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Le Monde svela il piano USA per i lpetrolio irakeno



«Iraq, privatizzare il petrolio» http://www.ilmanifesto.it/oggi/art25.html
Ibrahim, dell'Energy Intelligence, spiega a «Le Monde» il piano Usa: «Poi i
giacimenti sauditi»
JOSEPH HALEVI
Con il passar dei giorni l'occupazione colonialista dell'Iraq, verso un
assetto politico degli anni Venti, si rivela sempre più collegata alla
guerra per il petrolio ed al ruolo che questa materia prima, tuttora
necessaria alla produzione della quasi totalità delle merci e dei servizi
del nostro Pianeta, assume nella lotta per il mantenimento dell'egemonia del
dollaro. Su Le Monde datato13-14 aprile appare una lunga intervista con
Youssef Ibrahim, giornalista americano e presidente dell'agenzia
specializzata Energy Intelligence, dal titolo «La vraie bataille pour le
pétrole commence» (comincia la vera battaglia per il petrolio). Ibrahim è
stato per 24 anni giornalista del New York Times ed ha diretto sul Wall
Street Journal la rubbrica sul petrolio. Prima di assumere la presidenza
della Energy Intelligence era responsabile delle relazioni pubbliche della
multinazionale Bp Amoco. Molto giustamente Ibrahim interpreta il grande
disegno dei falchi di Washington come la volontà di ritornare all'era del
patto effettuato nel 1945 sull'incrociatore Quincy tra il Presidente
Roosevelt ed il re saudita Ibn Saud in base al quale gli Stati uniti
garantivano il potere della monarchia whabbita contro lo sfruttamento
esclusivo dei giacimenti a prezzi ragionevoli per le società petrolifere. In
effetti, aggiungiamo, per tutti gli anni Cinquanta i prezzi al produttore
erano talmente bassi che le compagnie maggiori potevano caricarci un buon
margine di profitto. Come già documentato da Anthony Sampson in The seven
sisters : the great oil companies and the world they made (London : Hodder
and Stoughton, 1975), i margini di profitto vennero rosicchiati dall'aumento
dei pagamenti richiesti dai paesi produttori la cui forza contrattuale
aumentò significativamente negli sessanta in seguito all'emancipazione dal
colonialismo, alla formazione dell'Opec ed ai progetti di nazionalizzazione
provenienti soprattutto dall'Iraq. Ulteriori colpi al controllo Usa del
petrolio e del Golfo Persico vennero, secondo Ibrahim, dalla caduta dello
Shah e dall'occupazione irachena del Kuwait. Qui noi dobbiamo però
chiederci: controllo rispetto a chi? In nessun modo il referente poteva
essere l'Unione sovietica. La questione del controllo del petrolio del Golfo
si pone nei confronti dell'Europa. Ed è all'Europa che si riferiva il
segretario Usa alla marina James Forrestal quando alla fine del secondo
conflitto mondiale affermò: «Non m'importa quali compagnie americane
sviluppino le riserve arabiche, ma affermo con la massima enfasi che debbano
essere delle società americane» (citato da Stephen Shalom, «The United
States and the Iran-Iraq War», accessibile presso
http://www.zmag.org/zmag/articles/ShalomIranIraq.html). Ed infatti
Washington procedette ad escludere sistematicamente i britannici dall'Arabia
saudita e poi, dopo il colpo di stato contro Mossadeq nel 1953, dall'Iran.
Tuttavia il grande disegno americano significa ritornare al 1945 in un
contesto in cui gli Usa essendo i maggiori importatori di capitale non
possono più agire da coordinatori del capitalismo mondiale. Nell'intervista
a Le Monde Ibrahim conferisce particolare importanza alla connessione
Iraq-euro: «Le sanzioni erano terribili ma egli (Saddam Hussein, ndr)
continuava a sfidare gli americani, in particolare suggerendo di sostituire
il dollaro con l'euro nelle transazioni petrolifere. Donde la decisione
strategica di riprendere le cose in mano. Voilà il grande disegno». A questo
punto i giornalisti di Le monde chiedono come il grande disegno si applichi
al petrolio. La risposta merita di essere riportata integralmente: «Si
tratta di imporre i `valori americani' non soltanto politici ma anche e
soprattutto economici. Si tratta di ritornare all'impresa privata, di
distruggere le compagnie nazionali e di privatizzare il petrolio. Il che
significa che Exxon ridiventa proprietaria del suo greggio, come era negli
anni Cinquanta, che le riserve appartengono ad una delle società americane e
non prestate o affittate come nel caso degli attuali contratti de
ripartzione della produzione». Ora questi piani avvengono e non sorgono dal
nulla. Il retroterra sia geopolitico che concretamente istituzionale è
fornito dalla fine dell'Urss. Infatti, dice Ibrahim: «L'esempio viene dalla
Russia ove, dopo lo sprofondamento dello Stato, il petrolio è stato
privatizzato». L'occupazione colonialista dell'Iraq servirà da modello:
«Verrà messo in sella un governo fantoccio il cui primo compito sarà di
organizzare la privatizzazione del petrolio». Il processo escluderà i paesi
europei e la monetizzazione della risorsa verrà effettuata in dollari per
ottenere dei prestiti da parte della Banca mondiale. Questo è il vero
significato delle spese per la «ricostruzione dell'Iraq». In un secondo
momento Ibrahim individua la privatizzazione forzosa dei giacimenti sauditi
dato che, di fronte a società private, diventa impossibile controllare la
produzione. Dalla lucida analisi di Ibrahim emerge, per contrasto, la stolta
cecità dei leader di quei paesi europei che inneggiano ad un'impresa che,
oltre che ad essere assassina ed illegale sotto ogni aspetto, marginalizza
l'Europa. Un processo iniziato con la prima guerra del Golfo ed, ahimé,
acceleratosi con i bombardamenti ulivisti della Jugoslavia.