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novità edizioni punto rosso: Guerra Globale
Novità Edizioni Punto Rosso
AA.VV.
Guerra Globale
Globalizzazione e militarizzazione del mondo. Le alternative dei movimenti
sociali
La guerra sta diventando uno strumento per rispondere alla crisi economica,
politica, culturale e sociale del neoliberismo. Una crisi di consenso che
si manifesta nella grande crescita del movimento dei movimenti e nel suo
Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre.
Così la guerra diventa guerra globale permanente contro i popoli del mondo,
sotto lo schermo ideologico della lotta al terrorismo, con il ruolo
soverchiante dell'egemonismo-imperialismo Usa.
Il libro contiene vari saggi sul rapporto tra neoliberismo, guerra e
possibili alternative e gli atti del convegno internazionale tenutosi a
Milano il 23-24 novembre 2001, organizzato dall'Associazione Culturale
Punto Rosso, dal Forum Mondiale delle Alternative e da Attac-Italia.
Collana libri/FMA 5, pp. 232, ¥ 13.
Indice
Introduzione. La guerra è la politica. Alcune note sparse
di Giorgio Riolo
Saggi
Il capitalismo transnazionale e la guerra: il movimento sociale per una
alternativa
di Wim Dierckxens
L'incubo orwelliano di George Bush
di Philip Golub
L'armamento del sud nel quadro unipolare dopo la fine della guerra fredda
di François Houtart
Fondamenti ideologici della guerra mondiale in corso:
alle radici del consenso popolare
di Giulio Girardi
Interventi al convegno di Milano (23-24 novembre 2001)
Samir Amin, Bernard Cassen, Toni Negri, Giulietto Chiesa, Cristophe
Aguiton, Giorgio Cremaschi, Vittorio Agnoletto, Mario Agostinelli, Carla
Casalini, Marco Bersani, Pierluigi Sullo, Luciano Muhlbauer, Emilio Molinari
Appendice
José Saramago
Immanuel Wallerstein
Intervista a Samir Amin: Il terrorismo politico, il grande alibi
Documento dei Movimenti Sociali dal Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre 2002
In allegato l'introduzione al libro di Giorgio Riolo.
Infine vi segnaliamo sulla questione basca, sulla storia, la politica e la
cultura della lotta del popolo basco per l'autodeterminazione, il libro di
Luis Nunez Astrain, La Ragione Basca, Edizioni Punto Rosso, 2001 (seconda
edizione riveduta e aggiornata), pp. 229, ¥ 13.
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ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO puntorosso@puntorosso.it
FORUM MONDIALE DELLE ALTERNATIVE fma@puntorosso.it
LUP - LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE lup@puntorosso.it
EDIZIONI PUNTO ROSSO edizioni@puntorosso.it
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Giorgio Riolo
La guerra è la politica. Alcune note sparse
Globalization is us (la globalizzazione siamo noi)
(80% degli statunitensi interpellati in un sondaggio nel 2000)
Bush "Noi siamo un paese pacifico". Così ora lo sappiamo.
I maiali sono cavalli. Le bambine sono maschietti. La guerra è pace.
Arundhati Roy
E alla fine il provvidenziale 11 settembre arrivò. Come sappiamo, per amara
esperienza, la verità poli-tica immediatamente proclamata a gran voce, da
chi si oppone, abbisogna poi della verità giudiziaria o storiografica. Da
Portella della Ginestra a Piazza Fontana, due dei tanti episodi del
sovversivismo delle classi dominanti, italiane e straniere, attendiamo
ancora la verità non solo sui mandanti, ma anche su tutti gli esecutori,
come a Portella. Forse sapremo cosa è veramente accaduto attorno al
fatidico 11 settembre tra 30 o 40 anni, se esisterà ancora la terra o la
democrazia. Tuttavia la cosa è avvenuta. Vale anche qui la dialettica
suprema: al contempo, "tutto è come prima" e "niente è più come prima". La
guerra al terrorismo inaugura la guerra permanente globale, la guerra
infinita, la guerra flessibile.
