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Notte palestinese 18.09.02
Notte palestinese 18.09.02
La notte fra il 16 e il 17 settembre è stata una nottata un po' movimentata
nella Striscia di Gaza e in particolare nella municipalità di Khan Yonis.
Molti hanno voluto parlare di tre italiani trattenuti da alcuni armati che
pretendevano la reintegrazione nelle forze di sicurezza palestinesi,
naturalmente non conta il fatto che gli italiani non sono mai stati
minacciati dai rapitori, non conta che tutti in Palestina si siano mossi
per risolvere al più presto la situazione: questa è la notizia in Italia e
fuori dalla Palestina. Ma a noi capita, come sempre, di incontrare dei
singoli pezzi di una storia che sui richiami di agenzia sono spesso
liquidati con un freddo: "incursione israeliana nella Striscia di Gaza,
colpiti alcune officine sospettate di costruire ordigni esplosivi, ventitré
persone arrestate e case di alcuni famigliari di attentatori suicidi
abbattute per rappresaglia". Dietro queste frasi fredde, date da anni di
scontri, vittime e soprusi, oltre che da una consumata freddezza e
impersonalità delle notizie e di chi le scrive, ci sono sempre volti storie
pianti di bimbi e emozioni, polvere, rabbia e molte altre cose. Noi,
invece, vogliamo sapere cosa c'è dietro quelle esplosioni che abbiamo
sentito di notte. Girando, non da giornalisti, ma da persone normali venute
ad osservare quello che succede ci imbattiamo questa mattina in una serie
di volti e storie; ci siamo imbattuti in persone che la notte scorsa non
hanno dormito. La prima tappa è sulla strada principale, siamo a pochi
chilometri da casa nostra, c'è un officina meccanica, o meglio c'era, in un
piazzale al quale si accede attraverso un cancello sfondato dal peso dei
tank si vedono delle macchine utensili annerite e contorte da un esplosione
ci sono delle persone che cercano di fare qualche cosa, di recuperare il
ricuperabile, ci raccontano che i soldati sono arrivati a mezza notte,
vediamo le tracce dei cingoli sull'asfalto della strada, hanno perquisito
un appartamento qui di fronte poi sono entrati nell'officina, probabilmente
hanno cercato di capire se realmente si fabbricassero armi, non importa che
sia un sospetto, che sia vero o che sia falso: l'officina finisce in un
botto: boom! A quanto pare i carri armati rimangono in posizione fino
all'alba perché l'officina sulla strada principale nel villaggio di Qararah
è solo una delle vittime di questa notte che, in Israele e nel resto del
mondo, viene liquidata con un appellativo che qui suona sinistro
"operazione anti terrorismo". I carri armati, e sono molti, si dispongono
di modo da "chiudere" l'area. Seconda tappa del nostro tour dentro la
notizia lo facciamo infilandoci in una stradina che si apre sulla parte
principale di fronte alla prima officina, da questa parte della strada le
case fanno parte della periferia di Khan Younis nel quartiere chiamato
"Satar". Entriamo in una casa dalla porta rossa, ci accolgono tre donne e
qualche bambino, ci raccontano di aver incominciato a sentire rumori
sospetti fin dalla mezza notte, pare che i soldati fossero entrati in una
casa vicina portandosi via oro e soldi oltre che tre uomini tratti in
arresto. All'una di notte i soldati circondano la casa, sono silenziosi, i
rumorosi carri arati arrivano più tardi quando i soldati attraverso dei
megafoni hanno intimato agli uomini della casa di uscire con le mani in
alto e con la maglietta alzata per non nascondere eventuali cinture
esplosive. Gli uomini, tre, padre e due figli uno dei due sposato con
prole, vengono legati con le mani dietro la schiena e bendati. Caricati su
di un tank saranno arrestati e portati nel vicino insediamento le cui serre
si vedono a poche centinaia di metri da qui. Dopo gli uomini è il turno
delle donne e dei bambini, sono nove in tutto e devono uscire dalla casa in
piena notte per permettere ai soldati di perquisirne l'interno. Ci sono dei
cani con i soldati, uno ringhia verso un bambino e lui si mette a piangere.
