[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

I perché nascosti del terrorismo



I perché nascosti del terrorismo

di Umberto Galimberti

("La Repubblica", 11 luglio 2003)



Che rapporto c'è tra globalizzazione e terrorismo? La risposta più facile è
quella che vede nel terrorismo una forma di contestazione politica
dell'ordine mondiale promossa dall'unica superpotenza rimasta sul pianeta.
Ancora più facile è la risposta che vede nei terroristi dei folli suicidi,
dei fanatici di una causa perversa, manipolati da chi sfrutta il
risentimento e l'odio dei popoli oppressi. Queste ipotesi non convincono
Jean Baudrillard ( Power Inferno , Raffaello Cortina, euro 8.50) e quanti,
tra cui io, rifiutano di leggere la storia come una successione di cause ed
effetti,secondo quella logica causale a cui si attiene la ragione quando
vuole interpretare qualcosa in modo convincente. In realtà prima della
logica causale e sotto la logica causale lavora in modo ben più efficace e
più profondo la logica simbolica, per cui ad esempio nessuna epoca storica
sarebbe in grado di giustificare i suoi eventi prescindendo dall'idea
simbolo che governa l'epoca stessa, quale potrebbe essere, a titolo di
esempio, l'idea di «destino» per l'antica Grecia, l'idea di «Dio» per il
Medioevo, l'idea di «uomo» per l'umanesimo e l'illuminismo e, proviamo a
dire, l'idea di «globalizzazione» per l'età contemporanea. Ma che cos'è
veramente la globalizzazione?

La globalizzazione è il degrado quando non l'estinzione di quello che gli
illuministi chiamavano universalizzazione dei diritti umani, della libertà,
della cultura, della democrazia. La globalizzazione, infatti, riguarda solo
le tecniche,il mercato, il turismo, l'informazione. La sua espansione
sembra irreversibile, mentre i valori universali sembrano in via di
sparizione. La globalizzazione degli scambi pone fine all'universalità dei
valori. E il pensiero unico finisce col trionfare sul pensiero universale.
Il risultato è che non si riescono più a integrare le singolarità e le
particolarità in una cultura universale della differenza, perché la
globalizzazione fa tabula rasa di tutte le differenze e di tutti i valori,
inaugurando una cultura (o un'incultura) perfettamente indifferente. Non
avendo più nemici, la globalizzazione li genera dall'interno come sue
metastasi disumane. Incalzando ogni forma di singolarità, particolarità,
individualità, identità e differenza, la globalizzazione genera il rigetto
non soltanto della tecnostruttura mondiale che abolisce tutte le
differenze, ma anche della struttura mentale tale di equivalenza di tutte
le culture.

Chi può dare scacco al sistema globale? Non il movimento no global che ha
come unico obiettivo quello di frenare la deregulation. L'impatto politico
può essere considerevole, ma l'impatto simbolico nullo. La sua ribellione è
una sorta di peripezia interna che il sistema può superare restando padrone
del giuoco.

A dare scacco a un pensiero unico dominante non può essere un
contro-pensiero unico (come quello dei no global ) perché, per la logica
simbolica, quando ci si mantiene sul medesimo terreno di opposizione, ogni
conflitto, così come si genera, si riassorbe. A dare scacco a un pensiero
unico possono essere solo le singole particolarità di cui il terrorismo è
una forma, la più violenta, che vendica tutte le culture particolari che
hanno pagato, con la loro scomparsa, l'instaurazione di una potenza
mondiale unica.

