[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
I 5 grandi obiettivi della guerra globale degli Usa
La guerra globale è cominciata
---------
Con il pretesto della "guerra al terrorismo" gli Usa perseguono cinque
grandi obiettivi: controllare il petrolio e il gas dell'Asia Centrale;
imporre le loro basi militari nel cuore dell'Asia, fra la Cina e la Russia;
preservare il dominio USA sull'Arabia Saudita; militarizzare l'economia,
come "soluzione" alla crisi che sta maturando; spezzare la resistenza del
terzo mondo e la lotta noglobal
---------
"Guerra contro il terrorismo" ? Se si trattava di un film, questa
sceneggiatura ufficiale sarebbe stata rifiutata in quanto non stava in piedi
e nascondeva altre motivazioni.
Prima situazione inverosimile: nel 1999, poi nel 2001, i Talebani avevano
stimato che la presenza di Bin Laden sul loro territorio impediva il loro
riconoscimento internazionale e quindi avevano proposto agli Stati Uniti di
eliminarlo o di neutralizzarlo. A loro volta, gli Stati Uniti avevano
rifiutato.
Questo è stato rivelato da Laili Helms, rappresentante ufficiale dei
Talebani a Washington . Che non è stato smentito.Perché?
Seconda situazione inverosimile: poco prima degli attentati, Bin Laden, il
nemico pubblico attivamente ricercato, a quanto si dice, da tre anni, era
andato tranquillamente a curarsi a Dubai e vi aveva incontrato il
responsabile locale della CIA .
Terza situazione inverosimile: dopo gli attentati, i Talebani di nuovo
avevano proposto di consegnare Bin Laden, purchè fosse giudicato in un paese
neutrale. Una simile soluzione era stata applicata per l'attentato aereo di
Lockerbie, che aveva dato luogo alla condanna di un cittadino libico.
Ma Bush aveva immediatamente rifiutato. Perché?
Quarta situazione inverosimile: attualmente tutti sanno che gli Stati Uniti
hanno messo in campo, finanziato ed armato Bin Laden per controllare
l'Afghanistan. Si parla meno del fatto che hanno anche utilizzato queste
milizie fanatiche per i medesimi obiettivi in Bosnia, in Kosovo, in
Macedonia, in Cecenia. Perché si rifiutano di rendere palese il dossier sul
loro ruolo in queste guerre, dalle conseguenze tanto tragiche?
Quinta situazione inverosimile: ci hanno raccontato che bisognava eliminare
i Talebani, per garantire la democrazia e far rispettare i diritti delle
donne.
E chi mettono al loro posto? L'Alleanza del Nord di quella buon'anima del
Comandante Massoud, con un curriculum sanguinario di terrore e di traffici
criminali. Infatti, chi aveva imposto a Kaboul la Sharia islamica, nel 1994?
Massoud, proprio lui!
Flagrante contraddizione, anche sullo sfondo del problema: tutti sanno che
il terrorismo non sarà eliminato con le bombe, ma aggredendo le ingiustizie
e le oppressioni che gli forniscono il terreno di cultura.
Di conseguenza, viene portato l'attacco alla fame nel mondo, che 15 miliardi
di dollari sarebbero sufficienti ad eliminare? No!
Viene aumentato di 40 miliardi di dollari il budget militare USA. E i
bilanci Europei vanno a seguire.
Invece di risolvere la questione Palestinese, Bush stipula nel novembre 2001
un contratto, per una cifra enorme (200 miliardi di dollari), per costruire
un aereo da caccia ancora più terribile, il Joint Strike Fighter; ciascuna
vittima di questo riempirà le tasche già ben ingrassate dei costruttori, la
Lockheed Martin e la Boeing.
Tutto questo ci porta a domandarci se la guerra non fosse stata decisa ben
prima degli attentati.
Sì!, ha affermato l'ex ministro Pakistano degli Affari Esteri, Niaz Naïk.
Già dalla fine di luglio, "alcuni funzionari americani gli avevano parlato
di un piano americano inteso a scatenare un'azione militare per rovesciare
il regime dei Talebani e insediare al loro posto un governo di Afghani
"moderati". Il piano dovrebbe avere inizio a partire dalle basi situate nel
Tadjikistan, dove sono già all'opera i consiglieri USA. A lui veniva
dichiarato che, se l'azione veniva confermata, avrebbe avuto luogo prima
delle nevi, al più tardi verso la metà di ottobre."
Come dare una spiegazione a tutte queste situazioni inverosimili?
In realtà, ciò che gli Stati Uniti perseguono, tramite questa guerra, è
costituito da cinque obiettivi ben più ampi:
- Controllare il petrolio e il gas dell'Asia Centrale.
- Imporre le loro basi militari nel cuore dell'Asia, fra la Cina e la
Russia.
- Preservare il dominio USA sull'Arabia Saudita.
- Militarizzare l'economia, come "soluzione" alla crisi che sta maturando.
- Spezzare la resistenza del terzo mondo e la lotta antimondializzazione.
A perseguire tanti obiettivi contemporaneamente, una superpotenza può
apparire forte. In realtà, mostra anche tutta la sua debolezza.
Sempre più contestati, dal terzo mondo all'Organizzazione Mondiale del
Commercio(OMC-WTO), dai giovani antimondializzazione su Internet e nella
strada, gli Stati Uniti e i loro alleati reagiscono con la guerra.
Ma tosto o tardi, i diversi obiettivi entreranno fra di loro in
contraddizione.
Mentre la loro arroganza, la loro mala fede, la loro aggressività non fanno
che aumentare la rivolta dappertutto. L'Impero è in crisi!
Chiunque lotta per il progresso, la giustizia e la pace, è dunque spinto a
porsi la domanda sugli obiettivi reali, se si vuole dare una spiegazione a
ciò che sta accadendo attorno a noi.
Prima di tutto risulta necessario domandarsi perché gli stessi dirigenti
USA - che per abitudine minimizzano l'ampiezza di quello che fanno -
dichiarano questa volta che la guerra durerà lunghi anni e che altri Stati
dovranno diventarne gli obiettivi.
Inoltre, questi stessi dirigenti prendono - all'estero, ma anche sul loro
stesso territorio - delle misure di repressione estremamente gravi.
Che loro potranno utilizzare contro qualsiasi opposizione politica, e in
particolare contro il movimento antiglobalizzazione.
Sì!, noi siamo entrati in una nuova forma di guerra, più grave ancora delle
precedenti. Noi siamo entrati nella guerra globale!
Obiettivo n° 1 : Controllare le vie del petrolio.
Molte delle guerre cosiddette "incomprensibili" in realtà sono conflitti per
l'oro nero; questo l'ho già scritto nel mio libro Monopoly .
Le multinazionali del petrolio USA e il loro governo intendono controllare
tutte le vie che permettono di esportare le enormi riserve di petrolio e di
gas dell'Asia Centrale. Le nostre carte geografiche indicano i Paesi che
hanno la disgrazia di trovarsi sulla strada verso Occidente: Cecenia,
Georgia, Kurdistan, ma anche la Yugoslavia e la Macedonia. Quindi devono
subire ingerenze e altrettante guerre.
Ma queste carte mostrano che le minacce si stanno rivolgendo anche sulla via
Orientale, verso la Cina e il Giappone.
Ecco perché la CIA sostiene attivamente le milizie islamiche Uïguresi
anticinesi dello XingJiang.
Sulla strada verso Sud ci pensa la multinazionale USA Unocal, che intriga da
molto tempo per il controllo di un oleodotto da costruire attraverso
l'Afghanistan e il Pakistan.
Alla fine fruttuosi benefici!
L'industria petrolifera è onnipresente nel cuore stesso dell'Amministrazione
USA.
Ha fornito tutti i ministri degli Affari Esteri dopo la Seconda Guerra
Mondiale, ad eccezione di due. Uno dei quali certamente l'attuale: Colin
Powell.
Ma non ha perso al cambio, visto che la famiglia Bush è una delle più
importanti famiglie petroliere del Texas.
E soprattutto perché l'effettivo capo dell'Amministrazione Bush, vale a dire
Dick Cheney, è lui stesso un "pezzo da novanta" di questa industria.
Proprio prima di diventare vice-Presidente, Cheney era stato per cinque anni
alla testa di Halliburton, una delle principali società di servizi per
l'industria petrolifera, presente in più di 130 paesi e che impiega circa
centomila persone. Volume di affari nel 1999: 15 miliardi di dollari. Una
delle 400 più importanti multinazionali del mondo.
Per arrivare a così splendidi risultati, Cheney non ha esitato ad ordire
manovre con il governo dittatoriale in Birmania. E in Nigeria, i suoi
investimenti sono fortemente aumentati dopo l'assassinio di numerosi
militanti ecologisti e la repressione delle proteste popolari nel delta del
Niger.
Inoltre alcuni responsabili dell'Amministrazione avrebbero appoggiato
Halliburton nel conseguire lucrosi contratti in Asia e in Africa, secondo
documenti del Dipartimento di Stato arrivati nelle mani del Los Angeles
Times .
Dunque, la guerra annunciata è arrivata!
In effetti, sono più di vent'anni che Washington manovra e complotta per
impadronirsi dell'Afghanistan, crocevia strategico dell'Asia.
