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Il terrorismo in MO spiegato in due articoli
Il terrorismo spiegato in due articoli
Terrorismo, ecco la parola chiave per comprendere in quali acque si naviga
quando si legge un articolo. Il contesto e il modo in cui viene utilizzato
questo termine spiega infatti molte cose. Intanto ci informa sull'autrice
dell'articolo uscito il 28 ottobre sulla Stampa dal titolo "A Jenin la
fucina dei terroristi"
(http://www.lastampa.it/edicola/sitoweb/Esteri/art12.htm) e che si definisce
"inviata a Jenin". Ma essere inviati a Jenin significa raggiungerla a bordo
di un taxi collettivo palestinese che proviene magari dalla martoriata
Nablus, significa parlare con la gente, condividere il terrore di passare
quel maledettissimo check point dove a farla da padroni sono i coloni che
supportano le azioni militari di Tzahal, chiamate di antiterrorismo
ovviamente. Essere inviata a Jenin non significa di certo arrivarci dopo
aver preso appuntamento con i soldati. Chi ha scritto si comporta piuttosto
come un inviata del media center israeliano quello che a suon di retorica
cerca di convincere la stampa mondiale che Israele è costretto ad attaccare
i campi profughi e a compiere azioni militari sui civili perché "Israele ha
il diritto a difendersi". Sia per questa ragione o a causa di una totale
mancanza di realismo ma la suddetta inviata sembra non afferrare tante cose.
La vita a Jenin per esempio, ma anche cose elementari come quella secondo
cui se Israele volesse davvero difendersi e tenesse tanto alle vite degli
israeliani i suoi carri armati li avrebbe posizionati almeno sulla linea
verde, e non si ostinerebbe a occupare militarmente le città e i villaggi
palestinesi, con violenza, seminando panico e terrore tra la popolazione.
Questo articolo è molto significativo in fondo per tante ragioni e anche per
lo stile, un misto di paternalismo e sentimentalismo razziale.
Ma la cosa più importante sono le omissioni.
Jenin, la città degli angeli, di occupazione ne conosce una sola: quella
perpetrata dalle truppe israeliane di occupazione. Dire che Hamas e Jihad
occupano il campo ha il sapore della propaganda. Non mi dilungo a spiegare
ma per capire meglio è come se i nazisti avessero dichiarato che era
necessario liberare la romagna dall'occupazione dei partigiani!! Il paragone
sta tra i partigiani e i combattenti palestinesi, ovviamente.
I martiri sono per i combattenti palestinesi quello che era per i cristiani
il sangue nelle arene, più l'esercito israeliano li uccide o li deporta
(senza prove, senza processo, senza pietà) più cresce la rabbia e
l'autodeterminazione di un popolo a resistere, a combattere. Oggi questo
piccolo e grande diritto sancito dalla Carta internazionale dei diritti
dell'Uomo, cioè il diritto a combattere e a organizzarsi per liberarsi
specie da colonialismo e sfruttamento razziale è un diritto calpestato e non
riconosciuto, travisato con la parola terrorismo. Quello che sfugge alla
sedicente inviata è il contesto. America e Israele stanno appoggiando il
progetto per la creazione forzata della grande Israele dove la vita del
popolo palestinese possa essere ridotta a piccoli bantustan poverissimi,
bacino non più di terrore come dicono loro, ma di braccia, di lavoratori da
sfruttare e per dirla con Chomski di extraterritorialità economiche (come
quelle realizzate dagli USA in sud America) per tenere in scacco i
lavoratori e i sindacati israeliani.
Quello che si prospetta nelle parole di questo articolo di bassissimo
profilo è il sostegno alla pulizia etnica, la negazione dei diritti
elementari di un popolo denominato terrorista punto e basta. In tutto
rilucono le figure di questi soldati benevoli, magari gli stessi che hanno
guidato i D10 durante l'assedio di aprile spianando la macerie delle case
crollate sotto i bombardamenti e il tritolo, con le persone ancora
all'interno, prassi per altro sempre più normale nei confronti dei
palestinesi. Questi soldati "innocenti" sono ben diversi da quei soldati che
vengono sistematicamente censurati e che si rifiutano di servire
nell'esercito israeliano e nei Territori Palestinesi Occupati perchè non
vogliono essere responsabili di crimini di guerra, parole loro.
