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Bad news e buone iniziative
UNO. Nafed Khaled Mishad
DUE. Un'iniziativa a sostegno dei bambini palestinesi malati di cancro
TRE. «Caro generale, non tirerò il grilletto»
QUATTRO. Intervento di Fatwa Barghouti a Social Forum Europeo
CINQUE. Ascanio Bernardeschi, Souvenir di Betlemme
SEI. Una campagna di solidarietà politica ed economica per la vendita
dell’olio palestinese.
UNO. Nafed Khaled Mishad
L'11 novembre i militari israeliani hanno ucciso, nei pressi di Gaza,
Nafed Khaled Mishad, un bambino di due anni.
Il bambino, colpito mentre si trovava tra le braccia del padre, è stato
trasferito all'ospedale Abu Yousef An-Najjar di Rafah, dove è morto
poco dopo.
La madre, incinta di 8 mesi, è ora ricoverata nello stesso ospedale in
stato di shock.
For more information contact: The Palestine Monitor
+972 (0)2 298 5372 or +972 (0)59 387 087
www.palestinemonitor.org
DUE. Un'iniziativa a sostegno dei bambini palestinesi malati di cancro
Abbiamo conosciuto lunedi’ a Gerusalemme nella sede del PARC
(palestinian agricoltural relief committee) yahia abu
sharif, che ha perduto un figlio di 12 anni per un cancro e
che sta promuovendo una iniziativa a sostegno dei bambini
palestinesi malati di cancro.
potete trovare le informazioni sul sito
www.zeina.cancer.org.
zeina significa la bellezza della vita.
prego quanti desiderano contribuire a questa iniziativa di
comunicarmi la loro disponibilita'.
alfredo tradardi
ramallah, 12 novembre 2002
TRE. «Caro generale, non tirerò il grilletto»
Buongiorno,
Vi pregherei di leggere questa lettera e inviare la vostra solidarietà e
protesta. Attualmente sono 12 le persone imprigionate per essersi
rifiutate di prestare servizio nei territori occupati della Palestina.
Yigal Bronner è stato trasferito ieri da un campo di detenzione alla
prigione n. 6.
Grazie
Luisa Morgantini
«Caro generale, non tirerò il grilletto»
Lettera dal carcere ai generali israeliani del professore di sanscrito,
riservista e «refusenik» Yigal Bronner: «Se i 'bisogni' militari ci
inducono
ra
questi 'bisogni' sono terribilmente sbagliati. Quindi disobbedirò alla
Vostra chiamata»
* * *
Il professore israeliano Yigal Bronner, studioso di sanscrito presso
l'Università di Tel-Aviv, è ospite nelle patrie galere del suo paese a
causa del suo rifiuto di fare la sua parte nella campagna militare
interminabile contro i palestinesi, una campagna che vede ormai più di
500
riservisti «mobilitati» a dire Signornò a Sharon, a rifiutare di
prestare
servizo (refusenik) nei Territori occupati. Dal carcere scrive Ygal
Bronner
all'amico che è tramite di questo messaggio: «Cari amici, sono stato
imprigionato dall'esercito israeliano per aver rifiutato di partecipare
all'occupazione della Palestina. Sono stato condannato a 28 giorni di
prigione militare. Le ragioni che mi hanno indotto a dire no
all'umiliazione, all'espropriazione, alla riduzione alla fame di un
intero
popolo saranno forse ovvie a qualcuno di voi. Ciò nonostante ho voluto
spiegare le mie motivazioni sotto forma di una lettera indirizzata ai
miei
superiori militari (...)». E conclude: «Vi prego di far circolare queste
informazioni il più possibile. Voglio farvi sapere che sono forte, e
che vi
ringrazio per il vostro sostegno. Shalom,Yigal». La lettera di Ygal
Bronner
è introdotta dalla citazione dei versi di Bertolt Brecht: « Generale il
tuo
carro è un veicolo potente,/ abbatte foreste, schiaccia cento uomini./
Ma
ha un sol difetto:/ ha bisogno dell'autista».
Vi prego di inviare lettere di protesta a favore degli obbiettori a:
Ministry of Defence, 37 Kaplan St., Tel-Aviv 61909, Israel. E-mail:
mailto:sar@mod.gov.il or mailto:pniot@mod.gov.
il Fax: 00972-3-696-27-57 / 00972-3-691-69-40 / 00972-3-691-79-15.