Gli Usa
Gli Usa sono un paese eufemisticamente curioso. Al cinismo spudorato, alla
brutalità da cow boy, sen-za freni inibitori, associano il candore da
eterni bambini alla ricerca della giustificazione morale di ogni loro
azione. La guerra santa al terrorismo fornisce finalmente la base, la
legittimazione delle loro strategie da tempo elaborate. Con Reagan,
all'inizio degli anni Ottanta, il neoliberismo teorico si incarna in
politiche reali e concrete. Gli Usa messi in difficoltà negli anni Settanta
(sconfitta in Vietnam, egemonia sfidata da Europa e Giappone), riprendono
in mano il dominio nel mondo. Il principio posto da Reagan e divenuto il
faro delle politiche Usa (e per estensione di tutto il mondo occidentale)
"il livello di vita dell'americano medio non è contrattabile, non è messo
in discussione", significa assicurarsi le risorse mondiali tali da
garantire questo principio.
Con il crollo del Muro di Berlino, la fine del socialismo reale e del
cosiddetto campo socialista, e quindi della guerra fredda, invece che pace
e democrazia universali, proclamati in ogni angolo del pianeta, si inaugura
l'unilateralismo Usa. O, altrimenti detto, una nuova fase
dell'egemonismo-imperialismo Usa, fondato sullo strapotere militare. Le
guerre unipolari che seguono, la guerra del Golfo nel 1991 contro Saddam e
l'Iraq, la guerra dei Balcani contro ciò che rimaneva della vecchia
Federazione Jugoslava e Milosevic, furono guerre contro stati-nazione
precisi, contro entità precise, secondo lo schema classico. Con l'11
settembre, l'indefinita categoria "terrorismo" si prestava a introdurre
finalmente la flessibilità, l'infinitezza, la globalità.Oggi in
Afghanistan, domani in Iraq, posdomani contro un altro "nemico" fabbricato
ad arte. Sulla manipolazione e sul consenso a tale ributtante scenario si
vedano le profonde riflessioni di Girardi.
Terrorismo
Sotto la vasta categoria di terrorismo è possibile sussumere
l'universo-mondo. Ogni atto deviante, in-subordinato, critico viene
rubricato in questa voce. Così il movimento contro la globalizzazione
neoli-berista, in grande espansione e contestante i poteri mondiali, viene
ulteriormente criminalizzato perché oggettivamente fiancheggiatore del
terrorismo a misura dei suoi attacchi alle multinazionali-transnazionali, a
maggioranza statunitensi, alla sua messa in discussione delle cosche
mafiose mondiali che vanno sotto il nome di G8, Fmi. Banca Mondiale, Wto
ecc. Ricordiamo, come microstoria nostrana, l'intervista alla tv della
moglie di quel poliziotto fascistoide Rambo che a Napoli, in occasione del
Global Forum, prova generale sotto il centro-sinistra di Genova, ha
picchiato selvaggiamente, lui pale-strato e mastino, ragazzi inermi, la
quale difendeva il marito esclamando con stupore, parlando dei
ma-nifestanti, "ma come! Questi sono terroristi!". L'11 settembre: Bush e
la moglie del poliziotto italiano.
Neoliberismo e guerra
Così come il neoliberismo è il principio dissolutore dei vincoli, delle
rigidità, dei limiti, e tende a can-cellare la politica sostituendovi il
mercato autoregolatore, la guerra deve diventare a sua immagine e
somiglianza. Karl von Clausewitz, generale prussiano, a metà
dell'Ottocento, espresse la grande verità secondo la quale "la guerra è la
continuazione della politica con altri mezzi". La guerra oggi diventa la
continuazione del neoliberismo con altri mezzi. La guerra diventa la
politica. La guerra è la politica. La politica essendo un intralcio, una
nozione e una cosa da destrutturare, frantumare a misura dei voleri dei
poteri mondiali, come sottrazione di sovranità dai molti ai pochi:
multinazionali, esecutivi, G8 ecc. E' saltata la condizione precedente.