Lo scopo non è variato, ma i metodi sì.
All'inizio si trattò di armare le milizie Islamiche contro l'Unione
Sovietica: la più grossa operazione CIA di tutti i tempi.
Nel 1966 un diplomatico USA in Pakistan confidava: "Voi non potete gettare
miliardi di dollari in una Jihad anticomunista, accettare partecipanti a
questa lotta santa da tutto il mondo ed ignorarne le conseguenze. Ma noi
l'abbiamo fatto. I nostri obiettivi non erano proprio la pace e il benessere
in Afghanistan. Il nostro obiettivo era solo quello di ammazzare dei
comunisti, e cacciare i Russi."
Quindi i moudjahiddins della CIA hanno rovesciato il solo regime che aveva
emancipato le donne Afghane e tentato, malgrado i gravi errori, di apportare
un po' di progresso sociale.
E come questi moudjahiddins, ultra-poveri, come avrebbero pagato le armi
americane?
Trasformando il loro paese - con la benedizione della CIA - nel primo
produttore mondiale di eroina!
E questo ha comportato la creazione dell'importantissima filiera della droga
Afghanistan - Turchia - Balcani - Europa. Con tutte le sue conseguenze.
Del resto il cocktail "petrolio - armi - droga" è un classico della CIA.
Dopo questa grande vittoria del "loro" terrorismo, gli Stati Uniti avrebbero
favorito i Talebani, a dispetto delle vive critiche delle organizzazioni di
difesa dei diritti dell'uomo. Interrogata allora sulle sorti delle donne
Afghane, Madeleine Albright rispondeva: "Affari loro, affari interni!".
La ministra USA degli Affari esteri aveva recitato bene la sua parte di
rappresentante di commercio, quando Unocal aveva invitato sontuosamente
questi Talebani inTexas.
Segnaliamo anche che Henry Kissinger in persona aveva assistito nel 1995
alla firma sull'accordo per un oleodotto, fra Unocal, il suo socio Saudita
Delta, e il presidente del Turkmenistan.
In seguito, Unocal, e quindi Washington, avrebbero deciso di cambiare
cavallo.
Non essendo riusciti i Talebani a rendere stabile il paese diviso, bisognava
puntare su altre forze per rimpiazzare gli alleati di ieri, divenuti scomodi
ed imbarazzanti.
Dunque, questa guerra, decisa ben prima degli attentati, non è più
"umanitaria" delle precedenti!
Ma l'Afghanistan non è sicuramente il solo paese vittima della guerra per il
petrolio e per il gas. Oltre all' Iraq, citiamo fra gli altri il Caucaso, la
Colombia, l'Algeria, la Nigeria, l'Angola... In breve, dappertutto nel
mondo, dove si trova petrolio e gas, gli Stati Uniti decidono che quello
appartiene a loro, e cercano di installarvi le loro basi militari, e
provocano, e suscitano i conflitti che loro giudicano utili ai loro
interessi.
Qualsiasi persona di buon senso si domanderà allora: gli Stati Uniti hanno
veramente bisogno di tutto questo petrolio per i loro stabilimenti e le loro
automobili, supponendo ugualmente che debbano conservare l'attuale assurdo
modello economico, sprecone ed inquinante, dove un litro di petrolio,
sottopagato ai produttori, è nei fatti, al netto delle tasse, meno caro di
un litro di acqua?
No!, gli Stati Uniti non hanno proprio bisogno di tutto questo petrolio. Le
riserve dei giacimenti situati negli USA sono fra le tre e le cinque volte
superiori a quelle dell'Asia Centrale. E quelle di gas naturale dieci volte
.
Dunque non si tratta di assicurare, come va dicendo il governo degli USA ad
ogni guerra, "la certezza degli approvvigionamenti energetici".
E allora, una nuova domanda, altrettanto logica: il petrolio è veramente lo
scopo ultimo degli Stati Uniti? No, in sé non è uno scopo. È un'arma, una
possibilità di ricatto. Come ugualmente ho scritto in Monopoly (p.112) :
"Chi vuole governare il mondo deve controllare il petrolio. In qualsiasi
posto questo si trovi."
Nella guerra economica che caratterizza il capitalismo, gli Stati Uniti
intendono detenere un mezzo di pressione strategico per il controllo degli
approvvigionamenti energetici dei loro grandi rivali (Europa e il Giappone)
e di tutti gli altri paesi che rischiano di mostrarsi troppo indipendenti.
Ad esempio, se l'oleodotto, che dal Caucaso va verso Occidente, è russo, e
non turco o macedone, l'Europa avrebbe accesso ad un petrolio che Washington
non controllerebbe più.
Inoltre, nel momento di decidere di installare basi militari in certe
regioni petrolifere, Washington non sarebbe costretta ad invitare per questo
i suoi "cari alleati".
Detto ciò, il petrolio è sufficiente a spiegare la guerra contro
l'Afghanistan ? No, c'è molto di più, dato che gli Stati Uniti conoscevano
bene le difficoltà per conquistare questo paese. Gli Inglesi e i Sovietici
vi si erano già fracassati i denti!
Obiettivo n° 2 : Imporre le basi militari USA nel cuore dell'Asia.
Nel 1997, Zbigniew Brzezinski, già citato, definiva l' "asse - chiave" della
politica estera americana: controllare l'Eurasia (Europa + Asia), cioè il
75% della popolazione mondiale e il 60% delle ricchezze economiche e
naturali del mondo.
Per questo bisognava indebolire i rivali potenziali: Europa, Russia, Cina.
Ed impedire qualsiasi alleanza fra di loro.
È il continente Asiatico che conosce, e che andrà a conoscere, la più forte
espansione. E in Asia, è la Cina che eccita le bramosie con il suo
formidabile mercato potenziale e il suo eccezionale tasso di crescita del
9,8%, in questi ultimi vent'anni. La sua produzione, tra il 1990 e il 1999,
è pressoché triplicata.
Secondo certe stime, la percentuale degli USA nel PIB mondiale continuerà a
calare - era del 50% nel 1945, poi del 35% negli anni 60, attualmente è del
28%, ed è destinata a calare al 15 o al 10% verso il 2020 - e sarà raggiunta
da quella della Cina.
L'influenza asiatica ed internazionale della Cina non cessa di aumentare.
Il sogno di Washington è quello di riportare la Cina allo stato di
neo-colonia e di sicuro liquidare il socialismo. Sogno non facile da
realizzare, sia con i dollari, sia con le minacce. In quanto a Pechino, i
Cinesi perseguono in modo imperturbabile la propria strategia: sviluppo
accelerato, mantenendo nel contempo la coesistenza pacifica con gli Stati
Uniti. Comunque i dirigenti Cinesi hanno compreso molto bene l'avvertimento
lanciato loro nel 1999, quando gli Stati Uniti hanno deliberatamente
bombardato la loro ambasciata a Belgrado.
In realtà quello che è cominciato con l'Afghanistan, non è altro che
l'accerchiamento strategico di questa Cina troppo ribelle e potente. Nel
retroscena di questa guerra, è la Cina che costituisce sicuramente
l'obiettivo più importante per Washington.
Ma due altre potenze Asiatiche sono allo stesso modo prese di mira: la
Russia e l'Iran. Certamente, la nuova borghesia Russa è attualmente ridotta
a ruoli secondari, i suoi strumenti di azione sono fortemente limitati dalla
catastrofe sociale ed economica provocata dalla restaurazione capitalistica.
Proprio per questo, essa cerca di conseguire al più presto un ruolo
internazionale di peso. Cercando di combinare due metodi...a volte
alleandosi servilmente con l'Occidente, e a volte giocando le proprie carte,
per rendersi maggiormente "indispensabile" e far salire le proprie
quotazioni all'incanto.
Quindi Mosca intrattiene rapporti commerciali e annoda alleanze con quei
paesi classificati da Washington come "canaglia" : Corea del Nord, Iran,
Iraq, Siria...
E Poutin si oppone allo scudo spaziale antimissili, vale a dire al rilancio
di una rovinosa corsa agli armamenti.
Cosa cerca, ad esempio, Washington, sostenendo le milizie islamiche
separatiste in Cecenia? Approfittare del breve periodo, in cui la Russia si
trova in un momento di crisi, per indebolirla stabilmente e impedirle di
ridiventare una seria rivale.
La terza potenza di questa regione, che Washington cerca di destabilizzare,
è l'Iran. Dopo aver organizzato nel 1952 il rovesciamento del troppo
indipendente Primo Ministro Iraniano Mossadegh, dopo aver sostenuto la
sanguinosa dittatura dello Scià
Pahlevi, Washington ha incassato in questo paese una cocente disfatta con la
rivoluzione islamica ed anti-imperialista del 1979.
Per indebolire l'Iran, allora Washington ha deliberatamente provocato la
guerra Iran Iraq (1980-1988).
Ugualmente ha giocato la carta dell'Afghanistan per esacerbare le
contraddizioni tra mussulmani sciiti (Iran) e sunniti (Arabia Saudita,
Emirati del Golfo, Afghanistan, Pakistan). In questi paesi, Washington ha
puntato sulla strategia islamista sunnita del generale Zia , che aveva
eliminato tempo prima fisicamente il Primo Ministro Bhutto. In particolare è
con l'intermediazione dei servizi segreti Pachistani che la CIA ha
utilizzato i moudjahiddins afghani.
