[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
40° Pacem in Terris - Michele DI SCHIENA BR
- Subject: 40° Pacem in Terris - Michele DI SCHIENA BR
- From: "Giancarlo Canuto" <giancanuto@inwind.it>
- Date: Fri, 11 Apr 2003 16:59:41 +0200
LA GUERRA E LA "PACEM IN TERRIS"
Michele DI SCHIENA
Uno scrittore-teologo sudamericano, Leonardo Boff, ha immaginato che
il Cristo del Corcovado, la grande statua di Rio de Janeiro, si sia
di colpo animato e, guardando le moltitudini manifestanti per la pace
e le immani tragedie della guerra in Iraq, abbia avuto un sussulto ed
abbia detto: "Beati siate voi, operatori di pace, perché avete a
cuore la memoria dell'arcobaleno ... Guai a voi, signori della
guerra, nemici della vita e della natura, assassini dei miei fratelli
e delle mie sorelle dell'Islam. Perché non avete ascoltato il grido
dell'umanità che supplicava dialogo, negoziati e pace? Blasfemi,
avete usato il nome del Dio della vita per togliere la vita. Perché
avete tradito le norme internazionali poste a salvaguardia di una
giustizia minima e del più elementare senso dell'umanità? Perché con
sacchi di vile denaro avete fatto di tutto per comprare le coscienze
ed estorcere la licenza di attaccare ed uccidere? Codardi, avete
scelto un Paese assediato, umiliato ed estenuato per mostrare, come
mai si è visto sulla faccia della terra, la vostra capacità di
devastazione".
Una suggestiva immagine letteraria, una ardita ma ispirata
attualizzazione di alcune espressioni evangeliche, un grido di dolore
e di accusa quello di Boff che interpreta sentimenti largamente
diffusi fra i credenti di fede cristiana e fra tutti gli uomini "di
buona volontà", diversi per religione e cultura. Un grido angosciato
di condanna per quanto la violenza delle armi sta facendo in Iraq e
probabilmente si appresta a fare in altre contrade del vicino Oriente
e in ogni parte del mondo. Una condanna per coloro che hanno deciso,
condiviso, favorito o, anche solo, non "ripudiato", questa guerra
preventiva, illegittima, crudele e nefasta.
"La guerra è oramai un dato di fatto in via di archiviazione,
passiamo dunque a parlare del dopo": questo malinconico ritornello
implica un sottaciuto corollario, quello di mettere una pietra su ciò
che è accaduto per far dimenticare le responsabilità morali e
politiche dei fautori dichiarati dell'intervento armato ed anche di
coloro - e ne abbiamo di autorevoli nella politica nostrana - che
hanno mascherato la scelta di partecipare al conflitto con qualche
penoso e sofferto espediente consigliato da calcolate convenienze e
che oggi si affrettano per rientrare a pieno titolo nel giro dei
rapporti che contano e degli affari che rendono. No, non si potrà
voltare pagina fino a quando continuerà l'occupazione dell'Iraq
comunque etichettata, fino a quando non sarà sconfitta la teoria e la
pratica della guerra preventiva con l'uscita di scena dei suoi
propugnatori e fino a quando non sarà ripristinata la legalità
internazionale con il riconoscimento del ruolo di centralità delle
Nazioni Unite. Alla guerra "infinita" il movimento per la pace
risponderà con una opposizione "infinita", armata solo di forti
ragioni e di grandi speranze.
E questa opposizione "senza se e senza ma" trova oggi un punto
importante di riferimento nella "Pacem in Terris" la grande Enciclica
di Giovanni XXIII di cui ricorre in questi giorni (l'11 aprile) il
quarantesimo anniversario. Una enciclica che è stata riproposta
all'attenzione generale dall'attuale Pontefice e che risulta di
straordinaria attualità per il richiamo al dovere di tutelare e
promuovere i diritti "universali, inviolabili ed inalienabili" di
ogni uomo e di tutti gli uomini, per l'affermazione del valore di un
autentico pluralismo delle culture, per la condanna del razzismo, per
la categorica conferma del principio secondo il quale tutti gli
uomini e "tutte le comunità politiche sono uguali per dignità di
natura". Una "Lettera" che sembra scritta oggi per l'esortazione
affinché le controversie tra i popoli siano "risolte non col ricorso
alle armi ma attraverso il negoziato", per l'auspicio che
"l'Organizzazione delle Nazioni Unite, nelle sue strutture e nei suoi
mezzi, si adegui sempre di più alla vastità e nobiltà dei suoi
compiti", per la sottolineatura del grande rilievo che deve essere
riconosciuto alla "dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo"
quale "passo importante nel cammino verso l'organizzazione
giuridico-politica della comunità mondiale". Un documento, questa
Enciclica, che è un messaggio di saggezza e di speranza, una luce che
si riaccende in questi tempi bui nei quali l'irrazionalità e
l'arbitrio cercano con la forza di ottenere una antistorica rivincita
sui traguardi di civiltà faticosamente raggiunti dall'umanità negli
ultimi decenni.
Brindisi, 8 aprile 2003