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Quando Dio arma gli eserciti (Umberto Galimberti)
da Associazione Partenia partenia@libero.it http://utenti.tripod.it/partenia
articolo del filosofo U. Galimberti scritto dopo l'11 settembre attuale in
questi giorni.
Quando Dio
arma gli eserciti
di UMBERTO GALIMBERTI
VORREI spendere una parola inutile contro la guerra che l' Occidente sembra
apprestarsi a scatenare contro il mondo dell'Islam. "Inutile" perché è noto
a tutti quanto gli strumenti della ragione siano deboli contro la potenza
dei singoli che annullano le differenze, infiammano i cuori, dopo avere
assopito o addirittura ottenebrato le menti. La storia umana è uscita dalla
dimensione simbolica solo da due secoli e limitatamente all'Occidente, che
con l'illuminismo ha promosso il primato della ragione e quel suo
corollario che è l'ateismo, essendo Dio il fondamento di ogni dimensione
simbolica.
Prima di allora la "guerra santa" o, come dicono gli arabi la "jihad" , era
comune tanto al mondo islamico quanto all'Occidente cristiano, e affondava
le sue radici nell'antica cultura ebraica, il cui Dio era un dio di guerra,
capace di scatenare venti e tempeste, tuoni e fulmini, calamità di ogni
genere in aiuto alle genti poste sotto la sua protezione, aggiungendo alla
confusione del campo di battaglia quello delle potenze naturali,
controllate dalla sua soprannaturale potenza.
La "guerra santa" ebraica finì nel '70 dopo Cristo con la distruzione del
tempio di Gerusalemme, ma a raccogliere l'eredità fu il Cristianesimo che
già con l'Apocalisse di Giovanni riesuma l'iconografia della guerra santa
per la raffigurazione di Cristo, cinto di una corona d'oro, nella mano una
falce affilata, con un angelo ai suoi ordini, per fare vendemmia della
terra e depositarla nel torchio dell'ira divina (Apocalisse 9,19).
Il Cristianesimo diverrà religione dell'Occidente sotto il segno della
guerra quando Costantino vide nel sole di mezzogiorno qualcosa che
assomigliava al segno della croce: "In hoc signo vinces" . Con quel segno
si convertirono in seguito le popolazioni del nord, dette "barbari" , che
invadevano l'Impero romano, sotto quel segno si riunirono le truppe di
Carlo Magno che diedero origine al Sacro Romano Impero separato dall'Impero
d'Oriente di fede ortodossa e dall'Islam che aveva fatto la sua comparsa
nel VII secolo in Arabia Saudita con Maometto.
Maometto non ripudiava né la rivelazione ebraica né quella cristiana,
rivendicava tra i suoi predecessori il patriarca Abramo, distruttore di
idoli e adoratori di Allah, solo insisteva sul carattere definitivo della
sua rivelazione rispetto a quella ebraica e cristiana, negando la
proclamata divinità di Gesù Cristo.
L'allora mondo conosciuto si divise in tre parti: l'Ortodossia occupò, a
partire da Costantinopoli, il mondo slavo, mentre nel Mediterraneo rimasero
a contendersi le terre l'Islam e il Cristianesimo, entrambi a colpi di
"guerre sante" o come da noi si diceva "crociate" , dove gli arabi
distinguevano la terra della pace (dar alIslam) dalla terra della guerra
(dar alharb), a cui corrispondeva da parte cristiana la terra dei fedeli
(partes fidelium) da quella degli infedeli (partes infedelium).
Questa mentalità, nel mondo cristiano non si estingue con il Medioevo, ma
inaugura l'età moderna con Cristoforo Colombo che nel suo "Giornale di
bordo" precisa gli obiettivi della sua avventura. Il primo è quello di un
figlio devoto della cristianità che vuol salvare il mondo portando il
battesimo ai pagani. Il secondo è quello in cui il mondo moderno si
riconoscerà: riportare in patria tanto oro ( "il Signore nella sua bontà mi
faccia trovare questo oro" , 23 dicembre 1492). Costo dell'operazione:
quella "moltitudine di ignudi e indifesi" , come li chiama Colombo nel suo
Giornale di bordo, erano sette milioni al suo arrivo e saranno appena
quindicimila sedici anni dopo.
Esportare battesimi e importare ricchezza è stato il senso di questa guerra
santa cristiana, e insieme, pur nel mutar dei nomi e delle forme, il senso
della "modernità" , avanzata a colpi di colonialismo prima territoriale e
oggi economico.
