[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
"Storie dalla Palestina dimenticata" dai volontari dell'Operazione Colomba
"Storie dalla Palestina dimenticata"
A cura dei volontari italiani dell'Operazione Colomba, a Gaza come "scudi
umani" contro le demolizioni
"L'Operazione Colomba è nata nel 1992 con la guerra jugoslava, dal desiderio
di provare a vivere la nonviolenza in zona di guerra e di condividere la
vita di chi è costretto a subire la violenza dei conflitti. Abbiamo vissuto
sui diversi fronti, riunendo le famiglie, proteggendo con la nostra presenza
le minoranze etniche provando a guarire le ferite..."
Aggiornamenti continui su
http://www.informationguerrilla.org/storie_dalla_palestina_dimenticata.htm
*** 27.06.02
Spesso, parlando con alcuni palestinesi durante le notti di coprifuoco,
dettate dalla vicinanza della loro casa alla strada dei coloni, le
discussioni sulla situazione sono accese. Spesso si parla degli attentati
suicidi compiuti dai palestinesi in Israele. Molti sono contrari, altri sono
favorevoli, tutti cercano di spiegarmi il perchè di questi gesti. Quando si
vive in Palestina, sia la Cisgiordania o Gaza, è facile capire che le bombe
vengono fatte detonare dalla disperazione più che dal fanatismo.
Naturalmente questo per quanto riguarda chi muore, "la bomba umana" non chi
muove le pedine sullo scacchiere. Chi contribuisce, però,alla creazione di
tanta disperazione da far pensare che questa strategia sia giusta? Quale
fenomeno aiuta la proliferazione e la crescita dei gruppi estremisti e
terroristi che attuano questa strategia di morte e distruzione? In questi
mesi una risposta l'ho trovata, e la supposizione iniziale sta diventando
sempre di più una consapevolezza. L'occupazione militare israeliana uccide
dentro e fuori Israele. Non servono muri o ghetti per difendersi dalla
disperazione, non ci sono forme di difesa armata, bisogna trovare un altra
soluzione. Come dicono tanti pacifisti israeliani, la prima cosa da fare e
finire l'occupazione e smantellare gli insediamenti, praticamente il
contrario della politica di Sharon. Nelle lunghe discussioni i palestinesi
ci spiegano di non avere armi contro l'occupazione, che uccide
quotidianamente. Vogliono giustizia, ma l'unica via che molti vedono è
quella violenta nell'accezione più grave: le bombe umane. Nella discussione
cerco di spiegare che esiste una via alternativa, c'è un metodo di lotta che
sia strategicamente giusto ed eticamente corretto. Credere nella nonviolenza
come forma di lotta mi porta ad avere poche proposte se non la via disarmata
e popolare. Su questo piano, però, è facile scoraggiarsi, tutte le politiche
mondiali mirano ad una pace armata e gli eserciti sono mascherati da
portatori di Pace, e non, come in realtà è, da portatori degli interessi
economico strategici delle potenze occidentali e non.
Ci sono dei fatti che però delle volte fanno riflettere. Ora so con certezza
cosa fa paura nei piani alti di Gerusalemme ovest. Le stragi, gli attentati,
il nemico palestinese mussulmano, sono funzionali ad una politica coloniale
ed espansionistica di una parte della destra estrema israeliana, tra cui c'è
sicuramente Ariel Sharon. La via violenta è quella più congeniale alla
politica israeliana. Israele ha da tempo, anche per questioni difensive, un
esercito tra i più potenti al mondo. Cosa possono fare i combattenti
palestinesi utilizzando una strategia violenta? Nulla, se non provocare una
reazione sproporzionata che crea l'ennesima ondata di odii e rancori che
allontanano ancor di più la Pace. In questi giorni la mia fede si è
trasformata in convinzione, Israele teme, ha paura dei movimenti pacifisti,
interni ed esterni allo stato. Due fatti pressochè insignificanti mi hanno
aiutato a capire ancor di più che anche qui non c'è alternativa alla via
nonviolenta. Il primo fatto è una sconfitta per noi pacifisti ma fa capire
quanto siamo temuti. Si tratta dell'espulsione, all'aeroporto Ben Gurrion di
Tel Aviv dei manifestanti che erano giunti dall'Italia per partecipare ad un
