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note sul documento della strategia della sicurezza nazionale degli USA [m1-4]



Bari,
Giovedì 5 dicembre, ore 18
presso i Missionari Comboniani,
via G. PETRONI 103
 Seminario  sul tema
    ? Iraq, no alla guerra, sì alla pace: qualche perché?

-Proiezione video di padre Jean Marie Benjamin  "Iraq - il dossier
nascosto", edito nel 2002
Interventi previsti:
- Nicola Colaianni, "La Costituzione Italiana e la guerra"
-Andrea Catone, "Ingiustizia infinita: gli USA, l'ONU e il caso Iraq"

                    COORDINAMENTO CONTRO LA GUERRA

per inf. e adesioni al coordinamento :
coordinamentonoguerrabari@yahoogroups.com, Isa Colonna 080/4743788





Andrea Catone
Alcune note sul documento della strategia della sicurezza nazionale degli
USA

"Gli Stati Uniti sfrutteranno l'opportunità di questo momento per estendere
i benefici della libertà in tutto il pianeta. Ci impegneremo attivamente per
portare la speranza della democrazia, dello sviluppo, del libero mercato e
del libero commercio in ogni angolo del mondo[1]".

            1. Difesa preventiva
            Il documento diffuso dalla Casa Bianca nel pieno di una
forsennata campagna di guerra annunciata col dichiarato intento di aggredire
l'Iraq e rovesciare il governo di Saddam Hussein - con o senza l'avallo dell
'ONU - è stato interpretato prevalentemente come l'enunciazione a chiare
lettere di una strategia della "guerra preventiva" che straccia gli ultimi
brandelli della carta dell'ONU e del diritto internazionale, fondato sul
concetto di "legittima difesa". Alessandro Portelli, nel bell'articolo su la
rivista del manifesto[2], vede nella guerra preventiva "il cuore del
documento", che infatti recita al capitolo 5°: "Prevenire le minacce dei
nostri nemici nei nostri confronti, nei confronti dei nostri alleati ed
amici con armi di distruzione di massa". In esso si espone l'opzione della
guerra preventiva, anche in caso di minacce di lieve entità nei confronti
degli USA:
"Dobbiamo essere preparati a fermare gli "Stati canaglia" e i loro clienti
terroristi prima che siano in grado di minacciare o colpire gli Stati Uniti
e i loro alleati ed amici con armi per la distruzione di massa" (5.6).
"Ci sono voluti quasi dieci anni per comprendere la vera natura di questa
nuova minaccia. Dati gli obiettivi degli "Stati canaglia" e dei terroristi,
gli Stati Uniti non possono più fare affidamento soltanto su di un
atteggiamento reattivo come nel passato. L'incapacità di dissuadere un
potenziale aggressore, l'immediatezza delle minacce odierne e la gravità dei
danni che potrebbero essere provocati dalle scelte dei nostri avversari in
fatto di armamenti non consentono questa opzione. Non possiamo consentire ai
nostri nemici di attaccare per primi" (5.8).
"Gli Stati Uniti sostengono ormai da lungo tempo l'opzione dell'attacco
preventivo per contrastare una minaccia anche di moderata entità alla nostra
sicurezza nazionale. Maggiore è la minaccia, maggiore è il rischio insito
nell'inazione: e più è stringente la motivazione per intraprendere un'azione
preventiva di autodifesa, anche se rimangono incerti il tempo ed il luogo
dell'attacco nemico. Per precedere o evitare tali atti di ostilità da parte
degli avversari, gli Stati Uniti, se necessario, agiranno preventivamente".
(5.12)
La parola chiave per giustificare la guerra preventiva è Threat, minaccia.
Minaccia che proviene da indefiniti "nemici" e "Stati canaglia", i quali -
diversamente dall'URSS, nemico pericolosissimo ma riconoscibile - possono
procedere nell'ombra, mascherarsi, e sono disposti ad usare armi di
distruzione di massa al primo colpo. Diversamente che nel periodo della
guerra fredda, la deterrenza non è più efficace e bisogna dunque agire per
disarmare terroristi e stati canaglia prima che siano in grado di nuocere.
Bush sembra andato a scuola da Sharon, che la guerra preventiva contro i
palestinesi la attua da tempo.
Il cuore del sillogismo di Bush è tutto nei nuovi caratteri che la minaccia
ha assunto: è una minaccia globale, estesa, indefinita, oscura, capace di
mimetizzarsi. Non ha un volto preciso, neppure quello di Bin Laden o Saddam
Hussein, che ne sono solo alcune materializzazioni episodiche. Cosa c'è di
più temibile, e minaccioso, del nemico ignoto e oscuro?
E' sintomatico il modo in cui nel documento si parla del terrorismo, anzi,
del terrore[3]. Il termine "terrorista" appare sin dalle prime battute dell'
Introduzione:
[A] "Difenderemo questa pace giusta dalle minacce dei terroristi e dei
tiranni" (0.2).
