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RossoNotizie n. 46 - 24 dicembre 2003



ROSSONotizieNet
numero  46  -  24 dicembre 2003

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periodico elettronico dell'Associazione Culturale Punto Rosso
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Auguri di cuore



Questo numero ve lo inviamo alla vigilia di Natale. Per credenti e non
credenti un grande augurio, soprattutto per il nuovo anno. L'auspicio di
sempre: continuiamo a lavorare e a lottare per "apprestare il terreno alla
gentilezza". La gentilezza, altro nome della pace, della giustizia, della
dignità umana, della dignità della natura. Contro tutti gli arroganti,
farabutti, lestofanti, guerrafondai, truffatori (dai "barbari texani",
Bush, Cheney, Rumsfeld, Wolfowitz a Berlusconi e a taluni ominicchi che
albergano anche nella sinistra). Per i miti, i giusti, gli eguali, gli
zapatisti, le millenarie civiltà della Mesopotamia, della Palestina, gli
autoferrotranvieri. Per le donne e gli uomini di buona volontà, in ogni
angolo del mondo.





Sommario


- Appello "Africa, Asia e America Latina a Mumbay 2004"
- Diario processo a Leyla Zana a cura di Silvana Barbieri (vedi allegato)
- Libera Università Popolare. Prossimi corsi sui grandi modelli della
democrazia occidentale (teoria e storia) e sulla storia dei sistemi
democratici
- Novità Edizioni Punto Rosso
- Biblioteca Minima
- Materiali: introduzione di Giorgio Riolo al numero speciale del giornale
di strada Come in occasione del Forum   Sociale Mondiale di Mumbai 2004 e
lettera-auguri di Emilio Molinari per la ripresa del lavoro sull'acqua

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AFRICA, ASIA E AMERICA LATINA A MUMBAY (BOMBAY) 2004

QUARTO FORUM SOCIALE MONDIALE

Dal 16 al 21 Gennaio 2004

Il Forum Sociale Mondiale sta diventando oggi l'unica e concreta
alternativa alla devastante applicazione dell'idea neoliberista di
globalizzazione, il luogo morale, culturale e politico in cui i popoli
pensano e costruiscono alternative concrete a questa situazione
insostenibile.

Rispetto alle tre edizioni precedenti, quest'anno c'è una novità
importante: il Forum si svolgerà in India, toccando quindi per la prima
volta il continente asiatico, così centrale e determinante nella
definizione dei futuri equilibri mondiali.

Ciò sicuramente non riduce, ma se possibile rende ancora più presente la
necessità di sostenere economicamente movimenti ed associazioni delle aree
più svantaggiate del pianeta, affinché possano partecipare al Forum
nonostante la scarsità di mezzi.

Si tratta di organismi africani, latinoamericani e asiatici, con
un'attenzione particolare alle aree geografiche più pesantemente colpite
dagli sconvolgimenti di questi anni, come i paesi arabi e mediorientali. In
particolare vorremmo favorire la presenza di esponenti afgani e iracheni di
organismi democratici di quei martoriati paesi.

E' essenziale riuscire a raccogliere 25.000 euro per contribuire alle spese
burocratiche, di viaggio e di pernottamento di studiosi e di militanti di
queste organizzazioni.

Le sottoscrizioni debbono pervenire al conto corrente postale N. 37398203
intestato ad Associazione Culturale Punto Rosso - Via Morigi 8 - 20123
Milano, specificando come causale "Africa, Asia e America Latina a Bombay";
oppure mediante bonifico bancario sul c/c N. 10438 dell'Associazione
Culturale Punto Rosso presso Banca Popolare di Milano Ag. 18 - Meravigli
ABI 05584 CAB 01618.

Firmatari:

SAMIR AMIN, FRANCOIS HOUTART, GIORGIO RIOLO, JOSE' LUIZ DEL ROIO, VITTORIO
AGNOLETTO, MARIO AGOSTINELLI, PIERO BASSO, GIOVANNI BERLINGUER, MARCO
BERSANI, FAUSTO BERTINOTTI, RAFFAELLA BOLINI, LORIS CAMPETTI, SALVATORE
CANNAVO', FEDERICO CERATTI, GIULIETTO CHIESA, GIORGIO CREMASCHI, ROSARIO
LEMBO, ROBERTO MAPELLI, ALESSANDRA MECOZZI, EMILIO MOLINARI, LUCIANO
MUHLBAUER, ANGELA PASCUCCI, ALFONSO PECORARO SCANIO, GUGLIELMO RAGOZZINO,
ROSSANA ROSSANDA, RAFFAELE K. SALINARI, CESARE SALVI, PIERO SANSONETTI,
SABINA SINISCALCHI, PIERLUIGI SULLO, LUIGI VINCI, ALBERTO VITALI, ALEX
ZANOTELLI.

Testate che hanno collaborato: Il manifesto, Liberazione, Carta, Le monde
diplomatique, Solidarietà internazionale, Terres des hommes, Altreconomia.

L'appello è assunto dal Coordinamento Italiano del Forum Sociale Europeo.


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LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE

PROSSIMI CORSI

STORIA DEL PENSIERO POLITICO.

I GRANDI MODELLI DELLA DEMOCRAZIA OCCIDENTALE: TEORIA E STORIA.



Durata: 4 incontri

Luogo: Punto Rosso

Orario: 18.30-20.30

Quota di partecipazione: 15 Euro



Giovedì 15 Gennaio

La filosofia del diritto di Hegel e la critica di Marx

Relatore: Giorgio Riolo e Roberto Mapelli (Punto Rosso)



Giovedì 22 Gennaio

Lenin, Kautsky e Rosa Luxemburg

Relatore: Vittorio Morfino (Università di Milano)



Giovedì 29 Gennaio

Tocqueville e la democrazia in America.

Relatrice: Monica Quirico (Università di Torino)



Giovedì 5 Febbraio

Stuart Mill e il liberalismo.

Relatore: Antonella Besussi (Università di Milano)




LA NASCITA DELLA DEMOCRAZIA MODERNA. 1850-1945.



Durata: 3 incontri

Luogo: Punto Rosso

Orario: 18.30-20.30

Quota di partecipazione: 10 Euro



Mercoledì 21 Gennaio

Gli Stati Uniti.

Relatore Bruno Cartosio (Università di Bergamo)



Mercoledì 28 Gennaio

La Francia.

Relatrice Loredana Scalcon (insegnante)



Mercoledì 4 Febbraio

L'Inghilterra.

Relatore Giorgio Giovannetti (storico)



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BIBLIOTECA MINIMA


*

	IMMANUEL WALLERSTEIN, Alla scoperta del sistema mondo,
Manifestolibri 2003, pp. 518, ¤ 30



Il percorso intellettuale del grande sociologo statunitense. E' la raccolta
di numerosi saggi, scritti dagli anni sessanta a oggi, tesi a illustrare il
maturare delle categorie chiave del suo prezioso apporto alla teoria del
sistema-mondo, dei movimenti antisistemici. Con Samir Amin, Andre Gunder
Frank, Giovanni Arrighi, assieme ad altri studiosi, uno dei fondamenti
teorici dell'attuale movimento altermondialista.





*

	PIER PAOLO POGGIO, La crisi ecologica. Origini, rimozioni,
significati, Jaca Book 2003, pp. 199, ¤ 13



Poggio, già direttore scientifico della Fondazione Luigi Micheletti di
Brescia, da tempo lavora sui temi dell'ecologia. Ha scritto un libro
importante sui fondamenti filosofici, storici, sociali dell'ecologismo
critico o dell'ecologia politica. Le nozioni di progresso,
antropocentrismo, sviluppo sostenibile ecc. rivisitate criticamente. Bello
anche il riferimento al dibattito russo (populismo, Herzen, Tolstoj,
Dostoevskij ecc.).