Un altro indirizzo utile per inviare copie è quello del «Military
Attorney
General»: Brig. Gen. Menachem Finklestein Chief Military Attorney
Military
postal code 9605 IDF Israel
Fax: 00972-3-569-43-70
QUATTRO. Intervento di Fatwa Barghouti a Social Forum Europeo
Fatwa Barghouti, attivista per diri
el Consiglio Legislativo Palestinese e
Segretario Generale di Al-Fatah in Cisgiordania.
a cura di infopalestina
Firenze 07.11.2002
Cari amici,
vorrei iniziare ringraziandovi per avermi dato l'opportunità di
parlarvi oggi. A dire la verità, sono orgogliosa di essere qui oggi per
portare il messaggio, non soltanto di mio marito, Marwan Barghouti,
attualmente detenuto nelle prigioni israeliane, ma anche quello di
altri 8.000 palestinesi detenuti in varie prigioni israeliane.
Vorrei iniziare condividendo parte della mia realtà. Ogni giorno, il
mio figlio più giovane, Arab, che ha dodici anni, mi chiede di suo
padre. Le sue domande sono semplici, e nello stesso tempo molto
difficili da rispondere. Una delle più frequenti è: "Quando torna Abui
(mio padre)? Francamente questa è una domanda alla quale io non posso
rispondere, e spesso mi chiedo come se la cavano le altre 8.000 madri.
Il caso di Marwan Barghouti non è individuale, piuttosto è il caso di
8.000 Palestinesi prigionieri, ed anche il caso di una intera nazione.
Marwan nacque nel villaggio di Kubar, vicino a Ramallah, nel 1959,
durante il periodo dell'occupazione della Palestina. Come tutti gli
altri, fu entusiasta e patriottico sulla liberazione della sua terra
dall'occupazione. Per questo è stato nelle prigioni israeliane molte
volte e venne espulso per sette anni e mezzo dalla sua terra.
Nonostante ciò mio marito ha il sogno di una Palestina indipendente
basata sulla legge, sulla democrazia e sull'istruzione. E, quando
questa opportunità si presentò, l'afferrò con entrambe le mani.
Quando iniziò il processo di pace, il sentimento generale era quello
del compromesso, e Marwan usava dire che anche se le condizioni erano
dure da accettare, stavamo costruendo il futuro dei bambini di
Palestina. Israele ci ha fatto pagare un prezzo davvero alto, ma Marwan
accettò la sfida della pace ed invitò i suoi compagni palestinesi a
dare una possibilità alla pace. Non solo, ha anche partecipato,
personalmente,
ò
mancava un partner per la pace e questo ha portato alla rivolta, che
noi chiamiamo INTIFADA.
La brutale reazione israeliana alla presente Intifada ha portato
all'uccisione di più di duemila Palestinesi, di cui,
approssimativamente, l'85% sono civili. Inoltre decine di migliaia di
palestinesi sono stati feriti. Questi palestinesi sono stati uccisi ai
check points che dividono la nostra terra. Essi sono stati uccisi da
brutali incursioni nelle nostre città e villaggi da pesanti carri
armati e da bombardamenti di apaches e di F16.
Lo scopo dell'attuale Intifada è di stabilire la libertà e
l'indipendenza del popolo palestinese i cui diritti umani sono stati
violati sistematicamente giornalmente. I checkpoints israeliani eretti
tra le città palestinesi sono lì per umiliare il popolo palestinese. I
soldati israeliani che controllano questi chechpoints sono maestri di
umiliazioni indiscriminate. Uomini anziani e malati, bambini e donne
incinte devono sottoporsi alle loro così dette procedure di sicurezza.
Così molte madri palestinesi hanno dovuto partorire ai check points, ed
una gran parte di esse sono morte o hanno perso i loro neonati. Ciò che
Israele sta cercando di fare è di spingere il popolo palestinese
sull'orlo. Il 70% dei palestinesi vive ora al di sotto della soglia di
povertà, ed una simile percentuale sono disoccupati. Perciò i
palestinesi stanno perdendo la speranza per un futuro di pace.
Nel mezzo di tutta questa sofferenza, Marwan Barghouthi, un membro
eletto del Consiglio Legislativo Palestinese e Segretario Generale di
Fatah in Cisgiordania fu rapito dalle zone autogovernate palestinesi.
Arrestando Marwan e processandolo è una tremenda violazione delle leggi
internazionali, delle convenzioni e delle norme.