Esisteva un mondo bipolare o multipolare (almeno sulla carta) e pertanto la
mediazione si imponeva. Si imponeva la politica come arte della mediazione,
del contratto, della conciliazione degli interessi e delle posizioni. Il
dominio unilaterale trova nella guerra il fine e il mezzo perfetti. Infine
la guerra ha consentito di occultare la ormai manifesta crisi del
neoliberismo. La crisi nel terreno suo d'elezione, l'economia. La
recessione, il crollo dell'Argentina, dell'Uruguay, del Paraguay ecc., gli
scandali Enron, Worldcom, Vivendi, le accuse alla banda Bush-Cheney di
insider trading, la debacle dei principi e delle istanze economiche che
dovevano assicurare il migliore dei mondi possibili. Il
capitalismo-neoliberismo, si affermava, procura sì sofferenze sociali
(darwinismo sociale discriminante, polarizzante, ricchezza da una parte,
miseria dall'altra) e sofferenze ambientali sempre più catastrofiche, e per
questo contestato e combattuto dal movimento antiliberista su scala
mondiale, ma è in fin dei conti razionalità economica. Oggi la debacle è
iuxta sua principia, sul terreno economico.
Che cos'è la guerra?
La guerra non è solo guerra guerreggiata. Non sono solo eserciti, generali,
truppe, vettovagliamenti, commesse statali (qui lo stato-nazione serve e
funziona bene) per la McDonnel-Douglas, per la General Dynamcs, per la Oto
Melara, la Beretta ecc., non è solo keynesismo militare. Non è solo lo
scandalo dei 535 miliardi di dollari del bilancio militare Usa. Non sono
solo tattiche, strategie, bombe, accozzaglia di malfattori, associazione a
delinquere non perseguibile per legge, morti, ferite, dolori, distruzioni
ecc. La guerra è la fine dei dibattiti. E' la fine del pensiero critico. La
guerra è la più grande politica di destra. Non ci si occupa più di
questioni sociali. La guerra è l'allineamento, l'inquadramento. La guerra è
l'orgia mediatica fatta di tonnellate di retorica, di falsità, di
ipocrisia, di cinismo (i giornalisti, con le dovute lodevoli e numerose
eccezioni, sono della specie umana la frazione più atta a mettersi
l'elmetto, tanto, come dice Galeano, "nella guerra tra Bene e Male a
metterci i morti è sempre il popolo"). La guerra è il trionfo della logica
binaria. La negazione definitiva dello sviluppo della complessità e della
ricchezza umane. Vero-falso, zero-uno, o con me o contro di me. O con la
civiltà occidentale, o con la barbarie. E' la fine del pensiero. E' lo
stato d'eccezione per eccellenza. E lo stato d'eccezione permanente è la
condizione perfetta per chi deve dominare. La guerra infine è pedagogica.
Insegna a stare al proprio posto, a non disturbare, a essere comandati, a
essere manipolati. Il vero Eden capitalistico, gerarchico, zoologicamente
fissato.
Razzismo
Giustamente in molti ci siamo rifiutati di fare il minuto di silenzio a
ricordo delle vittime dell'11 set-tembre (peraltro molte erano coloured).
Il senso di giustizia e di compartecipazione al dolore di tutte le vittime,
ci impediva di dimenticare che nessun minuto di silenzio si è fatto per il
quasi milione di indo-nesiani, comunisti e non, massacrati tra il 1965 e il
1966, mandanti gli Usa, per il quasi milione di ruandesi fatti a pezzi, per
i 200.000 poveri contadini Maya massacrati in Guatemala (secondo il
rap-porto ufficiale Onu, e Clinton ha dovuto chiedere scusa per le
responsabilità Usa come mandanti, ese-cutori i soliti locali aguzzini), per
i cileni ammazzati, torturati, fatti sparire dopo il vero 11 settembre
quale tornante della storia (Kissinger "Non dobbiamo mica accettare che un
paese diventi marxista per l'irresponsabilità del suo popolo"), per i
nicaraguensi ecc. L'elenco è molto lungo. Il razzismo secondo il quale un
bianco Usa, o europeo, debba essere ricordato, mentre gli altri sono, come
diceva Sartre, nella prefazione a I dannati della terra di Fanon, tutti
"indigeni", entità trascurabili, storicamente insi-gnificanti, fa il paio
con il razzismo insito nel fatto che un bianco Usa abbia il diritto di
consumare e-nergia (e quindi di inquinare) quanto due tedeschi, tre
svizzeri, 60 indiani, 1100 ruandesi (dati ufficiali Onu inizio anni
Ottanta, oggi?). Quanta "impronta ecologica". E quanto razzismo.
