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Guerra e controinformazione: miniguida per non essere denunciati
Redattori di
base su Internet
Controinformazione: miniguida per non essere denunciati
La controinformazione su Internet è diventata una potente e
diffusa. A promuoverla sono spesso amici pacifisti che non hanno il
tesserino di giornalista ma che dalla loro parte hanno passione e
intelligenza "da vendere"
Come possono trattare questioni spinose
come la guerra, i piani di riarmo o la disobbedienza civile senza essere
denunciati o citati per danni?
Crescendo la diffusione di Internet cresce parallelamente il contenzioso
legale.
Il fatto che Internet venga letta quanto - se non più - dei giornali
rende altamente possibile il rischio di essere citati in giudizio per
“danno”: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno
ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”
(art.2043 del Codice Civile). E la quantificazione del danno tende a
crescere appunto con il crescere della quantità di utenti che con
Internet vengono informati.
Vi sono poi i “reati contro l'onore” come l'ingiuria e la diffamazione
(elencati dagli articoli 594-595-596-597-598-599 del Codice Penale):
l'ingiuria è l'offesa all'onore e al decoro di una persona presente (ad
esempio ad un partecipante di una lista di discussione) e comporta la
reclusione da 2 a 6 anni; se la persona offesa è assente allora scatta il
reato di “diffamazione” (art 595 c.p. comunicazione con più persone in
assenza del soggetto passivo, reclusione fino ad un anno oppure multa
fino a 2 milioni di lire) su querela della persona offesa, che diviene
“aggravata” se il fatto è commesso a mezzo stampa o con altro mezzo di
pubblicità.
Non vanno dimenticati - per quanto alcuni siano grotteschi reati
ereditati dal passato fascita - i “reati contro lo Stato”:
- eccitamento al dispregio e vilipendio delle istituzioni, delle leggi o
degli atti dell´autorità (reclusione fino ad un anno oppure multa fino a
400 mila lire)
- vilipendio delle Forze Armate, della nazione italiana, della bandiera o
di altro emblema dello Stato (reclusione da uno a tre anni)
- istigazione di militari a disobbedire alle leggi (reclusione da uno a
tre anni)
- disfattismo politico in tempo di guerra (l´art.265 del Codice penale
punisce con la reclusione fino a 15 anni e diventa ergastolo “se il
compevole ha agito in seguito a intelligenze col nemico”)
- propaganda ed apologia sovversiva o antinazionale (ma la reclusione da
sei mesi a due anni finalizzata a “distruggere o deprimere il sentimento
nazionale” e´ stata dichiarata illegittima con sentenza 87/1966 della
Corte Costituzionale)
- offesa all'onore dei Capi di Stati esteri e contro i rappresentanti di
Stati esteri (reclusione da uno a tre anni)
- pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose
atte a turbare l´ordine pubblico (arresto fino a 3 mesi oppure ammnda
fino a 600 mila lire)
- procurato allarme presso l´autorità (arresto fino a 6 mesi oppure
ammenda da 20 mila a 1 milione di lire)
Questi ultimi reati vogliono punire gli “allarmisti”...
E´ bene sapere che, quando vengono diffusi messaggi o foto relativi a
questioni militari (siti militari, armi dislocate, installazioni), essi
sono ancora soggette ad un regio decreto del 1941; vi sono perciò norme
per reprimere i seguenti reati:
- rivelazione di documenti segreti (reclusione fino a 3 anni oppure multa
da 200 mila a 2 milioni di lire)
- agevolazione colposa nello spionaggio (reclusione da 1 a 5 anni)
- rivelazione di segreti di Stato (reclusione non inferiore a 5
anni)
- procacciamento di notizie sulla sicurezza dello Stato (reclusione da 3
a 10 anni)
- spionaggio politico o militare (reclusione non inferiore a 15
anni)
E´ bene sapere che messaggi relativi alla “disobbedienza civile”, una
pratica sociale ereditata anche dalle tradizionali lotte nonviolente di
Gandhgi e Martin Luther King, possono incappare (se scritti senza le
opportune cautele) nei seguenti reati:
- istigazione a commettere contravvenzioni (reclusione fino a 1 anno
oppure multa fino a 400 mila lire)
- istigazione a commettere delitti (reclusione da 1 a 5 anni)
- apologia di delitti (reclusione da 1 a 12 anni)
E´ bene anche aver presente i seguenti reati associativi:
- associazioni antinazionali (reclusione da 6 mesi a 3 anni)
- associazione sovversiva (reclusione da 5 a 12 anni)
- associazione segreta (reclusione da 1 a 5 anni)
- organizzazione di associazione con finalità di terrorismo o di
eversione (reclusione da 7 a 15 anni)
Vi sono anche i “reati contro la religione”, anche se oggi sembrano ormai
molto lontani i tempi dello scontro di religione:
- vilipendio della religione (reclusione fino a 2 anni)
- offesa alla religione mediante vilipendio delle cose (reclusione da 1 a
3 anni)
- offesa alla religione mediante vilipendio di persone (reclusione fino a
2 anni)
Chi inserisce messaggi su questioni delicate, spinose, controverse, ecc.
che potrebbero essere soggetti a querele o citazioni per danni, e´ bene
che conservi (a volte per anni) le fonti e che le citi nel messaggio.
Bisogna stare però attenti a raccontare - pur disponendo della fonte -
anche cose di cui non è del tutto certa la verità e in tal caso è buona
norma usare il condizionale; ad esempio: “Tizio sarebbe coinvolto nel tal
fatto, secondo quanto ha scritto Caio nel Corriere del Pomeriggio del
12/1/1993”. In tal caso e´ opportuno conservare il ritaglio di giornale
con la data e la fonte in una cartellina nella propria biblioteca (se il
giornale non e´ reperibile con facilità). Se la notizia
"incerta" è presa da un sito Internet occorrerebbe avere
testimoni nel caso in cui quella pagine web "sparisse".