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MATERIALI



Come è un giornale di strada ed è una testata con la quale collaboriamo da
tempo. In occasione del Forum Sociale Mondiale di Mumbai 2004, pubblica un
numero speciale a cura di Giorgio Riolo, José Luiz Del Roio in
collaborazione con Marcello Andreetti e Marco Costa. Con contributi di
Lidia Menapace, Mario Agostinelli, Roberto Savio, Andrea Fumagalli, Rosella
Simone, Riccardo Petrella, Gianni Fabbris ecc. Anticipiamo l'introduzione
al numero di Giorgio Riolo.



Giorgio Riolo



IL FORUM SOCIALE MONDIALE. STORIA E CONTENUTI DI UNA SPERANZA PER IL FUTURO
DEL PIANETA.





Il tempo



Il Forum Sociale Mondiale ha una data precisa di inizio. Tuttavia, come
ogni accadimento umano, nella storia e nella società, esso è essenzialmente
un risultato, è un processo. Così come quello che chiamiamo il movimento
dei movimenti, o meglio ancora, il movimento alternativo mondiale contro il
neoliberismo e contro la guerra. Dire che il movimento nasce a Seattle,
come protesta (il "popolo di Seattle"), o a Porto Alegre come proposta (il
"popolo di Porto Alegre"), risponde solo al bisogno simbolico di definire,
di caratterizzare. Il processo è lungo. Usiamo ricordare il 1992, al tempo
delle celebrazioni dei 500 anni della scoperta dell'America e
dell'insurgencia del movimento indigeno, il 1994 con lo zapatismo, il
1996-1997 con il movimento di denuncia, di opinione, soprattutto per mezzo
di Internet, del Mai o Ami (l'Accordo multilaterale sugli investimenti)
ecc. A fine novembre-inizi di dicembre 1999 a Seattle si palesa un
movimento sotterraneo che viene da lontano. E non solo della protesta, ma,
contestuale, anche della proposta. Viene dalle alternative al sistema
dominante dei movimenti antisistemici degli anni Sessanta e degli anni
Settanta. Viene dai soggetti novecenteschi, operaio, contadino, ecologista,
dei diritti,  femminista ecc. Tutto il materiale contestativo del sistema
dominante. Viene dal solidarismo cristiano, cattolico e non, dal
consumerismo critico, dai gruppi alternativi degli stili di vita ecc. Ora
però, con la sfida mortale lanciata dal neoliberismo, non più solo questi
soggetti spesso in concorrenza tra loro, ma l'essere obbligati, per
rispondere con efficacia a tale sfida, a mettersi in relazione, a
collaborare, a costruire ponti. È il tempo della "convergenza nella
diversità". Veramente: è tempo di rovesciare il corso della storia.

Nel 1947, in una località montana svizzera, Mont Pelerin, sopra Vevey, nel
cantone di Vaud, i teorici del neoliberismo gettano le basi del pensiero
politico, sociale, filosofico di una corrente allora minoritaria,
avversante il keynesismo (e naturalmente il comunismo) e ogni politica del
welfare, dello stato sociale, dell'intervento pubblico in economia. Il
neoliberismo si affermerà con la signora Thatcher e con Reagan, tra la fine
degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta. Diventerà filosofia
sociale complessiva egemone, pensiero unico, politica corrente non solo a
destra, ma anche a sinistra, tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta del
secolo scorso. Davvero, la sfida brutale alle condizioni sociali,
ambientali, culturali, politiche del pianeta era (ed è) tale che era ed è
tempo di rovesciare il corso della storia.






Il luogo




Nell'esistenza umana, nonché nella storia e nella società, i luoghi sono
importanti. Ogni anno a Davos, località montana vicino a Zurigo, dove prima
si trovava il sanatorio, reso famoso dal grande romanzo di Thomas Mann La
montagna incantata, si teneva il Forum Economico Mondiale. Un vertice di
governanti, banchieri, padroni e manager di multinazionali, economisti,
giornalisti ecc., in grado di pagare una tassa di partecipazione di 20.000
dollari, tutti al servizio del capitale, nel quale discutere e decidere le
politiche mondiali, i destini del pianeta. Nel gennaio 1999 si tiene un
controvertice pensato e proposto dal Forum Mondiale delle Alternative,
nelle persone di Amin e Houtart, al quale partecipano studiosi e
rappresentanti di movimenti sociali provenienti da tutto il mondo. Sono
poche centinaia le persone coinvolte. Da Samir Amin, François Houtart,
Perry Anderson a Susan George, Bernard Cassen, Riccardo Petrella, dai Sem
Terra ai sindacati sudcoreani. Ma questo è il primo appuntamento,
l'AltraDavos, il laboratorio politico, sociale e culturale per elaborare le
alternative all'ordine neoliberista mondiale, di cui il Fem è la testa, il
simbolo. Dall'incontro i protagonisti ne escono con il pensiero e il
proponimento che un grande appuntamento mondiale non solo sia solo
possibile e auspicabile, ma sia anche necessario. Un Forum di tutte le
forze, gli organismi, i soggetti che desiderano, pensano a, agiscono per,
un altro mondo. Il luogo dei potenti è Davos, nella opulenta Svizzera,
vicino agli gnomi della finanza di Zurigo. Il luogo  morale, politico e
sociale dell'alternativa, del disegno di un pianeta giusto, eguale,
salvaguardato e riproducibile dovrà essere nelle periferie del mondo. Nel
cosiddetto Sud, disprezzato, oppresso, umiliato e offeso.






Porto Alegre




Bernard Cassen è tra i fondatori di Attac, un movimento nato in Francia
attorno a Le monde diplomatique e subito diffusosi in tutto il mondo.
Conosce l'esperienza del bilancio partecipativo della città brasiliana di
Porto Alegre, nello stato di Rio Grande do Sul e ne è attratto. Quando,
all'inizio del 2000, si incontra con Chico Whitaker e Oded Grajew, due
autorevoli esponenti del movimento brasiliano, il primo della Commissione
Iustitia et Pax, il secondo dell'Istituto Ethos, il luogo di Porto Alegre è
presto individuato. Occorre una città governata dalla sinistra che metta a
disposizione strutture e facilitazioni per un gigantesco appuntamento
mondiale. Non basta un palazzetto dello sport, un solo campus
universitario. Occorre l'appoggio anche dello stato e del governatore di
Rio Grande do Sul Olivio Dutra. In più a Porto Alegre, nel Brasile
fecondato dalla teologia della liberazione, il vescovo mette a disposizione
la Pontificia Università Cattolica, la ormai, per tutti noi partecipanti,
famosa Puc. Nel maggio 2000 a Bologna, alla prima settimana con Le monde
diplomatique, organizzata dal Punto Rosso-Forum Mondiale delle Alternative
e da Attac, Cassen annuncia in Italia il prossimo Forum Sociale Mondiale di
gennaio 2001. In preparazione del ControG8 di Genova, come Punto
Rosso-Forum Mondiale delle Alternative lavoriamo per favorire la
partecipazione italiana al grande evento. Organizziamo il viaggio e la
sistemazione, contribuiamo a informare sul suo significato.





