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diario da ankara - quarta udienza del processo a Leyla Zana e aisuoi compagni deputati curdi



In allegato trovate il diario di Silvana Barbieri da Ankara, che descrive
la quarta udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi compagni deputati
curdi.



La quarta udienza si caratterizza per l'ammissione di quattro testimoni a
favore degli imputati e la loro testimonianza mette in crisi l'impianto
accusatorio, costruito sulla base delle false testimonianze.

E'questo il motivo per cui è difficile per la difesa riuscire a portare in
aula testimoni a proprio favore.












La quarta udienza si caratterizza per l'ammissione di quattro testimoni a
favore degli imputati e la loro testimonianza mette in crisi l'impianto
accusatorio, costruito sulla base delle false testimonianze.
E'questo il motivo per cui è difficile per la difesa riuscire a portare in
aula testimoni a proprio favore.




Ankara: diario della quarta udienza.
20 giugno 2003
 Ankara, 20 giugno 2003
Quarta udienza del processo in corso a Leyla Zana, Hatip Dicle, Orhan
Dogan, Selim Sadak


Scontro aperto

Entriamo in aula assieme, parlamentari europei, Feleknas Uca e Luigi Vinci
della Sinistra Unita, funzionari di questo gruppo e rappresentanti di Punto
Rosso, notando subito che è scomparsa la polizia e che i gendarmi armati di
fucili d'assalto che separano il pubblico dagli imputati continuano a
essere pochi. Fuori dal tribunale continua a essere diradata la presenza
della polizia e della gendarmeria, anche se i funzionari di polizia non
perdono l'occasione di mostrarci che comandano loro, trattenendoci per una
decina di minuti. Insomma questo processo sembra riflettere passo dopo
passo il ritmo e i contenuti incerti e, ad ora, inconcludenti delle riforme
in corso in Turchia.

Entrano in aula anche i rappresentanti della Ambasciate di Germania, Italia
e Grecia, quest'ultima è qui anche in rappresentanza del Consiglio Europeo,
i rappresentanti della Commissione Europea, giuristi britannici e francesi.
Sono anche presenti numerosi parlamentari turchi, tra i quali, come nella
prima udienza, il Presidente della Commissione per i Diritti Umani, il cui
rapporto con gli avvocati della difesa appare assai cordiale, e sono
presenti Akim Birdal, Eren Keskin, i rappresentanti delle associazioni per
i diritti umani e di Amnesty International, il nuovo Presidente del partito
DEHAP, altre figure di dirigenti curdi. E sono tantissimi, come sempre, i
parenti e gli amici degli imputati.

Questa quarta udienza del processo ai quattro parlamentari del DEP, Leyla
Zana, Hatip Dicle, Orhan Dogan, Selim Sadak, condannati nel 1994 dal
Tribunale per la Sicurezza dello Stato a 15 anni di carcere per terrorismo
e separatismo, inizia con la chiamata dei tre residui testimoni dell'accusa
(un quarto, viene detto dal Presidente della Corte, è morto). Ma nessuno di
essi è presente, "yok". Uno di essi, viene spiegato sempre dal Presidente
della Corte, è in carcere in Germania, un altro è in carcere a Mardin,
città che è nel Sud-est della Turchia.

Gli avvocati della difesa chiedono la parola per esprimere le loro
valutazioni globali sul processo.