L'enumerazione dei soldati uccisi da parte dell'inviata a Jenin infine
trascura il fatto che andare in guerra e occupare militarmente significa
uccidere ed essere uccisi. Ma la cosa più sconcertante è la descrizione
della popolazione di Jenin che appare razzisticamente parlando come un
ammasso di umanità dove i ragazzini tirano le pietre ai tank per passare il
tempo ed eludere i problemi familiari. Ma stiamo parlando di Jenin, di un
villaggio che certo prima dell'Intifadah aveva grossi problemi ma che ancora
non era stato messo in ginocchio in questo modo dalle incursioni israeliane.
Il problema di Jenin sono proprio tutti quegli alberi da frutta, tutto quel
verde che è quasi un insulto in una terra predesertica. La terra del latte e
del miele mi disse N. mentre ci recavamo insieme in un villaggio vicino per
prendere sua moglie e i suoi due bambini, scappati da una Jenin ancora sotto
assedio, senza acqua e cibo né soccorsi da un eternità... la terra del latte
e del miele...
Ed'è per questo che gli israeliani non vogliono rinunciare alla
colonizzazione di Jenin e Nablus proprio per le loro risorse d'acqua e per
proteggere quelle maledette colonie, cresciute come funghi in un progetto
che dura dagli anni settanta, sempre e ancora appoggiato dagli Stati Uniti e
realizzato da tutti i governi israeliani, dai labour ai likud, anzi meglio i
primi dei secondi.
Ma la cosa più grave è che solo in questi ultimi due mesi l'esercito
israeliano ha ucciso a sangue freddo moltissimi bambini e ragazzini
palestinesi che tiravano le pietre ai carri armati. Gli internazionali
dell'International Solidarity Movement che a settembre si erano spostati a
Jenin scrivevano di un deliberato attacco ai bambini da parte dei soldati e
così tra i tanti orrori che vive questa terra chiamata Palestina ci sono
stati due funerali di morti bambini portati sulle lettighe da bambini, anche
la Rai ha trasemsso queste immagini, su blob ovviamente.
I ritratti dei martiri a Jenin sono sempre più giovani, dei martiri
"terroristi locali" come scrive la nostra cara pseudo inviata, denunciando
un discreto fondamentalismo bellico quando approva le operazioni militari
israeliane operate sui civili. Qualunque strategia Israele voglia adottare,
sia quella di scudo di difesa ad aprile con l'attacco deliberato ai campi
profughi e alle città, ma che non piace tanto ai benpensanti occidentali,
sia l'opzione di operare attraverso azioni di rastrellamento casa per casa,
stiamo comunque parlando di deliberati attacchi sui civili vietati dalla IV
convenzione di Ginevra.
L'esercito continua a tenere in scacco tutto il popolo palestinese convinti
di riuscire a piegare l'Intifadah, la resistenza, e si sa che l'Autorità
nazionale palestinese è stata smantellata da Israele e Stati Uniti perché
Arafat non si è mai definitivamente posto contro la rivolta popolare. Dietro
i dinieghi americani dello scorso anno "Arafat non fa abbastanza per fermare
i suoi, per smantellare il terrorismo..." c'era il monito americano che
sottolineava come Arafat non stesse rispettando le clausole degli accordi
segreti stipulati a Oslo o in precedenti dichiarazioni, cioè quella di
ridurre i palestinesi a una massa di schiavi consenzienti. Ma Arafat
ingenuamente deve aver pensato che era meglio un finto processo di pace del
nulla totale. Ad ogni modo è stato punito e Israele da gennaio in poi ha
distrutto tutto quello che era stato costruito da Oslo in poi, riducendo il
vecchio leader a uno dei tanti combattenti senza armi, a un "terrorista"
minore che comunque stando a quello che dice Sharon dovrebbe essere
espulso..."che se lo vada a fare in Giordania il suo stato palestinese!".
