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Un voto contro tutte le guerre



Un voto contro tutte le guerre

Come fare a rendere sempre più evidente il fossato che separa i governi di
guerra dai popoli che dovrebbero rappresentare? Come fare a inserirsi come
un cuneo in questa falla nella democrazia e rendere sempre più stridente il
contrasto tra "governanti e governati"?
Una proposta di discussione, un piccolo passo verso la democrazia dal basso

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Le manifestazioni contro la guerra hanno assunto dimensioni senza
precedenti nella storia dell'umanità, la data del 15 febbraio è già storia
ed anche i giornali conservatori di tutto il mondo, dietro quelli
americani, hanno dovuto prenderne atto. Il New York Times, riferendosi
all'opinione pubblica mondiale contraria alla guerra, ha parlato della
giornata indetta dal Forum Sociale Europeo di Firenze come della data di
nascita della "seconda superpotenza mondiale".
Ma la guerra è cominciata, i bombardamenti continuano e non ci è dato
sapere quando il massacro avrà fine. Decine di milioni di donne e uomini
hanno manifestato il loro dissenso prima dell'attacco anglo-americano e
continuano a esibirlo nelle forme più diverse ogni giorno. Fino a quando
dovremo scarpinare per le nostre città, agitare bandiere colorate e drappi
neri, fare assemblee e dibattiti, bloccare ferrovie e porti prima di
cancellare, una volta per tutte, la guerra dalla nostra vita?

La frustrazione incombe, così come il rischio di anestetizzarsi, di
abituarsi alla violenza. Che senso ha continuare ad esporre l'arcobaleno se
in Iraq l'aggressione diventa sempre più feroce?

Come se non bastasse anche tra le fila delle opposizioni parlamentari
contrarie alla guerra ci sono dei distinguo che impediscono di dire NO ALLA
GUERRA con un'unica voce. Alcuni tra questi sperano che la guerra duri meno
tempo possibile, ma allora perché non bombardare a tappeto per piegare sin
da subito la resistenza e annientare l'intero popolo irakeno? Viene il
dubbio che se ci fossero questi "pacifisti" al governo forse farebbero la
stessa cosa. Magari solo con più classe.

"Venti di guerra 110.000.000 di pace" recitava lo striscione dell'ennesimo
corteo, ma la guerra la fanno lo stesso. Venti contro 110.000.000.
Perderebbero senza fare neanche un tentativo. E allora perché non obbligare
i governi di tutto il mondo a sottoporre a consultazione popolare qualsiasi
intervento armato con qualunque coalizione e a qualsiasi latitudine? Non un
semplice dibattito parlamentare in cui una maggioranza a favore di una
guerra "umanitaria" si racimola sempre, ma un vero e proprio referendum con
il quale i popoli siano chiamati ad esprimere il loro consenso o il loro
dissenso prima di un intervento armato. Venti contro 110.000.000.

A scuola ci hanno insegnato che una volta eletti i "rappresentanti del
popolo" si comporteranno secondo coscienza, che non è applicabile il
mandato imperativo per deputati e senatori, ma che sarà sempre il popolo,
detentore ultimo della sovranità, a sanzionarne il comportamento alla
successiva tornata elettorale. Sappiamo tutti - specie con il meccanismo
del maggioritario, imperante ovunque in occidente - quanto sia finto questo
principio. E allora, per impedire che accada ancora che un manipolo di
guerrafondai assassini decida in barba alla volontà dei popoli della terra
facciamo nostra la proposta dei pacifisti del primo novecento.

E' una proposta, ne possiamo parlare.

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