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Ruini



Chiedendo scusa per il ritardo dovuto a questioni tecniche, vi trasmetto
l'articolo di commento che Michele Di Schiena (magistrato, Brindisi) ha
fatto dopo l'omelia del card. Ruini durante i funerali di Stato per le
vittime di Nassiriya.
Come al solito lo offro alla Vostra riflessione e diffusione qualora lo
riteniate di farlo.
Giancarlo CANUTO - A Sinistra - Brindisi

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L'OMELIA DEL CARDINALE RUINI
   Anticipando l'annuncio della Parola di Dio otto secoli prima di Cristo
il profeta Isaia così condannava la violenza e la guerra: «Con le loro
spade costruiranno aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà
più le armi contro un altro popolo né si eserciteranno più per la guerra».
E questa Parola poi venne e fu esplicita: «Beati gli operatori di pace
perché saranno chiamati Figlio di Dio . Amate i vostri nemici . Perdonate
fino a settanta volte sette . Rimetti la tua spada al suo posto, poiché
tutti quelli che mettono mano alla spada, di spada periranno». Un messaggio
che duemila anni dopo è stato riproposto al "mondo contemporaneo" dal
Concilio Vaticano II che ha condannato l'uso delle armi per "imporre il
proprio dominio su altre nazioni" ed ha definito «delitto contro Dio e
contro la stessa umanità ogni atto di guerra che comporti la distruzione di
città o di regioni e dei loro abitanti». Insegnamento questo con forza
ripreso da Giovanni Paolo II che ha ripetutamente condannato senza riserve
l'intervento armato in Iraq e che ha recentemente ricordato come per
combattere guerre e terrorismi il mondo non abbia bisogno di "muri" ma di
"ponti".
   Nella omelia funebre per le diciannove vittime di Nassiriya il cardinale
Ruini, riferendosi all'Iraq e ai terroristi che stanno insanguinando quella
terra, ha sorprendentemente così interpretato il messaggio evangelico e
l'insegnamento della Chiesa sulla guerra e la violenza: «Non fuggiremo
davanti a loro, anzi li fronteggeremo con tutto il coraggio, l'energia e la
determinazione di cui siamo capaci. Ma non li odieremo, anzi non ci
stancheremo di far loro capire che tutto l'impegno dell'Italia, compreso il
suo coinvolgimento militare, è orientato a promuovere una convivenza umana
in cui ci siano spazio e dignità per ogni popolo, cultura e religione».
Sono affermazioni che per il loro tono, stile e contenuto risultano ostiche
a quanti non si attendono dalla Chiesa contrapposizioni frontali,
esaltazioni del coraggio ed ostentazioni di energia ma esortazioni alla
resipiscenza, al ravvedimento, alla giustizia e al perdono con la
costruzioni di "ponti" in ogni direzione ed anche verso quei «terroristi
assassini» ai quali in un contesto del tutto diverso Paolo VI tempo
addietro si rivolse significativamente chiamandoli «uomini».
   Ma le parole del cardinale sorprendono anche perché avallano la missione
militare definendola orientata a promuovere la pace. Argomento questo assai
debole perché se la pace era ed è senza dubbio nel cuore e negli intenti
delle diciannove vittime e di tutti i nostri militari, la missione in sé,
oggettivamente e politicamente riguardata, non presenta certo connotati di
pace né come tale viene avvertita dalle popolazioni irachene. E ciò perché
la guerra angloamericana contro l'Iraq non è terminata ma continua (lo ha
ammesso persino Tony Blair ricevendo Bush), perché questa guerra ha
ottenuto l'esplicito consenso del governo italiano e perché la nostra
missione militare è strettamente connessa ad un intervento armato non
difensivo ripudiato dalla nostra Costituzione ed illegittimo per il diritto
internazionale che consente solo in via urgente e provvisoria il diritto di
autotutela mentre affida la sicurezza collettiva ed il mantenimento della
pace alle Nazioni Unite prevedendo l'impiego della forza solo sotto un
comando internazionale facente capo al Consiglio di sicurezza.
   Sorprende poi che Ruini, parlando del coinvolgimento militare italiano,
abbia espresso un giudizio prettamente politico su una questione che alla
luce del Concilio appartiene alla «autonomia delle realtà temporali» e
cioè, in questo caso, alla autonoma responsabilità della politica segnata
per sua natura dal confronto anche duro fra scelte diverse ed opinabili.
Spiace poi che egli, nell'esprimere questo giudizio, non abbia considerato
come quel terrorismo che ha ucciso i carabinieri ed i soldati italiani ha
trovato (e mille voci l'avevano previsto) proprio nella guerra approvata
dal nostro governo grande alimento e vigore i cui effetti sono sempre più
tragicamente sotto gli occhi di tutti. E duole infine che il Presidente
della CEI, nel modellare alcuni importanti passaggi della sua omelia sulla
marcata ritualità patriottica dei funerali, non abbia tenuto conto del
turbamento che certe sue espressioni avrebbero arrecato alla sensibilità
dei tanti credenti che si riconoscono nelle parole di una famosa lettera
scritta da don Milani quasi quarant'anni addietro: «Anche la patria è una
creatura cioè qualcosa di meno di Dio, cioè un idolo se la si adora. Io
penso che non si può dar la vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se anche
si dovesse concedere che si può dar la vita per l'idolo buono (la patria),
certo non si potrà concedere che si possa dar la vita per l'idolo cattivo
(le speculazioni degli industriali)». Come quelle appunto che hanno ad
oggetto il petrolio iracheno.
   Brindisi, 24 novembre 2003
   Michele DI SCHIENA