Fondamentalismo
Vari autori, giornalisti e studiosi, hanno spiegato molto bene l'uso
criminale, da apprendisti stregoni, che gli Usa hanno fatto del
fondamentalismo islamico e di Osama bin Laden al tempo della sporca guerra
contro l'Urss, dal 1979 in avanti in Afghanistan, e poi in Cecenia, Bosnia,
Kosovo ecc. Alimentati, foraggiati, addestrati, denominati Freedom Fighters
(combattenti per la libertà). Tagliagole tribali, in perenne lotta tra loro
e che la stupidità sovietica compì il miracolo di coalizzarli e di metterli
assieme. Capi tribù afghani ai quali si raccontò che i vari Karmal,
Najibbulah ecc, non solo erano atei e comunisti (in realtà nazionalisti
modernizzatori), ma addirittura avevano avuto l'ardire di fare la riforma
agraria e di introdurre l'obbligo scolastico per le bambine. Guerra santa
ci voleva. L'occidentalissimo Bzrezinsky in un incontro con costoro affermò
solennemente che "Allah è con voi".
Bin Laden, in affari con la famiglia Bush, si prodigò molto, anche perché
motivato dalle promesse Usa di compartecipare al potere in Arabia Saudita.
Promessa non mantenuta alla fine della guerra. Anzi, con la guerra del
Golfo, in sovramercato, truppe americane si installavano in permanenza in
suolo saudita, nei luoghi santi dell'Islam. Da qui la sua personale guerra,
santa o meno, agli Usa.
Il fondamentalismo islamico, come ogni chiusura identitaria, etnica,
religiosa, nazionalistica ecc. è stato il risultato dello speculare
fondamentalismo occidentale, il fondamentalismo cattolico, il
fondamentalismo del mercato e poi il fanatismo del neoliberismo,
dell'omologazione dei consumi, degli stili di vita su scala mondiale.
"Macworld" non è versus (contro) "Jihad", secondo il celebre titolo del
libro di Barber, ma Macworld e Jihad si reggono a vicenda. Come Bush con
Bin Laden. Il fanatismo occidentalocentrico alimenta il, e a sua volta è
alimentato dal, fanatismo antioccidentale.
Come fanno osservare molti studiosi, in primo luogo Samir Amin, il
fondamentalismo non esaurisce la complessità e la vastità dell'Islam
politico. Fenomeno storicamente rimarchevole. Così, dopo il 1955 e l'avvio
dell'era di Bandung, l'era del sorgere e svilupparsi di un polo mondiale
dei movimenti di libe-razione nazionale e del movimento dei paesi
non-allineati, gli Usa, sempre attraverso i fedeli alleati A-rabia Saudita
e Pakistan, favoriscono nel 1958 il sorgere del Congresso Islamico Mondiale
che inizia una capillare penetrazione nei paesi a maggioranza mussulmana,
fondandovi istituti di cultura, centri di assistenza per i poveri, centri
di assistenza medica, scuole coraniche ecc. Ricordiamo che, poco prima
dell'11 settembre, un giornalista del Wall Street Journal sottolineava la
bontà di quel tipo di scuole.
