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Se non ora, quando?



Se non ora, quando?

Dall'auto-riduzione all'auto-boicottaggio per recidere una delle radici
della guerra

1. Il progressivo aumento delle città nelle quali si sono svolte, si
svolgono o si stanno preparando biciclettate per la pace e contro la guerra
per il petrolio - l'ultimo elenco a noi noto comprende Caltanissetta, Lodi,
Lucca, Palermo, Pesaro, Prato, Rimini, Riccione, Reggio Emilia, Roma,
Torino, Trento, Treviso, Verona - e le riflessioni incrociate sviluppate
intorno ai presìdi nelle stazioni ferroviarie dei giorni scorsi, m'inducono
ad approfondire e sviluppare il tema proposto nell'intervento
"auto-riduzione contro la guerra", svolgendo quest'altra serie di
riflessioni concatenate.
2. La guerra in preparazione non è "una" guerra. Non è "contro il
 terrorismo". Non è per "il disarmo" dell'Iraq. Essa è un episodio, interno
un ciclo di guerre di aggressione, della strategia imperiale degli USA e dei
suoi vassalli per l'appropriazione dei residui pozzi di petrolio attivi.
Questa strategia di guerra è fondata principalmente su:
a) il fabbisogno interno crescente di carburante e, più in generale, di
energia per l'organizzazione economica, sociale, tecnologica e dei trasporti
delle società occidentali (la popolazione americana che è il 5% di quella
mondiale consuma il 26% di petrolio);
b) il limite oggettivo dato dal prossimo raggiungimento del "picco
definitivo della produzione dei petrolio" e del suo previsto, conseguente,
rapido, declino;
c) la concorrenza della Cina, che si avvia ad essere la nuova super-potenza,
antagonista agli USA, con una nuova enorme richiesta di energia e di greggio
per alimentare la propria crescita.
     La prima guerra Golfo e l'intervento in Kossovo sono stati i prodromi
di questa strategia;
     Afghanistan e Iraq, oggi e, probabilmente, Iran e Cina, domani, gli
sviluppi (vedi i punti 1,2 e 4
     del messaggio "auto-riduzione contro la guerra" ).
3. Tutto ciò non è contenuto in carte segrete, ma è scritto nei rapporti
ufficiali e diffuso da giornalisti e analisti.
      Scrive Ritt Goldstain: "Un rapporto dell'inizio del 2001, predisposto
congiuntamente  dal
      potente Council on Foreign Relations e dal James A.Baker Institute for
Public Policy, metteva
      in luce il fatto che gli USA stanno per finire il petrolio,
prospettando anche l'eventuale
      "necessità dell'intervento militare" per garantire approvvigionamenti
petroliferi. Intitolato
      "Strategic Energy Policy Challanges for the 21st Century", il rapporto
congiunto paventa la fine
      del greggio abbondante e a basso prezzo. Il Council on Foreign
Relations è uno dei gruppi più
      potenti tra quelli che influenzano la politica americana. Affermando
che "non c'è alternativa. E
      non c'è tempo da perdere", il loro documento prospetta in futuro l'
esplosione dei prezzi
     dell'energia, la recessione economica e scontri sociali negli USA, a
meno che non si trovino
      risposte."
     Aggiunge Michael Klare: "Gli strateghi americani vogliono inoltre
garantirsi l'accesso alle
     ingenti riserve petrolifere irachene, e impedire che finiscano sotto il
controllo esclusivo delle
     compagnie  petrolifere russe, cinesi o europee. La priorità dell'
amministrazione, cioè
     l'acquisizione di nuove riserve di petrolio in territorio straniero, è
stata esplicitata per la prima
     volta in un rapporto del  National Energy Policy Developmant Group,
pubblicato il 17 maggio
     2001. Questo documento, redatto dal vicepresidente Richard Cheney,
mette a punto una strategia
    destinata a far fronte al previsto aumento dei consumi petroliferi
americani nel prossimo
     venticinquennio. (.)Primo obiettivo: aumentare le importazioni dai
paesi del Golfo persico,
    dove si trovano circa i due terzi delle riserve energetiche
mondiali.[.]. Il progetto USA di
     garantirsi l'accesso alle riserve petrolifere di regioni cronicamente
instabili può essere realistico
     soltanto a condizione di possedere la capacità di "proiettare" in
queste aree la propria potenza
     miliare."
4. Di fronte a questo scenario di guerra "infinita" (gli aggettivi dell'
Impero non sono scelti a caso) la risposta dei movimenti per la pace, pur
ampia e variegata, fatica a posizionarsi allo stesso livello strategico e,
come spesso è avvenuto anche in passato, si articola su iniziative generose
(come il tentativo di rallentamento dei treni) e anche imponenti (la
manifestazione internazionale del 15 febbraio), ma per lo più dettate dalla
contingenza e dall'emozione se non dall'emergenza.
5. Eppure, rispetto al passato anche recente, la contrarietà alla guerra è
un sentimento maggioritario in Italia e nel mondo. Così come la
disponibilità di molti cittadini e organizzazioni influenti sul piano morale
e sociale - per esempio le chiese e i sindacati - a schierarsi su posizioni
apertamente pacifiste, facendo passi concreti e scelte importanti.
6.   Questo dato nuovo - se letto in connessione alle "ragioni" profonde
della guerra - può consentire
      l'apertura di spazi, nell'ambito dell'opposizione diffusa, che
favoriscano il passaggio dalla
      dimensione orizzontale della quantità della partecipazione alla
dimensione verticale della
      profondità dell'impegno personale. Portando molti cittadini da un'
opposizione alla guerra solo
      testimoniata ad un'obiezione agita e capace d'incidere su almeno uno