Che cosa sono i Forum




Il luogo morale, sociale, politico, culturale del mondo in costruzione. Una
folla di sentimenti, di emozioni, di lingue, di sguardi, di occhi. Gli
occhi di una umanità pensosa e preoccupata, gioiosa e piena di speranza. È
veramente, come dice Houtart,  la sanzione della fine del monopolio
culturale neoliberista secondo cui non esiste alternativa al capitalismo
mondializzato. L'alacrità della coscientizzazione dei tanti seminari, delle
plenarie, dei workshops. Al primo Fsm di Porto Alegre, tra il 25 e il 30
gennaio 2001, ci siamo ritrovati in 4700 delegati, 18.000 partecipanti,
provenienti da 122 paesi del mondo. Nessuna risoluzione finale, né
tantomeno direttive alla maniera delle Internazionali, alla fine abbiamo
firmato una Carta dei Principi condivisa da tutti (molti di noi, sull'onda
della forte emozione iniziale, aveva proposto una sorta di nuovo
"giuramento della Pallacorda", di non separsi mai fino a che non avessimo
ottenuto significativi cambiamenti dell'ordine mondiale). Eravamo felici e
consci di aver partecipato a un evento epocale, di quelle svolte storiche
che periodizzano lo sviluppo dell'umanità. Consci anche di aver
sperimentato la "pedagogia degli oppressi" alla Paulo Freire,
l'autoapprendimento collettivo. E tuttavia non possiamo non avvederci che
siamo soprattutto europei e latinoamericani (il famoso asse
franco-brasiliano, egemone nel Forum) e che molto occorre fare per far sì
che partecipino delegati di movimenti africani e asiatici (molti di questi
organismi semplicemente non hanno le risorse per finanziare i viaggi e le
spese di soggiorno, da qui la campagna "Asia, Africa a Porto Alegre"
lanciata dal Fma).







Il Consiglio Internazionale




La faticosa ricerca di un modo che salvaguardi la rappresentatività di ogni
organismo iscritto al Fsm, e al contempo assicuri un minimo di
coordinamento e di decisione collettiva, ha condotto, nel giugno 2001, alla
creazione di un Consiglio Internazionale di 70 membri circa di
associazioni, organismi, movimenti. Da allora il CI si è riunito
periodicamente per discutere i problemi del Fsm e adottare le misure per un
virtuoso sviluppo del Fsm stesso. Oggi si sta pensando a come riformarlo, a
renderlo più aderente alla complessità dei movimenti sociali, al compito
primario del coordinamento. Alla risposta efficace alla strategia coerente
e complessiva, non ultima la guerra come politica corrente planetaria, dei
poteri mondiali, delle potenze a guida Usa.







Il II e il III Fsm di Porto Alegre: problemi e prospettive




Il II Fsm di Porto Alegre 2002 si svolge dopo l'11 settembre. La guerra
preventiva, permanente, globale è al centro delle preoccupazioni. Oltre
all'acqua, ai beni comuni, alla democrazia, all'agricoltura, ai diritti,
alla istruzione, alla cultura, la guerra diventa l'asse principale del Fsm.
Ci ritroviamo in circa 43.000 delegati, 80.000 partecipanti. 11 plenarie,
30 seminari, 800 workshops. Tutti conveniamo che è umanamente impossibile
poter avere non diciamo la padronanza, ma almeno la cognizione
dell'interezza dei lavori. Ognuno di noi sarà testimone e protagonista di
un frammento, di un pezzo del Fsm. Già si era pensato ai Forum tematici,
sull'educazione e la cultura, sui popoli indigeni amazzonici (il Forum
Panamazonico di Belem do Parà, il I nel gennaio 2002 e il II nel gennaio
2003), il prossimo forum tematico sulla guerra nel febbraio 2004 ecc. Ora
si propone di tenere ogni anno i forum continentali, europeo, africano,
asiatico, latinoamericano ecc. per agevolare la discussione e la
partecipazione. Con il proposito di riportare al Fsm i risultati di detti
forum continentali. Con Houtart e Amin conveniamo che ormai Porto Alegre si
è imposto nell'agenda politica mondiale e che il compito ormai ineludibile
è quello di procedere speditamente nella elaborazione, precisazione e
definizione delle alternative. Mentre il sistema dominante può permettersi
il lusso di essere conservativo (ma l'esperienza storica mostra invece
quanto esso sia mutevole, "rivoluzionario", come diceva Marx, e gli stessi
cosiddetti neoconservatori dell'amministrazione Bush, la banda di
forsennati guerrafondai che stanno al posto di commando in Usa oggi, in
realtà, sono definiti, con più proprietà di linguaggio, "rivoluzionari", a
causa del sovvertimento da essi voluto del diritto internazionale, del
diritto tout court ecc.), il movimento è condannato a non ripetere, a non
ricominciare sempre da capo, a sviluppare le alternative ecc.

Al III Fsm di gennaio 2003, delegati 51.300 quasi 100.000 partecipanti.
Lula, in un memorabile discorso alla spianata di Por do Sol, afferma che
"il Fsm è il fatto politico più importante della nostra epoca". È la
rivoluzione copernicana: Porto Alegre non ruota più attorno a Davos, ma al
contrario. Davos ruota attorno a Porto Alere, è l'Anti-Porto Alegre.
Parliamo già di "gigantismo" del Fsm, il Forum come i giochi olimpici (Emir
Sader). 1714 seminari e workshops. La frammentazione geografica e per
settori di attività rimane un problema. Così ci avvediamo che, per esempio,
il grande Forum Sociale Europeo svoltosi a Firenze nel novembre 2002 non ha
accumulato scienza ed esperienza da riportare al Fsm. Il principio di
accumulazione, non del capitale bensì dell'elaborazione delle alternative,
a cui siamo condannati, obbliga a ripartire dal punto raggiunto nel Forum
precedente, nel Forum continentale, nel Forum tematico ecc. per compiere
altri passi in avanti. Non ricapitolare, non ripetere.

Il Consiglio Internazionale decide di tentare di attenuare il carattere
europeo e latinoamericano del Fsm col tenere il prossimo Fsm 2004 in India,
a Bombay. L'anno successivo dovrebbe essere la volta dell'Africa, ma il
Sudafrica non è pronto e quindi si conviene che il Fsm 2005 ritorni a Porto
Alegre.







A mo' di conclusione, alcuni problemi




Il Fsm, per sua intima essenza, è al contempo un mezzo e un fine. È un
potente strumento nel millenario cammino per l'emancipazione umana e per la
salvaguardia della natura. È anche un fine, poiché esprime al massimo grado
lo spirito solidale, egualitario, dialogico, comunitario, prefigurazione
della società alternativa di liberi e di eguali, riconciliati con la natura
e con l'ambiente. Possiede una potente carica di attrazione, una potente
spinta all'aggregazione. Da qui le migliaia di giovanissimi che ne
riempiono le sale nei seminari, assieme ai tanti attivisti e attiviste di
qualunque età. Un movimento intergenerazionale come pochi si sono visti
nella storia. Ma questa forza fatica a tradursi in efficacia politica, in
politiche alternative in grado di mettere ancor più in difficoltà i poteri
mondiali. Siamo alla ricerca di un tertium, di una terza modalità che eviti
i due mali, per dirla con Houtart. La Scilla della Woodstock sociale,
l'evento, l'happening da figli dei fiori, dell'autocompiacimento del
ritrovarsi assieme, cantare e ballare ecc.  e la Cariddi della V
Internazionale (prolungamento della IV, della III e via dicendo)
gerarchica, ferreamente centralizzata e direttiva. La ricerca delle
alternative è anche la ricerca del metodo. La politica e la democrazia come
fine e come mezzo. Dopo l'ignominioso discredito in cui sono cadute queste
due grandi e nobili nozioni, la necessità della loro rinobilitazione, della
loro ridefinizione e non della loro cancellazione. Allora da qui il potente
impulso a superare l'autoreferenzialità dei movimenti e dei gruppi
dirigenti. Gruppi dirigenti che siano di alto profilo culturale, politico,
morale. Gruppi dirigenti che siano selezionati non casualmente, non
arbitrariamente, ma riconosciuti per quell'alto profilo di cui sopra. Ciò è
ancora di là da venire, soprattutto per il grande movimento italiano.