Obiettivo: fiaccare l'URSS, ma anche l'Iran.
Impedire un'alleanza anti-egemonica Cina - Russia - Iran
Sicuramente, il principio fondamentale di tutta la politica imperialista
resta "Dividere per regnare".
Su questo continente Asiatico, ecco gli Stati Uniti temere sopra ogni cosa,
spiega ancora Brzezinski, che : "La Cina potrebbe diventare il fulcro di una
alleanza anti-egemonica Cina - Russia - Iran."
Si è delineata una tale alleanza con il "Gruppo di Shanghaï", che riunisce
la Cina, la Russia, e quattro Repubbliche dell'Asia Centrale: Kazakhstan,
Tadjikistan, Kirghizstan e Ouzbekistan. Obiettivo: la cooperazione contro le
incursioni del terrorismo islamico e la collaborazione economica. Una tale
cooperazione sarebbe la ben accetta da queste Repubbliche, anch'esse
danneggiate in modo disastroso dalla restaurazione del capitalismo e dalla
distruzione dell'URSS.
La produzione industriale del Kazakhstan e del Tadjikistan si è abbassata
del 60%.
Secondo gli accurati esperti dell'Esercito USA, "un tale fallimento
economico è paragonabile all'entrata in guerra del paese."
Commento di un analista Australiano: "Il nuovo Gruppo di Schanghaï potrebbe
sicuramente emergere come una forza potente contro l'influenza degli Stati
Uniti nelle regione.Secondo l'agenzia Russa Interfax, l'India e il Pakistan
potrebbero essere interessati a collegarsi con questa organizzazione."
Tutto ciò risulta insopportabile per gli Stati Uniti, che non hanno mai
concesso, in nessuna parte del mondo, l'instaurarsi di un "mercato comune"
che non sia sotto il loro controllo.
Un altro analista ben più importante, Henry Kissinger, ha così esposto la
strategia USA: "Esistono tendenze, sostenute dalla Cina e dal Giappone, a
creare una zona di libero scambio in Asia.Una nuova crisi finanziaria di una
certa importanza, in Asia o nelle democrazie industriali, renderebbe
certamente più celeri gli sforzi dei paesi Asiatici per meglio controllare i
loro destini economici e politici. Un blocco Asiatico ostile, combinando le
nazioni le più popolose del mondo con grandi risorse e alcuni dei paesi
industrializzati più importanti, sarebbe incompatibile con gli interessi
nazionali Americani.Per queste ragioni, l'America deve mantenere una sua
presenza in Asia, e il suo obiettivo geopolitico deve essere quello di
impedire la trasformazione dell'Asia in un blocco ostile, cosa che
avverrebbe molto probabilmente sotto la tutela di una delle sue grandi
potenze."
In breve, dividere per regnare! Visto che nella bocca di Kissinger la parola
"ostile" significa: "non sottomesso agli interessi delle multinazionali
degli Stati Uniti".
Perciò, non è assolutamente una scommessa rischiosa se gli Stati Uniti
intervengono in Afghanistan. Essi hanno deciso di utilizzare questo Paese,
situato nel centro del cuore dell'Asia, come base per le future azioni
contro le vicine Russia, Iran o Cina. Washington è interessata all'ex base
Sovietica di Bagram in Afghanistan, ma - cosa più facile - ha già convertito
l'Ouzbekistan in base militare e vuole prendere il controllo degli aeroporti
del Turkmenistan.
Obiettivo: cacciare le truppe Russe dalla regione. Veramente molto utile
questa guerra! Tanto più che gli Stati Uniti si aspettano delle difficoltà
circa le loro attuali basi Asiatiche: Corea, Taïwan, Giappone...
L'insediamento di truppe USA in Ouzbekistan è stato presentato come una
misura di urgenza, decisa dopo gli attentati. In realtà, è già dal 1999 che
Washington vi aveva inviato i suoi "berretti verdi", accogliendo anche
numerosi ufficiali nelle scuole militari USA. Inoltre, nel 1999 questo Paese
era stato incorporato in una alleanza militare antirussa, il GUAM : Géorgia,
Ucraina, Azerbaïdjan, Ouzbekistan e la Moldavia.
In effetti, gli Stati Uniti cercano, in ciascuna regione strategica, di
instaurare uno Stato che possa diventare in qualche maniera la loro Israele,
la loro portaerei.
Dopo il Kosovo e la Grande Albania, l'Azerbaïdjan e l'Ouzbekistan sono gli
eletti. Nel Caucaso, l'Azerbaïdjan e la Georgia si sono totalmente integrate
nella strategia USA. Per contro, le Repubbliche petrolifere dell'Asia
Centrale sono più recalcitranti, valutano i pro e i contro di un
avvicinamento economico e politico con la Cina e la Russia.
Come farle oscillare a favore degli Stati Uniti?
Ricordiamo questa massima dell'ex ministro USA James Baker : "Noi non
dobbiamo opporci all'integralismo, se non nella misura in cui contrasta i
nostri interessi."
Presto, se queste Repubbliche petrolifere rifiutassero di sottomettersi, gli
Stati Uniti le destabilizzeranno totalmente, utilizzando ancora più
intensamente le milizie Islamiche di base in Afghanistan.
Uno scenario già sperimentato in Kosovo : è proprio a partire e con l'aiuto
della base militare USA di Camp Bondsteel che i terroristi dell'UCK hanno
attaccato il sud della Serbia alla fine del 2000, e la Macedonia nella
primavera del 2001.
Oggi tutti i Paesi dell'Asia Centrale stanno più o meno ingaggiando una
guerra contro queste milizie pan-islamiste. Delle quali la più importante è
il "Movimento Islamico" dell'Ouzbekistan, addestrato a Mazer-i-Sharif, che
ospita anche le milizie attive in Cecenia e nello Xing-Jiang cinese.
Grazie alla guerra contro l'Iraq, gli Stati Uniti hanno potuto impiantare
basi militari nel Golfo Persico.
Grazie alla guerra contro la Yugoslavia, si sono installati in Bosnia, in
Kosovo e in Macedonia.
Questa volta, sperano di installarsi in Georgia, Azerbaïdjan, Turkménistan e
Ouzbekistan, e stanno modernizzando la loro base turca d'Incirlik e quella
in Arabia Saudita.
Se perverranno a conquistare una posizione molto vantaggiosa, gli USA si
avvicineranno militarmente molto di più all'Iran, al Pakistan e alla Cina, e
accerchieranno ancora meglio la Russia.
Eccellente punto di partenza anche per nuove avventure verso Sud: l'Oceano
Indiano, l'Indocina...
Controllare il petrolio della Cina
Perché Unocal e le altre compagnie USA associate nel consorzio Unocal sono
così interessate a questa via Afghana del petrolio, in definitiva assai
rischiosa? Il petrolio e il gas dell'Asia Centrale sono già adesso esportati
verso l'Europa.E allora?
Secondo Bob Todor, vice-Presidente di Unocal : "L'Europa occidentale è un
mercato difficile, caratterizzato da prezzi elevati per i prodotti del
petrolio, per una popolazione che sta invecchiando ed una concorrenza
crescente da parte del gas naturale. In più, la regione è sottoposta ad una
competizione feroce."
Dunque, il mercato Asiatico risulta molto più interessante per Unocal in
quanto, spiega ancora Todor, questo oleodotto arriverebbe all'Oceano Indiano
e sarebbe ben più vicino ai mercati-chiave dell'Asia: "Le compagnie del
petrolio USA potrebbero vendere in mercati a forte espansione. I profitti
annunciati sono largamente più elevati di quelli del mercato Europeo. Ma la
costruzione non può cominciare se non si insedia in Afghanistan un governo
internazionalmente riconosciuto."
Unocal parla di profitti sui quali confida.
Ma l'Amministrazione USA pensa anche al ricatto che potrebbe esercitare
sull'economia Cinese.
Per cominciare ad applicare le strategia definita da Brzezinski e Kissinger,
il petrolio risulta l'arma sognata. Poiché lo sviluppo continuo
dell'industria Cinese fa aumentare in modo deciso il suo fabbisogno in
petrolio e in gas.
Una volta ancora, chi controlla la produzione e il trasporto di queste
materie prime controlla anche l'economia di tutti i paesi che ne sono
dipendenti.
Pechino ha intravisto il pericolo.
Alla fine dell'agosto 2000, Xia Yishan, ricercatore all'Istituto di Ricerca
per gli Affari Internazionali di Cina, scriveva: "In ragione di una crescita
economica sostenuta, il nostro Paese ha dovuto importare grandi quantità di
petrolio in questi ultimi anni... Nel momento in cui noi contiamo di
investire all'estero per il nostro petrolio(...), il capitale monopolistico
internazionale, con l'aiuto dei suoi governi, ha allungato la mano sui più
grandi mercati di petrolio e di gas nel mondo. Il capitale monopolistico
occidentale lotta aggressivamente per conquistare le risorse dei paesi
dell'ex-URSS. Senza dubbio, tutti tenteranno con accanimento di impedire
alle compagnie Cinesi di ottenere queste risorse energetiche. Noi dobbiamo
formulare al più presto una nostra strategia opportuna:la soluzione
fondamentale risulta la produzione interna."