I "terroristi" qui non vengono definiti per un qualsivoglia progetto
politico, sembra cioè che non il progetto politico, ma il metodo di lotta
usato costituisca la loro quintessenza. Non si sa, non si deve dire cosa
chiedano, bisogna sapere soltanto che sono una minaccia della pace. E la
minaccia è tanto maggiore, in quanto "oscura" e malefica, capace di
ritorcere contro gli USA "il potere delle moderne tecnologie":
[B] Ora, oscure reti di individui possono seminare grande caos e sofferenze
nella nostra terra, a costi assai minori di quelli di un singolo carro
armato. I terroristi si sono organizzati per penetrare all'interno delle
società aperte e per aizzare il potere delle tecnologie moderne contro di
noi. (0.3).
Anche in questo secondo passo abbiamo soltanto "I terroristi", indefiniti e
indefinibili. E la minaccia fa tanto più paura quanto meno è definita. Qui
in sovrappiù, c'è l'aspetto della trama oscura - tanto più minacciosa in
quanto oscura. Ed è rete! Sono "oscure reti"(shadowy networks). Ma rete è
internet, reticolare è l'immagine che viene data oggi del mondo. La rete non
si può colpire facilmente, spezzato un nodo ne rimangono altri, la rete può
infiltrarsi, può "penetrare all'interno" delle società libere, aperte. Il
pericolo rappresentato un tempo dal "monolite" URSS, un pericolo massiccio,
grande, un "impero del male" ben visibile, viene rimpiazzato da un nemico
oscuro, tentacolare, mimetico, ubiquo che è fuori e dentro. Senza confini
precisi. Il che costituisce il passepartout ideologico per giustificare una
guerra condotta senza limiti di spazio o di tempo, e, come vedremo, senza
regole che non siano quelle dettate dagli USA che fanno la guerra. Un
terrorismo ubiquo giustifica la possibilità di intervenire militarmente
ovunque: una situazione totalmente diversa dai tempi della guerra fredda,
quando i rispettivi "campi", o le "sfere d'influenza" erano delimitate. La
sconfitta dell'URSS apre agli USA uno spazio mondiale, come affermava un
anno fa il Rapporto quadriennale della difesa (con introduzione di
Rumsfeld):
"Diversamente dal periodo della guerra fredda dove le aree geografiche più
importanti della competizione erano ben definite, il periodo attuale ha già
imposto richieste per l'intervento militare USA su ogni continente
virtualmente e contro una vasta varietà di avversari[4]".
Ma questi terroristi oscuri, reticolari e ubiqui non minacciano solo la
sicurezza nazionale degli USA, ma tutte le "società aperte", le società del
libero mercato. Nel ricorrere a questo termine Bush rispolvera il vecchio
armamentario della guerra fredda: gli basta sostituire a "comunismo"
"terrorismo" e il gioco è fatto. Il nemico delle "società aperte" era in
passato il mostro totalitario comunista, oggi sono i terroristi.
Nel gioco dello scambio di termini che Bush opera per rievocare e
risuscitare l'antico odio e ossessione del comunismo su cui aveva prosperato
il complesso militar-industriale americano nel tempo della guerra fredda,
Bush svela indirettamente una verità dell'attuale politica del governo USA:
sotto il pretesto del terrorismo, si varano leggi liberticide quali il
Patriotic Act del 26 ottobre 2001. La strategia della guerra imperialista
planetaria ha bisogno di un rigido controllo interno. Gli USA sono già in
guerra, e la guerra richiede stato d'emergenza, corti marziali, sospensione
delle garanzie costituzionali. Dov'è mai la Open Society?
Il terzo passaggio è un'ulteriore estensione della minaccia dei terroristi
(sempre indefiniti). Ora essi sono "globali", per cui
[C] "La guerra contro i terroristi di raggio globale [terrorists of global
reach] è un'impresa globale di durata incerta" (0.4)
C'è palesemente un crescendo della minaccia di questi indefinibili
terroristi. Ora essi abbracciano il mondo intero, è un terrorismo
globalizzato. Ma non basta ancora per giustificare tutta la guerra che gli
USA hanno appena avviato con l'Afghanistan e l'Asia centrale e si apprestano
ora a portare a Baghdad. Con i "terroristi" non è in gioco solo il presente,
ma il passato e il futuro dell'umanità, in una parola, la civiltà stessa:
[D] "gli alleati del terrore sono i nemici della civiltà" (0.4)
I terroristi non erano ancora stati definiti come "nemici della civiltà".
Finora erano solo "nemici". Ma ora, i loro sostenitori divengono "nemici
della civiltà" (enemies of civilization). I "terroristi" lo sono a maggior
ragione. Nei primi passi del documento, i "terroristi", associati ai
tiranni, erano nemici pericolosi che minacciavano la pace, gli interessi
nazionali americani, le "società aperte". Ma ora sono diventati il male
assoluto, la negazione della civilization. Così la lotta contro di essi
diviene ideologica, di principio, il bene contro il male. E una lotta di
principio, per la difesa della civiltà, ammette qualsiasi mezzo, poiché non
è in gioco solo la sopravvivenza di un individuo, di gruppi, di una società,
ma dell'intera civiltà. Da Huntington alla Fallaci questo è il filo
conduttore: trasformare la guerra imperialista in una crociata, in una
battaglia di civiltà. Va da sé che con civilization s'intende quella fondata
sull'unico modello che il documento ritiene adeguato al mondo, quello basato
su "libertà, democrazia e libera impresa" (0.1), "libero commercio e libero
mercato" (0.9; 1.5.5; 6.1). Il pensiero unico, il fondamentalismo del
mercato è qui espresso e rimarcato più e più volte.