Sezgin Tanrikulu, della Camera degli Avvocati di Diyarbakir, sottolinea
come questo non sia il processo nuovo che era stato richiesto dalla Corte
di Strasburgo, bensì come la Corte con il suo comportamento stia facendo la
ripetizione di quello del 1994. Essa si sta comportando come la Corte del
processo precedente. Il processo precedente era stato considerato non equo
dalla Corte di Strasburgo, in ragione, principalmente, della violazione dei
diritti della difesa: e nel processo in corso in diritti della difesa
continuano a essere violati. Finora in questo processo hanno parlato solo i
testimoni dell'accusa, sono state ascoltate, perciò, delle testimonianze
quasi sempre completamente false. Soprattutto in questo sta la ripetizione
del comportamento della Corte: non sono stati accolti sinora dalla Corte i
testimoni della difesa. L'accusa agli imputati di appartenere ad
un'associazione terroristica si basò e continua a basarsi sulle sole
testimonianze di agenti di polizia e di guardie del villaggio, inoltre
queste testimonianze furono quasi sempre raccolte nelle gendarmerie dei
villaggi, ciò che è totalmente illegale. Infine dalla Corte vengono accolte
solo le richieste dell'accusa e sono continuamente respinte le richieste
della difesa. Solo quella di farci avere le cassette registrate è stata
accolta. Come nel precedente processo, accusa e difesa non sono sullo
stesso piano. Ricapitolando, la difesa ha fatto quattro richieste:
l'ascolto delle cassette registrate, che non sono state sentite e neppure
sono state viste tanto nel precedente processo che, sinora, in quello
attuale; una perizia a proposito della collocazione del bar nel quale Leyla
Zana e altri accusati avrebbero fatto propaganda per il PKK; l'ascolto dei
testimoni della difesa; la scarcerazione immediata dei quattro imputati,
come richiesto dalla Corte di Strasburgo.

Yusuf Alatas, presidente del collegio degli avvocati della difesa,
sottolinea egli pure come il rifacimento del processo dovesse significare
la correzione degli errori del precedente, mentre in realtà li si sta
ripetendo tali e quali. Questi errori non erano e non sono formali ma
consistono in un'impostazione iniqua e in una serie di iniquità. Ma se il
processo viene ad avere il medesimo svolgimento di quello precedente,
perché rifarlo? La Corte inoltre avrebbe dovuto liberare sin dall'inizio
gli accusati, invece di accettare la sentenza del precedente processo. La
Corte ha ancora accettato tutte le richieste dell'accusa e pressoché
nessuna di quelle della difesa. Non ci è stato consentito di
controinterrogare direttamente i testimoni. L'argomento è stato che
quest'ascolto avrebbe richiesto un certo tempo: ma anche l'ascolto dei
testimoni dell'accusa sta richiedendo tempo! Il nostro controinterrogatorio
di un testimone importante, ammanicato all'esercito, è stato interrotto con
una pausa e poi bloccato: quando abbiamo chiesto a questo testimone perché
non aveva denunciato quelli che, a suo dire, erano 16 membri del PKK né
avesse denunciato le dichiarazioni, sempre a suo dire, a favore del PKK di
Leyla Zana, l'accusa ha obiettato alle domande e il Presidente della Corte
è stato d'accordo con l'accusa. La Corte non ha fatto nessuna domanda ai
testimoni: questo non è normale. Avete respinto la nostra richiesta di una
ricognizione in loco relativa al bar e alla sua distanza dalla caserma.
Perciò il modo in cui si sta svolgendo questo processo significa che da
parte della Corte non si vuole arrivare alla verità. In questo processo,
inoltre, l'accusa sta in alto, accanto alla Corte, la difesa sta in basso.
L'accusa ha potuto presentare i suoi testimoni, noi non abbiamo potuto
presentare i nostri. L'accusa ha raccolto documenti, cassette, a noi la
Corte ha limitato la conoscenza di questi materiali. L'accusa detta
direttamente le sue dichiarazioni a verbale, invece quelle dei difensori
sono dettate dal Presidente, per di più dopo essere state riassunte. Non
riusciamo neppure a sentire ciò che il Presidente detta a verbale a
proposito delle nostre dichiarazioni, siamo costretti a leggercelo alla
sera. Dove sta l'uguaglianza tra l'accusa e la difesa? Addirittura, infine,
nei verbali delle udienze dettati dal Presidente molte cose importanti non
stanno scritte. Ma che sarebbe andata a finire così si era capito fin
dall'inizio, fin da prima che il processo cominciasse, quando il Presidente
di questa Corte si era pronunciato contro il rifacimento del processo. Fin
dall'inizio si era capito che il Presidente è vicino all'accusa, è
subalterno all'accusa, anziché essere imparziale, anziché porsi in mezzo
tra l'accusa e la difesa. E' per questo che avevamo richiesto la
sostituzione del Presidente. Questa richiesta tuttavia fu respinta dalla
Corte. (Interruzione del Presidente: mi sta accusando di qualcosa?
Risposta: sto solo criticando l'impostazione del processo, che continua a
violare i diritti della difesa). I testimoni dell'accusa non sono
imparziali, hanno mentito, erano quasi tutti guardiani del villaggio o
agenti di polizia ed erano quasi tutti nemici degli imputati. Però quando
abbiamo chiesto loro della loro inimicizia l'accusa ha obiettato e la Corte
ha dato ragione all'accusa. I due testimoni che non erano guardiani del
villaggio o agenti di polizia hanno ritrattato le loro precedenti
testimonianze e dichiarato che erano state loro estorte con la prigione e
la tortura, ma la Corte non ne ha tratto nessuna conseguenza. Sulla
collocazione del bar abbiamo ascoltato dichiarazioni assurde e
contraddittorie da parte dei testimoni dell'accusa, eppure la perizia a
questo proposito continua a esserci negata. Troppi sono i testimoni
dell'accusa che hanno risposto non ricordo, è successo dieci anni fa, e su
queste risposte non si è approfondito e le testimonianze al precedente
processo di questi testimoni sono state ritenute valide da parte della
Corte. Le riforme approvate dal nostro Parlamento sono rimaste fuori
dall'aula di questo processo. I giudici di questo processo hanno la stessa
mentalità dei giudici del 1994. In conclusione, andando avanti in questo
modo la sentenza non potrà che tener conto dei testimoni dell'accusa.
Quando abbiamo richiesto la scarcerazione degli imputati la Corte ci ha
obiettato che si tratta di persone che sono state condannate a 15 anni.
Questo vuol dire che essa ha in mente sin dall'inizio del processo che si
tratta di condannare nuovamente gli imputati a 15 anni. Quindi noi
insistiamo: vogliamo che vengano ascoltati i testimoni della difesa. Alcuni
di loro sono già qui, fuori dalla porta dell'aula, pronti ad essere
ascoltati.