dei pilastri fondamentali
      che sorreggono la piramide rovesciata del ciclo di guerre attuali: il
bisogno di carburante per un
      sistema insostenibile di trasporto privato. Favorendo così la
formazione di una strategia
      nonviolenta di lunga durata, praticabile da tutti, che si ponga al
livello della causa principale
      delle guerre per il petrolio.
7.  Concentrare l'azione sul sistema dei trasporti, ed in particolare sull'
uso dell'automobile privata - il cui sviluppo ha rappresentato il fattore
centrale, concreto e simbolico, del modello di sviluppo occidentale del
'900, a partire dalla crescita del consumo energetico - può essere quell'
elemento chiave di una opposizione strutturale alla guerra, capace di
mettere insieme la causa con gli effetti, lo stile di vita con le sue
conseguenze, i convincimenti personali con i comportamenti. Un elemento alla
portata, anzi portato, da tutti, la cui riduzione può comportare
progressivamente un danno economico alle compagnie petrolifere, che
gestiscono "direttamente" l'affaire della guerra (vedi il punto 3 del msg
citato) e favorire contemporaneamente modalità e abitudini alternative di
trasporto che riducano sia l'impatto sull'ambiente che l'altra violenza
diretta delle stragi da incidenti stradali (9.000 morti in Italia ogni
anno).
8. Questo è il senso delle "biciclettate nonviolente", contro la guerra per
il petrolio. Esse non sono azioni simboliche, ma di concreta auto-riduzione
personale che invitano gli altri, tutti, a fare altrettanto. E' una
progett/azione che, pur fondata su un gesto semplice - rinunciare alla
macchina e salire in bicicletta - vuole porsi non tanto al livello degli
effetti quanto, strategicamente, a quello delle cause della guerra. Può
essere praticata da tutti e, man mano che si diffonde, potrebbe far maturare
le condizioni per un conflitto di livello crescente, fino a giungere - come
fase culminante - ad un auto-boicottaggio di massa contro questa e tutte le
guerre per il petrolio.
9. Il boicottaggio di un mezzo di trasporto è un'azione già praticata con
successo nella storia della nonviolenza del '900, e proprio nel cuore dell'
Impero. Il 5 dicembre 1955, il movimento di M. L. King proclamò l'avvio del
boicottaggio dell'uso degli autobus a Montgomery, in Alabama, contro la
segregazione razziale sui mezzi di trasporto. Durò un anno, fu praticato dal
99 % della popolazione di colore della città e il 20 dicembre 1956 quel tipo
di segregazione fu abolito. Ma non era che l'inizio.
10. Naturalmente, il passaggio dalle biciclettate nonviolente all'
auto-riduzione significativa e poi all'auto-boicottaggio non è automatico,
ma richiede una visione capace di leggere il contesto globale, una strategia
d'azione di lungo periodo, un investimento energetico che non si disperda
nel tempo su mille iniziative e su ogni emergenza. Ma alcune cose, in quella
direzione possono essere fatte fin da subito:
a. avviare biciclettate nonviolente in tutte le città e i paesi, che
esplicitino al massimo nei loro messaggi (con modalità anche originali e
creative) il nesso guerra-petrolio-uso privato dell'automobile;
b. dare alle biciclettate una cadenza periodica fissa, in maniera da
ripetere il messaggio - contro le guerre per il petrolio lasciamo a casa le
automobili - con continuità e insistenza;
c. saldare localmente e in maniera creativa l'azione delle biciclettate a
tutte le campagne in corso, ed in preparazione, di boicottaggio del petrolio
e dei suoi derivati (cominciando con girotondi in bicicletta intorno ai
distributori della Esso?);
d. realizzare un coordinamento nazionale delle biciclettate nonviolente, che
per le sue caratteristiche avrebbe sede naturale presso il gruppo di lavoro
tematico "nonviolenza e conflitti" di Rete Lilliput;
e. formare dovunque sia possibile gruppi di azione nonviolenta (gan) che, in
un primo tempo, mettano in atto azioni comunicative in grado di intervenire
sulla "grammatica culturale" dell'uso dell'automobile e del suo legame con
la guerra, proponendo l'auto-riduzione e, in un secondo tempo, preparino e
organizzino sui territori locali il passaggio dall'auto-riduzione ad un
primo esperimento di auto-boicottaggio limitato nel tempo.
f. investire tutte le risorse e le energie disponibili sull'efficacia di
questa progett/azione e sulla preparazione della campagna conseguente.
11. E' questo un programma di largo respiro e di lunga durata - ambizioso e
mai sperimentato - ma che non garantisce risultati  immediati per "fermare"
la guerra (ma quale altra azione dal basso, effettivamente, oggi può
sicuramente farlo?).  Eppure, io credo, necessario a reciderne una delle
radici più importanti e non di impossibile realizzazione. Ed i cui "effetti
collaterali" si possono allo stato soltanto immaginare.
12 ."Se non ora, quando?" Se non ora - che la sensibilità per la causa della
pace è alta e diffusa, le
     motivazioni della guerra evidenti e prepotenti, il sistema energetico
fondato sul fossile alla
     crisi definitiva foriera di altre guerre, l'ecosistema al collasso, le
città e noi tutti prigionieri e vittime delle automobili - quale altro
momento cogliere?
     E se non noi, chi?



Pasquale Pugliese
Movimento Nonviolento/GAN
Reggio Emilia
e-mail puglipas@interfree.it


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La nonviolenza è il punto della tensione più profonda del sovvertimento di
una società inadeguata.

Aldo Capitini

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