Non si tratta quindi di un «conflitto di civiltà», ma di uno scontro
antropologico tra una cultura universale indifferenziata e tutto ciò che,
in qualsiasi campo, conserva qualche tratto di alterità irriducibile. Per
la potenza globale, non meno integralista dell'ortodossia religiosa, tutte
le forme differenti e particolari sono forme di disturbo, e come tali
votate a rientrare per amore o per forza nell'ordine globale, o scomparire.
La missione dell'Occidente (o piuttosto dell'ex Occidente perché da gran
tempo non ha più valori propri) consiste nel sottomettere con tutti i mezzi
le culture multiple alla legge feroce dell'equivalenza. Anche le guerre,
quelle dell'Afganistan, quella dell'Iraq, hanno come obiettivo, al di là
delle strategie politiche o economiche, soprattutto quello di ridurre ogni
zona refrattaria, di colonizzare e di addomesticare tutti quelli che per la
globalizzazione sono spazi selvaggi, in quello spazio che, più che
geografico, è spazio mentale. È infatti inaccettabile, per l'Occidente, che
la modernità possa essere rinnegata nella sua pretesa universale. Che non
appaia come l'evidenza del Bene e come l'ideale naturale della specie, che
sia messa in dubbio l'universalità dei nostri valori, e per giunta da
personaggi immediatamente bollati come fanatici. Tutto questo è un crimine
contro il pensiero unico e contro l'orizzonte consensuale dell'Occidente.
Ma all'interno di questa consensualità c'è anche la disperazione invisibile
dei privilegiati nella globalizzazione, che non possono evitare di
sottomettersi alla tecnologia integrale,alla realtà virtuale schiacciante,
a un dominio delle reti e dei programmi che delinea forse il profilo
involutivo dell'intera specie, della specie umana divenuta globale. E il
terrorismo,oltre che sulla disperazione visibile degli umili e degli
offesi, poggia anche sulla disperazione invisibile dei privilegiati che,
inconsapevolmente e involontariamente, viene in qualche modo incontro alla
destabilizzazione violenta dell'atto terroristico. Senza l'ipotesi di
questa complicità interna, che non ha nulla a che fare con una complicità
oggettiva, senza l'ipotesi di questa coalizione segreta, non si capisce
nulla del terrorismo e dell'impossibilità di venirne a capo. Se è quello di
destabilizzare l'ordine mondiale con le sue sole forze, in uno scontro
frontale,l'obiettivo del terrorismo è assurdo perché il rapporto di forze è
troppo diseguale.

Ma proprio questo «assurdo», questo «non senso»fa da specchio al non senso
che si annida all'interno del sistema, e che più o meno inconsciamente
tutti noi avvertiamo quando ci percepiamo sempre meno come persone e sempre
più come funzionari di un apparato tecnico-economico che nulla ha in vista
se non il proprio autopotenziamento. Più che delle armi tecnologiche
dell'Occidente, la cosa essenziale di cui i terroristi si appropriano,
facendone un'arma decisiva, è proprio questo «non senso» che ciascuno di
noi percepisce come negazione della propria individualità e specificità
nella globalizzazione tecnico-economica del mondo.

Altro che Bene contro il Male, altro che Occidente contro Islam. È nello
stesso Occidente che si è creata una sorta di «insicurezza mentale» circa
il senso della propria esistenza in un mondo economicamente e tecnicamente
globalizzato che non ammette singolarità, individualità, particolarità,
differenze. Questa nostra insicurezza mentale, da cui nulla ci può
difendere, è la migliore armadi cui dispone il terrorismo che, con i suoi
attentati, precipita l'Occidente nell'ossessione della sicurezza, che è una
forma velata di terrore perpetuo che si iscrive nei corpi, nei costumi,
nelle abitudini, nelle pratiche di vita.

Non mettiamoci fuori strada dicendo: «Noi siamo il Bene, può essere solo il
Male ad averci colpito». La logica dell'opposizione, con cui di solito
lavora la ragione (bene/male,vero/falso, giusto/ingiusto)non capisce niente
delle sfide simboliche, che possono anche nascere all'esterno del sistema,
ma sono efficaci solo se si alleano con la negatività che il sistema
produce al suo interno. II terrorismo è una sfida simbolica. Non ci
fronteggia come un nemico che ci sta di fronte sul campo (così noi
ingenuamente pensiamo quando facciamo le guerre), ma è l'emergenza di un
antagonismo radicale nel cuore stesso del processo di globalizzazione, di
una forza irriducibile a questa realizzazione integrale, tecnica e mentale,
del mondo, a questa evoluzione inesorabile verso un ordine mondiale
compiuto.

Se il progetto della modernità era nell'universalizzazione dei suoi valori,
la riduzione di questo progetto alla semplice globalizzazione della tecnica
e del mercato, avvia inesorabilmente la modernità verso la sua fine. E in
questa lettura «simbolica», meno ingenua di quella «razionale» che legge
tutto in termini di opposizioni e antagonismi, il terrorismo, proprio nella
sua assurdità e insensatezza, è, come scrive Baudrillard: «Il verdetto e la
condanna che la nostra società pronuncia su se stessa».