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E. Deiana-dichiarazione voto Prc



Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 197 del 3/10/2002

...

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole
Deiana. Ne ha facoltà.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, signor ministro, esprimo, a nome del mio
gruppo, il «no» più deciso non alla guerra genericamente, ma alla forma
specifica in cui l'Italia è oggi chiamata ad essere coinvolta, e cioè
nell'invio del contingente di alpini in Afghanistan. Questa è oggi la forma
che assume la partecipazione dell'Italia alla nuova guerra globale, e
contro questa scelta specifica noi diciamo «no», ribadendo le numerose
ragioni che ci hanno indotto, fin dall'inizio di questa terribile avventura
militare, a dire «no».

Diciamo «no», perché i fatti di questo ultimo anno confermano - a chi li
vuole vedere ed a chi non si ferma al set virtuale delle buone ragioni, di
cui il ministro Martino è maestro - la giustezza della nostra opposizione
alla partecipazione all'operazione Enduring Freedom un anno fa. Esprimemmo,
allora, un netto giudizio negativo perché non si trattava, già da allora,
di una guerra al terrorismo, ma di una guerra a un regime non più amico
degli Stati Uniti e di conseguenza ad un paese, l'Afghanistan, che non
rientrava più nel novero di quelli che, per decreto imperiale, gli USA
ritengono fedeli, affidabili, malleabili.

Dicemmo «no» allora, e lo ribadiamo adesso, perché il terrorismo non si
combatte con la guerra, ma si combatte in altri modi, con altri strumenti
e, soprattutto, con altre logiche. Invece, riteniamo che una guerra, come
quella che è stata condotta in Afghanistan e come quella che si sta
preparando in Iraq, non faccia altro che alimentare e fomentare le ragioni
del terrorismo.
Dicemmo «no» allora - ed in maniera particolare, ribadiamo il nostro «no»
oggi - perché il contesto politico della guerra, il piano vero della
discussione, non il set virtuale e cioè il piano sul quale si dovrebbe
veramente svolgere la discussione in questa sede, si è definitivamente
chiarito con la pubblicazione del documento degli Stati Uniti sulla nuova
strategia difensiva di quel paese e con l'affermazione della dottrina
militare sulla guerra preventiva.

Dalla lotta al terrorismo, siamo arrivati al conflitto preventivo, questa
nuova dottrina, che rischia ormai di essere irreversibile, annienta il
contesto giuridico e politico-istituzionale che faticosamente, ma
proficuamente, regolava, fino ad alcuni anni fa, le relazioni
internazionali tra i paesi del mondo, individuando nel rifiuto della guerra
e nella ricerca della pace gli strumenti principali per mantenere le
relazioni tra i popoli.

E diciamo «no» perché questa strategia pone gli interessi economici e
geopolitici della nazione americana al di sopra di ogni altro diritto,
gettando un'ombra terribile sul corso futuro e sulla democrazia di quel
paese e consegnando il mondo ai signori della guerra, ai predatori delle
risorse del pianeta, agli interessi di coloro che governano la
globalizzazione capitalistica e che, con tanta forza, si sono insediati
alla guida dell'Amministrazione statunitense.

Diciamo «no» perché l'Afghanistan e l'Iraq stanno insieme, signor ministro,
sono un unico teatro di guerra, come emerge continuamente - l'ho ricordato
stamattina - da tutti i documenti, da tutte le affermazioni dei generali
del Pentagono e dall'ossessiva ripetizione del Presidente Bush; stanno
insieme perché collegati alla strategia della lotta al cosiddetto asse del
male. Anche lei, signor ministro, ha avuto modo di ribadirlo più volte,
spiegando perché le cose stanno insieme e spiegando anche che condivide il
conflitto preventivo, che condivide la dottrina americana sulla necessità
di sparare il primo colpo (l'ha dichiarato in un'intervista rilasciata al
Giornale di Sicilia). Lei fa cenno di no, ma io seguo le sue elucubrazioni!

La guerra in Afghanistan, cari colleghi, signor ministro, ha rappresentato
la prova generale di questa nuova strategia militare degli Stati Uniti: la
guerra preventiva, la guerra ad libitum. Tutto ciò costituisce il cardine
della nuova strategia militare con la quale oggi dobbiamo fare i conti e di
cui credo che dovremmo discutere veramente anziché raccontarci le favole
belle sulla pacificazione, sulla democratizzazione e sul ruolo democratico
delle Forze armate che lì vengono inviate. Tutte favole! Le cose stanno in
maniera affatto diversa!

Noi diciamo «no» a questa guerra, infine, perché ci sentiamo parte di quel
vasto popolo democratico che si sta muovendo per trovare il modo di far
sentire la propria voce: è un popolo democratico e costituzionalmente
orientato sulle questioni della pace che, in questi giorni, cerca in tutti
i modi di far sentire la propria voce.

Voglio aggiungere un'ultima ragione a questi «no» di Rifondazione
comunista. Noi diciamo «no» perché, se i nostri alpini andranno in quella
zona terribile del sud est dell'Afghanistan, dove, con la connivenza, la
complicità e, forse, l'impulso delle Forze armate occidentali, si sono
consumate tragedie infinite come quella di Mazar-el-Sharif, credendo alla
favola bella della pace e del proprio ruolo pacificatore e scoperto invece
(pochi o molti non interessa: ne basterebbe uno) l'orrore della guerra
chiederanno di tornare in Italia, sappiano che una parte del Parlamento è
con loro, per la pace e contro la guerra.

Noi invitiamo tutte le colleghe ed i colleghi che vogliono esprimere un
«no» deciso all'invio del contingente italiano a votare la risoluzione
Bertinotti ed altri n. 6-00032. Preannunciamo, altresì, che voteremo a
favore anche della risoluzione Rizzo ed altri n. 6-00034 (Nuova
formulazione), che esprime un orientamento altrettanto netto contro l'invio
del contingente italiano in Afghanistan (Applausi dei deputati dei gruppi
di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).



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