Primo, Marwan fu rapito ed arrestato da una zona considerata dagli
accordi di Oslo essere una zona autogestita. Secondo, Israele ha
trasferito Marwan nei suoi territori, e ciò è una violazione della
quarta Convenzione di Ginevra. Terzo e più
tto processo in un tribunale che non ha la
giurisdizione di condannare i rappresentanti, i parlamentari ed i
combattenti per la pace del popolo palestinese.
Marwan ha sofferto 100 giorni successivi di interrogatori intensi e di
torture impietose da parte dei suoi carcerieri israeliani. Durante gli
interrogatori, hanno usato vari mezzi di crudeltà fisici e psicologici.
Lo hanno privato del sonno e gli hanno inflitto un tipo di tortura
chiamato SHABEH. Ciò vuol dire che è stato costretto a sedere su una
sedia bassa con le mani dietro la schiena per lunghe ore. Nonostante
ciò, il messaggio di Marwan per voi e che egli è ancora paziente,
tranquillo e rifiuta ancora l'occupazione. Si rifiuta di cooperare,
nega la legittimità dei tribunali israeliani e continua a dire che egli
è un combattente per la libertà un uomo di pace e di giustizia per
tutti i popoli e nazioni. Vi dice che continuerà a lottare per la
libertà della sua nazione e spera che un giorno questi popoli
abiteranno in pace l'uno con l'altro.
Nella sua apparizione in un tribunale israeliano, Marwan ha alzato
entrambe le mani legate con catene di ferro ed ha riepilogato la sua
scelta politica dicendo che non c'è altra soluzione, ma per la
costruzione di uno stato palestinese, a fianco di quello israeliano e
che Israele non avrà pace e sicurezza finché non ne avrà il popolo
palestinese. I tribunali israeliani sono un'altra faccia
dell'occupazione. Potete immaginare che i tribunali di una potenza
occupante siano giusti ed equi verso il popolo che essi condannano?
Come può essere giusta questa occupazione che uccide, rovina, ed umilia
il nostro popolo? Può mai un'occupazione essere giusta ed equa? Perciò,
miei cari amici, abbiamo deciso di rifiutare questo processo a Marwan
Barghouthi poichè rappresenta un processo a tutto il popolo
palestinese. Israele sta cercando di attaccare la legittima resistenza
all'occupazione definendola terrorismo.
Infine, vi chiedo in nome di tutto il libero genere umano, di
e di chiederne la fine. Mi
rivolgo a voi perché siate solidali con il popolo palestinese che vuole
vivere in pace ed in sicurezza che gli è stata negata per 54 anni.
Mi rivolgo a voi perché lavoriate con alla costruzione di una nazione
che sia orgogliosa della sua civiltà, del raggiungimento delle sue
risorse umane ed intellettuali.
Vi chiedo di stare dalla parte dei miei bambini e mia per fare
pressione sull'autorità israeliana affinché ci permetta di fare visita
a Marwan - non ci è stato permesso di farlo da quando è stato
arrestato. Vi ringrazio della solidarietà con i gruppi che erano
presenti al primo processo di Marwan, e mi rivolgo a voi, e a tutti gli
europei di cercare di essere presenti al prossimo processo, che ci sarà
nelle prossime settimane. Vi prego di essere lì per Marwan.
Il mio ultimo messaggio è di speranza. Spero di vedervi presto in
Palestina. In una Palestina in cui tutti noi siamo liberi, in cui le
prigioni saranno svuotate dai loro prigionieri politici ed in cui i
mariti, le mogli, i figli, le figlie saranno uniti alle loro famiglie.
GRAZIE
Fatwa Barghouti
CINQUE. Ascanio Bernardeschi, Souvenir di Betlemme
Nella settimana dal 13 al 20 aprile 2002 una delegazione di 39
amministratori locali, in rappresentanza di 25 enti italiani, tra
comuni,
province e regioni, è stata in Israele ed in Palestina a
fare "diplomazia
dal basso". La missione era organizzata dal Coordinamento degli Enti
Locali
per la Pace di Perugia, aderente al Tavolo della Pace, ed aveva la
delega
dell'ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), dell'UPI (Unione
Province Italiane) e della Federazione Mondiale delle Città Unite.
Ascanio
Bernardeschi, che faceva parte della missione in rappresentanza della
Provincia di Pisa, ha annotato in un diario, giorno per giorno, il succo
degli incontri con le diverse personalità, delle avventure, delle
impressioni personali ricevute visitando "quell'immenso lager che è la
Palestina".