I francesi possiedono una bella espressione che suona così: il faut
recouler pour mieux sauter. Occorre fermarsi, e anche fare due passi
indietro, per prendere la rincorsa e saltare meglio, più in alto. Occorre
agire, siamo condannati a rispondere agli eventi, alle mosse dei poteri. Il
tempo dei dominanti non coincide con il tempo dei dominati. La
coscientizzazione e l'aggregazione necessitano di tempi lunghi. Per
precisare sempre meglio i fini, le alternative, occorrono riflessione e
cultura. Il capitale e i dominanti impongono il tempo breve. E la logica
della guerra risponde anche a questo bisogno. Qui sta lo iato, lo scarto.
Il grande Agostino d'Ippona diceva che il tempo appartiene al Signore. Non
ai mercanti, ai signori. Noi possiamo sostituire al termine "Signore", il
termine "umanità". Riapproprimoci del tempo, riappropriamoci del mondo che
appartiene ai popoli, alle persone, donne e uomini, di buona volontà.




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Emilio Molinari (Vice presidente, Italia, del Contratto Mondiale Sull'acqua).



Tanti Auguri a tutti.

( E una forte, fortissima, sollecitazione ad un vostro rinnovato impegno
sull'acqua.)



Cari amici, con il 2003 finiscono le celebrazioni sull'acqua e il rischio,
come si suole dire, è che "passata la feste, gabbato lo santo"

Ovvero, non se ne parli più o se ne parli sempre meno, se ne parli solo in
termini generali e ideali, se ne parli in termini di aiuto ai poveri, di
educazione al risparmio personale eccŠ.

Tutte cose necessarie, estremamente importanti, ma che eludono il
principale problema di oggi, cioè: l'epocale scontro politico che è in atto
universalmente sulla mercificazione del bene comune  ACQUA, ovvero la sua
PETROLIZZAZIONE, che si presenta come un vero e proprio passaggio di
civiltà.



- Questo scontro, penso lo sappiate bene, si manifesta  prima di tutto con
la privatizzazione dei servizi idrici locali e con la messa in bottiglia
del diritto al bere. Entrambe le cose hanno a che fare con le scelte
politiche.

- Questo scontro muove dagli enormi interessi di potenti Multinazionali,
sostenuti da pubblicità e mass media, da governi, partiti, istituzioni di
tutti i tipi e in tutto il mondo.

- Questo scontro attraversa profondamente il nostro paese, i nostri
partiti, le nostre istituzioni nazionali e locali, e fino all'ultimo si è
manifestato nella la finanziaria che il parlamento ha appena votato.



Nel nostro paese questo scontro è in atto da tempo, abbiamo ottenuto alcuni
risultati,  ma non è finito.

Il parlamento ha dovuto recepire la pressione del movimento e rinunciare a
rendere obbligatoria la privatizzazione dei servizi idrici locali, ha
dovuto concedere la possibilità di scelta delle SPA interamente pubbliche
gestite in hause.

Ebbene, più del 60% delle società di gestione del servizio idrico in
Italia, non è ancora stato messo a  gara,  non ha perciò ceduto azioni ai
privati.

Inoltre si è costituita l'Associazione degli eletti dell'acqua, che
pensiamo possa costituire un punto di forza e nello stesso tempo un
elemento di strategia per ricostruire la politica a partire appunto dai
beni comuni.

Quindi cari amici la battaglia nel nostro paese, è ancora aperta e dovremmo
riprenderla nel 2004 con forza, tutti assieme possiamo farcela.

Credo  però che ognuno debba riscoprire in sé, prima della fedeltà o
disciplina al partito, il rispetto per le proprie idee, la libertà di
giudizio personale. Perché, a chiusura di un anno, permettetemi di parlare
con brutale franchezza:

-credo non sia più possibile nasconderci che in questo scontro, purtroppo,
la maggioranza dei partiti del centro sinistra e gli enti locali governati
dal centro sinistra, sono stati in prima fila, e determinatissimi, nel
sostenere la privatizzazione dell'acqua.

-Gli on. Bersani e Bassanini sono stati a questo proposito, degli
integralisti delle privatizzazioni.

-E sarà bene non nasconderci anche che i sindacati, le grandi associazioni
ambientaliste non hanno brillato per chiarezza, che purtroppo anche la
sinistra radicale e antiliberista si è sicuramente impegnata di più, ma
solo localmente e talvolta marginalmente, e non ha impiegato i propri mezzi
di propaganda e gli spazi mediatici che dispone per informare l'opinione
pubblica della portata politica dello scontro in atto che mi sia concesso
è, per  la cultura dei diritti, forse della stessa portata dell'art. 18.

Inoltre tutta la sinistra ha completamente escluso, sembra aver rimosso dai
propri programmi, la questione della privatizzazione dell'acqua e quella
delle privatizzazioni in generale.



Oggi, in vista di elezioni mentre si moltiplicano i tavoli di confronto
programmatico in tutto il centro sinistra e Rifondazione comunista, nessun
partito sta ponendo con la dovuta serietà la questione delle
privatizzazioni.

Del passaggio al mercato dell'acqua, dell'energia, della sanità, della
scuola, dei trasporti, negli accordi elettorali e nei programmi per i
futuri governi locali e nazionali non si parla, l'unico a parlarne ancora
con cipiglio è l'on. Bersani che intervistato dal Corriere della Sera, a
proposito del programma per un futuro governo di centro sinistra, ha
risposto con una sola inequivocabile parola:"liberalizzazioni"

La parola chiave, quella che i poteri veri e forti vogliono sentir dire dai
politici.

Ma io sono convintissimo che:

- la questione delle privatizzazioni è la vera grande questione in gioco,
in Italia e in Europa.

Sono convintissimo che:

- oggi riaffermare la democrazia, voglia dire principalmente ridare senso
collettivo al cittadino, al lavoratore, all'abitante, riaffermare nella
loro cultura un DNA universale,  l'intangibilità dei beni comuni, dello
stato sociale, dei diritti fondamentali, del servizio pubblico
nell'interesse di tutti.



Cari amici, credo cominci ad essere uno scandalo il fatto che i partiti
della sinistra non tirino concrete conseguenze politiche dai catastrofici
avvenimenti come la crisi Argentina e le conseguenze sociali delle
privatizzazioni. Non imparino nulla dal fatto che l'anno che ci lasciamo
alle spalle, sia stato segnato dal ripetersi di drammatici segnali, tutti
simili come le "crisi-degrado" delle grandi multinazionali Enrom,
Warcom,Vivendi prima, e poi Cirio e Parmalat  quella dell'unica acqua micro
filtrata, quella che ha comprato le centrali del latte comunali.

Non riflettano sulla grande crisi del privato, della sua etica, della sua
efficienza, e in particolare sulla crisi di quel privato  globalizzato e
legato alla politica, che trae benefici dalle privatizzazioni dei settori
pubblici e dei servizi.

Credo sia allarmante che non si ragioni sui blak out elettrici americani,
canadesi ed italiani, eventi che hanno tutti a che fare con le
privatizzazioni.

Non traggano contenuti programmatici dalle sacrosante manifestazioni della
società civile: dalla rivolta Boliviana contro la privatizzazione
dell'acqua e del gas, agli odierni scioperi spontanei dei lavoratori dei
trasporti pubblici, vittime assieme agli utenti della "efficienza" delle
privatizzazioni che, è ormai palese e sotto gli occhi di tutti, hanno
generato sottosalari, precarizzazione del lavoro, caduta delle
professionalità e deresponsabilizzazione, cattive manutenzioni, pericoli,
peggioramento dei servizi.



