecc.].
Ideologia e Capitale
Ciò nonostante non dobbiamo lasciarci ingannare. L'ideologia
fondamentalista non riveste il ruolo di dirigente e non impone la sua
logica ai detentori reali del potere, cioè al capitale ed ai suoi servi del
governo. E' il capitale, e solo lui, che prende tutte le decisioni ed è
solo quando lo ha fatto che mobilita l'ideologia statunitense affinché
serva la sua causa. Allora i mezzi che si utilizzano -l'uso sistematico e
senza precedenti della disinformazione- possono servire ai suoi propositi,
isolando i critici ed assoggettandoli ad una forma permanente ed odiosa di
ricatto. In questo modo, il sistema può manipolare facilmente l'"opinione
pubblica", coltivando la sua stupidità.
Grazie a questo contesto, la classe dirigente statunitense ha sviluppato
una specie di cinismo totale ricoperto da un guscio esteriore di ipocrisia,
che risulta perfettamente trasparente agli osservatori esterni, ma, in un
certo senso, invisibile agli stessi statunitensi. Il regime si compiace
abbastanza di ricorrere alla violenza, comprese le sue forme più dure,
quando ne sorga la necessità. Tutti gli attivisti radicali statunitensi lo
sanno fin troppo bene; le uniche opzioni che hanno a loro disposizione sono
rinunciare o essere un giorno uccisi.
Come tutte le ideologie, anche quella statunitense è "sempre più vecchia ed
inutilizzabile". Durante i periodi di calma [segnati da una forte crescita
economica, accompagnata da quelli che passano per essere livelli
accettabili di benefici], la pressione della classe dirigente sul popolo
diminuisce naturalmente. Così, ogni tanto, il sistema deve infondere nuovo
vigore a quest'ideologia, usando i metodi classici: viene designato un
nemico [sempre uno straniero, poiché è stato decretato che la società
statunitense è buona per definizione], "l'Impero del Male", l'"Asse del
Male", il che giustificherà la mobilitazione di tutti i mezzi possibili per
annientarlo. In passato, questo nemico è stato il comunismo; il maccartismo
[un fenomeno che i filo-statunitensi di oggi hanno già dimenticato] ha reso
possibile il lancio della Guerra Fredda e la marginalizzazione dell'Europa;
oggi, il terrorismo è, semplicemente e palesemente, un pretesto creato per
servire il progetto della classe dirigente: controllare militarmente il
pianeta.
Egemonia e Potere Militare
L'obiettivo riconoscibile della nuova strategia egemonica degli Usa è
prevenire l'emergere di qualche altra potenza capace di opporre una certa
resistenza agli ordini di Washington. Perciò bisogna smantellare quei paesi
diventati troppo grandi per creare un numero massimo di satelliti
servizievoli e disposti ad accettare le basi Usa per la loro protezione.
Secondo quanto hanno stabilito gli ultimi tre presidenti [degli Usa], Bush
padre, Clinton e Bush figlio, solo un paese ha diritto di essere grande:
gli Usa.
In questo senso, l'egemonia degli Usa dipende fondamentalmente più dal suo
sproporzionato potere militare che da qualche specifico vantaggio del suo
sistema economico. Grazie al loro potere, gli Usa possono piazzarsi come
dirigenti incontrastati della mafia globale, il cui "pugno visibile"
imporrà il nuovo ordine imperialista su quelli che potrebbero resistere ad
allinearsi.
L'estrema destra, rinvigorita dal suo recente successo, controlla
attualmente i meccanismi del potere a Washington.
L'alternativa che viene offerta è chiara: o si accetta l'egemonia degli Usa
ed il 'liberalismo' a oltranza da loro patrocinato -il cui significato è
poco più di un'esclusiva ossessione di far soldi- o si rifiutano entrambi.
Nel primo caso, staremmo dando il via libera a Washington per "ridisegnare"
il mondo a immagine del Texas. Solo scegliendo la seconda opzione potremo
essere capaci di fare qualcosa per contribuire alla ricostruzione di un
mondo che sia essenzialmente plurale, democratico e pacifico.
Se nel 1935 o nel 1937 gli europei avessero reagito, avrebbero potuto
fermare la pazzia nazista prima che causasse tanti danni. Ritardando la
loro reazione fino al 1939, hanno contribuito alle loro centinaia di
migliaia di vittime. È una nostra responsabilità agire adesso per contenere
ed eliminare la sfida neonazista di Washington.
*
SAMIR AMIN
è nato al Cairo (Egitto) nel 1931, docente universitario, è stato
consigliere economico di vari paesi del Sud del mondo usciti dal
colonialismo, attualmente dirige a Dakar (Senegal) il Forum del Terzo
Mondo. E' uno degli economisti più noti, ed uno dei più lucidi critici del
capitalismo, dell'imperialismo, della globalizzazione.
Opere di Samir Amin: è stato appena pubblicato Il capitalismo nell'era
della globalizzazione, Asterios, Trieste 1997, che sintetizza le
riflessioni recenti di Samir Amin. Alcuni suoi lavori degli ultimi anni
sono stati pubblicati in opuscoli: I mandarini del capitale globale,
Edizioni Associate, Roma 1994; La gestione capitalistica della crisi e La
sfida della mondializzazione, Edizioni Punto Rosso, Milano 1995-'96. Volumi
precedenti: L'accumulazione su scala mondiale, Jaca Book, Milano 1970; Lo
sviluppo ineguale, Einaudi, Torino 1977; La teoria dello sganciamento,
Diffusioni 84, Milano 1987.
Questo testo è stato pubblicato sul numero 83/84 (2/3 2003) di "Latinoamerica".