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Gran bazar Baghdad



Da Umanità Nova


Gran bazar Baghdad
Cow boys, petrolieri, ong sulla torta irachena

Come già accaduto per l'Afganistan (per non parlare del Congo...), i media hanno già decretato la cessazione delle ostilità in Iraq, smobilitato i corrispondenti di guerra, riportato i palinsesti al loro ordine quotidiano. Così dopo poche settimane e dodici anni, il regime di Saddam Hussein, già storico alleato di ferro della coalizione alleata che lo ha sorretto e ora defenestrato, è collassato improvvisamente in men che non si dica, senza ricorrere alla famigerata e temibilissima Guardia repubblicana, senza utilizzare i quattromila kamikaze pronti a morire per il jihad islamico a difesa del laico e nazionalista dittatore iracheno (che tra le sue vittime conta, oltre ai curdi, quegli sciiti che avrebbero dovuto lanciare la guerra santa a favore del loro carnefice...), nonché senza far balenare l'ombra minima di un'arma di distruzione di massa, quasi a preservarla per migliori occasioni che non la sua rovinosa uscita di scena. Così come nel 1991 l'esercito era il quarto esercito al mondo, secondo la propaganda americana, oggi era ulteriormente fiaccata da dodici anni di attacchi militari che facevano dell'Iraq la nazione più debole possibile per una aggressione ultratecnologicamente armata. 

Ma Saddam è scomparso per sempre? Per morte sotto qualche bomba ispirata da soffiate dell'ultima ora? Per esilio "concesso" per indurlo a tacere sulle complicità godute (quali quella dello stesso leader del Pentagono Rumsfeld, suo amico almeno sino all'epoca di Bush sr.)? E come si fa a scomparire senza lasciare traccia ai satelliti che ti individuano nel raggio di quattro metri di errore collaterale? Allo stesso modo con cui hanno "negoziato" l'utilità di una loro "presenza assente" bin Laden e il mullah Omar nella prima guerra santa contro il terrorismo?! 
Forse oggi il dittatore è più utile alla causa alleata da "desaparecido", per mantenere viva la tensione in Medio oriente, dove si moltiplicheranno al contempo i luoghi in cui verrà visto come ospite non gradito e quindi attaccabile, e con lui il malcapitato ospitante. Certo, il modo in cui gli alleati hanno tutelato esclusivamente i pozzi petroliferi con relativo ministero contenente le carte dei dettagli dei contratti petroliferi, rivela non solo le mira sul petrolio iracheno, quanto e più opportunamente il reale interesse ricattatorio nei confronti di chi è veramente dipendente dal prezioso liquido energetico, ossia Unione europea, Russia, Giappone e Cina. 

Il neo-governatore, già noto nel 1991 per aver "protetto" i curdi dopo la sollevazione abortita all'indomani della sconfitta irachena, si insedia con una corte di affaristi e lobbysti, senza uno straccio di progetto amministrativo per il tessuto politico, che più incasinato rimane, meglio è, sul modello afgano ma senza un leader posticcio da mettere su un trono ancor più fittizio. Le prospettive di una spaccatura della società civile, già indebolita da decenni di repressione e di embargo, si fanno plausibili in quanto il fondamentalismo sciita è uscito allo scoperto, e ironicamente il rischio di un Khomeyni locale nel sud del territorio occupato può essere scongiurato perpetuando il pugno di ferro militare, il che allontana le prospettive di un governo civile dietro mandato delle Nazioni Unite. 
Delle quali prima o poi la sinistra mondiale radicale (non dico ovviamente quella istituzionale) dovrà cominciare a ragionare facendone tranquillamente a meno, esattamente come negli anni della guerra fredda, quando era bloccata dai veti incrociati. Occorrerà risvegliarsi al più presto dalle illusioni alimentate dallo spiraglio post-berlinese (1989) della pace perpetua senza governo mondiale istituzionale, ma con concertazione tra Onu, superpotenze ossequiose del fantasmatico diritto internazionale, transnazionali avide e opinione pubblica mondiale benedicente (infatti non si chiama government tale illusione, ma governance... un ibrido insapore e soprattutto depistante). 

Gli oppositori statuali alla guerra si sono riallineati per partecipare al banchetto delle spoglie del regime, in via di privatizzazione in mani estere vogliose di rimpinguare i costi dell'avventura militare risanando una economia in crisi. Al banchetto partecipano pure organizzazioni troppo governative che per la prima volta mettono piede in Iraq desiderose di aiutare i propri bilanci umanitari con interventi supportati dai carabinieri e da scorte armate con tanto di uniforme pacifista. E non sono solo i noti opportunisti italiani, ma pure gli irreprensibili francesi guidati dal compagno Chirac e i tetragoni tedeschi che già fanno ammirevole autocritica. Chissà se cederà pure il compagno Woytila, visto l'associazionismo cattolico famoso in tutto il mondo per come sa portare solidarietà umana con tanto di risorse umane targate Caritas, Focsiv e varie agenzie di varia nazionalità. 

La fine della guerra ovviamente non ha risolto alcunché per la popolazione irachena, che dall'incudine di Saddam si ritrova, tanto per fare un esempio, sotto il martello di Chalabi e di suo fratello, già malversatori locali condannati da tribunali giordani per corruzione, un tempo sodali di Saddam interessati al business petrolifero e bancario, forse un po' troppo per tornaconto personale senza badare al clan tikrita del dittatore che teneva una tipica famiglia allargata meridionale. E che dire della democratizzazione sui generis apportata con mano fraterna dagli alleati, se non il nome dell'autoproclamatosi sub-comandante di Baghdad, tale al Zubaydi subito in rotta di collisione con il suo mentore Chalabi? Effetto di smarcamento per conquistare qualche lobby americana conscia dell'estraneità degli esuli londinesi assenti dalla patria da oltre vent'anni? Filiale di una qualche lobby che cerca interlocutori locali differenziati secondo gli interessi reali da promuovere? Inizio di una divisione tra vicini ai vincenti che prelude a qualche resa dei conti, modello balcanico? 

Interrogativi retorici, beninteso, la cui risposta i lettori di UN leggeranno quanto prima nei mass media più informati che terranno le luci accese sugli appalti, sulla nuova mappa geopolitica del potere, sul destino dei curdi e degli sciiti, sul dilagare del fondamentalismo islamico nei paesi arabi (Iraq incluso, secondo il modello israeliano che ha favorito Hamas e la Jihad locale per indebolire il clan laico pur corrotto Arafat & soci). Da parte nostra, cercheremo di "stare dietro" ai numerosi "non-eventi" che si verranno a "non-verificare" nel breve tempo, senza smarrire il filo conduttore analitico, ossia di una guerra per il dominio planetario che vede nel tassello mediorientale una prima tappa di sfondamento militare nei prossimi trent'anni. 

Salvo Vaccaro 
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