Altri avvocati intervengono a raffica. Codici alla mano rivendicano che i
testimoni della difesa presenti fuori dall'aula vengano ascoltati.
Protestano per lo stato di detenzione degli imputati. La Corte di
Strasburgo ha condannato il precedente processo e quindi gli imputati
debbono essere scarcerati. L'Unione Europea non considera l'esistenza di
questo tipo di corte un fatto accettabile. Ci sono stati in questi mesi
numerosi cambiamenti giuridici e anche costituzionali in Turchia, anche
importanti, ma sono rimasti sulla carta, come dimostra questo stesso
processo. E' stato per noi una sorpresa e una frustrazione il rifiuto dei
testimoni della difesa. Questo processo è importante per la storia della
giurisprudenza in Turchia, occorre che sia un processo equo. Un processo
equo farà solo del bene alla Turchia. Abbiamo chiesto l'ascolto dei nostri
testimoni qua fuori, la Corte ci dia una risposta! Perché non ce la dà?

Il Procuratore (l'accusa) appare agitato e molto frastornato, teme,
evidentemente, che la Corte vacilli, si oppone alla richiesta di ascolto
dei testimoni della difesa, i quattro fuori dall'uscio compresi, ma
argomenta in modo paradossale: gli avvocati della difesa non hanno chiesto
nulla, ho ascoltato solo delle critiche!

Il Presidente appare incerto. Chiede: ci sono là fuori dei testimoni?
Alatas: sí, ce ne sono quattro, e come difesa ne abbiamo più di venti da
far ascoltare. Il Procuratore nel frattempo si è ripreso e obietta più
sensatamente: non sono per ascoltare questi testimoni, abbiamo già deciso
in precedenza di rifiutare i testimoni della difesa. Il Presidente chiude
la discussione: ascolteremo i quattro testimoni qui presenti, non
convocheremo invece il complesso dei testimoni della difesa.

