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La scommessa è la conquista di un potere....... di Harvey Wasserman



La scommessa è la conquista di un potere incontrollato.

di Harvey Wasserman

Ringraziamo Susanne Scheidt per la traduzione

9.10.2002 da CommonDreams.org

a cura del Gruppo ricerca dellâAction for Peace



Ci stiamo avviando verso le elezioni più importanti nella storia degli USA?

Con il suo discorso sulla guerra che George W. Bush sta diffondendo
attraverso la TV, egli sta coprendo ciò che oggi è la vera scommessa: il
futuro della democrazia. Non quella in Iraq: la nostra democrazia, qui,
negli Stati Uniti.  Mai nella storia degli USA siamo stati così vicini,
quanto lo siamo oggi, ad un regime a partito unico dominato da un unico
uomo, svincolato da ogni controllo. E considerando che gli USA sono l'unica
superpotenza militare del mondo, l'attuale crisi ha raggiunto proporzioni
davvero globali.

La realtà è semplice: l'ala destra del Partito Repubblicano controlla tre
dei quattro Poteri del paese e per mettere le mani anche sul quarto
rimasto, gli manca un voto solo. L'Esecutivo, il Giudiziario, i media ed il
Parlamento (Casa dei Rappresentanti) sono tutti in mano ai Repubblicani. Il
Senato sta barcollando sull'orlo dell'abisso. E la legge USA-Patriotic Act,
approvata sotto l'impatto del 11 settembre, ha azzerato la maggior parte
delle garanzie costituzionali che avevano dato a questo paese la struttura
e la consistenza di una democrazia.

Se (dalle elezioni) in novembre il Congresso passerà ai Repubblicani, non
vi sarà più alcun controllo istituzionale e non rimarrà alcun contrappeso a
garanzia che la democrazia, nata qui due secoli fa, possa sopravvivere.

Primo, i Repubblicani controllano il potere Esecutivo, conquistato grazie
ad un verdetto giudiziario con il quale, a suo tempo, si chiuse una
procedura elettorale molto discutibile e tramite esso conducono una
politica di estrema destra con tale aggressività che permette di
distanziare sempre di più l'opposizione.

Secondo, i Repubblicani controllano il potere Giudiziario che aveva
formalmente insediato Bush alla Presidenza e che attualmente è dominato da
rappresentanti dell'ala destra, molti dei quali con incarichi a vita e
venuti su già nell'epoca di Nixon.

Terzo, i Repubblicani controllano il "quarto potere" nel paese.
Praticamente tutti i media degli USA sono attualmente in mano a sei
aziende. Con qualche preziosa eccezione, non vi è alcun dibattito serio
sull'argomento centrale dal quale dipende la vita degli americani e nessuna
copertura da parte dei grandi media viene accordata al movimento per la
pace, per la giustizia sociale, per la salvaguardia dell'ambiente, dei
diritti dei lavoratori o delle minoranze, tanto per controbilanciare la
martellante crociata dei portavoce dell'ala destra.

L'unica istituzione rimasta in piedi - ma ormai barcollando - è il
Congresso. La Casa dei Rappresentanti è saldamente in mano alla Destra
Repubblicana. L'opposizione della minoranza Democratica è debole, priva di
esponenti forti e senza direzione.

Grazie alle defezioni di Jim Jeffords di Vermont, i Democratici dispongono
di una maggioranza per un solo voto nel Senato USA. E questo unico voto è
tutto ciò che separa attualmente i Repubblicani dell'estrema destra dal
dominio totale ed incontrollato del potere negli USA.

A questa pozione letale per la democrazia statunitense, si è aggiunta la
legge USA Patriot Act, approvata dopo l'11 settembre, che praticamente
azzera i diritti costituzionali, una volta ritenuti intoccabili e garantiti
dalla Costituzione.

Detto in parole povere: l'Esecutivo adesso ha il potere di definire
chiunque voglia un "terrorista", senza dover produrre alcun indizio
tangibile, ha il potere di detenere la persona definita "terrorista" senza
dover produrre alcun formale atto di accusa ne concedergli accesso alla
difesa legale e senza dovere nemmeno notificare pubblicamente l'avvenuto
arresto.