E, dopo gli attentati dell'11 settembre, la reazione di Pechino è stata
immediata.
Fin dal 21 settembre, Zhu Xingshan, vice-Direttore dell'Istituto di Ricerca
del Centro Economico dell'Energia ne trae le indicazioni: "Noi avevamo
progettato di installare degli oleodotti per aumentare i nostri
approvvigionamenti, a partire dall'Asia Centrale e dalla Russia, e avevamo
già accordi con la Russia. Ma , in seguito agli attacchi dell'11 settembre,
noi dobbiamo modificare questa strategia.
Obiettivamente gli attacchi hanno fornito un pretesto agli Stati Uniti per
penetrare nell'Asia Centrale."
E parimenti sostiene, per una rapida creazione di riserve strategiche, la
necessità di ricerche più accelerate sulla liquefazione del carbone "lavoro
trascurato da lunghi anni, visti i costi elevati e i danni all'ambiente. Ma,
in seguito agli attacchi dell'11 settembre, noi siamo costretti a cambiare
il nostro atteggiamento a considerare tali questioni."
Veramente sotto pressione per trovare Bin Laden?
Perché il Capo di Stato Maggiore Britannico ha dichiarato, dopo due
settimane di bombardamenti, che questo conflitto "potrebbe durare 50 anni"?
In definitiva, sapevano già dall'inizio che questa guerra sarebbe stata
lunga, ma hanno dovuto attendere un po' di tempo prima di affermarlo.
L'importante era scatenare la guerra, manipolando l'opinione pubblica e nel
forzare la volontà dei loro "alleati".
Inoltre, decisamente in fretta, il ministro USA Rumsfeld si è messo a
dichiarare in giro che poteva accadere che Bin Laden non si sarebbe più
trovato. Perché?
Perché, se voi siete una superpotenza, e se contate assolutamente di
impiantare le vostre basi militari in un punto strategico, dove queste non
sono poi così tanto desiderate, allora voi siete costretti a tenere nascosto
il vostro vero piano.
Creare quindi un problema e poi versare benzina sul fuoco! E vigilare a che
questo problema non trovi risoluzione tanto presto.
Un precedente: gli Usa avevano promesso un Kosovo multietnico e pacificato,
ma in realtà hanno armato ed istigato l'UCK al fine di destabilizzare la
regione per molto tempo. Grazie a questo, hanno potuto installarvi la più
grande base militare creata all'estero dopo la guerra in Vietnam. Washington
non desidera una soluzione, vuole solamente un problema. Di lunga durata!
Per una superpotenza che brama dominare e sfruttare il mondo, far
precipitare i popoli nelle sofferenze non è un problema morale. Giusto una
carta buona nel grande gioco strategico. Sta tutta qui la definizione della
barbarie moderna!
Obiettivo n° 3 : Preservare il domino USA sull'Arabia Saudita
Se la guerra attuale di Bush è una guerra di attacco per conquistare il
dominio dell'oro nero in Asia Centrale, nel contempo è una guerra di difesa
per salvare il regime Saudita, alleato decisivo in Medio-Oriente.
Infatti, Bin Laden è saudita come la maggioranza dei presunti autori degli
attentati, come pure dei sostenitori finanziari della sua organizzazione, Al
Qaeda.
E in testa alle grandi accuse di Bush a Bin Laden, figura proprio questa:
"Loro (Bin Laden e soci) intendono rovesciare i governi esistenti in
numerosi Paesi Arabi, come l'Egitto, l'Arabia Saudita e la Giordania."
Sarebbe forse una grande perdita per il popolo dell'Arabia Saudita, se
questo regime corrotto e tirannico, l'ultimo regime feudale al mondo,
scomparisse?
Non sembra proprio, persino agli occhi del New York Times : "Fino ad ora, il
flusso di petrolio e di denaro Saudita ha messo a tacere qualsiasi critica
seria Americana rispetto alla totale corruzione della famiglia reale, al suo
disprezzo della democrazia e alle sue ripugnanti violazioni dei diritti
dell'uomo commessi in suo nome."
In effetti, sempre secondo lo stesso giornale, potrebbe sembrare che solo
gli Stati Uniti subirebbero una perdita: "Da decenni, gli Stati Uniti e
l'Arabia Saudita hanno tratto profitto da questo mercato, privo di emozioni
sentimentali nella loro relazione: l'America riceveva il petrolio per
mantenere in movimento la propria economia e l'Arabia Saudita la protezione
della potenza militare Americana."
Esatto. Nel 2000, l'Arabia ha venduto più di sessanta miliardi di dollari$
di petrolio sui mercati mondiali: la metà di quello venduto da tutto il
Medio Oriente.
E a tutto interesse di Washington, dato che, invece di reinvestire questi
petrodollari nella regione per creare un'industria locale e uno sviluppo
sociale, come aveva tentato di fare l'Iraq, la dinastia Saudita li dissipa
in un lusso insensato, soprattutto a Wall Street e nei buoni del tesoro
Americano. Quindi assorbendo una parte del considerevole déficit USA.
Il Kuwait e gli Emirati Arabi fanno lo stesso.
Inoltre, controllare gli sceicchi e gli emiri consente a Washington di
mantenere il prezzo corrente del petrolio espresso in dollari e non in euro.
Allora, va tutto bene?
Salvo che perfino una parte di questi ricchi contestano, riconosce un altro
grande editorialista USA, William Pfaff : "L'Arabia Saudita viene attaccata
anche dai figli dell'élite Saudita, come Mr.Bin Laden(...) nemici dichiarati
sia dell'America, sia dei loro dirigenti che loro definiscono corrotti."
Il denaro per i terroristi viene dalle loro tasche, conferma il New York
Times: "Questi costituiscono l'élite della società Saudita; sono uomini
prosperi e rispettati con investimenti che coprono il mondo intero e una
reputazione di generosità. Ma il governo USA afferma attualmente che uno dei
più importanti personaggi, Yasi al-Qadi, e molti altri influenti cittadini
Sauditi, hanno trasferito milioni di dollari in favore di Osama bin Laden."
Quali interessi economici possono spiegare questo conflitto? Sicuramente Bin
Laden appartiene ad una ricca famiglia di affaristi. Si tratta di una
borghesia nazionale, o solamente di un'altra frazione dell'aristocrazia
feudale? In ogni caso, sembra che al presente questa famiglia sia entrata in
collisione con la dinastia reale e con gli Stati Uniti. E questo perché i
5.000 membri dell'élite dinastica non hanno creato un sistema industriale e
bloccano lo sviluppo economico del paese, essendo appagati di piazzare mille
miliardi di dollari nelle banche straniere.
D'altra parte non è il solo posto del terzo mondo dove le classi dominanti,
un tempo privilegiate dagli USA, finiscono per contrastarsi rispetto alla
spoliazione messa da loro in atto senza limiti.
Questo si è già visto con le "tigri" del Sud-Est Asiatico, nella Corea del
Sud, in Malesia...
Ma l'Arabia Saudita non è proprio un paese dove tutti sono ricchi, e senza
conflitti di classe?
In verità, il forte ribasso dei prezzi del petrolio in questi ultimi anni ha
trascinato al fondo quello delle rendite dei normali cittadini. Dai 16.000$
all'inizio degli anni 80, la rendita annuale pro capite è precipitata ai
7.000$ attuali, con una crescente polarizzazione fra ricchi e poveri, messa
in risalto anche dal Financial Times : "I quartieri ricchi di Riyad, con le
loro lussuose boutiques in stile USA, contrastano fortemente con la povertà
del sud della città, o con un certo numero di donne che mendicano nelle
strade.".
Il 35% degli uomini è disoccupato. E il 95% delle donne.
Non ci sono industrie per assorbire questa armata in espansione di
disoccupati.
In questa lotta per il potere, i diversi clans Sauditi utilizzano la
religione come strumento. Ma anche il risentimento provocato nella gioventù
dall'oppressione della Palestina, e dalla presenza delle truppe USA,
considerate come occupanti, ufficialmente 5.000 unità, ma secondo altre
fonti cinque volte di più. Già obiettivi di numerosi attentati, fra i quali
quello del 1996 vicino a Dahran (19 soldati USA uccisi).
La maggioranza della popolazione Saudita si augura vedere diminuita
l'influenza USA sul paese.
Bin Laden fornisce un'espressione a questa corrente di opinione, rinforzata
maggiormente dopo l'11 settembre.
Ritorniamo alla questione chiave: dove bisogna piazzare i petrodollari?
I paesi Arabi devono restare come semplici appoggi degli USA, o ricercare il
loro proprio sviluppo?
È esattamente la medesima contraddizione che aveva sollevato Saddam Hussein
nel febbraio 1990. Parlando davanti ai Capi di Stato del Consiglio di
Cooperazione Araba (Iraq, Arabia Saudita, Egitto e Giordania), egli aveva
chiesto il ritiro delle truppe USA dalla regione: "Se i popoli del Golfo,
compresi tutti gli Arabi,non staranno attenti, la regione del Golfo Arabo
sarà sotto il governo degli Stati Uniti." E proponeva accordi commerciali di
cooperazione economica.