E dulcis in fundo l'immagine di questa soldatessa che è costretta a sorbirsi
l'odio degli shebab palestinesi per il fatto di occuparli militarmente, con
la chiusa: Ma abbiamo un'altra scelta?, mi fa venire in mente quello che i
palestinesi mi urlano in faccia con rabbia ogni volta che mi trovo a doverli
intervistare mentre raccattano su pezzi di cadavere di martiri uccisi dai
missili che gli americani vendono agli israeliani negli omicidi
extragiundiziali. Mi dicono: vuoi sapere chi sono i terroristi? (l'anno
scorso invece si impegnavano a dirmi: noi non siamo terroristi!) E
aggiungono senza aspettare una risposta: siamo noi i terroristi e allungando
lo sguardo mi indicano una popolazione stremata, donne che urlano di dolore,
bambini che sguazzano nel sangue e gridano Allahu akbar e mi viene da
gridare pure a me, Allauh akbar per tutta quella disperazione che sappiamo
bene dove andrà a finire. Andrà a finire nella testa di qualcuno che
accettarà di morire perché purtroppo nella spirale di azione e reazioni
creata, voluta e supportata da Sharon, gli attentati sono l'unico deterrente
che i palestinesi possiedono, oltre che l'unico modo per far tornare sulle
prime pagine la loro tragedia. Allora trattengo il fiato. E' d'obbligo,
tutti lo fanno. Passano giorni di silenzio ma il silenzio come mi scrive il
mio amico Q. è solo il tempo che intercorre prima di un altra terribile
atrocità. Nessuno sa dove e quando ma tutti sappiamo che succederà e quando
l'attentato arriva si trattiene il fiato ancora di più perchè tutti sanno
che arriveranno le rappresaglie sulla popolazione civile, che colpirà a
caso, vendicando i morti israeliani e parlando di operazioni antiterrorismo
mirate, ma di mirato non c'è nulla a parte la distruzione di vite
palestinesi, dei migliori di noi, mi dice sempre Q.
E anche tra gli israeliani a volte se ne vanno i migliori come è successo
nell'attentato all'università Ebraica dove è morta una militante di Gush
Shalom. C'è solo un responsabile di tutto questo sangue e si chiama
occupazione militare, un mostro che qualcuno sta cercando da 54 anni di
legittimare, senza successo e per questo ci si deve appoggiare alla
propaganda che vuole mostrare i palestinesi come terroristi che attaccano
uno stato democratico chiamato Israele. Ma oggi anche questa svista storica
è stata messa in luce da tanti. A dirla tutta i palestinesi hanno firmato a
Oslo un accordo che riconosce Israele all'interno dei confini del 1967 e
prima ancora Nasser lo riconobbe come stato, per amore di pace. Il problema
vero è: come si dovrebbe chiamare un entità militare iniettata nel cuore del
mondo arabo con la forza per rispondere a un progetto coloniale? E che cosa
stanno facendo oggi gli israeliani per costruire una convivenza pacifica con
i legittimi abitanti della Palestina? E' possibile pensare che uno stato
confessionale ebraico possa davvero dare a russi e americani il diritto di
continuare a rubare la terra dei palestinesi?
Solo quando gli israeliani riconosceranno i diritti del popolo palestinese a
cominciare dalla Nakba potrà esserci pace e magari due stati per due popoli
oppure un unico stato binazionale con diritti uguali per tutti... chissà ma
intanto guerra di occupazione, odio, ciclo di vendette, sangue continueranno
supportati anche dalla propaganda di questi giornalisti che sono convinti di
fare gli interessi di Israele ma che in fondo lo danneggiano attraverso
l'incoscienza sulla complessità dei problemi, la noncuranza rispetto agli
effetti devastanti che le azioni militari generano anche a lungo termine.
redazione information guerrilla
http://www.informationguerrilla.org