Si tratta di un cambiamento notevole nell'andamento del processo. L'attacco
a fondo della difesa contro il comportamento della Corte ha messo
quest'ultima in grossa difficoltà. Gli avvocati sono palesemente contenti,
l'attacco sferrato ha raggiunto il bersaglio.

Ci affanniamo a cercare di capire esattamente cosa è successo, ci
riusciremo soltanto durante la pausa per il pranzo, grazie agli avvocati.
Vigerebbe nel codice di procedura penale turco la possibilità di ascoltare
testimoni presenti fuori dall'aula di un processo anche quando essi non
siano stati accettati in precedenza dalla Corte, o siano, per così dire,
testimoni "improvvisi", testimoni non previsti. Ma dipende sempre dalla
Corte di accettarli. Sia come sia, la Corte ha fatto una significativa,
benché parziale, macchina indietro.


I testimoni della difesa

Il primo di essi si chiama Ahmet Temel. La sua testimonianza è sicura e
precisa, anche quando risponde alle domande, a volte maliziose, del
Presidente della Corte. Il 26 aprile del 1994 Temel fu rapito, legato e
bendato da Abdullah Dursum, capo di una formazione di guardiani del
villaggio e capotribù, e da due dei suoi figli, mentre passava davanti alla
loro abitazione. L'automobile di Temel fu trovata abbandonata nel centro
del paese da alcuni amici, che l'avevano riconosciuta. Essi informarono i
genitori di Temel, che inoltre furono informati da vicini di Dursum che
dalla casa di questi si sentiva gridare Temel. Temel per sei giorni fu
picchiato, torturato e minacciato di essere ucciso, perché Dursum voleva
fargli dichiarare che era stato lui a far entrare uno dei figli di Dursum
nel PKK. Ma lui, Temel, aveva sì frequentato la stessa scuola di questo
figlio di Dursum ma non lo aveva mai conosciuto, non sapeva niente dei
rapporti tra questo figlio di Dursum e il PKK, inoltre lui, Temel, non era
del PKK: c´era invece che la sua tribù era nemica della tribù di Dursum e
che normalmente i guardiani del villaggio accusavano le tribù nemiche di
essere simpatizzanti del PKK. La famiglia di Temel si rivolse a Leyla Zana
perché facesse da mediatrice: Leyla Zana era parlamentare ed era molto
conosciuta nella zona, inoltre nella tradizione curda è sempre una donna a
fare da paciere nei conflitti tribali. Infatti dopo l'intervento di Leyla
Zana Temel venne liberato, cioè venne abbandonato dai rapitori lungo una
strada. Egli saprà dell'intervento di Leyla Zana solo dopo essere stato
liberato, dai genitori. (Alatas pone alcune domande, il Presidente le
rivolge a Temel). I miei rapitori, Dursum e figli, quando mi rapirono erano
in divisa militare. Mi dissero che mi ritenevano responsabile del
comportamento del figlio di Dursum andato con il PKK: gli ho sempre
risposto che non lo conoscevo. Non sono mai stato guardiano del villaggio.

(Dursum, ricordiamo, aveva dichiarato nella seconda udienza del processo
che Leyla Zana era andata da lui come rappresentante del PKK e che nel
corso di una delle visite era accompagnata da 16 membri di questo partito.
La testimonianza di Temel dunque smonta tutta quanta l'impalcatura
dell'accusa.)

Intervallo per il pranzo, si riprende all'una e trenta. Tutti si
congratulano con Alatas e scherzano sulla sua mimica. Sembravi un italiano,
gli dice Luigi, e tutti ridono.

