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"Questo" 25 aprile - da DI SCHIENA Brindisi
- Subject: "Questo" 25 aprile - da DI SCHIENA Brindisi
- From: "Giancarlo Canuto" <giancanuto@inwind.it>
- Date: Wed, 23 Apr 2003 17:29:11 +0200
LA GUERRA INFINITA E "QUESTO" 25 APRILE
di Michele DI SCHIENA
Se nella guerra contro l'Iraq c'era una previsione di assoluta
certezza era quella del suo esito: la vittoria statunitense resa
sicura dalla incommensurabile sproporzione delle forze in campo. Ed
era anche certo che la "vittoria" sarebbe stata rapida sia per questa
sproporzione e sia perché difettava di qualsiasi credibilità la
prospettazione di quella resistenza fino all'ultimo uomo strombazzata
dal regime dal momento che una tale resistenza avrebbe potuto essere
promossa e guidata non certo da un personaggio come Saddam Hussein ma
solo da un leader carismatico con grande ascendente sulla sua
popolazione e sul suo esercito. Sono apparsi quindi fuor di luogo e
penosamente mossi da "servo encomio" l'entusiasmo per il successo
americano da parte dei fautori della guerra e l'ambiguo compiacimento
di coloro che si erano schierati contro il conflitto più per
calcolate convenienze che per forti motivazioni.
Il fatto è che la forza, anche quando si afferma contro la ragione e
si tinge di sangue, esercita sempre un sinistro fascino sui tanti
"don Abbondio" ed i tanti "Girella" che purtroppo popolano il
panorama politico del nostro Paese e non solo di esso. Ma c'era
un'altra previsione dotata anch'essa, se non di certezza, almeno di
un alto grado di probabilità: il rischio che la fantomatica
resistenza irriducibile del regime iracheno finisse per lasciare il
posto, come certi segnali sembrano annunciare, ad una resistenza
fatta di guerriglia e di terrorismo, una sorta di intifada irachena
condotta non solo dai "fedelissimi" del dittatore ma anche e
soprattutto da ben più motivati gruppi del nazionalismo arabo e del
fondamentalismo islamico di osservanza sciita e sunnita. E ciò in una
situazione incandescente con attentati e scontri fra sette ed
aggregazioni in violenta competizione tra di loro ma al tempo stesso
accomunate dalla determinazione di lottare contro gli odiati
"invasori".
Ed a questo rischio si aggiungeva anche il pericolo, già confermato
da inquietanti minacce alla Siria, che il Presidente americano,
utilizzando una vittoria che gli serviva per mettere le mani sul
petrolio iracheno e per intimidire tutti esibendo il potenziale
bellico di cui dispone, fosse subito tentato di dar corso a nuove
imprese militari. L'attuazione cioè di quel progetto imperiale che la
destra radicale statunitense ha affidato a Bush facendo leva sulle
sue ambizioni di grande condottiero "inviato dalla provvidenza" per
americanizzare e sottomettere il mondo. Un progetto questo
connaturato all'imperante "turbocapitalismo" che oggi controlla la
Casa Bianca e che cerca nella "guerra infinita" l'impossibile via
d'uscita da una crisi oramai strutturale ed irreversibile. Siamo
quindi di fronte ad un disegno che persegue la più iniqua delle
rivoluzioni di tutti i tempi e cioè quella dei ricchi contro i
poveri, che vuole globalizzare il privilegio e l'ingiustizia, che sta
crocifiggendo il mondo con una valanga di "undici settembre" e che
sembra in grado di imporre con ogni mezzo ("colpisci e terrorizza")
le sue logiche ed i suoi diktat. Un disegno che non ha però alcuna
possibilità di definitivo successo perché il progresso morale e
civile dell'umanità è scritto nel suo DNA e finisce sempre nei tempi
lunghi a mandare in frantumi le forze che lo avversano.
Quello della amministrazione Bush è quindi un progetto che, in nome
di una democrazia formale e di facciata, rinnega la democrazia
sostanziale e si esprime in scelte, arroganze e comportamenti che
attualizzano il vecchio imperialismo espansionistico con la
rivendicazione e l'esaltazione della potenza economica e militare
come base di lancio di una politica egemonica, aggressivamente
competitiva e tendenzialmente autoritaria che guarda alla guerra come
ad uno strumento necessario per l'affermazione del proprio dominio e
dei propri interessi. Un nuovo imperialismo che, avendo allargato a
dismisura le proprie pretese, ha convertito il suo nome in quello di
"globalizzazione" ed ha cambiato anche i metodi del suo operare
perché utilizza il suo potere per abbattere o comprimere, con tutte
le possibili "deregulation", le conquiste di civiltà del diritto sia
a livello internazionale che all'interno dei singoli stati. E lo fa
per rendere più liberi i forti e sempre meno tutelati i più deboli.
Ed allora l'appello a "resistere, resistere, resistere" acquista oggi
un significato che supera quello, già rilevante, che assumeva nel
contesto civile ed istituzionale nel quale veniva tempo addietro
pronunciato: esso si carica di un grande valore politico di respiro
generale ed esprime l'esigenza di portare avanti la lotta per la pace
con una permanente mobilitazione delle coscienze e delle energie
democratiche per il ripristino, nelle relazioni fra i popoli, del
diritto internazionale e per la difesa e la promozione, sul piano
interno, dei diritti fondamentali colpiti e negati. Il "no" alla
guerra infinita e la domanda di legalità sono perciò lo spirito che
pervade la celebrazione di questo 25 aprile: una "resistenza" con i
valori di sempre ma con un volto nuovo, un volto "planetario" sul
quale si riflettono le speranze di pace e le istanze di liberazione
dell'intera umanità.
Brindisi, 22 aprile 2003
Michele DI SCHIENA