Il crimine massimo! Proporre che i popoli di una regione - e di quale
regione! - si organizzino in funzione dei loro interessi più opportuni e non
di quelli delle multinazionali USA! Evidentemente è questo che ha provocato
la terribile punizione inflitta all'Iraq. Washington ha così voluto
presentare un esempio di distruzione totale per intimidire per sempre
qualsiasi borghesia Araba tentata di seguire una via indipendente.
Ma Washington corre veramente il rischio di perdere la sua posizione
dominante in Arabia Saudita? Sì, risponde un esperto de l'"Advanced
Strategic and Political Studies" di Washington: "Nel 1995 l'Arabia Saudita
ha rischiato di precipitare nella guerra civile, in ragione di una lotta
intestina per il potere, alla quale in Occidente non fu assolutamente dato
risalto (...), fra il principe di casa reale Abdullah e il suo rivale e
cognato, il principe Sultan.
Abdullah aveva invitato la suprema autorità religiosa, l'Ulema, a sostenere
le sue aspirazioni al trono. Ma l'Ulema aveva rifiutato.
Abdullah consolidava allora la sua posizione, comandando alla Guardia
Nazionale Beduina di effettuare delle manovre militari molto spettacolari."
Il conflitto non è terminato: "Più tempo Bin Laden riuscirà a sfuggire alle
bombe Americane, più egli stimolerà lo spirito di resistenza nei suoi
partigiani Sauditi. In questa situazione, il principe ereditario Abdullah
(...) potrebbe sicuramente ricercare l'abdicazione del re Fahd.
Lui e la famiglia reale allora dovranno affrontare una scelta difficile:o
affrontare Bin Laden, o concludere un grande patto di compromesso. Abdullah
potrebbe decidere di condurre le truppe beduine della Guarda Nazionale
Saudita in una grande battaglia contro i seguaci di Bin Laden. Una grande
battaglia fra Wahabiti, senza precedenti, in pratica una guerra civile.
Oppure potrebbe invitare l'America a ritirare le sue forze dal Paese.
Il patto di compromesso ridurrebbe fortemente l'influenza dei membri della
famiglia reale, considerati come gli alleati fedelissimi dell'Occidente."
Il dilemma sussiste anche per Washington.
Certamente non è per un caso che Bush abbia ordinato di bloccare alcune
inchieste dell'FBI che conducevano verso certi appoggi Sauditi per Bin
Laden.
Infatti, è nel complesso del Medio-Oriente che Washington si trova di fronte
ad una potente contraddizione: non vuole e non può rinunciare ne' a Israele
ne' all'Arabia Saudita. Israele è la sua principale pedina militare, in
definitiva è semplicemente un'estensione dell'esercito USA. Ma Israele non
può sostenersi se non opprimendo i Palestinesi e minacciando i suoi vicini.
D'altra parte, l'Arabia Saudita è la sua più importante pedina economica per
conservare le entrate del petrolio nelle sue proprie casse.
Ora i governanti Sauditi, come gli altri dirigenti Arabi, si devono
confrontare con la pressione della lotta del popolo Palestinese. La sola
credibile lotta di massa, la sola che esclude qualsiasi compromesso e
pasticcio marcio di cui sono ghiotte le classi privilegiate, siano arabe o
le altre.
L'Intifada è l'incubo di Washington. E la speranza per tutti i popoli!
Obiettivo n° 4 : Militarizzare l'economia come "soluzione" alla crisi
A dispetto di certe circostanze favorevoli, le crisi congiunturali del
capitalismo occidentale si succedono a intervalli sempre più ravvicinati.
Inoltre, molte regioni cosiddette "promettenti" sono crollate una dopo
l'altra: le "tigri" asiatiche, la Russia,
l'America Latina... Ogni volta, gli analisti finanziari hanno avuto paura
che Wall Street e tutto il sistema mondiale fossero entrati in una
recessione catastrofica. Molti, non escludendo una riedizione del crach del
1929, e considerando con timore il rallentamento dell'economia, iniziato
alla fine del 2000...
Ad ogni modo, anche se per questa volta è riuscito a sfuggire al crach, il
capitalismo occidentale non fa che ritardare il suo problema.
In quanto riesce sempre a travasare il peso della sua crisi sul terzo mondo
e sui poveri.
Ma questa "soluzione" ha creato un problema ancora più grande: come potranno
le multinazionali vendere a coloro che hanno impoverito?
Questo si chiama "segare il ramo sul quale si è seduti".
Il fossato ricchi-poveri non è solo un'immorale ingiustizia; è anche per il
capitalismo un problema economico insolubile.
Da un lato esistono delle capacità di produzione senza precedenti e
crescenti di continuo; d'altro lato, un divario sempre più grande fra quelli
che producono e quelli che dovrebbero consumare.
Nove persone su dieci, nel mondo, oggi si trovano nel bisogno, e i programmi
della Banca Mondiale o del FMI non cessano di aggravare la loro situazione
di miseria. Non è questa la maniera di procurarsi dei clienti che faranno
cambiare l'economia globale!
Anche prima degli attentati, l'economia USA (il modello al quale si fa
riferimento) arrivava a perdere un milione di posti di lavoro in un anno. E
le compagnie tecnologiche (l'avvenire della Borsa, ci avevano detto!) erano
in caduta libera.
Come rilanciarle? Per i governanti USA, non ci sono ...trentasei metodi:
gonfiare il bilancio dei comandi militari, questo è il metodo che è stato
impiegato ogni volta che l'economia USA è stata minacciata di recessione e
che aveva necessità di "uscire dalla crisi"!
All'epoca della guerra del Vietnam, quindici economisti USA qualificati
scrivevano: "È impossibile immaginare per l'economia un sostituto alla
guerra. Non esistono tecniche comparabili in termini di efficacia per
mantenere un controllo sull'occupazione, la produzione e i consumi. La
guerra era, e resta, da sempre un elemento essenziale per la stabilità delle
società moderne. (Il settore militare) costituisce il solo settore
d'importanza dell'economia globale assoggettato ad un controllo completo e
ad un potere discrezionale delle autorità di governo.La guerra, e solo la
guerra, è in grado di risolvere il problema delle giacenze nei magazzini."
Dunque è la pace il nemico!
Alla fine del suo mandato, Clinton aveva raccomandato di aumentare del 70%
in sei anni il budget militare USA, benchè questo superasse già da solo
quello di tutte le altre grandi potenze militari riunite. Nella via già
tracciata, Bush ha continuato con il progetto di Difesa Nazionale
Missilistica (NMD), con il super-bombardiere JSF, e con altri programmi
militari.
Questa militarizzazione dell'economia persegue due obiettivi.
Primariamente, poiché vi è una caduta dei consumi privati come motori
dell'economia, supplire ai consumi con enormi programmi di commesse
pubbliche di armamenti. Bisogna sapere che il "complesso
militar-industriale", come si dice,
non si limita assolutamente ai soli mercati di cannoni in senso
tradizionale, ma congloba ugualmente le multinazionali "classiche": Ford,
General Motors, Motorola, le società tecnologiche...
Secondariamente, utilizzare ancora di più la forza militare per accaparrarsi
le ricchezze del pianeta.
A tutto svantaggio certamente dei popoli del terzo mondo, ma anche a
detrimento di quelli che Washington chiama suoi amici, e che sono in realtà
i suoi rivali nella spartizione del mondo.
Lo "scudo spaziale anti-missili" (NMD) è di questo l'esempio perfetto.
Innanzitutto non si tratta di uno "scudo", ma bensì un'arma offensiva.
Questa permetterà agli Stati Uniti, a loro piacere, di aggredire qualsiasi
paese senza timori di risposta agli attacchi.
Inoltre, garantisce una manna di opulenti benefici per il complesso
militar-industriale.
Infine, il NMD permette agli Stati Uniti, rilanciando la corsa agli
armamenti, di scavare un fossato ancora più grande e di indebolire i loro
potenziali rivali militari: Europa, Russia, Cina.
Infatti l'Unione Europea ha già deciso di mettersi al passo con la creazione
di un'industria militare unificata, aumentando i budgets in funzione
dell'Euro-Esercito, ma sottraendo così preziose risorse alla risoluzione dei
tanti problemi sociali ed economici, che incidono tanto profondamente la
realtà Europea.
Obiettivo n° 5 : Spezzare la resistenza del terzo mondo e la lotta
anti-mondializzazione
Ovunque cresce la resistenza alla mondializzazione imperialista. Fra i
popoli del terzo mondo, ma anche nei paesi ricchi.
Anzitutto nel terzo mondo. In paesi molto diversi, ma che hanno in comune il
rifiuto a mettersi in ginocchio...
Cuba difende il suo socialismo. L'Iraq resiste sempre, malgrado dieci anni
di embargo e di bombardamenti. Il nuovo Congo tenta di preservare la sua
indipendenza. I Coreani, da entrambe le parti, aspirano alla riunificazione
e alla pace. E movimenti rivoluzionari avanzano nuovamente, ispirati da un
progetto di società alternativa: Colombia, Nepal, India, Filippine,
Messico...
