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40° Pacem in Terris - Michele DI SCHIENA BR



LA GUERRA E LA "PACEM IN TERRIS"
Michele DI SCHIENA

Uno scrittore-teologo sudamericano, Leonardo Boff, ha immaginato che 
il Cristo del Corcovado, la grande statua di Rio de Janeiro, si sia 
di colpo animato e, guardando le moltitudini manifestanti per la pace 
e le immani tragedie della guerra in Iraq, abbia avuto un sussulto ed 
abbia detto: "Beati siate voi, operatori di pace, perché avete a 
cuore la memoria dell'arcobaleno ... Guai a voi, signori della 
guerra, nemici della vita e della natura, assassini dei miei fratelli 
e delle mie sorelle dell'Islam. Perché non avete ascoltato il grido 
dell'umanità che supplicava dialogo, negoziati e pace? Blasfemi, 
avete usato il nome del Dio della vita per togliere la vita. Perché 
avete tradito le norme internazionali poste a salvaguardia di una 
giustizia minima e del più elementare senso dell'umanità? Perché con 
sacchi di vile denaro avete fatto di tutto per comprare le coscienze 
ed estorcere la licenza di attaccare ed uccidere? Codardi, avete 
scelto un Paese assediato, umiliato ed estenuato per mostrare, come 
mai si è visto sulla faccia della terra, la vostra capacità di 
devastazione".

Una suggestiva immagine letteraria, una ardita ma ispirata 
attualizzazione di alcune espressioni evangeliche, un grido di dolore 
e di accusa quello di Boff che interpreta sentimenti largamente 
diffusi fra i credenti di fede cristiana e fra tutti gli uomini "di 
buona volontà", diversi per religione e cultura. Un grido angosciato 
di condanna per quanto la violenza delle armi sta facendo in Iraq e 
probabilmente si appresta a fare in altre contrade del vicino Oriente 
e in ogni parte del mondo. Una condanna per coloro che hanno deciso, 
condiviso, favorito o, anche solo, non "ripudiato", questa guerra 
preventiva, illegittima, crudele e nefasta.

"La guerra è oramai un dato di fatto in via di archiviazione, 
passiamo dunque a parlare del dopo": questo malinconico ritornello 
implica un sottaciuto corollario, quello di mettere una pietra su ciò 
che è accaduto per far dimenticare le responsabilità morali e 
politiche dei fautori dichiarati dell'intervento armato ed anche di 
coloro - e ne abbiamo di autorevoli nella politica nostrana - che 
hanno mascherato la scelta di partecipare al conflitto con qualche 
penoso e sofferto espediente consigliato da calcolate convenienze e 
che oggi si affrettano per rientrare a pieno titolo nel giro dei 
rapporti che contano e degli affari che rendono. No, non si potrà 
voltare pagina fino a quando continuerà l'occupazione dell'Iraq 
comunque etichettata, fino a quando non sarà sconfitta la teoria e la 
pratica della guerra preventiva con l'uscita di scena dei suoi 
propugnatori e fino a quando non sarà ripristinata la legalità 
internazionale con il riconoscimento del ruolo di centralità delle 
Nazioni Unite. Alla guerra "infinita" il movimento per la pace 
risponderà con una opposizione "infinita", armata solo di forti 
ragioni e di grandi speranze.

E questa opposizione "senza se e senza ma" trova oggi un punto 
importante di riferimento nella "Pacem in Terris" la grande Enciclica 
di Giovanni XXIII di cui ricorre in questi giorni (l'11 aprile) il 
quarantesimo anniversario. Una enciclica che è stata riproposta 
all'attenzione generale dall'attuale Pontefice e che risulta di 
straordinaria attualità per il richiamo al dovere di tutelare e 
promuovere i diritti "universali, inviolabili ed inalienabili" di 
ogni uomo e di tutti gli uomini, per l'affermazione del valore di un 
autentico pluralismo delle culture, per la condanna del razzismo, per 
la categorica conferma del principio secondo il quale tutti gli 
uomini e "tutte le comunità politiche sono uguali per dignità di 
natura". Una "Lettera" che sembra scritta oggi per l'esortazione 
affinché le controversie tra i popoli siano "risolte non col ricorso 
alle armi ma attraverso il negoziato", per l'auspicio che 
"l'Organizzazione delle Nazioni Unite, nelle sue strutture e nei suoi 
mezzi, si adegui sempre di più alla vastità e nobiltà dei suoi 
compiti", per la sottolineatura del grande rilievo che deve essere 
riconosciuto alla "dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo" 
quale "passo importante nel cammino verso l'organizzazione 
giuridico-politica della comunità mondiale". Un documento, questa 
Enciclica, che è un messaggio di saggezza e di speranza, una luce che 
si riaccende in questi tempi bui nei quali l'irrazionalità e 
l'arbitrio cercano con la forza di ottenere una antistorica rivincita 
sui traguardi di civiltà faticosamente raggiunti dall'umanità negli 
ultimi decenni.

Brindisi, 8 aprile 2003