Da questo breve excursus storico appare evidente che la "guerra santa" o
"jihad" non è una prerogativa del mondo islamico e neppure un'arretratezza
medioevale (dal momento che percorre l'intero arco della storia moderna),
ma è un tratto tipico delle religione monoteiste, che in buona fede,
trovano in Dio la giustificazione dei delitti più esecrabili compiuti in
suo nome. Nulla allora di più benefico della "morte di Dio" proclamata da
Nietzsche e anticipata un secolo prima dall'ateismo illuminista.
Una morte (e qui bisogna che si presti una grande attenzione) che non
lascia solo orfani ma anche eredi. E tra gli eredi non fatichiamo ad
annoverare quanti, lasciata alle spalle la "guerra santa" , oggi approdano
alla "guerra giusta" . Dove la nozione di "giustizia" , tra due contendenti
senza un arbitro, difficilmente si scosta dalla nozione di "vendetta" , che
attorciglia la storia in una spirale i cui risvolti tragici nessuno fatica
a immaginare.
Israeliani e palestinesi, nel loro piccolo, ci hanno già raccontato il
futuro. Un esercito tra i più attrezzati del mondo e una povertà tra le più
disperate del mondo da cinquant'anni sono l'uno nelle mani dell'altro. Se
questo decidiamo sia il nostro futuro, non abbiamo che da seguire
passivamente la storia.
L'Islam è ancora immerso nella dimensione simbolica, la più terribile,
perché i simboli lavorano con la legge del tutto o nulla, categoria
religiosa che prevede solo salvezza o dannazione. L'Occidente è appena
uscito dalla dimensione simbolica ed è approdato all'uso illuministico
della ragione, non grazie al Cristianesimo che parla di pace senza avere le
carte in regola, ma grazie alla scristianizzazione dell'Occidente, che,
lasciate alle spalle le figure apocalittiche della fede, ha incominciato a
frequentare i percorsi più angusti, più modesti se si vuole, ma più
efficaci della ragione che, senza una verità precostituita alle spalle, non
dimette il lavoro duro della ricerca e della comprensione.
Ora è necessario che l'Occidente non rinneghi se stesso e gli strumenti
razionali che ha faticosamente guadagnato nel corso della sua storia, e non
ripiombi nel simbolico e nella violenza che sempre accompagna questa
dimensione, per la quale il bene sta tutto da una parte e il male
dall'altro: "O con noi o contro di noi" come inopportunamente dice il
presidente Bush con chiaro riferimento alla lettera e allo spirito biblico
madre e padre di tutte le "jihad" .
La cristianità teocratica del Medioevo da un lato e la teocrazia islamica
dall'altro avevano trasmesso alla "modernità" il loro paradigma
universalistico. In forza di un privilegio stabilito da Dio toccava
all'Islam su un versante e alla cristianità sull'altro difendere le proprie
forme culturali fino ai confini della terra. L'Islam è rimasto prigioniero
di questa vocazione.
Non vorrei che l'Occidente, che ritiene di essersene liberato, grazie al
processo di scristianizzazione che nel suo seno è in corso da due secoli,
oggi non riprenda, sotto nuove forme e nuovi metodi, la vocazione
messianica in cui è cresciuto per diciotto secoli. E con la forza delle
armi e del denaro scelga, di fronte a un'aggressione terribile, la via
della distruzione e dell'integrazione, proponendo se stesso come "totalità"
, invece di cogliere la possibilità di crescita umana implicita nel
confronto con la "diversità" .
Ogni tanto la storia si incarica di rendere la soluzione dei problemi non
più rinviabile. E chiede una scelta. Per quanto riguarda noi occidentali la
scelta è se proseguire, sia pure in forme laicizzate, la vocazione
messianica che fa coincidere l'Occidente con la totalità umana, o se invece
non è meglio percorrere l'altra via che visualizza l'Occidente come una
parte nell'orizzonte più ampio della totalità umana.
Nel primo caso quel che seguirà ai preparativi bellici che l'Occidente sta
approntando, anche se non sarà chiamata "guerra santa" , in nulla si
distinguerà da una vera e propria "jihad" , perché quando il bene è tutto
da una parte e il male tutto dall'altra il simbolico ha già fatto il suo
lavoro più importante e devastante, e l'Occidente avrà rinunciato alla sua
prerogativa, che è poi quella dell'uso costante della ragione, da
salvaguardare ogni giorno dalla potenza devastante dei simboli che, sotto
la protezione delle religioni, ancora regola gran parte dell'umanità. E gli
effetti, non da oggi, sono sotto gli occhi di tutti
La Repubblica, 25-9-01