Il Nord dell'America Latina inquieta particolarmente Washington, che teme di
vedere la formazione di un triangolo progressista: Colombia, Venezuela,
Equador. Questo triangolo porterebbe Cuba fuori dal suo isolamento e
sconvolgerebbe il rapporto di forze in tutto il continente, offrendo un
appoggio e nuove prospettive alle lotte popolari del Brasile e
dell'Argentina.
In questo mondo di guerre e di rivolte, l'Intifada ha costituito un fattore
molto importante. Se la Nato è riuscita ad infliggere una disfatta ai Serbi,
i Palestinesi hanno mostrato, loro!, che un popolo finisce sempre per
risollevarsi. Che le oppressioni, anche le più forti, o i tradimenti, i più
perniciosi, non possono venire a capo dello spirito di resistenza.
La seconda Intifada ha decisamente rinforzato la collera delle masse arabe e
mussulmane.
Inoltre, nei paesi industrializzati, la resistenza arriva a conoscere uno
sviluppo molto importante. Con Seattle e Genova una nuova generazione si è
lanciata nella lotta. Giovane, combattiva, creativa. Nel momento in cui la
sinistra tradizionale e il movimento operaio si sono lasciati addormentare
dalle promesse di un mondo migliore, a condizione di non combattere il
sistema, ecco il risveglio!
Un movimento di massa: di giovani soprattutto, radicati in numerosi paesi e
che iniziano a coordinarsi, che non tollerano più l'ingiustizia, il
saccheggio del terzo mondo, la distruzione del pianeta, che proclamano "un
altro mondo è possibile", e si battono per prepararlo subito, inventando gli
opportuni metodi di lotta.
La generazione Internet! Un' arma nuova e formidabile che permette a milioni
di giovani di informarsi, e di informare, al di fuori dei mezzi di
informazione di massa dominanti. "Don't hate the media. Be the media." (Non
detestare i media. Diventa i media), propone la nuova agenzia IndyMedia, che
è stata alla testa di questa informazione alternativa a Genova e, a causa
del suo successo, il bersaglio dei manganelli di Berlusconi. Dopo IndyMedia
del Belgio, sono nate altre sezioni, o si preparano a nascere, in altri
paesi Europei.
Grazie a Internet, i cyber-attivisti sono riusciti a creare spettacolari
mobilitazioni internazionali, mettendo in difficoltà la Banca Mondiale,
l'Organizzazione Mondiale del Commercio(WTO) e il FMI, abituati a regolare
le sorti dei popoli, escludendo la partecipazione di questi.
La porta sbarrata è stata abbattuta!
La discussione sulle sorti del pianeta è divenuta ...globale. E quando si
leggono i documenti della Banca Mondiale o dei servizi di polizia USA, si ha
la misura di quanto sia temuto questo nuovo movimento e la sua efficacia con
Internet.
Per certo, questo movimento è molto variegato, e questo d'altra parte ne
costituisce la ricchezza e l'estensione.
Per certo, i governanti Occidentali tentano già di recuperarlo,
proponendogli, dopo i manganelli, il "dialogo". Provando di persuadere i
movimenti che non occorre denunciare il sistema attuale, ma è sufficiente
solamente aggiustarlo con qualche tocco di umanità e di partecipazione.
E, per certo, questo movimento avrà da risolvere molteplici questioni
delicate...Come riuscire a collegarsi con il movimento operaio, con le
odierne lotte dei lavoratori, vittime un po' dappertutto in Europa della
medesima logica? Come riuscire a superare gli ostacoli ancora frapposti dai
dirigenti sindacali, che generalmente sono chiusi a riccio nei confronti di
questi giovani, e completamente votati seriamente alla causa dell'Europa
delle multinazionali?
Come allargarsi da movimento anti-mondializzazione ad un movimento
anti-guerra, come sono già riusciti i giovani Greci e i giovani Italiani
(150.000 manifestanti in Italia contro la guerra nell'ottobre 2001), ma che
in Francia e negli altri paesi Europei necessita di tempi più lunghi?
Infine, come definire più chiaramente questo "altro mondo" al quale essi
aspirano, traendo insegnamenti dalle società socialiste, ma in modo
obiettivo, e senza lasciarsi impressionare dai bilanci distorti che ne
vengono tracciati, non senza secondi fini?
L'avvenire del movimento dipenderà dalle risposte a questi interrogativi. E
su tutti, immediatamente: partecipare al sistema, o contestarlo
radicalmente?
Il canto delle sirene non manca proprio! Di fronte alla contestazione e alla
sua popolarità, i dirigenti del capitalismo Occidentale non cessano di
ripetere che essi hanno capito il messaggio, e vanno a tenerlo in conto.
Ma nella realtà, quello che si presenta è l'inverso.
Quando le privatizzazioni, che hanno toccato gli azimuts, e la conseguente
distruzione delle protezioni statuali, sono risultate catastrofiche per i
paesi del terzo mondo, in ogni trattativa, i paesi ricchi hanno provato ad
imporre i medesimi "rimedi" del passato.
100 dei 142 paesi membri dell'Organizzazione Mondiale del Commercio hanno
affermato che gli accordi già realizzati ( commercio, proprietà
intellettuale, servizi, ecc.) sono squilibrati e favorevoli ai paesi ricchi.
Malgrado questo, dirigenti e mezzi di informazione Occidentali non cessano
di ripetere che è necessario proseguire nella medesima direzione, e
generalizzare questa situazione anche ad altre materie.
Che la salvezza arriverà dall'apertura totale al mercato.
In realtà questa medicina è un veleno, così spiega Raoul Jennar, analista
dell'ONG Oxfam : "Permettere agli investitori, e in particolare alle società
transnazionali, di comportarsi dappertutto a loro piacimento, mettere le
imprese nazionali in concorrenza con le compagnie transnazionali, imporre ai
paesi del Sud del mondo delle limitazioni in materia ambientale quando i
grandi inquinatori sono al Nord, queste sono alcune delle intenzioni
dell'Unione Europea. Il colonialismo storico ha trovato nuovi strumenti per
perpetuarsi."
La necessità di costruire un fronte internazionale
Già da questo momento la nascita di un tale movimento antimondializzazione è
un avvenimento di una importanza storica che probabilmente supera quella del
Maggio 68. Oggi diventa possibile creare un fronte internazionale contro
l'ingiustizia e contro la guerra. Collegando il Nord e il Sud, le lotte del
terzo mondo con quelle dei progressisti dei paesi ricchi.
Contro la guerra del Vietnam, un fronte simile aveva permesso di fare
arretrare il più potente esercito del mondo e di arrestare i suoi crimini.
Oggi questo diventa ancora più necessario. Poiché tre compiti urgenti si
impongono alla sinistra mondiale, e bisogna assolutamente affrontarli unendo
tutte le forze:
1. Arrestare i numerosi conflitti che si stanno preparando.
2. Impedire la criminalizzazione dei movimenti di liberazione del terzo
mondo.
3. Impedire nel contempo la criminalizzazione del movimento
antiglobalizzazione nei paesi del Nord del mondo
Esaminiamo in breve queste tre minacce...
Una guerra "senza limiti"
1. La guerra scatenata nell'ottobre 2001 sarà molto lunga. Non si fermerà
con un cambiamento di potere a Kaboul, ne' lo stesso, se si arriverà ad una
occupazione duratura trasformando l'Afghanistan in un protettorato USA o
internazionale.
Poco dopo l'11 settembre, il vice-ministro USA della Difesa Wolfowitz aveva
invocato che si attaccasse non solamente l'Afghanistan, ma anche le "basi
terroristiche in Iraq e nella valle della Bekaa in Libano".
Parlando parimenti di "porre fine (sic) agli Stati che sostengono il
terrorismo". La lista di questi Stati a "termine" comprende l'Afghanistan,
ma anche l'Iraq, il Sudan, ed anche la Siria o la Corea del Nord.
In maniera più tattica, il ministro degli Affari esteri Colin Powell ha
fatto comprendere che gli Stati Uniti non conseguiranno mai risultati, ogni
volta attaccando da tutti i lati. Quindi era necessario costruire un "fronte
contro il terrorismo" il più largo possibile, cercando di inglobarvi i paesi
Arabi, la Russia, addirittura la Cina.
Powell pensava che questo fronte si sarebbe reso impossibile da un attacco
immediato contro l'Iraq ( che la maggioranza degli Arabi sostengono). Gli
Europei si sono allineati sulle posizioni di Powell. Dunque, i
paesi-bersaglio verranno aggrediti uno alla volta.
Quanto tempo durerà tutto ciò? Il vice-presidente USA Cheney parla di una
guerra "che durerà molto di più delle nostre vite". Il capo di stato
maggiore aggiunto afferma che gli Stati Uniti non hanno pianificato mai
operazioni militari di una tale ampiezza dopo la Seconda Guerra mondiale.
In puro stile marketing, i dirigenti degli Stati Uniti subito avevano
battezzato la loro guerra col bel nome di "Giustizia senza confini". Hanno
dovuto in tutta fretta ritirare la prima parola. Ma le due restanti sono
perfettamente adeguate: in effetti noi siamo entrati in una guerra senza
confini. La guerra globale!