Inoltre, questo ulteriore passaggio apporta un ulteriore mattone alla
costruzione ideologica del documento: la coincidenza, anzi, l'
identificazione degli interessi nazionali americani (è il documento della
"strategia di sicurezza nazionale") con quelli dell'universo mondo e con
tutto il percorso storico da esso compiuto. Senza ambiguità o incertezze l'
American Way of Life è diventata qui la "civiltà". I nemici degli USA sono i
nemici della civiltà.

            2. Una strategia di espansione planetaria. Il Mein Kampf di
George Bush
            Ed è quest'aspetto che sembra essere sfuggito ad alcuni lettori
del documento, che ne hanno molto giustamente sottolineato la scandalosa
dottrina della guerra preventiva, con tutto il seguito di azzeramento di
ogni norma di diritto internazionale e di assunzione degli USA come unico
arbitro[5] , ma non ne hanno colto tutta la portata imperialistica
aggressiva ed espansiva, ritenendolo invece un documento di chiusura, di
difesa da una minaccia:
"L'«impero» [.] ha anche smarrito - conquistando tutto - una visione
espansiva della propria "missione". La nuova dottrina strategica USA è un
inno disperato alle ragioni della difesa delle proprie condizioni di vita a
scapito di chiunque altro[6]".
Non è così. La strategia americana esposta nel documento della Casa Bianca
del settembre scorso espone un programma di espansione imperialistica degli
USA su scala mondiale. Il documento, infatti, parte dalla premessa che l'
unico modello di società che possa garantire prosperità e sicurezza è quello
basato sul libero mercato e la liberaldemocrazia; tutto ciò che a questo
modello non si conforma è il Male: economie non aperte alla penetrazione
capitalistica, controllate centralmente da un potere statale (command-and
control economies), generano tirannide e terrorismo (6.3). La guerra di
lunga durata contro il terrorismo proclamata da Bush è vista -
letteralmente - come un'occasione favorevole, una opportunity[7], per
esportare con la forza delle armi, campo in cui gli USA hanno attualmente il
primato mondiale indiscusso, il modello classico capitalista, in modo da
rilanciare un nuovo ciclo espansivo, "una nuova era di crescita economica
globale attraverso liberi mercati e libero commercio"[8].
A ben guardare, questo documento non è affatto di tipo "difensivo", di un
esecrabile "eccesso di difesa" che l'idea di "guerra preventiva" potrebbe ev
ocare (si interviene per prevenire una minaccia, un pericolo più o meno
remoto), ma aggressivo, è il Mein Kampf del XXI secolo. Il documento e tutte
le azioni del governo USA confermano che, al di là di divergenze tattiche
interne tra "falchi" e "colombe", che riguardano essenzialmente il come
meglio vincere la guerra, e non la strategia di fondo, gli USA, come hanno
detto Castro e Mandela, sono oggi il maggiore fattore di instabilità nel
mondo, i più pericolosi produttori di guerra, sono il nemico principale dei
popoli.
E' questo il carattere principale del documento: l'enunciazione di una
guerra di lunga durata per sottomettere il mondo, avvalendosi di "una forza
militare impareggiabile" (0.2), lascito della vittoria nella guerra fredda.
Del resto, la consapevolezza di un mutato ruolo degli USA nelle relazioni
internazionali era già 12 anni fa, all'indomani della prima guerra del
Golfo, che avrebbe costituito l'inizio della nuova era ad egemonia
americana[9]. Il Quadrennial Defense Review Report esponeva già le premesse
di questa linea:
"Il ruolo di sicurezza dell'America nel mondo è unico Esso fornisce un senso
generale di stabilità e fiducia, decisivo per la prosperità economica che
reca beneficio a gran parte del mondo [...] Lo scopo delle Forze armate
degli Stati uniti è proteggere e promuovere gli interessi nazionali degli
Stati uniti e, se la deterrenza fallisce, sconfiggere decisamente le minacce
a questi interessi. [...] Come potenza globale, gli Stati uniti hanno
importanti interessi geopolitici in tutto il mondo. Gli Stati uniti hanno
interessi, responsabilità e impegni che abbracciano il mondo [...]
Precludere il dominio di aree cruciali, particolarmente l'Europa, l'Asia
nordorientale, il litorale dell'Asia orientale, il Medio Oriente e l'Asia
sudoccidentale [...] Contribuire al benessere economico comprende l'accesso
ai mercati e alle risorse strategiche chiave [...] Le Forze armate
statunitensi devono mantenere la capacità, sotto la direzione del
Presidente, di imporre la volontà degli Stati uniti e dei partner della loro
coalizione a qualsiasi avversario, inclusi stati ed entità non-statali [...]
