[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
i costi della guerra
Quanto costa la guerra?: Trecento milioni di dollari al giorno
In questa prima settimana di guerra sono state lanciate su Baghdad mille
bombe. Solo degli sciocchi potevano credere che questa sarebbe stata una
guerra rapida, leggera, chirurgica, mirata. Eppure questi sciocchi (o se
preferite questi zerbini di Bush) avevano pensato che si potesse
conquistare - pardon liberare - un paese di 24 milioni di abitanti in sole
72 ore, fra gli applausi di un popolo festante e senza lasciare in terra
una sola vittima. «La strage al mercato è solo un inizio, non è effetto
collaterale della guerra, è il suo cuore» (Luigi Pintor sul manifesto). E'
stato un atto criminale, indiscriminato, dovuto o voluto per errore: uno
dei tanti errori che hanno costellato le ultime guerre. Mille bombe sui
palazzi, sulle case, sul mercato. Gli americani, i padroni del mondo, non
fanno risparmi. La guerra, questa infame guerra, costa ogni giorno 300
milioni di dollari: cifra che moltiplicata per i tanti giorni di conflitto
che ci attendono, diventerà astronomica. Dal Corriere della Sera
apprendiamo che «un missile Cruise costa 500 mila dollari, un Patriot 2
milioni, un elicottero Apache 15 milioni, un jet Tornado 200 milioni»...
per non parlare di mitra, fucili, proiettili, carri-armati, mantenimento
delle truppe, e così elencando quel mostruoso apparato bellico di una
aggressione che è, come scrive ancora Pintor, «una vergogna dell'umanità».
Eppure Bush vuole altri soldi dal Congresso: subito 73 miliardi di dollari
per le emergenze. «Con 73 miliardi di dollari - scrive Piero Sansonetti su
l'Unità - si potrebbero risolvere, per un anno, i problemi della fame del
mondo, della sete nel mondo, e delle cure ai malati di Aids». Solo con
questa spesa aggiuntiva: e con tutto quello che costerà la guerra quanta
umanità si sarebbe potuta salvare?
Basterebbe riflettere soltanto su questo spreco di risorse (se è possibile
mettere da parte per un attimo lo spreco di intelligenze, o ancor di più,
l'orrore per la distruzione e la morte) per schierarsi contro l'attuale
folle strategia americana. Invece siamo circondati da anime belle che
malgrado quello che è davanti ai nostri occhi rimangono stupefatti se
qualcuno, anzi milioni di uomini e donne, dichiarano di non essere né con
Bush, né con Saddam. Mercoledì è stato Francesco Merlo sul Corriere a
criticare un articolo del segretario della Cgil Guglielmo Epifani che ieri
ha risposto sullo stesso quotidiano. Afferma - giustamente - che è da
respingere il dilemma posto da chi vorrebbe imporre una scelta di campo,
adesso che la guerra è cominciata. «Essere contro le ragioni che hanno
portato l'amministrazione degli Usa alla guerra, non può essere
assolutamente scambiato o diventare sostegno a una persona o a un regime
come quello iracheno. Il problema - scrive - non è quello di una
equidistanza fra due persone, ma come applicare con rigore, se si rifiuta
la logica della guerra, un unico criterio di valutazione morale e di valore
nei comportamenti e nei giudizi».
Non poteva mancare, in questa noiosa quanto strumentale polemica, Il
Riformista che in un editoriale sostiene che lo slogan «né con Bush, né con
Saddam» «è la posizione politica che ha di fatto assunto l'opposizione
quando ha deciso di manifestare in piazza e nelle aule parlamentari per
chiedere la sospensione delle ostilità». Insomma, oggi come oggi, visto che
c'è la guerra, bisogna schierarsi con gli invasori anglo-americani. Tanto
che i riformisti hanno deciso di dimettersi da una sinistra che non sta né
con Bush, né con Saddam. (Una promessa o una minaccia?) Per essere insomma
moderatamente di sinistra bisogna essere convinti che «Dio ha ordinato
all'America di salvare il mondo, in qualunque modo convenga all'America… e
chiunque voglia andare contro quest'idea è anti-americano, filo-iracheno,
se non proprio terrorista. Per essere accettato nella squadra di Bush a
quanto pare bisogna credere nel Bene Assoluto come nel Male Assoluto»:
parole forti del grande scrittore John Le Carré tratte da un suo intervento
sull'Atlante di Repubblica.
28 marzo 2003
www.prcpalata.org