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PACIFISMO E BIFFI-OMELIA DEL 1° GENN. 2003 IN CATTEDRALE A BOLOGNA



Bologna, martedì 7 gennaio 2003

Si invia a tutti gli amici la seguente "lettera aperta" contenente alcune
considerazioni circa l'omelia che il vescovo Giacomo Biffi ha tenuto in
Cattedrale a Bologna il 1° gennaio 2003, giornata mondiale della pace. Si
tratta di considerazioni concordate tra Padre Angelo Cavagna, Luciana
Salvati e il sottoscritto .

Si trascrive qui di seguito parte dei paragrafi 2 e 3 del Canone 212 del
"Codex Iuris Canonici" per tentare di spiegare il perché di una "lettera
aperta", cioè diretta a tutti.

Si allega (qui di seguito, nella pagina 2 di 2) il testo integrale della
succitata omelia del vescovo Giacomo Biffi, tratto da "Avvenire-BO 7" del 5
gennaio 2003 e dal sito internet http://www.bologna.chiesacattoloica.it

Shalom-salaam-pace a tutti, ma proprio a tuttiŠ anche a chi propugna il
concetto di "guerra giusta".      Domenico Manaresi

LETTERA APERTA AL CARDINAL GIACOMO BIFFI

N .B. Il perché di una lettera aperta: si trascrive qui di seguito parte
dei paragrafi 2 e 3 del Canone 212 del "Codex Iuris Canonici" promulgato da
Papa Wojtyla il 25 gennaio 1983 (non mille anni fa!): "...I fedeli hanno
diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità,
soprattutto spirituali, e i propri desideri....essi hanno il diritto, e
anzi talvolta anche il dovere (...ius est, immo et aliquando officium...),
di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il
bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli..."




Bologna, martedì 7 gennaio 2003

Caro vescovo Giacomo,

abbiamo letto la tua omelia pronunciata in Cattedrale durante la
celebrazione eucaristica per la "Giornata mondiale della pace".

Grazie per esserti dichiarato d'accordo con i pacifisti nel riprovare la
"legge del più forte", così ben evidenziata con la citazione dl Tucidide.

Grazie anche per il contributo di discernimento sul pacifismo stesso, che
non è esente, in alcune frange, da evidenti ancorché limitatissime
contraddizioni, che si manifestano a volte con parole violente, di odio, di
incitamento ad aggredire.

Grazie anche per aver autorevolmente affermato che "non è un caso che i
movimenti pacifisti nascano di solito entro l'area della cultura,
cristiana".

Permetti però che ti diciamo con grande cristiana parresia che tu,
condannando giustamente la presenza di contraddizioni in persone che si
proclamano paladini di pace, hai (forse involontariamente) generalizzato
eccessivamente, quanto meno nella parte finale dalla tua omelia.

Onestà intellettuale vuole - siamo fermamente convinti - che si facciano le
debite distinzioni, assumendo quello stesso discernimento che,
riconosciamo, tu hai usato nella parte iniziale della tua omelia.

Se queste distinzioni non si fanno, se con scelte ideologiche si condannano
altre scelte ideologiche, si costituisce allora un enorme ostacolo che si
frappone all'emergere e consolidarsi di un grande e sano movimento di pace,
di cui c'è assoluta necessità di fronte alle orribili realtà e prospettive
belliche dilaganti oggigiorno.

Padre Dehon, che ha lasciato scritto dì aver partecipato a una quantità di
congressi sociali per la causa operaia, notava con lucida consapevolezza;
"Non tutto era perfetto in quel movimento"; anzi, in simili fenomeni
collettivi "il y a toujours des emballés": vi sono sempre degli
sbalestrati; "Ma io vi partecipavo proprio per portare dentro tale
movimento la luce, l'equilibrio e la forza dell'amore evangelico"

Ci sembra un esempio illuminante anche oggi per una partecipazione convinta
e saggia a un movimento che si voglia veramente di pace: movimento di cui ,
ne siamo certi, tutti (e sono tanti!) i pacifisti della diocesi di cui tu
sei pastore, auspicano tu ne possa autorevolmente far parte.

Uniti nella preghiera e nell'ideale evangelico di verità e di amore,
porgiamo filiali e cordiali auguri di ogni bene per l'anno appena iniziato.