I soldati perquisiscono la casa, un cane li segue, sfondano qualche porta
ma la casa si salva. Le donne e i bambini aspettano due ore seduti per
terra prima di rientrare in casa, un bimbo dagli occhi vispi ci dice che i
soldati erano tutti giovanissimi. I tre arrestati vengono picchiati e
trattenuti nel tank, poi dopo dieci ore i due figli vengono liberati, il
padre è ancora trattenuto dalle forze di sicurezza. Anche da qui i soldati
se ne vanno all'alba, alle cinque. Ancora poca strada con la macchina e
arriviamo davanti ad un capannone, anche qui un'officina meccanica con
macchinari anneriti e segni di esplosioni. Qui i soldati hanno giocato
d'ingegno, hanno utilizzato delle bombole del gas trovate proprio
nell'officina per poter far esplodere il tutto. Lo stabile è danneggiato,
l'azione è durata dalle quattro di mattina fino alle cinque, anche qui
tutto finisce in un grosso botto. Ancora poca strada, lo stesso quartiere,
quarta tappa, un altra officina meccanica trasformata in un mucchio di
metallo nero e contorto. Su di un muro ci sono alcuni manifesti
raffiguranti combattenti palestinesi morti sullo sfondo della moschea di
Omar, al loro fianco sorride, sempre da un manifesto, un Arafat mezzo
bruciacchiato e annerito dalle fiamme. Qui si facevano e si riparavano
attrezzi agricoli, la dimensione dello stabile è quella di un garage. Anche
qui i soldati dimostrano creatività, l'esplosione, infatti, è stata
provocata utilizzando delle bombole di gas prese in un negozio vicino,
inoltre hanno fatto una specie di miccia con del liquido infiammabile,
anche questo probabilmente recuperato nel negozio, l'abitante della casa ci
mostra le tracce che attraversano l'atrio della sua abitazione. Nel cielo
svolazzano dei supertecnologici aeri da guerra. Ora basta officine, siamo
ormai diventati esperti di torni e presse contorte. Altri pochi chilometri
e siamo di fronte all'ennesimo pezzo di storia di una notte movimentata. In
fondo ad una via sabbiosa si arriva ad uno slargo contornato di palme dove
sorgevano tre case. Ora una delle tre è completamente distrutta mentre le
altre due sono gravemente danneggiate. Una palma si è appoggiata alle
rovine, vittima della stessa esplosione. Sull'altro lato un ragazzo spazza
il porticato di una casa che mostra evidenti le ferite causate dalla
vendetta israeliana, c'è un grosso squarcio su di una parete, l'entrata e
la scalinata che porta al secondo piano sono danneggiate. Un po' più in là,
ai piedi delle macerie della prima casa, ci sono delle persone sedute in
cerchio, sono loro ad accoglierci e ha raccontarci i fatti. Pare che i
soldati abbiano iniziato il loro dispiegamento sul territorio a partire
dalle 0:30 ma solo alle 1:30 hanno bussato alla porta della prima casa. Gli
abitanti della casa, un uomo, la moglie e i loro quattro figli hanno visto
i soldati entrare in casa, forse hanno tentato di protestare, forse no,
comunque i soldati hanno lanciato tre bombe sonore. Nella seconda e terza
casa niente bombe la gente è uscita da sola, un ragazzo di diciassette anni
ha, però, dovuto fare da apripista ai militi che gli hanno intimato di
aprire tutte le porte e di accendere tutte le luci. Niente luci, la
corrente elettrica è saltata quando il cavo è stato tranciato dall'arrivo
di due grossi carri armati che si posizionano lungo la via. Agli abitanti
della casa più grande, che sta al centro, vengono dati dieci minuti per
prendere il possibile, la sorte della casa è segnata. I minuti sono solo
cinque dopo di che vengono piazzate delle cariche esplosive. Le donne e
l'anziano padre vengono fatti allontanare, i sei uomini vengono legati con
le mani dietro alla schiena e caricati su di un carro armato. Il carro si
allontana e i prigionieri sentono un conto alla rovescia, poi...un
esplosione, la casa non c'è più! I sei legati e con una benda sugli occhi
vengono trattenuti per tre ore a bordo del tank dopo di che condotti
all'insediamento di Neve Dekalim dove si trova la base della sicurezza per
tutta l'area. Qui i prigionieri arrivano alle sette e mezza, vengono
interrogati uno ad uno, poi, dopo l'interrogatorio, di nuovo bendati e
legati, questa volta in maniera più "comoda", con le braccia avanti.
Vengono caricati su di un autobus e condotti presso l'insediamento di
Netzer Hazani da dove, verso le otto e trenta vengono liberati, non tutti,
però, un fratello e un cugino del nostro interlocutore, un ragazzo sui
venticinque anni che scopriamo essere un dipendente dell'amministrazione
palestinese, sono ancora trattenuti, e non si hanno notizie di loro. La
casa è stata distrutta perché della famiglia che vi abitatava faceva parte
un ragazzo che sei mesi fa è andato a farsi saltare da qualche parte in
Israele. Ad un crimine efferato l'esercito risponde con la vendetta e non
con la giustizia, credendo così di fermare gli attentatori, non capendo,
però, che così facendo i gruppi terroristici si rafforzano. I soldati hanno
distribuito nell'area volantini che dicevano che l'incursione armata era
dovuta al sospetto, nei confronti di alcune persone, di collaborare con
gruppi terroristici. Guardando negli occhi gli operai e gli artigiani delle
officine, il bambino che ha pianto per il ringhio del cane e gli abitanti
della casa, mi rendo conto sempre di più dell'assurdità del termine "azione
anti terrorismo" e di quanto lo stesso terrorismo trovi terreno fertile
proprio lì dove l'IDF ara con i suoi bulldozer e carri armati.