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IL MOVIMENTO ANTI LIBERISTA E LA SCELTA NON VIOLENTA



									Milano, 29 ottobre 2002

IL MOVIMENTO ANTI LIBERISTA E LA SCELTA NON VIOLENTA

Il Social Forum di Firenze e la manifestazione del 9 novembre contro 
la guerra offrono ancora una volta l’occasione ad un movimento ampio 
e variegato come quello antiliberista di definirsi rispetto a un tema 
centrale: violenza o non violenza.
Dopo Genova, non c’è stata alcun “esame di coscienza”, alcuna 
ammissione di responsabilità o messa in discussione delle proprie 
scelte, da parte di portavoce e dirigenti riguardo ai rapporti 
ambigui e complici con una minoranza violenta. Eppure è stata proprio 
questa resistenza a definirsi, questo rifiuto di isolare i violenti 
in nome di una supposta unità del movimento, a creare le condizioni 
perché poi si scatenasse la bestiale violenza poliziesca.
Non stiamo parlando solo dei famigerati black block, sui quali 
sussistono seri dubbi di connivenza con la polizia e ai quali sarebbe 
comunque ingenuo pensare di lanciare appelli non violenti, ma di 
frange consistenti, anche se ancora, per fortuna, minoritarie, che 
rimangono all’interno del movimento: dai centri sociali più radicali, 
a Ya basta, ai Disubbidienti di Casarini e compagni. 
Già molte volte questi prepotenti hanno imposto ad una maggioranza di 
tutt’altro avviso le loro scelte violente, spesso dettate 
semplicemente dalla volontà di protagonismo e dalla speranza di 
ottenere visibilità sui mass media, esponendo gli altri manifestanti 
al rischio di cariche e pestaggi. Sono bravissimi a presentarsi come 
i più rivoluzionari, a travestire le loro provocazioni da denuncia 
coraggiosa e a tacciare di codardia chiunque non accetti di venire 
coinvolto nelle loro guerre private contro la polizia, le “banche 
armate” o la Croce Rossa.
Peccato che non li si veda mai quando si tratta per esempio di 
condurre un lavoro difficile, umile e continuativo, lontano dalla 
luce dei riflettori, a sostegno dei diritti degli immigrati, in 
particolare quelli rinchiusi nei lager come quello di via Corelli a 
Milano.
Così pochi violenti rischiano di screditare un intero movimento, 
facendo passare l’equazione antiliberista = spaccavetrine.
Tutto questo è noto da tempo, eppure adesso, alla vigilia del Social 
Forum di Firenze, ci troviamo ancora una volta nella stessa 
situazione ambigua che ha portato ai tragici fatti di Genova.
Come umanisti, sosteniamo in tutto il mondo la necessità di opporsi 
al neoliberismo e di costruire un altro sistema, basato sui diritti 
umani e non sul profitto. Ci sentiamo dunque, almeno idealmente, 
parte del movimento che i mass media definiscono sbrigativamente “no-
global”, ma non possiamo condividere l’ambiguità che sta portando ad 
accettare la violenza come un metodo di lotta.
Negli ultimi tempi, per fortuna, altre voci oltre alla nostra si sono 
levate a denunciare questa situazione e a chiedere di isolare i 
violenti, ma gli appelli non bastano: occorre una chiara scelta di 
campo, ponendo la non violenza come discriminante e rifiutandosi di 
organizzare qualsiasi iniziativa, dai dibattiti alle manifestazioni, 
insieme ai violenti. 
Se Casarini e compagni vogliono insistere nelle loro bravate 
provocatorie, che lo facciano per conto proprio, senza nascondersi 
dietro ad una manifestazione pacifica come quella del 9 novembre a 
Firenze.
Chi sceglie la violenza non può parlare di diritti umani.
Chi sceglie la violenza non può far parte di un movimento che aspira 
a costruire un nuovo mondo, opposto al sistema inumano oggi 
dominante.