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Portare testimonianza/5 - Baghdad, 12 dicembre 2002
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Baghdad, 12 dicembre 2002
L'ARTE DI FARE I MIRACOLI
Torno a Baghdad dopo un'assenza di due settimane, per portare
testimonianza alla realtà della gente irachena, per "esprimere
solidarietà" con la loro sofferenza. Ma oggi non mi sembra abbastanza. Non
voglio limitarmi a portare testimonianza, per loro voglio camminare
sull'acqua, resuscitare i morti, moltiplicare i pani e i pesci. Voglio un
miracolo. Voglio che gli Stati Uniti non attacchino, non facciano
nuovamente ricorso al barbaro uso della violenza e della guerra per
raggiungere i loro fini. Voglio che gli americani continuino a insorgere
contro questa impresa così pericolosa. Voglio vedere mille donne e uomini
americani e inglesi percorrere le strade di Baghdad con fasce bianche al
braccio [in segno di lutto, N.d.T], con cartelli di protesta contro
l'imminente aggressione all'Iraq. Voglio un miracolo. Possiamo, solo per
un attimo, lasciare da parte i nostri appuntamenti, il nostro lavoro, i
nostri impegni, per concentrare una presenza visibile qui, per manifestare
il nostro sostegno a un'alternativa nonviolenta? L'altra sera l'ex
presidente Jimmy Carter ha dichiarato, accettando il premio Nobel per la
pace: "Talvolta la guerra può essere un male necessario, ma dobbiamo
ricordare che è sempre un male".
In questo caso è un male che possiamo stroncare sul nascere, prima che
sfugga di mano. Non sono un ingenua. Come la maggior parte di voi, ho
passato mesi a cercare di capire i reali motivi che spingono
l'amministrazione Bush a volere la guerra a tutti costi. Le ipotesi sono
molte: il petrolio, il terrorismo, la sicurezza di Israele, le armi di
distruzione di massa, una scontro di civiltà, ridisegnare i confini. Tutte
queste motivazioni cedono di fronte a un'obbiettiva valutazione dei fatti:
1. Possiamo contrattare l'acquisto del petrolio di cui abbiamo bisogno.
2. Non ci sono prove convincenti di un coinvolgimento iracheno negli
attentati terroristici.
3. L'Iraq, con il suo patetico arsenale (se pure ne ha ancora uno) non
sarà mai in grado di competere con la potenza americana; inoltre, ci sono
modi migliori per contenere, ridurre o reprimere un'eventuale minaccia da
parte sua.
4. In quest'area del globo, il paese che detiene armi di distruzione di
massa è Israele.
5. La guerra non prende di mira l'Islam: la politica americana si dice
indifferente alle questioni religiose, e ad ogni modo l'Iraq è (o
perlomeno era) lo stato più laico del mondo arabo.
6. E non può riguardare questioni territoriali, dato che l'attuale
frammentazione del mondo arabo fa gioco agli interessi americani.
E allora?
Metti tutto insieme, e il risultato è più della somma delle sue parti. A
scuola lo chiamavamo imperialismo, quando studiavamo i grandi imperi
accentratori di Roma, degli Ottomani, del Portogallo, della Spagna e
dell'Inghilterra. Non potrebbe darsi che l'occupazione dell'Iraq sia la
prossima mossa nell'ascesa del massimo impero della storia? È questo
l'obbiettivo del nostro paese per il ventunesimo secolo? È qualcosa che
siamo disposti ad accettare, basta che il bottino raggiunga le nostre
tavole e le nostre automobili? Mi rendo conto di essere sotto pressione e
troppo emotiva. Ma sono cresciuta nella convinzione che il mio paese fosse
il più grande difensore della libertà e della democrazia. Provo sgomento
per il cocente disinganno.
Forse i miei sentimenti risentono della nostra - mia e di Elias -
esperienza recente al convegno del movimento nonviolento globale per la
pace (...)
La conferenza di Delhi si è aperta con uomini e donne che traducevano
ciascuno nella propria lingua il proverbio "il sentiero si fa camminando".
Magnifica prova di comprensione interculturale. La mia preferita è stata
la traduzione coreana: "Se camminiamo, e camminiamo, e camminiamo, la
gente la chiamerà strada". E perciò camminiamo. (...)
Dopo questo convegno, sono fermamente convinta che il nostro sogno di un
mondo diverso non sia impossibile. Vedo che ci si sta lavorando in
migliaia di modi al livello locale, e questo mi dà molta speranza. Ora
dobbiamo imparare come renderlo possibile su scala più vasta. Il compito
dei nostri politici, affaristi e diplomatici è chiedersi come possono
servire il sogno della gente. Tutto il resto ha già fallito: il paesaggio
iracheno è costellato dai resti di imperi polverizzati, la Mesopotamia,
l'Assiria, Babilonia. La natura effimera della volontà di dominio appare
evidente (...)
Oggi non c'è problema più urgente che prevenire questa guerra. Qui si
riassume tutto: l'equilibrio geopolitico, la nostra risposta al degrado
ambientale, il possibile trionfo del fondamentalismo sulla tolleranza e la
diversità, una soluzione equa del conflitto in Israele/Palestina, il
futuro economico per miliardi di persone, la sicurezza degli americani in
patria e all'estero.
Cosa sceglieremo? Io lavoro, e prego, per un miracolo. Vi prego, unite
alla mia la vostra preghiera e la vostra azione, in quelle forme che vi
sono possibili.
In pace,
Rabia (Elizabeth Roberts)
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