Il secondo testimone si chiama Ihsan Erbas. Erbas lavorava in qualità di
segretario nell'abitazione di Erhan Dogan, incaricato di ricevere la gente,
si trattava di 30-40 persone al giorno. Orhan Dogan inoltre ospitava
continuamente nella sua abitazione una quantità di persone provenienti dal
Sud-est. Tutti gli si rivolgevano per ogni genere di cose ma anche per
avere consigli. Accadde dunque che Orhan Dogan fosse fuori città e che
Erbas ricevesse la telefonata di una persona che cercava Orhan Dogan per
chiedergli ospitalità e l'indirizzo di un oculista. L'appuntamento con
l'oculista fu fissato di lì ad alcuni giorni, e questa persona rimase
ospite in casa di Orhan Dogan per tutto il periodo. Fu Erbas a decidere
questo, inoltre per far sì che l'oculista fissasse la visita prima
possibile gli dichiarò che si trattava di uno dei figli di Orhan Dogan. Fu
poi Erbas a pagare la visita, e lo fece a nome di Orhan Dogan. D'altro
canto Erbas riteneva che Orhan Dogan avrebbe agito sostanzialmente allo
stesso modo. E' per questo che lo Stato successivamente rimborserà Orhan
Dogan del prezzo della visita. Si verrà poi a sapere che la persona in
questione era membro del PKK: quindi Orhan Dogan sarà accusato di aver
prestato aiuto a un membro del PKK. Ma in realtà Orhan Dogan non c'entrava
niente con tutta la faccenda, non ne aveva mai saputo niente, questa
persona non l'aveva mai incontrata.

Il terzo testimone si chiama Salman Kaya. Dichiara che nel periodo in cui
Orhan Dogan era parlamentare anche lui lo era, per conto del partito SHP,
abitava accanto a Orhan Dogan e vedeva continuamente come la sua casa fosse
un porto di mare. Orhan Dogan ospitava molta gente della sua regione, a
volte trenta persone per volta, inoltre lui Kaya è certo, conoscendo le
posizioni di allora di Erhan Dogan, che questi non sapesse nulla del fatto
di avere avuto un ospite membro del PKK. Lui Kaya non ha mai conosciuto il
membro del PKK ospite della casa di Orhan Dogan. Tutti i parlamentari del
Sud-est ospitavano molta gente e l'aiutavano in tutti i modi.

Il quarto testimone si chiama Abdulhakir Mutluer. Mutluer era a Senova il
giorno in cui Selim Sadak, secondo l'accusa, che si basa su numerose
testimonianze di guardie del villaggio, avrebbe fatto propaganda per il
PKK. Ma egli era assieme a Selim Sadak quel giorno, e stettero assieme per
gran parte del tempo in cui Selim Sadak avrebbe fatto propaganda per il PKK
senza in realtà fare nulla: ambedue infatti rimasero in fila in automobile
per molte ore dinnanzi ad un posto di controllo. Mentre erano lì un certo
Sehmuz Babak, che era in funzione al posto di controllo, li riconobbe e li
invitò a prendere un tè, insisté molto perché accettassero, infine essi lo
fecero, presero assieme il tè, poi se ne tornarono alla loro automobile a
fare la fila. Quando infine raggiunsero il bar all'inizio c'erano due
uomini della tribù Babak, poi ne arrivarono altri, Babak e non. In tutto
lui, Mutluer, e Selim Sadak si fermarono lì per 10 o 15 minuti. Non ci fu
nessuna propaganda per il PKK e quindi nessun arresto di nessuno. Quando
Selim Sadak sarà arrestato i guardiani del villaggio testimonieranno che
egli aveva fatto propaganda quel giorno in quel bar per il PKK: ora Mutluer
è venuto a chiedere alla Corte di essere messo a confronto con questi
testimoni per poterli smentire. 