Se si registra un´intervista e la si trascrive, occorre sapere che anche
la semplice trascrizione e diffusione via Internet di frasi
“diffamatorie” può far scattare la querela di parte nei confronti “anche”
di chi ha scritto (e non “solo” di chi ha detto). Che fare in simili
casi? Censurare o obbedire al diritto di cronaca e di informazione? Un
espediente è quello di riportare “con distacco” e prendendo formalmente
le distanze. Ad esempio Tizio dice: “Ho visto Caio che stava rubando”. In
tal caso occorre che l´intervistatore dica cose del tipo: “Lei sta
facendo delle gravi affermazioni, si spieghi meglio”. Insomma occorre che
l´intervistatore non sia scambiato per un “amplificatore”
dell´intervistato e che usi tutte le cautele per prendere le distanze
(non per condannare). L´intervistatore può aggiungere in coda delle righe
che spieghino che l´intervistatore, pur non condividendo necessariamente
le parole dell´intervistato, ha sentito il dovere morale o civile di
riportarle, chiedendo magari anche a Caio un´intervista.
E´ bene sapere che - anche se Tizio ha rubato ed e´ stato condannato per
tale reato - si può essere egualmente condannati per diffamazione
scrivendo: “Tizio e´ un ladro”. Occorre scrivere: “Tizio e´ stato
condannato per... ecc. ecc.”
La querela per diffamazione può scattare anche se si scrive “Tizio non
conosce la Costituzione” e poi si scopre che... Tizio e´ un avvocato o un
magistrato; se invece Tizio e´ un insegnante di letteratura le cose
cambiano ed egli puo´ querelare se si scrive: “Tizio non conosce la
Divina Commedia”.
Va detto che per evitare le querele non vi sono regole fisse e che
occorre regolarsi caso per caso sulla base di principi generali, tenendo
ben presente che a volte una querela dipende da una singola parola (un
aggettivo azzardato o un verbo all´indicativo anziché al
condizionale).
Va però aggiunto anche che la Corte di Cassazione in data 18
ottobre 1984 ha approvato una dettagliata sentenza di 35 pagine sulla
libertà di stampa e quindi sul diritto di critica, in cui vengono
codificati i criteri che i giornalisti devono rispettare per non
incorrere nei rigori della legge (si veda a pagina 1020 del libro di
Franco Abruzzo “Codice dell´Informazione” edito dal Centro di
Documentazione Giornalistica). E´ una sentenza che appare abbastanza
restrittiva e sancisce ad esempio che nel campo dell´informazione:
- vi puo´ essere un illecito civile anche in assenza di un illecito
penale;
- la verita´ dei fatti non e´ rispettata se e´ “mezza verita´”, o
verita´ incompleta e che in tal caso la “mezza verita´” puo´ essere
equiparata alla notizia falsa;
- il giornalista non deve ricorrere ad “insinuare” attraverso l´uso delle
virgolette (è il “sottinteso sapiente”, tale da far leggere fra le righe
una verita´ non detta del tutto);
- non bisogna ricorrere a “accostamenti suggestionanti” (ad esempio
scrivere di una persona che si vuol mettre in cattiva luce e scrivere
nella frase successiva “il furto e´ sempre da condannare”);
- non bisogna usare insinuazioni con la tecnica di frasi del tipo “non si
puo´ escludere che...” in assenza di alcun serio indizio;
- e´ offesa anche il ricorso a toni sproporzionatamente scandalizzati o
sdegnati, specie nei titoli.
Questa sentenza è stata cosi´ commentata da Miriam Mafai (allora
presidente del sindacato dei giornalisti): “L´unico giornale possibile,
secondo la Cassazione, e´ la Gazzetta Ufficiale”.
Un´altra sentenza del 23 ottobre 1984 delle sezioni unite penali della
Cassazione stabilisce che non esistono “fonti informative privilegiate” e
che e´ dovere del cronista esaminare, controllare e verificare i fatti
oggetto della sua narrazione.
In teoria un giornalista potrebbe venire querelato per diffamazione per
aver riportato - senza opportuna verifica - un comunicato delle forze
dell´ordine che - pur effettivamente emesso da fonte istituzionale
“certa” - si rivelasse poi “non veritiero” e lesivo di altrui diritti.
E´ complesso discutere se, o in che misura, l´informazione diffusa via
Internet sia assimilabile all´informazione giornalistica e sia
assoggettabile a tale sentenza. In ogni caso, a scopo di cautela, occorre
attenersi ad una condotta che contempli un minimo verifica delle fonti
nei casi dubbi.
Tutte queste informazioni, norme e cautele non vogliono scoraggiare
assolutamente chi scrive su Internet: la verità e la libertà di
informazione non vanno assolutamente scoraggiate; i riferimenti
normativi, pur nelle loro a volte eccessive rigidità, vanno tenuti
presenti non al fine di non informare ma al fine di informare con
l´avvedutezza necessaria a schivare eventuali querele e citazioni in
giudizio.
Il principio che ogni persona abbia “diritto alla liberta´ di espressione
e che questo diritto comprenda la liberta´ di opinione e la liberta´ di
ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere
interferenza di pubbliche autorita” e´ sancito dall´articolo 19 del Patto
Internazionale di New York sui diritti civili e politici (divenuto legge
dello Stato italiano del 25/10/1977 n.881) il quale sancisce: “Ogni
individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto
comprende la liberta´ di cercare, ricevere e diffondere informazioni e
idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto,
attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro
mezzo di sua scelta”.
Alessandro Marescotti
http://www.peacelink.it