Ed infatti si tratta di una guerra per imporre la mondializzazione. Nel
2000, il presidente della società francese di sistemi d'arma Aerospatiale
aveva dichiarato, sicuramente alla ricerca di commesse: "Bisognerebbe essere
ciechi per non vedere i prodromi di una guerra fredda intesa su scala
planetaria. È chiaro che la globalizzazione non è relativa solo alla sfera
dell'economia."
Guerra fredda? Un eufemismo!
Le vittime - che sono in verità del Sud del mondo - non la trovano tanto
fredda. E non lo sarà sempre di più. Quando ha scatenato i bombardamenti
sull'Iraq nel 1991, Bush padre aveva solennemente promesso che quella
"ultima guerra" avrebbe permesso di inaugurare un Nuovo Ordine mondiale di
giustizia e di pace. In seguito non si hanno mai avute così tante guerre:
Bosnia, Somalia, Yugoslavia, Macedonia, Caucaso, Congo, Colombia,
Afghanistan e via così...E Bush II fa di tutto per accelerare questo ritmo
infernale.
2. Il secondo compito del fronte internazionale per la pace, è di impedire
la criminalizzazione dei movimenti di liberazione del terzo mondo. L'Unione
Europea ha accettato le pretese di Bush : tutti i paesi alleati agli USA
dovranno compilare la lista delle organizzazioni "terroristiche" presenti
sul loro territorio, impedire qualsiasi sostegno a queste organizzazioni,
rinforzare l'apparato poliziesco e giudiziario per misure più repressive,
come la detenzione preventiva senza limiti di tempo.
Oggi, queste misure riguardano soprattutto le organizzazioni integraliste.
Ma, secondo i dettami delle priorità americane, possiamo sicuramente afferma
re che prossimamente saranno sulla lista il Fronte Popolare di Liberazione
della Palestina, le FARC Colombiane, o il Nuovo Esercito Popolare delle
Filippine.
Il 13 novembre 2001, il governo Britannico ha presentato un progetto
definito "antiterroristico", che contraddice in modo esplicito l'articolo 5
della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Qualsiasi persona, non
solamente accusata, ma semplicemente sospettata di attività terroristiche,
potrà essere detenuta per una durata illimitata senza processo, ne'
imputazioni.
Lo stesso giorno, Bush firmava un ordine militare che permetteva "il
giudizio dei presunti terroristi, di nazionalità straniera, emanato da una
corte militare speciale e non da tribunali civili." Le prove accusatorie
potranno rimanere segrete, gli accusati non potranno presentare alcun
ricorso e, come ha scitto il New York Times, "i diritti della difesa saranno
drasticamente limitati."
Da un lato, gli Stati Uniti si oppongono accanitamente alla creazione di
qualsiasi tribunale internazionale che potrebbe giudicare i loro crimini di
guerra.
D'altro canto gli USA stessi si preparano a giudicare, nell'arbitrio, quelli
che osano tentare di liberare i loro popoli. E costoro saranno chiaramente
battezzati "terroristi", dopo una campagna di demonizzazione mediatica.
3. Ma gli attentati hanno anche fornito un pretesto ideale per
criminalizzare il movimento antimondializzazione. E nel contempo qualsiasi
opposizione politica o popolare nei paesi Occidentali.
A Genova, questo non è avvenuto di certo a buon mercato. I manganelli di
Berlusconi non sono riusciti, secondo molti sondaggi Europei, che a rendere
il movimento antiglobalizzazione ben più simpatico dei G-8 e degli organi
dirigenti del capitalismo internazionale.
Al presente, le circostanze sono ben più favorevoli. E tutto di un colpo,
l'Europa vede terroristi dappertutto. Il 21 settembre 2001, il Consiglio
Europeo ha deciso che tutti gli Stati mettano immediatamente e
sistematicamente le loro informazioni sul terrorismo a disposizione
dell'Europol. Questa, d'ora in poi, potrà condurre inchieste su tutto il
territorio dell'Unione e persino obbligare a questo alcuni Stati.
Avendo ricevuto il termine "terrorismo" un significato molto largo, andremo
presto a conoscere nell'Unione Europea una centralizzazione
dell'informazione sull'opposizione politica senza precedenti. E queste
informazioni, senza alcun controllo, dovranno essere trasmesse agli Stati
Uniti.
Il 30 settembre, la Commissione Europea ha adottato una proposizione di
"lotta contro il terrorismo". La sua definizione dimostra che si va ben al
di là della contingenza degli attentati perpretati contro gli USA: "Le
azioni terroristiche minano le leggi e i regolamenti e i principi
fondamentali sui quali poggiano le tradizioni costituzionali e la democrazia
degli Stati membri dell'Unione. Esse vengono commesse contro uno o più
Stati, contro le loro istituzioni o la loro popolazione, con l'intento di
intimidirli o distruggere le strutture politiche, economiche e sociali di
questi paesi."
In questo documento si parla esclusivamente di assassinii, di rapimenti, di
impiego di armi? No! Se commessi per raggiungere uno degli obiettivi
indicati in precedenza, divengono anche atti di terrorismo: "la presa di
possesso o la distruzione di proprietà dello Stato, di mezzi di trasporto
pubblico, di luoghi pubblici o il blocco di bisogni di base come l'energia
elettrica, o la messa in pericolo di persone, di beni, di animali o
dell'ambiente." L'Unione Europea ammette, anch'essa, che la violenza di
strada con carattere politico rientra nell'ambito della sua definizione.
Dunque, José Bové potrà essere etichettato come "terrorista". Come qualunque
militante sindacale, o antiglobalizzazione in Europa, se ricorrerà ad una
delle tradizionali forme di azione di strada. Infatti, questa definizione di
crimine politico allude ad un largo ventaglio di forme di opposizioni al
capitalismo.
Nello stesso modo viene ostacolata la mobilitazione via Internet: gli
"attacchi per mezzo di sistemi informatici" costituiscono anche un delitto
terroristico, se rientrano nel concetto politico di terrorismo analizzato
prima.
Le multinazionali Europee sono anch'esse una forza di pace?
Prima di concludere, bisogna ancora esaminare una questione di sovente
proposta nei dibattiti:
l'Europa risulta essere più saggia e meno guerriera del cow boy USA ?
Non sarebbe il caso di sostenere un Euro-Esercito, ma solo per fargli
compiere "missioni di pace"?
Ha forse ragione Le Figaro quando scrive che "i Quindici divergono
sensibilmente dagli Americani rispetto al loro rapporto con il resto del
mondo. (...) Washington tende a gestire il pianeta con metodi
tecnico-militari, gli Europei cercano di sviluppare un approccio globale
della sicurezza, dove il militare non è che un mezzo fra gli altri di
gestire politicamente i conflitti."?
In realtà queste due linee tattiche esistono anche negli Stati Uniti,
l'abbiamo già visto. Ma i loro obiettivi sono gli stessi, ed è per questo
che i dirigenti Europei non hanno per niente smascherato i reali obiettivi
fondamentali di Bush contro il terzo mondo.
Chris Patten, Commissario Europeo agli Affari Esteri, mostrandosi
completamente d'accordo con la strategia Powell, ha richiesto una
"leadership assoluta per costringere la comunità internazionale ad
investirsi in modo molto forte in questo combattimento...Bisognerà
"convincere" i paesi reticenti."
In buona sostanza, l'Unione Europea si è allineata dietro alla leadership
USA!
Dal 12 settembre, ha accettato peraltro di fare riferimento all'articolo 5
del Trattato della NATO che obbliga a sostenere militarmente gli Stati
Uniti.
Nondimeno, è tutto rosa in questo "ménage" ?
Al momento di lanciare i bombardamenti contro l'Afghanistan, George Bush ha
associato i fedelissimi "amici britannici", ha avvertito Chirac e Schröder,
ma non il presidente in carica dell'Unione Europea, il Belga Verhofstadt.
Peraltro, costui non ha esitato ad "accordare la sua completa solidarietà
agli Stati Uniti e a tutti gli altri paesi impegnati." Ma è stato
chiaramente dimostrato che, ne' i piccoli paesi della NATO, ne' l'Unione
Europea sono soci affidabili agli occhi di Washington, che tenta di creare
fra loro divisioni.
Dopo l'inizio della crisi, l'Unione Europea ha dato l'impressione di
condurre una politica più "ragionevole" di quella dei falchi Americani. Da
evidenziare la figura del ministro Belga degli Affari Esteri Louis Michel,
che affermava poco tempo dopo gli attentati : "Noi non siamo in guerra!"
Dunque, gli USA e l'U.E. sono a volte uniti e a volte divisi? Sì.
I governi USA ed Europei restano uniti nella loro volontà di fare portare il
peso della crisi ai popoli del terzo mondo: basso prezzo per le materie
prime, distruzione dei prodotti locali e dei servizi per la popolazione in
modo da favorire la penetrazione delle multinazionali, ricatto di un
ingiusto debito...gli USA e l'UE sono ugualmente uniti nel combattere le
forze progressiste che contestano questa "libertà" delle multinazionali.
Ma dietro questa facciata unitaria, la crisi degli sbocchi economici li
obbliga a condurre una battaglia subdola per razziare i mercati migliori
nell'interesse delle propie multinazionali.
