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"Questo" 25 aprile - da DI SCHIENA Brindisi



LA GUERRA INFINITA E "QUESTO" 25 APRILE

di Michele DI SCHIENA



Se nella guerra contro l'Iraq c'era una previsione di assoluta 
certezza era quella del suo esito: la vittoria statunitense resa 
sicura dalla incommensurabile sproporzione delle forze in campo. Ed 
era anche certo che la "vittoria" sarebbe stata rapida sia per questa 
sproporzione e sia perché difettava di qualsiasi credibilità la 
prospettazione di quella resistenza fino all'ultimo uomo strombazzata 
dal regime dal momento che una tale resistenza avrebbe potuto essere 
promossa e guidata non certo da un personaggio come Saddam Hussein ma 
solo da un leader carismatico con grande ascendente sulla sua 
popolazione e sul suo esercito. Sono apparsi quindi fuor di luogo e 
penosamente mossi da "servo encomio" l'entusiasmo per il successo 
americano da parte dei fautori della guerra e l'ambiguo compiacimento 
di coloro che si erano schierati contro il conflitto più per 
calcolate convenienze che per forti motivazioni.

Il fatto è che la forza, anche quando si afferma contro la ragione e 
si tinge di sangue, esercita sempre un sinistro fascino sui tanti 
"don Abbondio" ed i tanti "Girella" che purtroppo popolano il 
panorama politico del nostro Paese e non solo di esso. Ma c'era 
un'altra previsione dotata anch'essa, se non di certezza, almeno di 
un alto grado di probabilità: il rischio che la fantomatica 
resistenza irriducibile del regime iracheno finisse per lasciare il 
posto, come certi segnali sembrano annunciare, ad una resistenza 
fatta di guerriglia e di terrorismo, una sorta di intifada irachena 
condotta non solo dai "fedelissimi" del dittatore ma anche e 
soprattutto da ben più motivati gruppi del nazionalismo arabo e del 
fondamentalismo islamico di osservanza sciita e sunnita. E ciò in una 
situazione incandescente con attentati e scontri fra sette ed 
aggregazioni in violenta competizione tra di loro ma al tempo stesso 
accomunate dalla determinazione di lottare contro gli odiati 
"invasori".

Ed a questo rischio si aggiungeva anche il pericolo, già confermato 
da inquietanti minacce alla Siria, che il Presidente americano, 
utilizzando una vittoria che gli serviva per mettere le mani sul 
petrolio iracheno e per intimidire tutti esibendo il potenziale 
bellico di cui dispone, fosse subito tentato di dar corso a nuove 
imprese militari. L'attuazione cioè di quel progetto imperiale che la 
destra radicale statunitense ha affidato a Bush facendo leva sulle 
sue ambizioni di grande condottiero "inviato dalla provvidenza" per 
americanizzare e sottomettere il mondo. Un progetto questo 
connaturato all'imperante "turbocapitalismo" che oggi controlla la 
Casa Bianca e che cerca nella "guerra infinita" l'impossibile via 
d'uscita da una crisi oramai strutturale ed irreversibile. Siamo 
quindi di fronte ad un disegno che persegue la più iniqua delle 
rivoluzioni di tutti i tempi e cioè quella dei ricchi contro i 
poveri, che vuole globalizzare il privilegio e l'ingiustizia, che sta 
crocifiggendo il mondo con una valanga di "undici settembre" e che 
sembra in grado di imporre con ogni mezzo ("colpisci e terrorizza") 
le sue logiche ed i suoi diktat. Un disegno che non ha però alcuna 
possibilità di definitivo successo perché il progresso morale e 
civile dell'umanità è scritto nel suo DNA e finisce sempre nei tempi 
lunghi a mandare in frantumi le forze che lo avversano.

Quello della amministrazione Bush è quindi un progetto che, in nome 
di una democrazia formale e di facciata, rinnega la democrazia 
sostanziale e si esprime in scelte, arroganze e comportamenti che 
attualizzano il vecchio imperialismo espansionistico con la 
rivendicazione e l'esaltazione della potenza economica e militare 
come base di lancio di una politica egemonica, aggressivamente 
competitiva e tendenzialmente autoritaria che guarda alla guerra come 
ad uno strumento necessario per l'affermazione del proprio dominio e 
dei propri interessi. Un nuovo imperialismo che, avendo allargato a 
dismisura le proprie pretese, ha convertito il suo nome in quello di 
"globalizzazione" ed ha cambiato anche i metodi del suo operare 
perché utilizza il suo potere per abbattere o comprimere, con tutte 
le possibili "deregulation", le conquiste di civiltà del diritto sia 
a livello internazionale che all'interno dei singoli stati. E lo fa 
per rendere più liberi i forti e sempre meno tutelati i più deboli.

Ed allora l'appello a "resistere, resistere, resistere" acquista oggi 
un significato che supera quello, già rilevante, che assumeva nel 
contesto civile ed istituzionale nel quale veniva tempo addietro 
pronunciato: esso si carica di un grande valore politico di respiro 
generale ed esprime l'esigenza di portare avanti la lotta per la pace 
con una permanente mobilitazione delle coscienze e delle energie 
democratiche per il ripristino, nelle relazioni fra i popoli, del 
diritto internazionale e per la difesa e la promozione, sul piano 
interno, dei diritti fondamentali colpiti e negati. Il "no" alla 
guerra infinita e la domanda di legalità sono perciò lo spirito che 
pervade la celebrazione di questo 25 aprile: una "resistenza" con i 
valori di sempre ma con un volto nuovo, un volto "planetario" sul 
quale si riflettono le speranze di pace e le istanze di liberazione 
dell'intera umanità.

Brindisi, 22 aprile 2003

Michele DI SCHIENA