Gli interventi degli imputati e della difesa e la conclusione dell'udienza

Selim Sadak comincia affrontando le questioni, connesse, della popolazione
di lingua curda e della povertà nel Sud-est. Egli sottolinea come per
risolvere la questione curda occorra anche un passaggio positivo nella
gestione della giustizia. Questo passaggio in questi anni non c'è stato, e
anche questo ha frenato lo sviluppo economico del Sud-est. Solo una piccola
minoranza della popolazione del Sud-est e dell'intera Turchia trae
vantaggio e si arricchisce per via del conflitto tra curdi e Stato turco,
quindi agisce perché la tensione nel Sud-est permanga e la guerra
ricominci. Noi non avevamo paura di essere arrestati, pertanto ci siamo
assunti tutti i rischi del tentativo di portare la libertà nel Sud-est e di
affermare l'uguaglianza tra turchi e curdi. Per questo siamo in carcere da
dieci anni: ma non ne siamo rattristati, abbiamo fatto bene a fare quello
che abbiamo fatto. Quando il PKK dichiarò la prima tregua noi dicemmo che
era un'opportunità da raccogliere per fermare la guerra, e il Presidente
allora della Repubblica Turgut Ozal ci sostenne dichiarando che la Turchia
aveva due popoli. Ma Ozal morì poco dopo, e sono molte le persone, a
partire dalla moglie e dal fratello, che pensano che sia stato ucciso. Così
noi siamo stati poi accusati e condannati, e questo semplicemente perché
l'esercito turco è dal 1924 che non riconosce i diritti elementari del
popolo curdo. Il nostro programma era un programma di pace sociale e di
sviluppo economico nel Sud-est e di progrssiva democratizzazione in tutta
la Turchia. Con questo programma eravamo stati eletti in Parlamento. Molti
altri parlamentari di quel periodo pensavano le stesse cose, però avevano
paura a sostenerle. Vorrei anche ricordare, conclude Sadak, come il
Procuratore che ci fece condannare nel 1994, Nusret Demiral, entrerà
successivamente nel partito dei Lupi Grigi. Ma oggi qualcosa sta cambiando
in Turchia. Poco tempo fa i militari hanno ucciso un pastore perché, hanno
affermato, sarebbe stato membro del KADEK, il partito costituito a seguito
dello scioglimento del PKK: ma l'inchiesta svolta dalla Commissione per i
Diritti Umani del Parlamento ha accertato che era stato ucciso un semplice
pastore, un uomo che non aveva nessun rapporto con il KADEK, e che questa
uccisione era da aggiungere al lungo elenco delle esecuzioni
extragiudiziarie. Anche aver appena ascoltato quattro testimoni della
difesa è un cambiamento importante. Per risolvere i problemi della Turchia,
infatti, la giustizia deve diventare indipendente e imparziale. La
giustizia quando è indipendente e imparziale è garanzia di pace.

Hatip Dicle inizia il suo lungo intervento con l'affermazione che nelle
udienze precedenti del processo si sono solo ascoltate le menzogne sempre
uguali delle guardie del villaggio e non è stato fatto nessun passo avanti
verso la verità dei fatti. Noi siamo stati condannati perché in 22
parlamentari firmammo una petizione che chiedeva l'abolizione dell'articolo
81 della Costituzione, un articolo sciovinista e razzista che si prefigge
la cancellazione dell'esistenza stessa del popolo curdo. Dei 22
parlamentari che firmarono la petizione solo otto verranno condannati, tra
i quali noi quattro a 15 anni, alcuni invece faranno carriera, uno diverrà
vicepresidente del Parlamento, altri due ministri, 14 infine saranno
ignorati dal meccanismo della repressione. Perciò come potete vedere è
stato compiuto un atto di profonda ingiustizia nei nostri confronti. Si
violò inoltre nei nostri confronti l'articolo 83 della Costituzione, che
dichiara che tutti i parlamentari possono liberamente proporre cambiamenti
della Costituzione. Oggi il Newroz, il capodanno curdo, si può fare: ma nel
1992 nel corso della ricorrenza del Newroz a Cizre e a Sirnak vennero
uccise dall'esercito 103 persone. Con numerosi intellettuali turchi e curdi
producemmo un appello che chiedeva che queste stragi fossero fermate,
l'azione intimidatoria del governo e dell'esercito ottenne però che molti
intellettuali ritirassero la firma. La repressione così continuò e uccise
molti contadini, solo a Silvana, nella provincia di Diyarbakir, ne furono
uccisi 600, e anche molti intellettuali. Tutto il nostro impegno perciò era
orientato a fermare la guerra: ma siamo stati condannati a seguito
dell'accusa di essere membri di un'organizzazione armata! Quest'accusa si
basa su una cassetta registrata che né nel precedente processo né in questo
ho potuto ascoltare. Sono stato condannato anche per un'intervista.
Riferendone sul suo giornale il giornalista che me la fece cambiò le mie
parole. Si trattava della mia opinione su un attacco armato effettuato dal
PKK contro una scuola militare: io dissi che non approvavo le azioni
militari, che lavoravo per la pace, e che però se c'è una guerra ci sono
pure i morti e che invece di recriminare ipocritamente sui morti occorre
fermare la guerra. Il giornalista scrisse tutto il contrario, cioè che
appoggiavo l'attacco armato del PKK. Sono perciò stato arrestato per delle
cose che non ho mai detto. Naturalmente quell'intervista mi aveva messo
contro l'opinione pubblica. In conclusione siamo stati condannati per le
nostre idee, solo per le nostre idee.