Padre Angelo Cavagna



Domenico Manaresi



Luciana Salvati Manaresi








Mittente: Padre Angelo Cavagna - Bagnarola di Budrio - Bologna - Tel&Fax.
051-6927098

Mitt. Domenico e Luciana Manaresi - via Gubellini, 6 - 40141 Bologna -
tel&fax 051-6233923 - e-mail: bon4084@iperbole.bologna.it

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1° gennaio 2003: Giornata mondiale della pace - Omelia del Card. G. Biffi
in Cattedrale a Bologna

Pace, 4 condizioni fondamentali Il rispetto della verità, la tensione verso
la giustizia, l'amore fraterno, la libertà


Ancora una volta, su invito del Successore di Pietro, cominciamo l'anno
nuovo nel nome della pace. In effetti, tra i molti auguri che in questi
giorni fioriscono sulle nostre labbra, quello della pace appare il più
necessario e il più urgente. La pace è anèlito davvero diffuso in questo
tempo inquieto, è aspirazione universalmente condivisa da parte di
un'umanità oggi insidiata da mille ricatti e mille violenze, ferita e
terrorizzata dagli eccessi di un fanatismo inaudito, sconvolta da nuove e
sempre rinascenti ferocie.

 Non che la parola «pace» manchi nei discorsi degli uomini: al contrario,
nei consessi più autorevoli e nelle nostre piazze è tra le più risonanti.
Tutti nominano la pace, tutti l'auspicano, tutti verbalmente la difendono.

 Stasera, di là da un tale multiloquio, mette conto di mettersi in ascolto
per una volta di ciò che su questo argomento ci dice il Vangelo.

 Nell'ultima cena, prima di andare a sacrificarsi per riconciliare i figli
di Adamo con il loro Creatore e per radunarli tra loro nella concordia di
una sola famiglia, il Signore Gesù ha detto agli apostoli e a tutti noi:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a
voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27).

 «Vi lascio la pace». La pace - già annunziata dal cielo alla terra al
momento della sua nascita a Betlemme - è perciò la sua eredità. «Non come
la dà il mondo». Il Signore non introduce a caso questa precisazione nel
suo dire. Quella mondana non va dunque confusa con la pace di Cristo, anche
se la proposta di pace del mondo non è sempre deplorevole e non è tutta da
rifiutare: esige però da parte del cristiano un libero discernimento e una
valutazione non condizionata dalle ideologie più conclamate né intimidita
dal chiasso delle mode culturali.

 Per esempio, da millenni il mondo politico ritiene che la pace non può che
essere il risultato della forza esteriore.

 C'è a questo riguardo un passo famoso di Tucidide, il grande storico
greco, che così riferisce la esplicita dichiarazione inflitta dagli
Ateniesi agli abitanti dell'isola di Melo che essi avevano militarmente
soggiogato e acquietato: «Tra gli dei e tra gli uomini - dicevano senza
tanti complimenti i vincitori ai vinti - è il più forte che per legge di
natura deve esercitare il potere. Non siamo stati noi a stabilire questa
legge e non siamo neppure i primi a utilizzarla. Noi l'abbiamo ricevuta e
noi l'applichiamo; a nostra volta la lasceremo a quelli che verranno,
poiché è una legge destinata a durare per sempre. Sappiamo bene del resto
che anche voi, come ogni altro, fareste lo stesso se arrivaste ad avere la
medesima nostra capacità di dominare» (Storie V,105).

 Come si vede, viene enunciata qui con un realismo agghiacciante la «legge
del più forte», che da sempre imperversa nella vicenda umana. Questa legge,
anche quando riesce a imporre con la costrizione qualche periodo di calma e
di ordine, immette nella storia inesauribili germi di guerre future, perché
suscita negli sconfitti la bramosìa di rivincita e l'ansia di riuscire a
rispondere al più presto con la prepotenza alla prepotenza subìta.

 Il cristiano, alla luce dell'insegnamento di Gesù, non si rassegna ad
accettare che sia la forza a essere la fonte precipua dell'ordine e il
sostegno della pace.

 Giovanni XXIII, due mesi prima di morire, nell'enciclica «Pacem in terris»
ha chiarito che cosa su questo tema si debba pensare secondo il Vangelo. E
Giovanni Paolo II, nel messaggio odierno che vuole appunto commemorare il
quarantesimo anniversario di quel documento, ne ripropone la dottrina con
nuovo vigore. In particolare ripete, riaffermandole, quali siano, secondo
l'enciclica, le quattro condizioni fondamentali per annunziare rettamente e
inverare nella storia la pace di Cristo: il rispetto della verità, la
tensione verso la giustizia, l'amore fraterno che rifugge dai mezzi
violenti, la libertà che esclude ogni soffocante imposizione.