Si tratta si un resoconto "a caldo, senza
forma". Ne guadagna l'immediatezza della comunicazione, molto diretta
ed
essenziale. Il libro costituisce anche una testimonianza che le
istituzioni
non sempre sono "lontane dalla gente, come un mondo senz'anima, sospeso
nel
cielo dell'amministrazione, e che è possibile un modo diverso di fare
politica, fatto di passione e voglia di mettere un granello di sabbia
nell'ingranaggio della guerra".
In quella settimana si consumavano in Palestina eventi storici di
rilievo:
l'occupazione generalizzata della Cisgiordania, la visita del
negoziatore
USA Powell, l'assedio del quartier generale di Arafat a Ramallah e della
Chiesa della Natività a Betlemme, i primi coprifuoco nella stessa
Gerusalemme, mentre era ancora freschissimo l'orrore per le stragi di
Jenin
e Nablus. Una settimana a diretto contatto con suoi protagonisti,
raccontata da chi "ha avuto il privilegio di essere testimone di uno
spaccato importante di questa fase storica", in cui l'agenda dei più
potenti ha al primo posto la guerra infinita.
Nel corso della missione sono state incontrate personalità di primo
piano
quali il Patriarca di Gerusalemme, l'ambasciatore ed il console
Italiano,
rappresentanze di enti locali israeliani e palestinesi, i sindaci di
Betlemme e Gaza, il Presidente del Consiglio legislativo (il
parlamentino
palestinese) il Custode francescano di terra Santa, il Nunzio
Apostolico,
parlamentari israeliani sia ebrei che arabi (Yossi Beilin, Azmi
Bishara),
associazioni pacifiste palestinesi ed israeliane, dalle più radicali
alle
più moderate, intellettuali e studiosi (Zvi Shouldiner, Sara Nusseibeh),
autorità sanitarie. Di questi incontri viene presentato un resoconto
piuttosto dettagliato, in cui gli interventi sono riportati con sforzo
di
fedeltà. Il che consente di farsi un'idea della varietà delle posizioni
in
campo, anche se l'autore ammette la parzialità del suo
contributo, "dalla
parte del popolo palestinese oppresso". Dalle testimonianze emerge
anche un
quadro di assoluta eme
di distruzione dei servizi
essenziali e delle infrastrutture civili palestinesi.
Per poter parlare con alcune personalità nei territori occupati, o più
semplicemente per portare la solidarietà alle popolazioni, è stato
necessario entrarvi clandestinamente, in alcuni casi in maniera
avventurosa. Il racconto descrive anche, all'interno della tragedia
palestinese, vicende umane singolari dei protagonisti: lo stato di
tensione
in un campo profughi di Gaza, il colloquio telefonico di un giovane
amministratore con la sua donna, sotto il cannone puntato di un carro
armato, l'unico souvenir disponibile a Betlemme, città della natività e
della pace: un bossolo di proiettile, da cui il titolo del libro.
Fa da prefazione al libro un intervento al parlamento europeo di Luisa
Morgantini: una testimonianza appassionata del dramma mediorientale, un
pianto ed un lucido appello in favore dell'unica soluzione possibile
per la
sicurezza di tutti, il ritiro dai territori occupati.
Gian Piero Migliorini editore, agosto 2002, edizione economica E 8,00,
edizione con gadget, che simboleggia il souvenir di Betlemme, E 10,00.
Spese di spedizione E 1,00
Per ordinazioni a.bernardeschi@sirt.pisa.it
ASCANIO BERNARDESCHI è nato nel 1947 a Volterra.
Impegnato fin da giovanissimo nelle file del Pci, è stato consigliere
comunale dal 1970 al 1974 e Presidente del Distretto scolastico di
Volterra
negli anni '80.
Con lo scioglimento del Pci, ha aderito al movimento per la rifondazione
comunista e poi al Prc, di cui è stato suo primo segretario di Volterra.
Ha collaborato con i movimenti locali per la pace e per l'ambiente, tra
cui
l'Associazione per la pace Ernesto Balducci, il Comitato per la Difesa
della Val di Cecina e il Forum Sociale di Volterra.
Dal 1999 è consigliere provinciale a Pisa e in tale veste presiede la
Commissione Consiliare Affari Istituzionali e Garanzia.
Lavora al Comune di Volterra dal 1975.