Leyla Zana rinuncia a intervenire: perché sono le cinque, fa un gran caldo
e siamo tutti stanchissimi. Interverrò un'altra volta. I membri della Corte
e lo stesso arcigno Procuratore debbono averla ringraziata anch'essi in
cuor loro.

Orhan Dogan ricorda come all'inizio del processo gli imputati abbiano
chiesto la sostituzione del Presidente della Corte, poiché questi si era
pubblicamente pronunciato contro il rifacimento del processo. Questa
posizione infatti significava che il Presidente non poteva essere
considerato imparziale. La Corte di Strasburgo ha sottolineato come la
presenza nella Corte del 1994 di un giudice militare violasse l'articolo 6
della Convenzione sui Diritti Umani. Pertanto la Corte di Strasburgo ha
voluto che il processo si rifacesse da capo, si facesse cioè questo
processo come se fosse il primo sulla sua materia, interrogando i testimoni
sia dell'accusa che della difesa e mettendoli a confronto, ricercando la
verità vera sui fatti e non quella costruita nelle gendarmerie. Ma fino
alla terza udienza sono stati ascoltati solo i testimoni dell'accusa, oggi
solo quattro della difesa, quindi questo non è un nuovo processo ma,
sostanzialmente, il rifacimento del processo del 1994. Non è quindi un
processo equo. Ancora in questo processo i testimoni dell'accusa hanno
detto una quantità di falsità, e se in Turchia esistesse realmente la
giustizia questi testimoni dovrebbero essere condannati. In ogni caso io
chiedo che siano condannati. Ricordo che nel 1954 negli Stati Uniti vennero
condannati a morte i Rosenberg, marito e moglie, per l'accusa di essere
delle spie sovietiche. Molti testimoni deposero contro di loro, e solo dopo
l'esecuzione della condanna si scoprì che erano stati falsi testimoni. Uno
di loro dichiarò che le loro testimonianze erano state false. Tre cose
hanno portato alla nostra condanna: la nostra opposizione alla politica
anticurda dello Stato; la nostra denuncia sistematica di questa politica;
la nostra proposta di una politica alternativa. Lo Stato rispetto a noi
aveva tre alternative: tentare di portarci al suo servizio; ucciderci;
espellerci dalla politica, mettendoci in carcere. Ha scelto la terza
alternativa. Oggi in Turchia sono in corso alcuni cambiamenti riguardo alle
minoranze etniche, ma sono piccoli e sono in corso perché sono stati
imposti dal cambiamento in questa materia in corso nel mondo. Clinton
benché con due secoli di ritardo ha chiesto scusa agli indiani, la
mentalità contemporanea considera le culture aborigene un patrimonio
prezioso dell'umanità. Spero che la sentenza della Corte sarà in sintonia
con questo cambiamento nel mondo, che si andrà così nella direzione della
pacificazione interna e della democrazia. 

Interviene ora brevemente Yusuf Alatas. Alatas dichiara che se questo
processo non fosse il proseguimento di quello del 1994 ma un nuovo processo
lo status degli imputati sarebbe diverso, non sarebbero in carcere in
quanto condannati ma imputati a piede libero in attesa della sentenza. Per
questo la difesa ne chiede nuovamente la scarcerazione. La condanna del
1994 a 15 anni fu il massimo di ciò che poteva essere comminato e di questi
15 anni gli imputati già ne hanno scontato dieci. Hanno già subito un danno
enorme, nessuno potrà risarcirli di questo danno, che almeno vengano
immediatamente rimessi in libertà.

