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Le motivazioni del "licenziamento" di Don Vitaliano



Don Vitaliano, licenziato perché amico di comunisti. Le accuse del
vescovo che lo ha allontanato dalla parrocchia. I parrocchiani di
Sant'Angelo a Scala per protestare contro la decisione dell'abate
murano il portone della chiesa.

Troppo amico di Bertinotti quel prete di Sant'Angelo alla Scala per
poter restare al suo posto di pastore di anime.
Sembra tratto dai vecchi manifesti di scomunica contro gli iscritti del
Pci, un passato da anni cinquanta che si credeva sepolto, e invece ecco
che una delle accuse mosse dall'abate-vescovo di Montevergine a don
Vitaliano della Sala è proprio questa: l'aver frequentato «numerosi
centro sociali d'ispirazione comunista», anzi - sottolinea il
procedimento vescovile - «più precisamente, di Rifondazione», compresa
l'amicizia con i segretari nazionale e provinciale del Prc. Il prete è
responsabile di «una frenetica attività a manifestazioni di ogni genere
organizzate dai No global e da Rifondazione». C'è da non crederci, dopo
aver visto tanti sacerdoti e tante associazioni cattoliche manifestare
a Firenze e dopo aver ascoltato le riflessioni di molti vescovi e dello
stesso Camillo Ruini sulle aspirazioni positive che animano, almeno in
parte, il movimento pacifista.

Monsignor Tarcisio Nazzaro non va per il sottile nemmeno sul resto.
Demolisce la personalità del prete no global fin dalla nascita, gli fa
scontare perfino le colpe del padre «anticlericale», che evidentemente
non furono compensate dalla «fervente» devozione della madre». Sarebbe
questa la ragione per cui, secondo l'abate benedettino, Vitaliano
mostra «comportamenti variabili e contrastanti, mescolando sacro e
profano». Una sorta di dottor Jackil, insomma, «dalla doppia
personalità», un uomo con «un tenore di vita tutto suo particolare».

Ma già nelle prime righe del decreto il vescovo rimarca un'accusa utile
a spianare la strada anche ad una sospensione "a divinis". Che cosa di
peggio, infatti, si potrebbe rimproverare ad un sacerdote che
la «assenza di coscienza religiosa»?

Le accuse sono infinite: «condotta riprovevole», «insensibilità»,
il «coraggio-violenza di mettere fuori dalla chiesa il suo ordinario in
visita fraterna», quel «suo ergersi a giudice supremo», «l'aperta
sfida» ai superiori, come quando ricevette in parrocchia
i "femminielli" sgraditi all'abate. A nulla serve che Vitaliano, dopo
aver rilasciato «dichiarazioni anche spinte, poi finga di cascar dalle
nuvole».

Ma il fatto che le gerarchie sembrano decise a far pagare a don
Vitaliano è soprattutto la sua partecipazione al Gay Pride del 2000 e,
ancor più, certe frasi che gli vengono attribuite sul conto dei massimi
vertici della Curia vaticana: Pio Laghi per «la carriera» di nunzio in
Argentina nel «sangue dei desaparecidos», Sodano per «il silenzio su
Pinochet», il vescovo di Lima dell'Opus Dei, un accenno non meglio
precisato al cardinal Ruini, la denuncia contro l'arcivescovo di
Bologna Biffi, che Vitaliano ebbe l'ardire di riproporre in Tv, guarda
caso, ne "Il fatto" di Enzo Biagi. Senza contare il rimprovero, per
quanto benevolo, al Papa «che sbaglia» sugli omosessuali.

Tutto scritto e registrato, come in un verbale di polizia, tanto
insistito da far pensare che sia proprio questo il capitolo più
interessante per la Congregazione vaticana del clero, alla quale
peraltro il sacerdote si appella. L'intento è dimostrare che il prete
dell'Irpinia «fa parte di un vero e proprio movimento», non per pura
politica, ma per attaccare la Chiesa "gerarchica". Guai a Vitaliano
perché ha ripetuto tante volte di volere «un'altra chiesa». Pensava
sicuramente alla chiesa di sempre, però più vicina agli ultimi, non
certo a fondarne un'altra, ma per il vescovo ci sono motivi di sospetto
anche al riguardo: le sue «attività extrasacerdotali» e i suoi rapporti
con «circoli che, pur dicendosi cristiani, in realtà mal sopportano la
Chiesa cattolica». L'abate non spiega di quali si tratti. In compenso
aggiunge la notizia "criminis" forse più gustosa per i custodi romani
della dottrina. Vitaliano è accusato di aver celebrato insieme al
pastore valdese Antonio Squitieri, pur sapendo che è tuttora proibita
l'eucarestia comune con i protestanti. Dal canto suo, il pastore
assicura che a quella liturgia fece soltanto da ospite e, in questo
caso ovviamente, ci sarebbero precedenti illustri nelle molte preghiere
ecumeniche e interreligiose che sono tratto distintivo del pontificato
di Giovanni Paolo II.

Vitaliano, secondo il suo vescovo, «strumentalizza il sacerdozio» e,
malgrado il modo riprovevole «di vestire», avrebbe usato l'abito
religioso, anzi il solo colletto, per altri scopi, esibendolo insieme
alla «stella rossa» o al ritratto del Che. E per dimostrarlo, l'abate
chiama come testimone a carico del sacerdote reprobo niente meno che il
suo «compagno» zapatista che ha raccontato in un libro il Vitaliano del
Chiapas.

Dulcis in fundo, il prete no global progettava una «parrocchia
aucefala», indipendente, per questo si è «autoisolato» e ha impiegato i
tempi di ravvedimento concessi dal vescovo per fomentare i parrocchiani
in propria difesa. Perfida la chiosa: ha contestato l'otto per mille ma
non ha rinunciato allo stipendio di prete. Insomma, va senz'altro
rimosso e così l'abate ha deciso nei giorni scorsi. Ora si conoscono
anche le motivazioni.

Ma i fedeli di Sant'Angelo a Scala non ci stanno alla decisione
dell'abate di privarli del "loro" parroco e nella notte tra sabato e
domenica hanno murato la porta principale della chiesa parrocchiale e
chiedono un incontro all'abate