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Fw: [unponteper] resoconto 99 posse sul viaggio in Iraq (condelegazione campana)
- To: pace@peacelink.it
- Subject: Fw: [unponteper] resoconto 99 posse sul viaggio in Iraq (condelegazione campana)
- From: "Sergio Coronica" <coronicaser@libero.it>
- Date: Tue, 28 Jan 2003 12:23:51 +0100
----- Original Message -----
From: Angelica Romano <angelicaromano@tiscalinet.it>
To: Un Ponte per, Staff <staff-unponteper@yahoogroups.com>
Sent: Monday, January 27, 2003 3:09 PM
Subject: [unponteper] resoconto 99 posse sul viaggio in Iraq (con
delegazione campana)
AL MUKAWAMA IN IRAQ
Di Luca "Zulù" Persico e Giampiero "Papa J" Da Dalto
Quando siamo partiti per l'Iraq non pensavamo certo di recarci in un
pericoloso paese nemico dell'Occidente, ma quello che abbiamo visto è
andato al di là della nostra più fervida immaginazione. Lo scopo del nostro
viaggio, organizzato membri dell'associazione culturale napoletana "Libera
Informazione" - è stato quello di realizzare un dcumentario - basato
sull'incontro tra culture diverse - e verificare la situazione della
popolazione irakena, vittima dell'embargo.
Siamo partiti la mattina del 3 gennaio dall'aeroporto di Roma dove avevamo
appuntamento col nostro gruppo, composto da politici e tecnici del
Consiglio Regionale della Campania - responsabili dell'ONG "Un Ponte Per·"
-, dallo staff tecnico di ripresa video, da un profugo palestinese e
un'immigrata marocchina (i nostri interpreti). Il viaggio di andata è stato
tranquillo: il volo per Damasco in leggero ritardo, cena abbondante e
subito la partenza in bus alla volta dell'Iraq. Alla frontiera di Al Walud
i controlli non sono stati troppo puntigliosi: in Iraq la delegazione è
attesa per cui riusciamo a sbrigare le pratiche d'ammissione in meno di due
ore, dopo aver dichiarato le nostre generalità e i dettagli sul materiale
tecnico in nostro possesso (e fedeltà a Saddam Hussein·).
Sono circa le 12.30 del 4 gennaio quando arriviamo a Baghdad dopo un
trasferimento durato circa 14 ore attraverso lo splendido scenario del
deserto irakeno. Entriamo all'Hotel "Al-Rasheed", dopo esserci puliti le
scarpe - come da usanza locale - su un magnifico mosaico posto sul
pavimento all'entrata dell'albergo, raffigurante la faccia di George Bush
Senior, e iniziamo una riunione per definire gli impegni della nostra
delegazione nei giorni a nostra disposizione. Il nostro soggiorno è
trascorso tra visite "ufficiali" con le organizzazioni coinvolte nella
cooperazione italo-irakena e momenti decisamente più drammatici e
coinvolgenti. Tra questi ultimi decisamente ci teniamo a ricordare la
visita a due ospedali specializzati nella terapia contro il cancro dei
bambini dove abbiamo potuto toccare con mano il dramma dell'embargo causato
dalle politiche criminali delle Nazioni Unite che avvallano la follia del
governo Usa: la mancanza di medicinali, l'impossibilità di accedere a cure
più avanzate nonostante la presenta di patologie gravissime - in stato
terminale - in bambini di solo tre o quattro anni di età. Uno di questi
bambini, cono solo poche settimane rimaste da vivere, ci ha raccontato, nel
corso di un'intervista, di come gli sarebbe piaciuto poter diventare un
grande dottore per poter curare tutti i bambini irakeni.
Sguinzagliati a piede libero tra i mercati della downtown cittadina -
simili ai suk popolari di una via di Palermo o di Napoli - e per locali più
o meno malfamati, la sera, tra venditori di ogni genere di beni e folle
variopinte che ci seguivano semplicemente incuriosite dal nostro aspetto e
dalla presenza delle telecamere, abbiamo avuto modo di conoscere la
cortesia e l'affabilità di un grande popolo, un popolo al quale 12 anni di
embargo criminale non ha tolto il sorriso, la dignità, la voglia di
confrontarsi e di capire.
L'ultimo giorno del viaggio l'abbiamo trascorso all'università di Mosul, di
fronte ad una folla di docenti e studenti, smaniosi di ascoltare il nostro
seminario sul movimento "No Global". Nel corso dell'incontro abbiamo avuto
modo di mostrare alcuni filmati su Praga, Messico, Genova e Palestina,
spiegando a tutti i presenti che in Occidente esistono milioni di persone
pronte a combattere il modello di sviluppo che, tra gli altri, opprime
anche l'Iraq.
Ora che la situazione della crisi sembra precipitare verso l'intervento
armato, ci sembra doveroso prendere una posizione contro questa follia. Ora
che portiamo dentro di noi il profumo della shawuarma appena tagliata, i
suoni del suk di Al Walabi, i sorrisi dei bambini dell'ospedale che ci
salutavano con la mano, il calore di un bicchiere di chai offertoci da un
ragazzo al mercato, l'affetto degli abbracci degli studenti dell'università
che scoprono in noi insospettati fratelli, ora più che mai sappiamo da che
parte stare.