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Restare in Iraq, ma con nonviolenza





RESTARE IN IRAQ, MA CON NONVIOLENZA
di Andrea Cozzo
Universita' di Palermo - seminario "nonviolenza"

Sono addolorato ed esterrefatto. Perche' addolorato, si capisce: perche' a
sangue e morte continuano ad aggiungersi sangue e morte. Esterrefatto,
perche' trovo che la decisione di fare restare ed anzi accrescere il numero
dei carabinieri in Iraq (ne sono partiti altri 50 da Livorno ieri) sia 
espressione di un tipo di logica che contribuisce ad alimentare il
terrorismo da una parte e l'odio degli Italiani verso il mondo arabo
dall'altra.
Questa decisione segue del resto alla convinzione che l'attacco
ai nostri "carabinieri di pace" sia un'ulteriore prova della malvagita' degli
"Altri" di fronte alla quale "noi" (in realtà "loro", i carabinieri o
comunque i figli di altri, non quelli propri) dobbiamo restare in Iraq "per
dargli sicurezza".

Anziche' chiedersi perche', se davvero vogliamo portare la pace, quelli che
intendiamo aiutare ci attaccano ed uccidono, ci si limita a dire che sono
malvagi e terroristi.
Dallo scranno del Parlamento, con il fior di milioni mensili e una lauta 
pensione assicurata dopo solo qualche anno di legislatura, o dalla 
scrivania, da cui si puo' osservare il mondo con fare altezzoso e 
tracotante, e' facile la retorica sugli eroi morti per la Patria che 
scarica la responsabilita' sugli "Altri".

Tuttavia, restando ostinatamente in Iraq e aspettando che gli "Altri"
cambino, o imponendo loro la nostra presenza, resta anche il problema.
Anzi, cosi' facendo, stiamo anche provvedendo ad importarlo, il problema; 
stiamo quasi chiedendo agli "Altri" di volerci, per favore, attaccare anche 
qui, nel nostro Paese.
Certo, in questo caso i nostri Governi risponderanno con controlli piu' 
accurati che provvedano alla sicurezza, ma di chi? dei politici, non certo 
dei cittadini comuni per i quali anzi si prospettano solo restrizioni di 
liberta'!

E, in ogni caso, questo risolve forse il problema o semplicemente lo sposta 
e, per giunta, lo aggrava?
Proviamo a chiederci allora, piuttosto: perche' gli "Altri" ce l'hanno con i
carabinieri che con tanta bonta' "noi" abbiamo inviato solo per aiutare un
Paese in difficolta'? Non è che forse "noi" non siamo riusciti ad esser
chiari e, dopo aver concesso agli USA l'uso delle basi militari per gli
attacchi a(lla popolazione di) chi era "in possesso di armi di distruzione
di massa" - che invece adesso sembra chiaro che non possedeva - e avendo
mandato gente armata e facendola alloggiare in un palazzo che portava il
nome datogli dalle forze occupanti (white horse), abbiamo fatto credere che
non eravamo la' per aiutare ma, insieme agli occupanti, per comandare?
A chi abbiamo chiesto il permesso di andare in Iraq con i nostri carabinieri?
A chi abbiamo chiesto in cosa e in che modo potevamo renderci utili per il
bene della popolazione?

Cosa si puo' fare, dunque?
Innanzitutto, ricordo che l'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la 
Cooperazione Europea) ha istituito nel 1999 ad Istanbul il REACT (Rapid 
Expert Assistance an Cooperation Team), formato da civili esperti di 
risoluzione nonviolenta dei conflitti che si attivino, in ordine, per 
prevenire il ricorso alle armi, favorire la gestione pacifica dei conflitti 
bellici gia' scoppiati e lavorare per la riconciliazione; il testo 
attualmente (agosto 2003) predisposto per la Convenzione Europea, 
disattendendo il volere dello stesso Parlamento, limita pero' il compito 
del Corpo Civile di Pace ad attività di protezione civile e di aiuto 
umanitario: cio' non depone molto a favore dell'idea che si voglia davvero 
cercare un'alternativa alle guerre.
In primis si dovrebbe allora attuare quanto deciso dall'OSCE.

Riguardo poi all'urgenza concreta del caso iracheno (ma andare dietro alle
urgenze finisce con l'impedire di pensare alla prevenzione), credo che si
possa sfuggire all'alternativa che chi non e' abituato a pensare
creativamente (cioe' in modo tale da esprimere e sostenere la vita) pone
invece come ineluttabile.
Oltre che restare in Iraq armati oppure andarsene abbandonando il Paese al 
caos (o agli occupanti), e' possibile, dopo avere chiesto il permesso ai 
legittimi abitanti del luogo, restarvi, ma disarmati (come chiunque intenda 
essere portatore di pace), mediare tra le fazioni in lotta e tentare di 
persuadere gli occupanti a lasciare che gli Iracheni si scelgano da soli il 
loro Governo.
Si potrebbero intraprendere altre vere azioni di peacekeeping e 
peacebuilding (mantenimento e costruzione della pace): sminamento, 
assistenza umanitaria e ripristino dei diritti umani attraverso Ong 
(Organizzazioni non governative) che lavorino per il dialogo interculturale 
ed interreligioso, organizzazione di strutture volte a garantire una pace 
stabile attraverso l'intervento di osservatori internazionali che, ad 
esempio, sorveglino la correttezza dello svolgimento di elezioni.
Il nostro Governo potrebbe altresì lavorare al contempo per una soluzione 
diplomatica del conflitto israelo-palestinese (che è una della principali 
cause dello sviluppo di Al Qaeda), si potrebbe eliminare il commercio delle 
armi (anziché incrementarlo, come il nostro Parlamento sta facendo).

Insomma, le possibilità di farsi realmente benvolere da tutti gli Iracheni 
non mancano, pero' bisogna prima averne l'intenzione.

Andrea Cozzo
Palermo




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Mi scuso con tutti coloro che hanno gia' ricevuto questo testo,
e con tutti per l'arbitrio che mi prendo nel mandarvi questo tipo di documenti.
Chiedo a chi non vuole riceverli di mandarmi un cenno.

sdv
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