Cambiare il regime di uno stato avversario od occupare un territorio
straniero finché gli obiettivi strategici statunitensi non siano
realizzati[10]".
            Ciò che è notevolmente mutato nell'ultimo documento USA - anche
rispetto al Quadrennial Review - è la prospettiva di fase. Nei documenti
precedenti del 1991, 1992 e anche, in parte, del 2001 (preparato prima dell'
11 settembre, con alcune aggiunte successive) prevaleva ancora una strategia
di mantenimento della centralità americana, da preservare rispetto ad
attacchi o alla possibile crescita militare ed economica di possibili
concorrenti, soprattutto in Asia e in Europa. Ora si passa ad una strategia
apertamente di attacco, offensiva.
Ora si scrive che solo attaccando gli USA possono difendersi, è una guerra
di lunga durata nazionale e su scala globale, per la difesa della civiltà.
Ciò che mancava o non era così accentuato ed enfatizzato nei precedenti
documenti era l'aspetto di guerra di civiltà, che implica una divisione del
mondo tra Bene e Male; ed è bene solo ciò che è open society e libero
mercato, male ciò che non lo è, tutti i paesi che adottano un controllo
sulle proprie economie. Questi paesi sono degli attuali o potenziali nemici
della civiltà. Il mondo non potrà essere tranquillo se non quando tutti
questi paesi saranno stati normalizzati, cioè condotti all'unico modello
accettabile e vincente nella sfida tra libertà e totalitarismo nel XX
secolo, quello del libero mercato. Per difendere la civiltà bisogna
attaccare questi paesi, in cui si annidano i focolai del terrorismo e della
tirannide. Non si tratta quindi solo di qualche rogue State, ma di tutti i
paesi non "occidentali". Il documento passa in rassegna l'intero mondo e
distribuisce voti di buona condotta per i più fidati o di quasi sufficiente
ma non troppo (Russia[11]) o di ancora insufficiente (Cina[12]). L'unico
metro è il modello USA.
La crociata che Bush propone non è quindi soltanto contro il terrorismo, che
è definito sì una minaccia, ma anche un'opportunità (tipico della mentalità
americana) di trasformare un pericolo in un'occasione di espansione. Nell'
economia complessiva del documento, all'elemento "lotta al terrorismo" e
"guerra preventiva" si affianca con rilevanza non minore l'elemento guerra
di espansione per aprire nuovi mercati e possibilità di investimento per i
capitali USA e dell'Occidente. E' il documento della crociata della
"globalizzazione" imperialistica. Con la forza delle armi, con tutto il peso
del loro impiego o della minaccia del loro impiego distruttivo, bisogna
ridisegnare il volto del globo, cambiare regimi e istituzioni di tutti i
paesi ancora con economie controllate centralmente e di comando. E' questa
la missione degli USA, cui Bush chiede ad alleati e amici di affiancarsi.
Così si aprirà una nuova era di prosperity and peace!
Torniamo un attimo all'Introduzione, dove si dice che la minaccia per la
pace viene da "terroristi e  tiranni" (0.2). L'accostamento della figura del
tiranno a quella del terrorista amplia lo spettro d'azione dell'
interventismo USA. "Tiranno" (tyrant) è un termine dell'antichità classica,
non a caso qui impiegato per evocare l'universalità di una lotta alla
"tirannide" valida per tutti i tempi: l'eterno scontro tra libertà e
tirannide, filo conduttore di una visione liberale della storia, che fa il
suo ingresso sin dalle prime parole dell'Introduzione di Bush:
"Le grandi lotte del ventesimo secolo tra libertà e il totalitarismo si sono
concluse con la vittoria decisiva delle forze della libertà" (0.1).
L'accostamento dei due termini - terroristi e tiranni -, quasi fosse
naturale, cela un inganno: alla figura classica del "tiranno" si affianca
quella moderna del terrorista globale che "minaccia la pace". Quindi, la
pace è minacciata anche dal "tiranno". E chi sono i "tiranni"? Tutti i
regimi diversi dal libero mercato, unico "modello sostenibile" emerso dalla
lotta epocale del XX secolo. Quindi, la guerra preventiva bisognerà portarla
anche a tutti i regimi "tirannici". Bush sembra imbracciare la bandiera
della rivoluzione francese e della guerra rivoluzionaria per portare sulla
punta delle baionette la libertà ai popoli oppressi dall'étandard sanglant
de la tyrannie E' questo, come il documento scrive in seguito, il precipuo
internazionalismo degli USA:
"La strategia statunitense per la sicurezza nazionale sarà basata su di un
internazionalismo squisitamente americano che rifletta l'unione dei nostri
valori e dei nostri interessi nazionali. Lo scopo di questa strategia è
contribuire a rendere il mondo non soltanto più sicuro, ma anche migliore. I
nostri scopi sulla via del progresso sono chiari: libertà politica ed
economica, relazioni pacifiche con gli altri Stati e rispetto della dignità
umana" (1.4).
