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la cattura di Saddam toglie ogni alibi all'occupazione militare
- Subject: la cattura di Saddam toglie ogni alibi all'occupazione militare
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti@peacelink.it>
- Date: Sun, 14 Dec 2003 23:33:08 +0100
E' stato catturato.
Ora non vi più alcun alibi per un'occupazione ad oltranza.
Dopo la ricerca delle armi di distruzione di massa e il loro mancato
ritrovamento, dopo la stagione delle bugie e della propaganda è stata
compiuta e messa a segno la missione numero uno per cui veniva giustificata
in seconda battuta la guerra e poi l'occupazione.
Per riportare la democrazia ora occorre passare il potere a organismi
locali liberamente eletti e riconosciuti dalla popolazione come sovrani.
Saranno queste realtà espressione della volontà generale a dire se esse
vogliono o non vogliono l'aiuto di truppe straniere (e di quali nazioni),
se vogliono o non vogliono l'Onu, se il petrolio e le ricchezze nazionali
debbano essere gestite dagli irakeni o dagli americani.
Siamo al momento più delicato della faccenda. Questa è l'ora X per i
signori del petrolio e della guerra.
La si può gestire con lo stesso ipocrita trionfalismo con cui si è
abbattuta la statua di Saddam. Come pure si può cogliere l'occasione per
guardare a tutti gli errori commessi al fine di cercare una strada
d'uscita. La cattura di Saddam, infatti, non è la vittoria, non è la via
d'uscita dal pantano irakeno. E' solo la porta di ingresso in una
prospettiva diversa. Che ha un solo nome: il potere agli irakeni. Quel
potere che Saddam aveva tolto e che - pur nella clandestinità - serbava
come simbolo ambiguo di resistenza e catalizzatore di una parte delle forze
del vacchio regime; l'Iraq è stato vittima di una guerriglia che ha usato
le stesse tecniche dei piani di sabotaggio previsti in Italia dagli
americani in caso di governo a partecipazione comunista. Il sabotaggio
sistematico basato sul "tanto peggio tanto meglio" era finalizzato a
rendere ingestibile tutto. Era un sabotaggio che non mirava solo a mettere
in difficoltà gli americani ma che toglieva ogni ruolo a quella neonata
società civile irakena orientata verso la partecipazione democratica e
verso un'autonoma scelta del proprio futuro politico. Da una parte la
resistenza di Saddam e dall'altra la prova di forza delle truppe americane:
era un'alternativa secca da cui non si usciva. E ne faceva le spese la
volontà popolare, di cui non hanno mai voluto tener conto né Saddam né Bush.
Ora è il momento della svolta vera oppure è il momento della presa per i
fondelli di un intero popolo.
Che Bush ne sia convinto o no è questo il momento di passare i poteri, o il
futuro diventerà per i soldati americani l'inferno del Vietnam.
Senza un gesto saggio - magari compiuto controvoglia dalle forze occupanti
- allora il simbolo della lotta all'occupazione passa nelle mani del
terrorismo fondamentalista collegato a Bin Laden il quale in questo momento
vede cadere il suo rivale Saddam.
Se non si compie al più presto questo passaggio democratico di poteri
allora la resistenza - che fino ad ora era interpretata per lo più come
terrorismo pilotato da Saddam - diventerà un fenomeno generalizzato e
incontenibile.
Con una guerra di liberazione nazionale (magari ispirata alla teocrazia e
benedetta da Al Queida) verrebbero meno le speranze per un cambiamento non
violento e basato su una volontà popolare espressa tramite il meccanismo
della maggioranza e della minoranza, ossia la regola della democrazia.
Nel Seicento il liberale John Locke scrisse che quando il potere sottrae al
popolo la sovranità allora il potere torna al popolo a cui spetta il
diritto di resistenza.
Noi pacifisti - che condividiamo il diritto a resistere all'oppressione con
strumenti il più possibile non violenti - non amiamo la guerriglia.
Tuttavia la resistenza sarà un fatto inevitabile se Bush - dopo il successo
della cattura di Saddam - continuerà a dare alle sue truppe l'ordine di
occupare l'Iraq a tempo indeterminato senza riconoscere agli irakeni il
diritto all'autodeterminazione e alla sovranità sul proprio territorio.
Ogni popolo ha diritto a resistere ad un'occupazione militare. Più è di
popolo, più è partecipata e meno è armata. Per quanto possa sembrare una
irrealistica prospettiva, è auspicabile una vasta resistenza popolare non
armata. Lo spirito di Gandhi non ha finora aleggiato in Irak. Tracciare con
lo spray sulle corazze militari il simbolo della pace e issare la bandiera
arcobaleno non sarebbe tuttavia una cattiva idea. A pensarci bene un
accerchiamento pacifico di popolo dei blindati angloamericani - fatto anche
da donne, anziani e bambini - sarebbe di fatto la fine della guerra e di un
occupazione senza sbocco.
Alessandro Marescotti
http://www.peacelink.it