 «La verità - egli scrive - sarà fondamento della pace, se ogni individuo
con onestà prenderà coscienza, oltre che dei propri diritti, anche dei
propri doveri verso gli altri. La giustizia edificherà la pace, se ciascuno
concretamente rispetterà i diritti altrui e si sforzerà di adempiere
pienamente i propri doveri verso gli altri. L' amore sarà fermento di pace,
se la gente sentirà i bisogni degli altri come propri e condividerà con gli
altri ciò che possiede, a cominciare dai valori dello spirito. La libertà
infine alimenterà la pace e la farà fruttificare se, nella scelta dei mezzi
per raggiungerla, gli individui seguiranno la ragione e si assumeranno con
coraggio le responsabilità delle proprie azioni» (n. 3).

 «Vi do la mia pace, non come la dà il mondo». Il mondo offre una seconda
strada alla pace che è del tutto opposta all'esaltazione della forza, ed è
il «pacifismo».

 La riprovazione della «legge del più forte» ci trova assolutamente
d'accordo coi pacifisti. E non è un caso che i movimenti pacifisti nascano
di solito entro l'area della cultura cristiana. Ma anche il pacifismo esige
di essere vagliato alla luce della verità evangelica e oggettivamente
giudicato.

 Non è per esempio affidabile come paladino di pace, chi nell'atto stesso
che manifesta per la pace pronuncia parole violente, parole di odio, parole
di incitamento ad aggredire, talvolta addirittura parole di morte. Non è
affidabile come difensore dei diritti delle persone contro tutte le
prepotenze, chi non esita a mettere a soqquadro e distruggere macchine,
vetrine, arredi urbani, proprio nel momento che si presenta come il profeta
di una società più equa e più fraterna. Soprattutto non è affidabile come
operatore di una pace che nasca dalla giustizia, se tra le varie
aberrazioni sociali e le varie tirannie politiche attualmente esistenti
introduce arbitrarie distinzioni, condannandone alcune e assolvendone
almeno implicitamente altre, a seconda dei propri gusti, dei propri
orientamenti ideologici, delle proprie affinità elettive.

 Come si vede, la pace non ha vita facile in un mondo così alterato
dall'egoismo, dalla menzogna, dal peccato. Ma il discepolo di Gesù resta
sereno e non perde mai la speranza. «Non sia turbato il vostro cuore e non
abbia timore, perché io vi do la mia pace, anche se nel mondo una pace vera
e un vero amore per la pace farete un po' fatica a trovarli» (cfr. Gv
14,27), così ci dice il nostro Salvatore e Maestro.

 Chi ama sul serio la pace di Cristo, chi tra mille ostacoli e mille
opposizioni le rende testimonianza, chi nella preghiera chiede ogni giorno
al Signore che la vera pace regni, costui non solo gode già di una realtà
interiore splendida di grazia e pacificata, ma anche efficacemente
contribuisce almeno un poco a rendere la terra più misericordiosa e più
umana.

 Anche se egli non farà notizia e non gli intitoleranno delle strade, per
lui - quale che sia la sua appartenenza etnica e culturale - si avvererà il
detto evangelico: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati
figli di Dio» (Mt 5,9).

  Giacomo Biffi

 Arcivescovo di Bologna









Mittente: Padre Angelo Cavagna - Bagnarola di Budrio - Bologna - Tel&Fax.
051-6927098

Mitt. Domenico e Luciana Manaresi - via Gubellini, 6 - 40141 Bologna -
tel&fax 051-6233923 - e-mail: bon4084@iperbole.bologna.it

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Mi scuso con coloro che già conoscono questo testo, e con tutti
per l'arbitrio che mi prendo nel mandarvi questo tipo di documenti.
Domenico Manaresi
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Con la solita nota: chi desidera essere depennato da questa
mailing list me ne dia un cenno, possibilmente con gentilezza
E IN MODO CIVILE CIOE' FIRMANDOSI PER ESTESO. Grazie!
Domenico Manaresi
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DOMENICO MANARESI
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