Questo "internazionalismo" è stato già all'opera e ha colto significativi
successi nel 1989-91 nei paesi dell'Europa centro-orientale e in URSS e nel
2000 a Belgrado (con buona pace di quanti, a "sinistra", si erano
infervorati per la "rivoluzione" del 5 ottobre a Belgrado):
"noi possiamo incoraggiare il cambiamento come abbiamo fatto in Europa
Centrale ed Orientale tra il 1989 ed il 1991, oppure a Belgrado nel 2000"
(2.5).
E' questa la missione americana: "Promuoveremo la crescita e la libertà
economiche al di fuori dei confini statunitensi" (6.2). Anzi, si tratterà di
"espandere lo sviluppo aprendo le società chiuse e costruendo l'
infrastruttura della democrazia" (è il titolo del capitolo VII). Ridisegnare
non solo i confini, ma le istituzioni degli Stati del Medio Oriente è il
programma già esposto dai consiglieri del presidente[13].
Forse non era mai stata spiegata in termini così chiari in un documento
ufficiale degli USA la volontà di espansione e di risistemazione del mondo
intero in funzione degli interessi nazionali americani e delle imprese
multinazionali. In altri testi di propaganda, la guerra si giustificava come
necessaria per la difesa nazionale, o per difendere i popoli, o per diritti
violati o per la libertà. Qui si dice che la guerra si fa per aprire le
porte al capitale, per accelerare - come fu nell'imperialismo di fine
ottocento - questa apertura, cosa che i "normali" meccanismi dell'economia
non riescono a fare nei tempi ristretti imposti dall'incedere della crisi di
sovrapproduzione. Ora Bush dice ai nuovi crociati dell'Occidente: c'è un
mondo da conquistare, chi è con me (o meglio, sotto di me, sotto la mia ala)
godrà di qualche frutto, chi non mi segue, patirà le conseguenze.

            3. Crisi economica e guerra
            Il documento è propagandistico e ideologico nel senso marxiano
del termine di "falsa coscienza" e occultamento e mistificazione della
realtà. E' una smaccata apologia del sistema basato sul "libero mercato",
che - si dice nel documento - non avrebbe mai crisi, ma darebbe perenne
prosperità e benessere:
"Nel ventunesimo secolo, solo le nazioni che condividono il mandato a
proteggere i basilari diritti umani e a garantire la libertà politica ed
economica sono state capaci di far emergere il potenziale dei loro popoli ed
assicurare loro la futura prosperità" (0.1).
"Libero commercio e libero mercato hanno provato la loro capacità di
liberare intere società dalla povertà" (0.8).
"[Gli USA] innescheranno una nuova era di crescita economica globale
attraverso libero mercato e libero commercio" (1.5.5)
"La crescita economica, appoggiata dal libero commercio e dal libero
mercato, crea nuovi posti di lavoro e redditi più alti. Permette alle
persone di innalzare le proprie vite al di fuori della povertà" (6.1).
"Le lezioni della storia sono chiare: le economie di mercato, e non le
economie 'dirigistiche' che contemplano la mano pesante del governo, sono il
modo migliore per promuovere la prosperità e ridurre la povertà" (6.3).
"Il concetto di 'libero mercato' si è affermato come principio morale prima
di diventare un pilastro dell'economia" (6.8).
Il documento ignora la recessione americana, anche se vi è qualche accenno
allo stato di salute non buono di alcune economie. E gli annunci sbandierati
di una nuova era futura di prosperità e benessere, una volta scongiurata con
la guerra duratura la minaccia del terrorismo (cfr. capp. VI e VII),
lasciano trapelare che proprio la recessione economica è il cuore del
problema. Ed è per l'appunto questa la ragione della fretta con cui si fanno
rullare sempre più assordantemente i tamburi di guerra. C'è sempre meno
tempo di fronte alla crisi che incalza. Se gli Usa non affermano la loro
leadership, se non controllano a pieno l'arma delle risorse energetiche e
del petrolio, non potranno continuare a finanziare, attraverso il debito, il
loro enorme complesso militar industriale. Per questo, non si tratta più,
come nel documento strategico di Bush sr. di 11 anni fa, di mantenere una
posizione di centralità, ma di fare la guerra di espansione. Alla guerra
commerciale subentra la guerra armata.

            4. Occultamento delle contraddizioni interimperialistiche
Il documento non si limita ad occultare la crisi economica. Esso tende ad
evitare di mettere in luce le contraddizioni con gli altri poli
imperialistici, invitati a far fronte comune contro la "tirannide", il
"terrorismo", gli "Stati canaglia". Ma questa visione di scontro di civiltà
e di un Occidente o di un G8 compatto contro il fondamentalismo è il
desiderio e l'opzione strategica degli USA, cui farebbe molto comodo
presentarsi alla testa di una crociata della "civiltà" contro la barbarie.