Ed è là che l'Europa intende giocare la carta della sua "moderazione"
apparente...
Da qualche anno, la collera e la rivolta si focalizzano sui governanti
Americani. L'occupazione israeliana ha costato la vita a decine di migliaia
di Palestinesi. Tutti, nel mondo Arabo, sanno che senza i miliardi di
dollari versati ogni anno a Israele, senza il siluramento da parte di
Washington delle risoluzioni votate all'ONU in favore dei Palestinesi, il
problema della Palestina sarebbe risolto da lungo tempo.
L'Unione Europea vede in questa situazione una opportunità di presentarsi
come una alternativa all'imperialismo americano. Pronuncia qualche parola in
favore dell'applicazione degli accordi di Oslo, si presenta come difensore
dei Palestinesi quando le multinazionali Europee si fanno premura per
rastrellare le commesse, al momento della ricostruzione dell'Iraq.
Nel fornire un profilo all'Europa, come forza che frena il falcone
Americano, si spera di guadagnare la fiducia dei governi che si stanno
allontanando da Washington. In fondo non si tratta altro che di marketing
politico a vantaggio di Mercedes, Siemens ed altri come la TotalFina...In
attesa dell'Esercito Europeo...
Sul lungo tempo, questa nuova guerra annuncia dunque un aggravamento della
rivalità tra gli USA e l'Europa. Da un certo punto di vista, gli strateghi
Americani vi scorgono l'occasione di riprendere la direzione del mondo
capitalistico. Secondo Zoellick, ministro del Commercio degli USA, "la
pronta risposta deve fare avanzare il ruolo direttivo degli Stati Uniti sui
fronti politico, militare ed economico".
D'altra parte numerosi dirigenti Europei vi vedono l'opportunità di
modificare a loro vantaggio il rapporto di forza.
In breve, nel ménage, si vedranno aumentare i colpi mutuamente scambiati ed
inferti.
Il problema dell'Unione Europea è quello di non disporre ancora di mezzi
militari per le sue ambizioni. Gli Stati Uniti fanno di tutto per impedirlo,
e questo da lungo tempo.
Nel 1992, Wolfowitz, che allora era solo un consigliere del Pentagono, aveva
raccomandato di "fare di tutto per impedire l'emergenza di un sistema di
sicurezza esclusivamente Europea."
Essendosi lanciata l'Europa su questa direzione, allora il suo collega
Scowcroft aveva scritto al cancelliere Tedesco Kohl per criticare la sua
"ingratitudine, malgrado il sostegno USA alla riunificazione."
E il presidente Bush in persona aveva indirizzato una minaccia in termini
sottili ma chiari: "Il nostro punto di partenza consiste nel fatto che il
ruolo Americano nella difesa e negli affari dell'Europa non sia reso
superfluo dall'Unione Europea. Se questo punto di partenza è sbagliato, se,
miei cari amici, il vostro obiettivo ultimo è di assicurarvi da voi stessi
la vostra difesa, allora oggi è arrivato il momento di dichiararlo."
Dopo dieci anni attraversati da tutte le guerre cosiddette "umanitarie",
Washington continua a sabotare l'emergenza di una forza militare Europea
autonoma, indipendente dalla NATO. Ma dopo ognuna di queste guerre, gli
Europei hanno preso delle misure. Era previsto che nel 2003 l'Euro-Esercito
avrebbe disposto di sessantamila uomini. Ma, dopo l'11 settembre, i ministri
dell'UE hanno deciso si accelerare questa messa in campo, appellandosi ad
uno sforzo finanziario in materia di bilanci militari. Pagherà il sociale!
La missione di Javier Solana consiste nell'unificare gli eserciti Europei,
così come l'industria degli armamenti (sotto la direzione della Tedesca Dasa
e della Francese Matra), e nel rafforzare questa industria, imponendo grosse
commesse di materiale unificato.
La Germania intende mettersi alla guida di questo Esercito Europeo. E, ad
ogni conflitto, fa avanzare le sue pedine un po' più avanti, per farsi
accettare come potenza militare. Il cancelliere Schröder ha dichiarato: "Il
tempo in cui la Germania poteva contribuire solo finanziariamente alle
campagne militari internazionali è definitivamente tramontato. La
costituzione della Germania le fa obbligo ad assumere anche rischi militari,
oltre che ad essere una grande potenza economica. Una nazione non conta
realmente sul piano internazionale, se non è preparata a sostenere un
conflitto."
Dunque l'UE non è una forza di pace, come essa ama presentarsi, ma vuole
solamente diventare "Califfo al posto del Califfo". Vale a dire superpotenza
dominante.
Lottare per la pace significa, dunque, opporsi alla partecipazione Europea
alla guerra in Asia Centrale e in qualsiasi altro posto. E lottare contro
l'aumento delle spese militari Europee, contro l'Esercito d'Europa, contro
lo sciovinismo Europeo!
Quale sarà l'avvenire ?
Per il movimento della pace è più che mai giunta l'ora della mobilitazione.
Anzitutto, perché la guerra in Afghanistan non è proprio terminata.
È di certo più facile ad una potenza straniera entrare in questo paese che
uscirne. E rimettere al potere delle bande armate, che erano state aiutate a
rovesciare il precedente potere, tanto criminali quanto i Talebani, è tutto
meno che una soluzione. Qualsiasi gruppo, che verrà posto al potere,
apparirà come un traditore al soldo degli stranieri.
Anche se, in modo differente, si spartiranno le tante vallate, i diversi
bottini del saccheggio e i diversi traffici, questi "signori della guerra"
non sapranno costituire una soluzione per l'avvenire. Ne' apportare
benessere e pace al popolo Afghano. Principalmente, perché esistono solo per
essere gli agenti, i collegamenti degli interessi delle potenze straniere,
Stati Uniti in testa.
Questi hanno aiutato i Talebani e le altre milizie integraliste a massacrare
qualsiasi opposizione progressista, fra cui i guerriglieri maoisti, che si
erano battuti contro l'URSS.
In effetti, non lo si dirà mai abbastanza, gli Stati Uniti non sono la
soluzione, ma costituiscono il problema! Sono loro che hanno gettato il
popolo afghano nella disgrazia da più di vent'anni, e i loro interessi non
sono mutati. Sono cambiate solamente le loro tattiche.
La seconda ragione per una mobilitazione ancora più intensa sta nel fatto
che l'attacco contro l'Afghanistan non è che la prima di una serie di guerre
interessate contro numerosi paesi. Si è cominciato con i meno popolari, i
Talebani, ma non ci si fermerà prorio là.
Però il movimento contro la guerra ha anche dei motivi per sperare. In ogni
dibattito al quale si partecipa, ci colpisce una constatazione: di volta in
volta la gente prende sempre più consapevolezza che non si tratta di guerre
umanitarie, ma solamente di guerre per interesse. Certamente lo si scorge
più chiaramente a proposito degli Stati Uniti che dell'Europa, ma è un buon
inizio.
La volontà di fare qualche cosa è anche ben più grande rispetto al fatalismo
che ha dominato per tanti anni. Ma ancora non si vede bene come entrare in
azione. Da questo deriva la grande responsabilità del movimento per la pace!
Organizzarsi su scala Europea e mondiale.
Non perdere il proprio tempo a cercare di convincere ed illuminare quelli
che hanno il potere di decidere, che tanto sanno molto bene quello che
fanno, ma piuttosto indirizzarsi verso la base, alla massa delle persone. E
toccarli con un linguaggio semplice e concreto, collegando la guerra alle
loro preoccupazioni quotidiane. Trovare le forme di azione concrete che
permetteranno di allargare la mobilitazione. Congiungere l'entusiasmo dei
giovani alla trasmissione dell'esperienza delle precedenti generazioni.
Utilizzare ancora meglio le possibilità di Internet e della
contro-informazione.
Difendere il diritto dei popoli a disporre di se stessi, la loro sovranità,
di fronte alle ingerenze neocoloniali, anche se queste sono paludate, come
sempre, da pretesti umanitari.
Aiutare in pratica a sviluppare la cooperazione fra i popoli, per sfuggire a
questo sistema soffocante dominato dalle multinazionali.
Condurre con serietà il dibattito su una società alternativa.
Sciogliere la NATO, l'armata della mondializzazione, senza però cercarne dei
surrogati, come l'esercito Europeo.
Al contrario, combattere la militarizzazione dell'economia, e lottare perché
questa sia al servizio della gente.
Risolvere questi problemi diventa la responsabilità di ciascuno di noi!
Michel Collon - Belgium
michel.collon@skynet.be
Questo testo fa parte di un libro collettivo: "L'Empire en guerre - Le monde
après le 11 septembre", Coedizione Temps des Cerises - EPO, Paris -
Bruxelles.
Per informazioni: editions@epo.be
Si possono anche consultare :
- Michel Collon, "Monopoly - L'Otan à la conquête du monde", 245 p., Ed.
EPO, Bruxelles, 2000.
- Michel Collon e Vanessa Stojilkovic, "Les Damnés du Kosovo", video 78
minuti.
I commenti su questo testo, le critiche, le osservazioni o le proposte
possono essere indirizzate attraverso l'editore, o a
michel.collon@skynet.be