Scusate ancora per questo sfogo di fine anno, ci siamo conosciuti in tanti
dibattiti e sapete che nelle mie parole non c'è alcun spirito qualunquista
e nessun invito ad abbandonare i partiti, nessuna partigianeria per questo
o quel partito, c'è la partigianeria, questa sì, per i BENI COMUNI e la
profonda convinzione che la PARTECIPAZIONE diretta sui contenuti e alle
battaglie che si ritengono giuste, sia l'unica cosa che può prevenire
disastrosi risvegli all'umanità e ridare dignità alla politica e alla
democrazia.



Per un 2004  di PARTECIPAZIONE    

Per i BENI COMUNI       

Per la REX PUBBLICA        

TANTI  AUGURI









-------------------------------------------------------------------
ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO puntorosso@puntorosso.it
FORUM MONDIALE DELLE ALTERNATIVE fma@puntorosso.it
LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE lup@puntorosso.it
EDIZIONI PUNTO ROSSO edizioni@puntorosso.it
VIA MORIGI 8 - 20123 MILANO - ITALIA
TEL. 02-874324 e 02-875045 (anche fax)
www.puntorosso.it <http://www.puntorosso.it/>






Ankara: diario della nona udienza.
21 novembre 2003
Ankara, 21 novembre 2003
Diario della nona udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi colleghi
Selim Sadak, Hatip Dicle, Orhan Dogan

A cura di Silvana Barbieri

Sono presenti a quest'udienza, come di consueto, numerosi osservatori
internazionali: rappresentanti del Parlamento Europeo, della Commissione
Europea, dell'Associazione Internazionale Giuristi Indipendenti,
dell'Ambasciata italiana, questa anche per conto del Consiglio Europeo,
inoltre ci sono io in rappresentanza dell'Associazione Punto Rosso. E come
di consueto sono presenti dirigenti e militanti di DEHAP, delle
associazioni turche per i diritti umani e molti parenti e amici degli
imputati.

Siamo giunti ieri ad Ankara e appena in albergo abbiamo saputo che a
mezzogiorno il palazzo che a Istanbul ospita il Consolato britannico e una
banca britannica era stato colpito da un duplice attentato, con molte
vittime, tra le quali il Console britannico. Solo cinque giorni fa in
questa città c'erano stati gli attentati a due sinagoghe, sempre con molte
vittime. La vita ad Ankara tuttavia non appare alterata. La polizia si farà
viva dinanzi al nostro albergo solo stasera, con agenti che impediranno
alle automobili di portarsi troppo vicino all'edificio.


Gli interventi degli imputati

I testimoni convocati dall'accusa sono risultati per l'ennesima volta
irreperibili. Com'è possibile, afferma Alataþ, uno di loro è membro del
Parlamento per conto del Partito al Governo, inoltre è iscritto all'Albo
dei dentisti. Va bene, risponde il Procuratore, manderemo la convocazione
al suo gruppo parlamentare.

In effetti il processo si sta trascinando da parecchie udienze al
rallentatore: e l'impressione, non soltanto nostra, è che i giudici lo
stiano intenzionalmente portando per le lunghe. Da una parte essi intendono
proteggere il processo del 1994, cioè non vogliono emettere una sentenza di
assoluzione, che sarebbe l'ammissione che quello del 1994 fu un processo
non giusto, dall'altra avvertono la pressione degli osservatori
internazionali, e anche dall'interno della Turchia, non solo da parte della
politica ma dei mass-media, che vuole una sentenza giusta quindi
l'assoluzione degli imputati.

Guardo i tre uomini della Corte e il Procuratore. Vestiti dimessi,
comportamento non più arrogante, da parecchie udienze, però orgoglioso. Un
giovane funzionario europeo, tra i molti che si sono appassionati a questo
processo e del quale siamo diventati amici, ci ha appena spiegato che nella
gerarchia dei funzionari dello Stato turco i giudici sono quelli messi
peggio. Al vertice sono i militari, poi vengono le forze di sicurezza. Le
differenze sono in tutto, non solo negli stipendi. Se trasferiti i giudici,
finché non hanno trovato casa, vengono alloggiati in modestissime
foresterie statali, agli ufficiali dell'esercito toccano invece alloggi di
lusso. Che l'ostinazione antidemocratica e sciovinista della Corte e del
Procuratore razionalizzi un bisogno, in un quadro di frustrazione, di
sentirsi necessari alla Turchia, sia il fatto di rappresentarsi tra i più
fedeli seguaci oggi del kemalismo, rifletta un'idea di sé di tutori dello
Stato laico contro l'emergenza politica dell'islamismo e dell'unità dello
Stato contro quello che essi vivono come il tentativo del suo dissolvimento
da parte curda?

Che cosa c'è nella testa di questi quattro uomini, bersaglio da mesi del
disprezzo non solo degli imputati, degli avvocati e degli osservatori
internazionali, ma di tanti loro connazionali, di gran parte della stampa
turca, di parte della stessa politica ufficiale?

Sta per intervenire Leyla Zana. Tono e argomenti, come vedremo, saranno
assai duri, nella valutazione dell'operato della Corte e nelle
argomentazioni politiche. E lo stesso sarà da parte degli altri imputati e
degli avvocati. Chiederemo poi agli avvocati il motivo di questo
cambiamento rispetto alla linea precedente, che mescolava alla
rivendicazione politica argomentazioni tese a documentare la propria
innocenza. L'ottava udienza, ci spiegherà Alataþ, nella quale è stata letta
una testimonianza resa fuori dall'aula che dichiara che Leyla Zana si
muoveva alla vigilia della sua elezioni al Parlamento turco in sintonia con
il PKK (che dichiara che Leyla Zana era stata nel 1991 in un campo in
Libano del PKK, che lì Öcalan le aveva detto come agire in vista delle
elezioni politiche, ecc.) e la Corte ha respinto l'acquisizione di
testimonianze e di prove atte a dimostrare che tutto questo è falso ha
convinto gli imputati che questo processo è solo il paravento di
un'operazione tutta politica della parte antidemocratica della
Magistratura, orientata al sabotaggio di quel poco di riforme democratiche
varate dal Parlamento turco. Inoltre una dichiarazione in ottobre del
Ministro della Giustizia Çiçek, riportata da un autorevole giornale turco,
Hurriyet, auspicante uno scambio tra la scarcerazione degli imputati e la
messa del partito KADEK (ex PKK) sulla lista dell'Unione Europea delle
organizzazioni terroriste ha convinto gli imputati che una partita
parimenti cinica è giocata su di loro da parte del Governo. Quindi hanno
concluso che difendersi giuridicamente non ha senso e che l'unica difesa
che abbia un valore è quella politica, inoltre che questa difesa debba
consistere nella rivendicazione della legittimità della lotta nel suo
complesso della popolazione curda della Turchia per il diritto alla propria
identità.

Leyla Zana. Condanno gli attentati di questi giorni, anche a nome dei miei
compagni. Sono delitti contro tutta l'umanità, il loro scopo è di creare
odio tra i popoli. Non volevamo più intervenire nelle udienze, perché
abbiamo capito che la Corte sta ripetendo il processo del 1994, ma il 22
ottobre su Hurriyet abbiamo letto della proposta di uno scambio Zana-KADEK,
e questo ci ha obbligato a intervenire di nuovo.

Sino ad oggi abbiamo soprattutto parlato dei fatti del processo e della
giustizia in Turchia, ora invece ci esprimeremo politicamente. Quello che
ho letto dello scambio Zana-KADEK non mi ha sorpreso. Sapevo già che la
giustizia in Turchia non è indipendente ma è subordinata a quello che
succede nella politica. Né mi sorprende che con questo scambio continui la
politica di Susurluk (NB: si tratta del luogo di un incidente
automobilistico attraverso il quale vennero alla luce i legami tra il
Governo di allora, capeggiato da Tansu Ciller, l'esercito golpista e la
mafia). E come in quegli anni la lotta del popolo curdo sconfisse quella
politica, così accadrà dinanzi alla sua continuazione di oggi.