Ma è visione ideologica e occultante le contraddizioni con i capitalismi
europeo e giapponese e con altre potenze emergenti sulla scena mondiale
(Cina Russia). Vi sono in Europa centri di propaganda e istituti che si
stanno preoccupando di diffondere questa visione[14]. Il tentativo è quello
di unire sotto l'unica bandiera USA tutti i paesi capitalistici. In questo
senso il recente comunicato radiofonico attribuito a Bin Laden[15] diffuso
da Al Jazeera (ed esperti USA si sono affrettati ad assicurarne l'
autenticità[16]) gioca perfettamente a favore di questa strategia USA,
mettendo nello stesso calderone paesi che spingono in ogni modo per l'
attacco all'Iraq (USA, Gran Bretagna) e paesi europei che hanno dichiarato
in vario modo la loro contrarietà (Germania, Francia). Agente della CIA o
imbecille politico, l'effetto che può ottenere è quello di favorire il
compattamento di un fronte oggi diviso.
Infatti lo scenario che si presenta nel dopo guerra fredda non significa
soltanto che gli USA sono rimasti unica superpotenza militare, ma anche che
è venuta meno la presunta minaccia militare dell'URSS che costringeva i
paesi capitalistici europei all'alleanza militare con gli USA. Se la paura
della rivoluzione e del comunismo aveva costretto all'alleanza i
nemici-fratelli capitalistici altrimenti in spietata concorrenza per la
spartizione del mondo (come fecero prussiani e borghesi francesi contro la
Comune di Parigi nel 1871, come intervennero nel 1919 eserciti di tutti i
paesi belligeranti contro la repubblica dei soviet) oggi, quando l'URSS non
c'è più, la contraddizione tra capitali non può non riemergere. La perdita
del monopolio del $ quale valuta di riferimento delle transazioni
internazionali costituirebbe un grave colpo per l'economia USA che non
riuscirebbe più a farsi finanziare da tutti gli altri paesi del mondo, come
fosse un tributo, l'enorme debito con cui paga il budget della difesa.
            La rappresentazione degli interessi USA come interessi dell'
Occidente è mistificante. La categoria di "Occidente" ha cambiato
completamente di senso dopo la fine dell'Urss-Oriente. Bush cerca di ridarle
significato col surrogato del "terrorismo" e l'invenzione di un nuovo nemico
globale.




[1] Dall'introduzione di G. W. Bush al The National Security Strategy of the
United States of America, settembre 2002, www.withehouse.gov, trad. it. in
Liberazione 10.10.2002. Un'altra traduzione si trova in
http://www.assopace.org/bush1.htm. Il documento è costituito da un'
introduzione di G. W. Bush e da 9 capitoli, all'inizio di ognuno dei quali
vi è una citazione da discorsi tenuti da Bush: all'indomani dell'11
settembre 2001, alla seduta congiunta del congresso (20.9.2001), alla Banca
interamericana di sviluppo (14.3.2002), a Monterrey in Messico (22 marzo
2002), a Berlino (23 maggio 2002), all'Accademia di West Point (1° giugno
2002), da cui è preso il maggior numero di citazioni. Nel riportare i passi
del documento farò riferimento ai capitoli (all'introduzione assegno il
numero 0), seguiti da un numero che indica ogni paragrafo ed eventualmente
un altro numero indicante un punto di quel paragrafo; ad es. 1.5.4  indica
il capitolo I (veduta d'insieme della strategia internazionale dell'
America), paragrafo 5 (Per raggiungere questi obiettivi gli Usa), punto 4
(Preverranno i nostri nemici dal minacciare noi, i nostri alleati e nostri
amici con armi di distruzione di massa).
[2] Alessandro Portelli, "La cultura di Bush", la rivista del manifesto,
novembre 2002, p. 39-43.
[3] Nel testo americano ricorre sia la parola Terror, che Terrorism e
Terrorist. "America will help nations that need our assistance in combating
terror. And America will hold to account nations that are compromised by
terror, including those who harbor terrorists- because the allies of terror
are the enemies of civilization" (0.4); "Russia is in the midst of a hopeful
transition, reaching for its democratic future and a partner in the war on
terror" (0.6); "Nations that enjoy freedom must actively fight terror"
(0.9); "Throughout history, freedom has been threatened by war and terror"
(0.11). "Strengthen Alliances to Defeat Global Terrorism" (3.0); "The enemy
is terrorism - premeditated, politically motivated violence perpetrated
against innocents" (3.1). Questo uso indifferenziato di "terrore" e
"terrorismo" produce uno strano effetto quando, riferendosi alla classica
espressione della guerra fredda, si evoca "l'equilibrio del terrore",
balance of terror (5.2).
[4] Quadrennial Defense Review Report - America's Security in the 21st
Century, 30.9.01, p. 6, in http://www.defenselink.mil/pubs/qdr2001.pdf

[5] Si veda in particolare il capitolo 9, § 15, in cui senza mezzi termini e
senza una larva di giustificazione si sostiene il diritto all'impunità per
le truppe USA all'estero: "Intraprenderemo le azioni necessarie per
assicurarci che i nostri sforzi per venire incontro ai nostri compiti di
sicurezza globale e di protezione degli americani non siano danneggiati
dalle potenziali investigazioni, indagini o persecuzioni della corte
criminale internazionale (ICC), la cui giurisdizione non si estende agli
americani e che noi non accettiamo".