In base a ciò, centinaia di presunti terroristi, senza nomi ne volti, sono
attualmente detenuti indefinitamente a Cuba e probabilmente anche altrove,
senza alcuna possibilità di fare un ricorso legale. Se non vi si porrà un
argine, questo totale disprezzo per i diritti umani garantiti dalla
Costituzione degli USA si diffonderà inesorabilmente come un cancro alla
sostanza stessa della società americana distruggendo i principi di libertà
e del dissenso.

L'impianto dei nostri diritti fondamentali è diventato esile sotto George
W. Bush quanto lo è sotto i tanti dittatori del terzo mondo, installati dal
padre di George W. Bush quando fu direttore della CIA.

Scomparirà anche l'ultima traccia di contrappeso al potere rimasta nel
sistema, se i Repubblicani manterranno il controllo del Parlamento (Casa
dei Rappresentanti) e riusciranno a riconquistare il Senato.

Questa faccenda americana si estende su scala globale con la dichiarazione
della nuova Dottrina Bush, secondo la quale il governo USA si arroga il
"diritto" di intervenire in qualsiasi paese e di destituire qualsiasi
governo non gradito agli USA, prescindendo dai principi della sovranità dei
paesi e della legalità internazionale.

La recente escalation della retorica di Bush non ha nulla da che fare con
l'Iraq. Saddam Hussein è solo l'ultimo dei nemici di circostanza installati
dall'America. Questa isteria anti-Iraq ha da che fare con un regime USA,
non eletto, aggressivo, intenzionato a completare il golpe iniziato due
anni fa.

L'economia americana è agli stremi, le quotazioni in borsa sono in caduta
libera. Irrisolti scandali multi-miliardari macchiano le reputazioni di
Bush (faccenda Harken Energy) e del suo Vice Dick Cheney (faccenda
Halliburton). Sotto il loro regime, il tasso di disoccupazione negli USA è
schizzato in alto mentre la qualità della vita è precipitata.

Il rimedio proposto da Bush a questi mali consiste in una detassazione dei
ricchi, combinata ad una crociata senza quartiere contro il lavoro
sindacalizzato, i diritti degli omosessuali, delle donne, delle minoranze e
nell'avvio al saccheggio dell'ambiente. La sua politica estera finora si è
risolta stracciando i trattati internazionali riguardanti gli sperimenti
atomici, la difesa missilistica, le alterazioni metrologiche, la giustizia
internazionale ed altro.

I più recenti discorsi di Bush sulla guerra imminente non ammettono
l'argomento dei costi umani od economici. Bush e la maggior parte del suo
governo sono guerrafondai codardi che avevano aggirato la leva militare in
epoca della guerra di Vietnam. Egli stanno commercializzando un videogioco
di guerra nel quale Saddam Hussein scompare, come per magia, senza che una
goccia di sangue americana venga versata, senza produrre una sola vedova,
un solo parente o orfano americani in lacrime. I veterani americani che
soffrono dagli esiti della prima Guerra del Golfo semplicemente non
esistono. E non esiste il caos lasciato in Afghanistan dopo aver fatto
sloggiare i Taleban senza rintracciare Osama Bin Laden.

Una guerra vera contro questo particolare Saddam Hussein potrebbe costare
da cento a duecento miliardi di dollari che l'attuale economia americana
non si può permettere di spendere. Una tale guerra potrebbe destabilizzare
su scala globale la distribuzione del petrolio e mandare in bestia gran
parte del mondo mussulmano, forte di 1,2 miliardi di anime. I costi reali
potrebbero comprendere quotazioni del petrolio alle stelle, un collasso
economico e l'escalation del terrorismo verso dimensioni inimmaginabili,
aerando per sempre sogni di libertà e di pace.

I Repubblicano stanno conducendo la campagna per le elezioni di novembre
come un carro armato. Stanno vincendo la loro scommessa contro i
Democratici, troppo timidi per opporsi ad una guerra senza volto e alla
dichiarazione di un impero senza gambe. A monte vi è in attesa un corteo
interminabile di nemici Orwelliani, disegnati secondo le circostanze, per
fornire il pretesto permanente per il mantenimento della Legge marziale.

L'aggressione Harken-Halliburton contro l'Iraq è la fase due del golpe
iniziato con l'installazione di un presidente non eletto. Questo golpe
potrebbe completarsi il 5 novembre, con la vittoria finale sul Senato nelle
elezioni.

Se succede questo, Saddam Hussein costituirà l'ultimo dei nostri problemi.