SEI. Una campagna di solidarietà politica ed economica per la
vendita dell’olio palestinese.
raccolta delle olive
alla quale ha partecipato un gruppo di attivisti
internazionali intervenuti a protezione dei contadini nelle
zone più a rischio perche’ poste vicino agli insediamenti
colonici israeliani.
La Palestina produce negli anni favorevoli (uno su due)
circa 30-35.000 tn di olio, negli anni negativi circa 7-
8.000 tn che rappresentano il consumo interno.
Quest'anno si prevede che la produzione sarà di 35.000 tn e
quindi i Palestinesi devono trovare il modo di esportare
il surplus, che prima dell'intifada veniva assorbito da
Israele e dai paesi del golfo.
Ora il problema è quello di chiudere il cerchio della
solidarietà internazionale: l'olio prodotto in palestina
deve trovare uno sbocco sui mercati europei e in
particolare sul mercato italiano. Comperare olio
palestinese dovrà diventare un atto politico di sostegno
alla lotta delle donne e degli uomini di Palestina.
L'olio palestinese, che costa $ 4500 alla tonnellata, è
molto più caro di quello prodotto negli altri paesi del
vicino oriente come la Turchia, la Siria e il Libano.
Il maggior costo dell’olio palestinese è dovuto ad una
serie di concause quali le enormi difficoltà di trasporto e
l'alto costo dell'energia, e della vita in genere, nei
territori occupati.
La campagna per la promozione, l'importazione e la vendita
dell'olio palestinese deve diventare quindi una campagna di
solidarietà politica con il popolo palestinese, la
necessaria continuazione della campagna per la raccolta
delle olive di cui hanno parlato alcuni media.
Abbiamo incontrato Saleem abu Ghazalah responsabile
marketing dei prodotti agricoli palestinesi per il PARC
(Palestinian Agricultral Relief Committee).
Il PARC è un'organizzazione no profit che opera nel campo
dello sviluppo rurale, della protezione ambientale e della
valorizzazione del ruolo e dello status delle donne nelle
campagne.
Tramite CTM Altromercato il PARC esporta in Italia il cous
cous, le mandorle e si propone anche di esportar
oltre il PARC si occupa del trasporto, della
lavorazione e del packaging (in fusti da 17.5 litri) e
della spedizione via mare dell'olio proveniente dai
raccolti dei contadini poveri, o i cui oliveti sono in
zone minacciate dai coloni, o che hanno subito perdite -
familiari caduti, feriti o imprigionati - a causa
dell'occupazione israeliana.
Saleem, che conosce molto bene l'Italia per esserci stato
più volte negli ultimi mesi, ci ha fornito alcuni dati
importanti per il lancio della campagna per l'olio della
Palestina:
· l'olio prodotto in Palestina costituisce circa il
1% di tutta la produzione mondiale.
· il PARC si propone di esportarne 5.000 tn.
· vista la piccola quantità l'olio palestinese non si
pone per nulla in concorrenza con quello prodotto da altri
paesi del Mediterraneo, per fare un esempio quest'anno la
produzione italiana è prevista in 300 milioni di
tonnellate e quella tunisina in 500 milioni di tonnellate.
· la Palestina partecipa al Mediterranean Trade
Agreement della Unione Europea, ma l'olio è escluso
dall'accordo, pertanto su ogni chilo di olio esportato i
produttori pagano una tassa di circa un dollaro.
· il prezzo dell'olio all'ingrosso dovrebbe essere di
circa 6 dollari al chilo, tasse incluse.
· il ricavato della vendita dell'olio viene
destinato dal PARC ai contadini, a rifornire i campi
profughi e ad aiutare le ragazze delle campagne a
proseguire gli studi fino all'università.
· e' già in atto un'esperienza molto positiva in tal
senso con la Svizzera dove l'olio viene importato al prezzo
di $ 5 al chilo, imbottigliato da una cooperativa di
ragazzi disabili e posto in vendita al prezzo di $ 13 alla
bottiglia da mezzo chilo.
E’ quindi un dovere, un dovere morale e politico, un dovere
di quanti sono dalla parte del movimento di liberazione
nazionale palestinese, contribuire alla campagna in corso
di definizione:
· per la promozione, l'importazione e al vendita a
prezzo politico dell'olio palestinese attraverso
o equo e solidale
· per l’abolizione della tassa europea sull'olio
proveniente dalla Palestina
Adriana Redaelli, Alfredo Tradardi
Ramallah, 10 novembre 2002
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