La politica a cui noi invece siamo legati è quella della lotta di un
popolo, l'esatto contrario del mercato di ogni principio democratico e
civile. Da dieci anni siamo ostaggi di questo mercato. Ma prima o poi la
nostra politica prevarrà, questo mercato sarà sconfitto. Non c'è più quasi
nessun paese al mondo, infatti, dove le cose vadano come continuano ad
andare in Turchia.

La questione curda è molto complicata: i curdi vivono in quattro paesi
molto differenti. Quello che succede in uno di questi paesi si riflette,
inoltre, sugli altri. Ma proprio per questo la soluzione della questione
curda non può essere nella guerra.

Noi non vogliamo la guerra. Noi vogliamo i nostri diritti, vogliamo la
libertà di essere curdi in questo paese. Se la situazione ci sta spingendo
nuovamente verso la guerra è solo perché siamo impediti nei nostri diritti.
Per dimostrare che noi curdi siamo dalla parte della pace il partito KADEK
si è sciolto, e il nuovo Kongra Gel (Congresso dei Popoli del Curdistan:
un'assemblea di partiti di tutte le parti del Curdistan, turca, irachena,
iraniana, siriana) è per il mantenimento delle frontiere attuali della
nostra area. I turchi hanno vissuto in questi anni con la paura di una
rottura della Turchia: stiano tranquilli, nessuno questa rottura la vuole.
Questo Governo continua a dire che la Turchia è circondata da nemici: ma i
nemici è solo la Turchia che se li crea, in primo luogo dentro a se stessa,
fomentando l'odio tra le sue popolazioni, poi da parte delle popolazioni
confinanti. E' solo la Turchia a crearsi i suoi empasse e i suoi guai.

Voglio anche parlare della condizione terribile della carcerazione di
Abdullah Öcalan. Per molte settimane i suoi avvocati non hanno potuto
incontrarlo, e questo ha creato tensione nella popolazione curda. Mercoledì
scorso gli avvocati hanno potuto incontrarlo, e questo ha alleggerito la
tensione.

Abdullah Öcalan è l'autore dell'armistizio che ha permesso alla Turchia in
questi cinque anni di vivere in pace. Al contrario neanche questo Governo
si muove per la pace. Continua infatti a creare allarme perché l'unità del
Paese sarebbe in pericolo e a non far nulla di sostanziale per risolvere la
questione curda.

L'esempio più evidente di dove si vada a finire percorrendo questa strada è
fornito dalla situazione di Israele e Palestina. Si va cioè a finire in una
guerra terribile e senza prospettiva che non sia la sua prosecuzione
infinita. Vogliamo tornare a una situazione simile? Turchi e curdi possono
vivere in pace tra loro. Dipende solo dalla Turchia. Se essa realizzerà la
pace che le nostre due popolazioni sognano la Turchia diverrà un grande
riferimento per tutte le popolazioni della nostra area.

Signori giudici, quando uno scrittore è anche il protagonista della vicenda
che racconta, egli conosce la fine della vicenda e questo può far perdere
al suo racconto tensione ed equilibrio. Di questo processo lo scrittore,
cioè la Corte, sa la fine. Sin dall'inizio essa si è premurata di ripetere
il processo del 1994. Non siete infatti dei giudici, ma le controfigure di
quelli che usano questo processo per le loro partite politiche. Ponete
almeno fine rapidamente a questa vicenda.

Selim Sadak. La nostra lotta per la giustizia in Turchia è fatta di
pazienza. Dopo avere saputo che erano stato due giudici su tre invece di
tutta la Corte a decidere di rifare questo processo noi imputati abbiamo
rinunciato ad avere come obiettivo principale la nostra liberazione e
abbiamo voluto parlare principalmente della libertà in Turchia e della
libertà per il popolo curdo in particolare.

L'impostazione data dalla Corte a questo processo è una finzione giuridica,
è uno show. La giustizia è solo la facciata. I testimoni dell'accusa
continuano a essere chiamati testimoni dello Stato, mentre hanno tutti un
passato sporco, sono tutti o ex agenti della polizia di quelli che nelle
gendarmerie dei villaggi torturavano i curdi oppure sono guardiani del
villaggio o capi tribù che ancora oggi opprimono i contadini. Nelle udienze
precedenti questi testimoni hanno confermato le deposizioni del 1994, ma è
stato pure dimostrato, grazie alle poche testimonianze della difesa
accettate dalla Corte, che essi avevano mentito e continuano a mentire: e
la Corte non ha reagito. Quando sui giornali è apparsa la proposta del
Governo di uno scambio Leyla Zana-KADEK la Corte non ha detto una parola di
smentita o di deplorazione.

Se un tale fatto si fosse verificato in uno Stato democratico ci sarebbe
stato uno scandalo. Anche questa perciò è un'indicazione del grado reale di
democrazia e di giustizia in questo paese. Come il fatto che da dieci anni
siamo degli ostaggi dello stato. Come il fatto che eravamo deputati,
eravamo rappresentanti della nostra società, e siamo stati arrestati per le
nostre opinioni. Come il fatto che avevo una madre semiparalizzata che
voleva incontrarmi in carcere con l'intera famiglia (NB: si tratta della
possibilità in Turchia di visite collettive ai carcerati, che sono chiamate
"visite aperte"), e che non le è stato dato il permesso, così poco dopo è
morta senza potermi rivedere.

Altri detenuti, mafiosi che hanno svaligiato banche o hanno derubato lo
Stato, hanno invece trattamenti di favore, possono ricevere tutte le
"visite aperte" che vogliono.

Non solo noi siamo degli ostaggi. La questione curda è ostaggio dello Stato
in Turchia. Noi non siamo altro, in effetti, che ostaggi dello Stato a nome
della questione curda.

C'è stata la lotta armata degli anni scorsi. Nessuna delle parti ha vinto.
Lo Stato ha detto che era in pericolo la sua unità. Quest'unità non è mai
stata messa in discussione: la lotta armata era stata causata dal tentativo
dello Stato di assimilarci e di distruggere così la nostra identità. E'
stato questo tentativo a seminare l'odio tra turchi e curdi. Nel momento in
cui questa politica dello Stato fosse cessata la lotta armata non avrebbe
più avuto ragione di continuare.

Gli autori della politica anticurda li abbiamo visti tutti chi fossero
grazie all'incidente di Susurluk. E purtroppo però essa continua anche
senza i personaggi di Susurluk. Continua nella politica di una parte del
Governo di divisione di Cipro e negli incidenti che continuano a essere
prodotti in Iraq tra curdi e turcomanni, per consentire alla Turchia di
entrare in guerra nel Nord dell'Iraq. Lo Stato continua a dire che abbiamo
nemici, ma se abbiamo cattivi rapporti con i nostri vicini è per colpa
dello Stato.

Da qualche anno grazie agli sforzi da parte curda in Turchia viviamo in
pace. Ed è stato Abdullah Öcalan a porre le basi della pace. E' Öcalan che
ha fermato la guerra inviando oltre confine le forze armate del PKK e che
ha fatto venire in Turchia due delegazioni per discutere con il Governo
della pace - due delegazioni che il governo ha invece fatto arrestare,
contravvenendo agli impegni a contrario presi. Il Governo si aspettava così
di ottenere la ripresa della guerra, invece Öcalan ha mantenuto la pace,
con un atto unilaterale. Öcalan in questi anni ha continuato a mandare
messaggi di pace, i Governi turchi non hanno mai risposto a questi messaggi.

Ora il popolo curdo chiede il trasferimento di Abdullah Öcalan in un'altra
prigione, e il Governo dice di no.

Quindi se in questi anni la tensione tra i curdi e lo Stato è diminuita è
solo per merito nostro.