Sinistra
Uno dei paladini della guerra come politica mondiale è il laburista Toni
Blair. Il blarismo era stato in-dicato a suo tempo come incarnazione della
"terza via", tanto cara a D'Alema e Fassino. Una sinistra guerrafondaia che
ha fatto in prima persona la guerra nei Balcani, umanitaria per giunta, che
ha arrecato morti e distruzioni in un'area sventurata e ha permesso agli
Usa di mettere in riga i già proni europei e di installarsi con basi in una
regione strategica per il controllo delle vie del petrolio, della droga,
del Medioriente ecc. Ora le cose, per i Ds italiani sono cambiate, non
essendo più al governo, e molto ravvedimento si è avuto nella sua base. Non
così ai vertici. Con le nobili eccezioni di parlamentari che si sono
astenuti o hanno votato contro, questi vertici hanno dato il triste
spettacolo del cosiddetto "voto bipartisan" sulla questione della guerra in
Afghanistan. Bipartisan è il nome nuovo del trasformismo, della perdita di
valori, della fine della politica persino nell'accezione classica liberale,
dove esiste un'opposizione che si contrappone a una maggioranza. E'
l'eutanasia della politica. Blair con il suo si-nistro sorriso
modernizzatore, progressista, cinico, disincantato, è l'emblema della
sinistra neoliberista, è l'ammonimento vivente della necessità di
ridefinire la gloriosa nozione di sinistra. Quella nozione che discriminava
campi di emancipazione, da una parte, e campi di de-emancipazione e di
oppressione, dall'altra.
Asia Centrale e i Great Games mondiali
La guerra in Afghanistan è servita agli Usa per conseguire vari fini. In
primo luogo, installarsi stabil-mente in un'area per il controllo delle
risorse strategiche (gas, petrolio, acqua). Con il controllo e la
co-struzione di oleodotti e gasdotti, senza i quali la vastità delle
riserve strategiche tra il Mar Caspio e la Siberia rimane solo potenziale
(i talebani erano stati avvertiti già ad agosto 2001 che se non avessero
raggiunto l'accordo sull'oleodotto voluto dalla Unocal "sarebbero stati
rasi al suolo", promessa mante-nuta dopo il provvidenziale 11 settembre).
Ma quella è la regione nella quale già nell'Ottocento impero zarista e
impero britannico furono contendenti nel Great Game, la grande partita per
il controllo delle vie d'accesso dell'India, della Cina, della Russia,
della Persia-Iran. Oggi in particolare queste basi co-stituiscono una
minaccia, una pressione nei confronti della Cina, l'unica vera potenza
concorrente degli Usa. E finora questi ultimi hanno già installato 13 basi
militari tra il Caucaso e l'Asia centrale ex so-vietica. Un'altra area
strategica che si profila è quella amazzonica a partire dal Plan Colombia.
Non solo le riserve strategiche dell'Amazzonia (quasi il 25% dell'acqua
dolce e quasi la metà del patrimonio genetico del pianeta), ma la necessità
per gli Usa di tenere in iscacco paesi-chiave (Colombia, ma poi soprattutto
Brasile e Venezuela).
Civiltà e barbarie
Gli zelanti esecutori italiani del governo Berlusconi si sono mossi subito
nell'arruolamento mondiale contro la barbarie terroristica. Il ministro
dell'istruzione Letizia Moratti inviò subito dopo gli attentati una lettera
a studenti e insegnanti esortandoli, cosa inaudita, a discutere e
approfondire valorizzando la civiltà occidentale e indicando nell'Europa la
culla della civiltà, della tolleranza ecc. In realtà, l'Europa ha creato il
"pericolo bianco", già con le Crociate, ma poi con gli stermini predatori
nelle Americhe, in Asia, in Africa dal XV secolo in avanti. Il problema
sorge con lo sterminio interno. Con il nazismo, l'europeo si comporta con
altri europei così come si era comportato e continuerà a comportarsi nelle
periferie del mondo. Altro che culla della civiltà e della tolleranza!
Tuttavia, la dialettica storica agisce anche qui. Nel mentre fuori si
commettevano orrori, nel cuore stesso dell'Europa, dal XV secolo in avanti,
si veniva elaborando il giusnaturalismo, il filone liberatorio del diritto
naturale, da Grozio, Althusius e Pufendorf a Spinoza e Rousseau. Si
elaborava la dottrina e al filosofia dei diritti inalienabili
dell'individuo, premessa delle correnti democratiche e rivoluzionarie tra
Ottocento e Novecento.