[6] Claudio Del Bello, "Il nuovo assolutismo americano e la distruzione
della politica", Giano, n. 41/2002, p. 13.
[7] Il termine ricorre più volte e rivela direttamente quanto il
 "terrorismo" sia utile alla Casa Bianca. Esso offre l'occasione, l'
opportunità di lanciare la guerra planetaria: "Dal momento che noi
difendiamo la pace, noi trarremo anche vantaggio dalla storica opportunità
(historic opportunity) per preservarla (0.6). "Infine gli USA useranno
l'opportunità di questo momento per estendere i benefici della libertà nel
mondo. Lavoreremo attivamente per portare la speranza di democrazia,
sviluppo, libero mercato, libero commercio in ogni angolo del mondo (0.7).
"Oggi l'umanità conserva nelle proprie mani l'opportunità per un ulteriore
trionfo della libertà sui suoi nemici. Gli USA accolgono la nostra
responsabilità per condurre questa grande missione" (0.11). "Questo è anche
tempo di opportunità per l'America. Lavoreremo per tradurre questo momento
di influenza in decenni di pace, prosperità e libertà"(1.4). "[Gli USA]
trasformeranno le istituzioni di sicurezza nazionale americana per far
fronte alle sfide e alle opportunità del secolo ventunesimo" (1.5.8).
"Questa strategia trasformerà le avversità in opportunità" (3.13). "Gli
eventi dell'11 settembre 2001, hanno fondamentalmente cambiato il contesto
delle relazioni tra gli Stati Uniti e gli altri centri principali del potere
globale, e aperto vaste e nuove opportunità". (8.18)
[8] E' il titolo del capitolo VI.
[9] Cfr. National Security Strategy of the United States, di Bush sr.,
agosto 1991 e Defense Planning Guidance, redatto da Paul D. Wolfowitz,
allora sottosegretario al Pentagono per la politica e oggi segretario
aggiunto alla difesa e I. Lewis Libby, oggi consigliere per la sicurezza del
vicepresidente Dick Cheney, pubblicato nel 1992.
[10] Cfr. Quadrennial Defense Review Report - America's Security in the 21st
Century, 30.9.01, p. 6, in http://www.defenselink.mil/pubs/qdr2001.pdf.
[11] "il fatto che la dedizione ai valori basilari del libero mercato e
della democrazia non sia ancora uniforme in Russia, senza contare le dubbie
credenziali in fatto di lotta alla proliferazione delle armi per la
distruzione di massa, rimangono motivo di grande preoccupazione. È proprio
questa debolezza della Russia a limitare le opportunità di cooperazione"
(8.11).
[12] "Un quarto di secolo dopo l'inizio del processo di disfacimento delle
peggiori caratteristiche del legame con il Comunismo, i leader cinesi non
hanno ancora compiuto la successiva serie di scelte fondamentali circa il
carattere del loro stato. Nell'inseguire capacità militari avanzate che
possano minacciare i suoi nemici nella regione pacifico-asiatica, la Cina
sta seguendo un percorso vecchio che, alla fine, ostacolerà il suo stesso
progetto di grandezza nazionale" (8.14). "Ancora permangono regole
fortemente legate all'idea di partito unico di derivazione comunista. Per
rendere quella nazione realmente affidabile per i bisogni e le aspirazioni
dei propri cittadini molto lavoro resta da fare. Solo permettendo alla
popolazione cinese di pensare, di riunirsi, e professare liberamente, la
Cina potrà raggiungere il proprio pieno potenziale" (8.16). "Vi sono,
tuttavia, altri settori nei quali abbiamo profondi disaccordi. Il nostro
impegno per l'auto-difesa di Taiwan disciplinato dall'accordo "Taiwan
Relation Act" è una cosa. I diritti umani un'altra. Ci aspettiamo che la
Cina rispetti i suoi impegni in materia di non proliferazione" (8.17).
[13] Si veda l'articolo di due esponenti dello staff strategico USA, R. D.
Asmus e K. M. Pollack, "Rifondiamo la NATO per democratizzare il Medio
Oriente", in Limes - L'Arabia americana, n. 4/2002. In esso si sostiene la
tesi di una possibile cooperazione tra Europa e USA, sotto l'egida di una
NATO rifondata ad hoc, per "modernizzare il Medio Oriente, mettendo da parte
le divergenze sul conflitto arabo israeliano" (p. 79), ridisegnando gli
assetti istituzionali ed economici di tutta la regione, dall'Iraq all'Iran,
dall'Arabia all'Egitto, dove le "moribonde economie nazionali" tardano ad
essere privatizzate (p. 81). Ma la guida del processo non può che essere
degli USA: "E' impensabile dare all'Alleanza atlantica una nuova prospettiva
strategica senza la leadership degli Stati Uniti e del loro presidente" (p.
85). Cfr. anche, nello stesso numero della rivista l'art. di John C. Hulsman
e James A. Phillips, Un piano americano per il dopo-Saddam, p. 33 sgg.