Ora se si vuole che la pace continui occorre porre termine alla condizione
di oppressione dei curdi e porre termine alla condizione di isolamento
carcerario di Abdullah Öcalan.

C'è stato solamente un Primo Ministro in Turchia ad avere in programma la
soluzione della questione curda, ed era Ozal. Ma egli morì, non si sa se
per un infarto o perché fu avvelenato. In un incontro che ebbi con lui mi
disse che la Turchia è un grande Paese e che in essa c'è posto per i turchi
come per i curdi. Mi disse anche che una parte dell'esercito era per la
pace e che poteva convincere della pace tutto l'esercito. Abdullah Öcalan
avrebbe così potuto tornare in Turchia a farvi politica, come qualsiasi
altro cittadino. "So che questa politica", concluse Ozal, "mi fa correre
qualche rischio, ma io amo il mio Paese e vorrei vederlo vivere in pace".
Invece il Governo di oggi continua con le sue provocazioni a tentare di
spingerci di nuovo verso la lotta armata.

Su questa strada la Turchia rischia di diventare come la Palestina. Bisogna
impedirlo. Bisogna far tornare Abdullah Öcalan alla politica. Ci vuole una
soluzione democratica della questione curda.

Orhan Dogan. Con il rifacimento del processo abbiamo sperato in un
rinnovamento della giustizia in Turchia. Invece si sta ancora difendendo la
vecchia situazione. La Corte di Strasburgo ha  chiesto ai nostri giudici di
cambiare il loro modo di amministrare la giustizia, ma loro continuano nel
modo di sempre. In più hanno paura di prendere una decisione.

Qual è la nostra condizione? Siamo in stato di arresto o dei condannati?

Questo processo è il primo a essere rifatto in Turchia a seguito di una
sentenza della Corte di Strasburgo. Quindi questo processo dovrebbe fare da
battistrada, da esempio, per altri processi. La prospettiva dunque non è
buona.

Voglio capire cosa c'è dietro allo scambio Leyla Zana-KADEK e cosa sta
succedendo alle spalle della giustizia in questo processo.

Il giornale Radikal è rimasto molto sorpreso per la proposta di questo
scambio e ha affermato che essa dimostra come in Turchia non esista una
giustizia indipendente; e soprattutto è rimasto sorpreso del fatto che
nessuno, né dalla parte del Governo né da quella della Magistratura, abbia
smentito la notizia. Io invece non mi sorprendo per niente, la nostra
società è abituata alla sottomissione della giustizia ai Governi. In un
recente sondaggio è emerso che il 65% della popolazione non crede
all'indipendenza della giustizia.

Il diplomatico Yalin Eral si chiede a sua volta come mai i deputati del DEP
siano ancora in carcere e afferma che nella politica contemporanea non è
mai accaduto uno scambio di ostaggi.

La giornalista Koray Düzgoren è rimasta pure lei sorpresa per la notizia
dello scambio e afferma che i deputati del DEP sono ostaggi dello Stato da
dieci anni e di non capire come mai da ogni udienza essi arrivano al
Tribunale con le mani ammanettate e i piedi incatenati.

La situazione della giustizia in Turchia è bloccata. Le Corti per la
Sicurezza dello Stato sono il prodotto di un colpo di Stato, e se oggi
sopravvivano è per proseguirne la politica. Il capo dell'esercito ha detto
che oggi potremmo abolire lo stato di emergenza, tanto ci sono le Corti per
la Sicurezza dello Stato a fare come se ci fosse lo stato di emergenza. Ma
in questa maniera continuerete solo a mandare gente in montagna. E così
perderemo tutti. Il Ministro della Giustizia Çiçek ha rilasciato
un'intervista alla televisione nella quale ha affermato che
l'incarcerazione dei deputati del DEP continua perché la Corte che li
giudica non considera sbagliata la sentenza del 1994. Inoltre ha aggiunto
che l'Unione Europea non accetta di mettere KADEK nell'elenco delle
organizzazioni terroristiche, quindi che mentre la Turchia fa molte delle
cose che l'Unione Europea le chiede l'Unione Europea non fa niente di
quello che la Turchia le chiede. Quest'intervista perciò documenta che il
Governo le riforme le fa solamente per far entrare la Turchia nell'Unione
Europea, cioè che del progresso reale della democrazia in Turchia, della
sua pratica giuridica, non gliene importa nulla.

Kongra Gel ha nel suo programma la pace, cioè la fine della lotta armata.
Ma il Governo turco ha già dichiarato che si tratta di una manovra curda.

Recentemente sono aumentati i tentativi dell'esercito di trascinarci ancora
in una guerra civile. Gli scontri armati provocati dall'esercito sono
sempre più frequenti.

Il 29 ottobre la Repubblica di Turchia ha compiuto i suoi 69 anni. Vorrei
ricordare come questa Repubblica sia stata fondata insieme da turchi e
curdi. Ci sono due paesi dai quali possiamo imparare a riprendere la strada
iniziale della nostra Repubblica. Uno è il Salvador. Questo paese è uscito
da una lunga guerra interna causata da un colpo di Stato. Hanno fatto un
compromesso, ci sono state le elezioni, dopo le elezioni è stato aperto un
dialogo, Governo e guerriglia hanno costruito insieme la pace. L'altro
esempio è quello del Sud Africa. Il dialogo tra il potere bianco e Mandela
ha prodotto la fine della guerra e l'abolizione dell'apartheid.

Questi due esempi ci insegnano che è possibile lavorare utilmente per la pace.

I contadini curdi legati al PKK che si trovano nei campi del nord dell'Iraq
hanno dichiarato di essere pronti a lavorare per la pace e per la
fraternizzazione tra curdi e turchi. Essi, e tutti i curdi, sono pronti a
dire: il mio nemico è diventato mio fratello. 500 membri di KADEK sono
pronti a rientrare in Turchia se la Turchia li accetterà. Tutti noi curdi
vogliamo risolvere la questione curda nella pace. Lasciate da parte il
vostro orgoglio. Viviamo insieme nella pace e nella solidarietà tra i
nostri popoli.

Intervallo pranzo. Si riprende alle 14.

Hatip Dicle. Occorrerebbe indagare bene sulle cause degli attentati, fare
un'inchiesta seria sugli hezbollah. Gli Stati Uniti per 25 anni hanno
costruito una cintura contro l'Unione Sovietica e la sua presenza in
Afghanistan, fatta di gruppi armati islamici. E il Governo turco ha creato
anche lui gruppi armati di islamici, per la guerra contro il PKK. Questi
gruppi sono stati costituiti nelle zone curde della Turchia. Non a caso due
degli attentatori alle sinagoghe sono di Bingöl.

I Governi hanno arrestato in questi anni molti hezbollah ma non hanno mai
voluto completare l'opera.

Questo nostro processo continua da nove mesi. Questa Corte sta opponendo
resistenza a tutti i cambiamenti e a tutte le riforme. D'altro canto questo
tipo di Corte esiste per via del colpo di Stato ed è espressione dei
militari. Noi fummo arrestati il 2 marzo del 1994 e dietro al nostro
arresto c'era la Ciller. Inoltre c'è che l'intervista di Çiçek è sulla
stessa linea della Ciller. Egli ha dichiarato per quanto attiene al nostro
processo che non bisogna mettere in discussione la buona fede dei suoi
giudici. Infine il suo machiavellismo, espresso dalla proposta di uno
scambio Leyla Zana-KADEK, dimostra che siamo ancora oggi degli ostaggi.

L'andamento di questo processo è preoccupante. Intanto perché è un processo
che si muove secondo una logica tutta politica. In secondo luogo perché
attiene alla questione curda, che è esplosiva. In ultimo perché la nostra
posizione chiara dal lato del riconoscimento dei diritti del nostro popolo
ha sollevato una risposta irritata nelle autorità di Governo.