Oggi l'alternativa tra civiltà e barbarie è all'ordine del giorno.
L'analogia che si impone è Roma, il tardo impero romano e l'incipiente fine
del mondo antico. Le continue guerre per assicurarsi il dominio, il
prelievo tributario e la sopravvivenza del regime schiavistico, le legioni
impegnate nella guerra perma-nente globale da una parte all'altra
dell'impero, sono un potente richiamo simbolico. L'analogia è pre-gnante e
suggestiva. Allora l'esito fu catastrofico. Forse oggi un altro esito è
possibile. Con un'annotazione finale: nel passato ci furono ondate di
civilizzazione umana foss'anche come eterogenesi dei fini, non direttamente
volute dalle classi dominanti, dalla borghesia, poiché lo sviluppo allora
concepito conteneva per forza di cose una promessa universalistica, di
benessere per tutti (anche se poi i costi storici erano le cosiddette
"montagne di cadaveri"). Si potevano avere, confinandoci semplice-mente
nella sfera culturale, un Thomas Mann e i Buddenbrook, per citare a caso.
Oggi imperversa una borghesia su scala mondiale cinica, rapace, volgare,
incolta. Gli Hängstrom-Berlusconi, per esempio. Senza progetto di civiltà,
senza respiro. Apres nous le deluge.
Il paradigma Porto Alegre: l'alternativa dello "spirito di Porto Alegre"
contro lo spirito di morte di Davos-Washington
Su scala mondiale è in atto un processo di costruzione di alternative al
corso dominante del neoliberi-smo, della guerra, del profitto, della
dilapidazione delle basi materiali della vita. Le tante culture, i tanti
soggetti impegnati nel movimento contro la globalizzazione neoliberista,
lavorano in questo grande ci-mento della "convergenza nella diversità" per
elaborare e realizzare alternative afficaci all'ordine iniquo e mortale. La
sfida è per questo movimento ,sempre in espansione, precisare e strutturare
la costruzione di queste alternative. Con la costruzione delle forme
organizzative che diano efficacia alla sua azione.
Così come il capitalismo è, ricordano Michel Beaud e François Houtart,
"movimento organico inglo-bante", polarizzante, assimetrico, ineguale,
gerarchico, che ha in orrore il vuoto, e tutto ingloba e meta-bolizza, così
deve essere il movimento nella sua capacità di attrarre sempre più vaste
masse, di inglobare strati sociali, classi, esseri umani in rivolta etica
contro gli espropriatori del mondo che ci appartiene. In questo senso il
movimento è naturalmente, spontaneamente contro la guerra. Esso eredita la
gloriosa tradizione del vecchio pacifismo. Il nuovo pacifismo che esso
veicola è il risultato della critica radicale del neoliberismo e della sua
programmatica sostituzione della politica con la guerra. Questo movimento è
impegnato in un grande lavoro di rifondazione della politica, ha un
orizzonte di tempi lunghi, con il metodo della coscientizzazione, della
politica come bene comune, come politeia, che riguarda tutti e non solo un
ristretto gruppo di specialisti. Le classi dominanti nella storia agiscono
e impongono spesso i tempi brevi. I gravi problemi del mondo contemporaneo
impongono risposte a breve termine. E basta una guerra per azzerare tutto.
In questo iato, in questo ricatto sta la sfida che occorre raccogliere.
Ve-ramente, e in questo caso sì, non esiste alternativa alla continua
elaborazione politica e culturale e alla continua mobilitazione per colmare
questo iato. E' l'unico caso positivo della sindrome Tina (There Is No
Alternative).
Il libro raccoglie gli atti del convegno tenuto a Milano il 23-24 novembre
2001 dal titolo Contro la guerra globale. Verso Porto Alegre 2002 e altri
saggi.da noi ritenuti importanti per la completezza della trattazione.