[14] Un sedicente "Consorzio Scuola Lavoro - Istituti Scolastici Autonomi
per la Scuola della Globalizzazione e della Comunicazione" nell'editoriale
n. 3, novembre 2002 (www.cyberscuola.net) inviato a numerose scuole, scrive:
"Ogni istituto scolastico autonomo nell'Italia moderna è chiamato a
progettare senza posa nuove attività. Un esempio di tale esigenza. La
Fondazione liberal di Ferdinando Adornato, Presidente della Commissione
Cultura e Istruzione della Camera dei Deputati, ha creato un Comitato Difesa
per l'obiettivo di diffondere la coscienza tra i cittadini che siamo in
guerra con il terrorismo internazionale. La consapevolezza del pericolo del
terrorismo internazionale, che richiede una convinta visione dell'Era Nuova
in cui sta entrando l'umanità, è necessaria ed urgente. Tale consapevolezza
è necessaria alla creazione delle forze indispensabili per reagire. Il
terrorista motivato sul piano etico e religioso si trasforma in kamikaze e
rappresenta l'arma strategica del fondamentalismo nella guerra contro l'
Occidente. E' necessario risvegliare in Italia e in tutto l'Occidente le
motivazioni superiori in difesa dello Stato di Diritto, dell'eguaglianza tra
uomo e donna, e per gli altri valori nostri culturali, artistici, e
religiosi. Dopo l'11 settembre 2001 nulla è più come prima poiché il
terrorismo fondamentalista islamico ha crudelmente aperto la guerra contro l
'America e l'Occidente. Forze intellettuali e religiose estese e potenti
dell'Occidente svolgono intensa attività per impedire una diffusa presa di
coscienza di tale terribile realtà, nell'infantile speranza che,
nascondendola, tale realtà sparisca e non minacci la libertà e la dignità
degli occidentali e degli uomini di tutto il mondo.Fanno parte del Comitato:
Luigi Ramponi - Presidente della Commissione Difesa della Camera; Mario
Arpino - Ex Capo di Stato Maggiore della Difesa; Ammiraglio Venturoni - Ex
Capo di Stato Maggiore della Difesa ; Vincenzo Camporini - Attuale Vice Capo
di Stato Maggiore della Difesa; Carlo Jean - Studioso di strategia.Il
Comitato Difesa ha approvato un documento di 20 cartelle intitolato 'Ci
sentiamo in guerra?'  Al documento la Fondazione liberal negli incontri di
Venezia del 22 e 23 novembre dedicherà largo spazio. Gli atti saranno
pubblicati sul nuovo periodico del Comitato Liberal risk. Gli Istituti
Scolastici singolarmente o in rete possono organizzare iniziative d' intesa
con il Comitato di Difesa sui valori del nostro Paese cui accennavo prima:
diritti della persona umana, uguaglianza tra uomo e donnaa, valori specifici
nostri culturali, artistici, religiosi. Si tratta di attivare la difesa
civile in ogni istituto dall'odio fondamentalista terrorista che vorrebbe
paralizzare il cuore dei giovani con l'argomentazione falsa sia sulle
responsabilità dell'Occidente dei mali dei Paesi del Terzo mondo, sia sulla
corruzione morale ed etica dell' America e dell'Occidente. Questi argomenti
culturali del terrorismo sono molto diffusi e sono alla base delle speranze
di vittoria del fondamentalismo. L'azione culturale specifica per
ripristinare la verità va condotta soprattutto nelle scuole con
scientificità e molta serietà".
[15] Nel comunicato del 12.11.02 si minacciano Gran Bretagna, Francia,
Italia, Canada, Germania e Australia come possibili alleati degli USA nella
guerra contro l'Iraq. Cfr. La Stampa 13.11.02.
[16] Smentiti qualche giorno fa da un autorevole istituto di ricerca
svizzero: "Un falso, un'impostura, una manipolazione che non ha retto alle
analisi tecniche. Questo almeno il giudizio emerso da una ricerca svizzera
effettuata sull'ultimo messaggio di Osama bin Laden mandato in onda dalla
televisione araba Al Jazeera il 12 novembre e definito autentico, alcuni
giorni dopo, dall'intelligence americana. La notizia, data ieri mattina
dalla Bbc, era già stata confermata all'Agenzia France Presse da Samy
Bengio, uno dei responsabili dell'Istituto di studi sull'intelligenza
artificiale Dalle Molle (Idiap), che ha diverse sedi nel paese elvetico. E
nella mattinata di ieri è stata nuovamente riconfermata a Radiotremondo dal
professor Herve Bourlard, direttore dell'Idiap. L'indagine sulla voce di bin
Laden con la quale il capo di Al Qaeda minacciava diversi Paesi del mondo
tra cui l'Italia, era stata commissionata all'istituto semi-privato con sede
a Lugano dal secondo canale delle televisione francese, che voleva
evidentemente verificare il giudizio dato dalla Cia e dall'Agenzia nazionale
per la sicurezza degli Stati Uniti" (E. Giordana, il manifesto - 30 Novembre
2002). Ma, al di là della perizia tecnica, suonava piuttosto strano per la
tradizione islamica l'appellativo di Bush quale "faraone della nostra era"
(cfr. brani del comunicato in La Stampa 13.11.02).