La Turchia non sta andando bene. Questo processo è legato alle sue
questioni e queste questioni non stanno andando bene. In particolare la
questione curda non sta andando bene.

Mi sembra chiaro perciò che questo processo finirà come quello del 1994.

Abdullah Öcalan lavora da anni per la pace in Turchia. Si tratta di un
problema difficile: l'unità nello stesso Stato di due popolazioni diverse.
E' un problema che si è posto a più riprese nella storia. Si sta
concludendo in Irlanda, è irrisolto in Palestina. Attraverso Öcalan il PKK
intende inserirsi nel processo della costruzione democratica della Turchia.
Di passi in questa direzione ce ne sono già stati da parte del PKK, ma il
Governo anziché rispondere con un'amnistia ha fatto la legge del
pentimento, anziché reinserire KADEK nella società gli muove contro nuove
operazioni militari.

Inoltre mentre Abdullah Öcalan è un detenuto politico esattamente come lo
siamo noi, non ha nessuno dei diritti che a noi sono riconosciuti: non ha
un televisore, non può ricevere posta, non può scrivere. Vive in condizioni
di detenzione che sono incivili. I suoi diritti umani sono totalmente
violati.

Ma se volete risolvere la questione curda dovete allargare gli spazi della
democrazia, non restringerli. Questa questione può essere risolta solo
attraverso il nostro programma, che ha al centro la democrazia e i diritti
umani.

Noi curdi la soluzione della nostra questione la vogliamo non solo per il
nostro bene ma per quello di tutti. Vogliamo che grazie a questa soluzione
turchi e curdi entrino insieme nell'Unione Europea. Vogliamo tornare a
quando nel 1919-1920, Atatürk aveva preso il potere, turchi e curdi erano
fratelli.

Se invece questo processo sarà uno degli episodi di complicate manovre
politiche, nuovi conflitti saranno incoraggiati. Dovete pensarci bene.
Dovete ragionare sul periodo che stiamo attraversando, sui suoi pericoli,
sui cambiamenti che richiede.


Gli interventi dei difensori

Yusuf Alata_. Per noi questo processo è terminato. La Corte non si sta
interrogando sulla validità della sentenza del precedente processo. Non sta
ottemperando per nulla ai contenuti della sentenza della Corte di
Strasburgo. Anche i nostri assistiti la pensano così. E fuori da quest'aula
c'è molta gente che considera non equo questo processo, compresa una parte
dei politici.

Volevamo un processo equo. Sono stato al Parlamento Europeo e lì un
deputato mi ha chiesto: "che cosa possiamo fare per voi?". "Niente", gli ho
risposto, "noi vogliamo soltanto un processo equo". Se avessimo voluto
potevamo portare a questo processo tremila avvocati e trasformarlo in un
grande spettacolo politico. Abbiamo invece tentato di tenere la politica
fuori dal processo. D'altro canto sono dieci anni che stiamo lottando per
un trattamento giusto in sede giuridica dei nostri assistiti.

Non solo questa Corte non si attiene alla sentenza di Strasburgo, che ha
imposto alla Turchia un processo giusto ai nostri assistiti. Non li ha
neppure scarcerati, sebbene il nostro codice preveda che quando ci sia la
possibilità del rifacimento di un processo gli imputati, se in carcere,
debbano essere scarcerati all'atto stesso della decisione di questo
rifacimento. Non li avete scarcerati, nonostante lo imponga la Convenzione
europea sui diritti umani, che la Turchia ha firmato. Avete affermato che
gli imputati debbono rimanere in carcere per tutto il periodo di raccolta
delle prove. Ma le prove a loro carico sono quelle già raccolte nel 1994.
Tutte queste violazioni e le altre in questo processo dei diritti della
difesa sono documentate in un rapporto (Alataþ lo consegna alla Corte)
pubblicato dall'Associazione dei Giuristi Indipendenti, che segue questo
processo da maggio.

Mi sono messo in contatto con il Tribunale di Strasburgo. Intendiamo farvi
ricorso contro questo processo.

Interruzione del Presidente della Corte: "siete davvero sicuri di ottenere
una sentenza favorevole?": "sì, più che sicuri".

Se in un Paese non c'è una giustizia indipendente vuol dire che non c'è
democrazia. Il nostro Governo dice che in Turchia c'è una giustizia
indipendente. Ma il 22 del mese scorso abbiamo letto sulla stampa della
proposta del Governo all'Unione Europea di uno scambio Leyla Zana-KADEK.

Tutto è in ostaggio in questo Paese, tutto sta diventando merce di scambio
per l'entrata nell'Unione Europea: Leyla Zana, Cipro. In questo paese ogni
principio di civiltà continua a essere sporcato.

Mustafa Özer. La giustizia è un'istituzione necessaria, di cui c'è bisogno
in ogni società. Quindi occorre che la gente possa fidarsi della giustizia.
Per questa ragione quando è apparsa sulla stampa la notizia dello scambio
Leyla Zana-KADEk la Corte avrebbe dovuto dichiarare che gli imputati di
questo processo non sono ostaggi del potere politico. Invece ha taciuto. Ha
così ammesso, di fatto, che questo è un processo regolato da convenienze
politiche anziché dai principi del diritto.

La Corte di Strasburgo ha dichiarato che il processo del 1994 non fu equo.
In questo processo non avete accettato gran parte dei testimoni della
difesa. Inoltre noi avvocati non abbiamo potuto interrogare direttamente i
testimoni dell'accusa. Le nostre domande a questi testimoni sono state
filtrate dal Presidente, che in più ha sempre accettato le obiezioni del
Procuratore.

Quando Abdullah Dostun ha dichiarato qui che aveva preso in ostaggio una
persona, nel contesto di una faida tra la tribù di cui è capo e un'altra
tribù, voi non avete reagito. Ho fatto la richiesta di un procedimento
contro questo testimone, ma il Procuratore si è opposto e voi non avete
fatto niente.

Un testimone dell'accusa ha dichiarato che Leyla Zana andò nel 1991 in un
campo militare in Libano del PKK. Abbiamo chiesto un'indagine, attraverso i
Ministeri degli Esteri e degli Interni, per accertare dov'era in quel
periodo Leyla Zana, e voi avete rifiutato dichiarando che questa richiesta
non contribuiva all'accertamento dei fatti contestati in questo processo.

Hamit Geylani. Siamo arrivati ad un punto in questo processo in cui le
parole non sono più utili.

La Corte di Strasburgo ha sentenziato che il processo del 1994 non fu equo
e quindi che doveva essere rifatto. Questo rifacimento poi è stato
consentito dal terzo pacchetto di riforme. Ma voi giudici non state
rifacendo il processo, vi state comportando come se fossimo in Cassazione,
dove si tratta solo di rivisitare le prove del processo precedente.

Quindi voi state violando sia le norme internazionali che le nostre stesse
leggi nazionali. State violando le disposizioni della sentenza di
Strasburgo.

La ragione è semplice. Voi volete riportare la Turchia alle condizioni del
1994.

Altri Paesi sono stati condannati per processi ingiusti dalla Corte di
Strasburgo: ma tutti questi Paesi hanno poi ottemperato realmente alle
sentenze di questa Corte. Solo la Turchia sta insistendo, con questo
processo, sulla linea della violazione dei diritti degli imputati.

Penso quindi che la Corte di Strasburgo vi condannerà nuovamente.

Oltre a comportarvi illegalmente state anche danneggiando l'immagine della
Turchia a livello internazionale.


Le decisioni della Corte

Non verranno escussi ulteriori testimoni. Verranno ascoltati solo i
testimoni che attualmente sono in carcere. La scarcerazione degli imputati
è respinta. La prossima udienza si terrà il 16 gennaio prossimo.