Altri avvocati ricordano come il testimone dell'accusa che prese in
ostaggio Temel nella sua deposizione nella seconda udienza abbia fatto
nuovi nomi, cioè abbia fatto nomi non segnalati nel precedente processo. Ci
si chiede come mai questa Corte non abbia indagato, ponendogli per esempio
la domanda di come mai questi nomi nel 1994 non siano apparsi. Questa Corte
non vuole accertare la verità, è l'unica conclusione possibile. Questa
Corte non ha interrogato i testimoni dell'accusa ma si è limitata a
chiedergli se confermavano le deposizioni rese nel 1994. Ma le deposizioni
del 1994 non possono essere accettate a scatola chiusa. I testimoni che le
resero debbono deporre come se fosse la prima volta che depongono. Non si
può parlare, altrimenti, di un nuovo processo. Inoltre c'è che questi
testimoni hanno mentito e continuano a mentire. La testimonianza di Temel
dimostra come il testimone dell'accusa Dursum, cioè il rapitore di Temel,
abbia mentito. Ecco perché occorre ascoltare tutti i testimoni in questo
processo, quelli della difesa come quelli dell'accusa. Se si vuole
veramente arrivare alla verità è questo che bisogna fare. In caso contrario
la sentenza della Corte sarà nuovamente basata, come nel 1994, su
testimonianze unilaterali e, in concreto, false. Dursum infine è anche un
criminale: ha rapito un ragazzo e lo ha tenuto prigioniero e torturato per
sei giorni: Dursum dovrebbe essere messo in prigione. C'è molta attenzione
fuori da questo tribunale rispetto a questo processo: la Corte pensi anche
a questo, liberi gli imputati. Il rifacimento del processo avrebbe dovuto
cancellare la condanna precedente. La Corte ha accettato il rifacimento del
processo, la Corte liberi gli imputati.

Il Procuratore chiede l'escussione dei tre testimoni residui dell'accusa,
compreso quello in carcere in Germania.

La Corte si ritira per decidere, sempre, va da sé, assieme al Procuratore.
Ci impiega cinque minuti. Nel frattempo una quantità di gendarmi si
schiera, fucile d'assalto in pugno e petto gagliardo in fuori, tra gli
imputati e il pubblico, a fronteggiare i pericolosi dinamitardi che lo
compongono. Ed ecco le decisioni della Corte. Rispetto alle richieste del
Procuratore, verranno ascoltati il testimone Izzettin Ay (ex membro del
PKK, divenuto poi "collaboratore" dello Stato), se necessario procedendo ad
escussione forzata, giacché per la seconda volta questi non si è
presentato, e il testimone Ejder Paçal (questi pure ex membro del PKK e poi
collaboratore dello Stato). Poiché Paçal è in carcere a Mardin, succederà
questo: che sarà il tribunale di Mardin ad effettuare l'interrogatorio, in
presenza ovviamente dei difensori degli imputati, poi il verbale
dell'interrogatorio verrà letto in udienza. La Corte invece respinge la
richiesta sempre del Procuratore di procedere all'ascolto del testimone in
carcere in Germania. La Corte respinge, infine, la richiesta della difesa
di liberazione degli imputati, e aggiorna il processo al 18 di luglio.

Ci rechiamo immediatamente all'ufficio di Yusuf Alatas per una valutazione
da parte sua di quest'udienza, è lo stesso Alatas a proporlo. Ha
un'opinione in parte positiva: la difesa è finalmente riuscita a forzare il
muro delle resistenze della Corte. Questa è stata la migliore delle quattro
udienze. Il 18 luglio la difesa porterà in tribunale altri testimoni.
Ragionevolmente il processo continuerà per altre tre o quattro udienze: c'è
perciò il tempo per altre pressioni esterne. L'esito del processo, per il
carattere tutto politico del comportamento della Corte, dipende molto dal
proseguimento delle azioni di pressione.







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