azione, autorizzate dalla polizia israeliana, che prevedeva una catena umana
che circondasse, simbolicamente, la Cisgiordania e Gerusalemme. Perchè il
potente stato di Israele temeva questa gente? Perchè fanno cosi paura i
pacifisti tantè che questa parola al Ben Gurion ha un accento profondamente
negativo? Il secondo fatto è una piccola manifestazione fatta da venti
francesi e tre italiani (volontari dell'Operazione Colomba e dei Berretti
Bianchi) nella cittadina di Rafah, nella striscia di Gaza, sul confine con
l'Egitto. L'esercito ha, dall'inizio dell'intifadah, avviato una politica di
"sicurezza" che ha portato all'abbattimento di 250 case troppo vicine al
confine. Durante una di queste azioni con fini di sicurezza i bulldozer con
la stella di Davide hanno danneggiato una pompa parte del sistema fognario
della zona. Questo succedeva circa quattro mesi fa e da allora nessun
operaio palestinese ha osato avvicinarsi al manufatto, pena una pallottola
sparata dai solerti soldati. Una volta si era adirittura giunti ad un intesa
ma all'arrivo degli operai le raffiche israeliane hanno soffocato la volontà
di lavorare. Sono bastati ventitre europei determinati con il passaporto in
mano a fermare le pallottole israeliane, o meglio, a deviarle sui mucchi di
macerie o gli scheletri delle case vicine. Per far cambiare idea a quelli
con il passaporto in mano l'esercito israeliano ha mosso anche un carro
armato ma con scarso successo. Gli operai palestinesi hanno lavorato e
l'azione si è svolta, con identiche modalità, per tre giorni di fila fino a
lavoro ultimato. L'esercito più potente del Medio Oriente non sempre si può
permettere di sparare su dei cittadini europei o americani, anche se i loro
governi avallano la politica di Sharon. E' una cosa importante, dimostrare
ai palestinesi che una via nuova c'è. Se i palestinesi si guardassero
indietro scoprirebbero che la prima intifadah, sassi contro carri armati, ha
ottenuto molti più risultati di questa che vede qualche fucile ma
soprattutto l'abominio dei kamikaze contro un esercito che ha sempre il
sopravvento. Ci sono gruppi in Palestina che hanno capito l'importanza di
una strategia non violenta ma purtroppo, nell'ultimo anno, anche nella
società palestinese si sta aprendo un solco fra chi crede e sostiene una
strategia violenta e chi crede in una seconda via non armata. In Israele è
così, già da tempo. Un altra cosa, per quanto riguarda Israele, mi fa
pensare. Pare che la cnn e la bbc abbiano fatto degli interventi non tanto
filo israeliani, nell'ultimo periodo. In Israele, negli ultimi giorni si
parlava di oscurare queste reti. Perche? Israele non è l'unica democrazia
del Medio Oriente? Israele non è una democrazia in tutto e per tutto e per
sostenere una guerra, che ha i suoi oppositori interni, ci vuole la
propaganda. Se molti israeliani sapessero, vedessero non solo le immagini
degli attentati ma anche quello che succede dentro il muro forse
cambierebbero idea. Questo vale anche per molti europei che preferiscono
credere alla favola del povero Ariel Sharon, uomo di pace, che si sta solo
difendendo. Anche fra i palestinesi c'è bisogno di informazione, bisogna
raccontare che non tutti in israele stanno con Sharon, non tutti sono
militari e se lo sono magari rifiutano di combattere nei territori. Questo
stiamo cercando di farlo, semplicemente, con uno strumento che i credenti
chiamano condivisione che significa vivere da palestinesi ma rimanere ccesi
sostenitori della via alternativa, significa raccontare, spiegare e capire
mettersi in mezzo. Una seconda via esiste, ne sono certo, sono pronto a
mettere parte della mia vita in questo sogno ora più che mai.
*** 27.06 - Rafah (racconto di Fabio)
A due giorni dalla prima azione di protezione alla squadra di lavoratori
palestinesi da parte della delegazione francese e di noi 'infiltrati' oggi,
non essendo stata ancora completata la riparazione della pompa, ci
accingiamo a parteciparvi nuovamente. La delegazione di francesi e'
ripartita alla volta di Gaza questa mattina e l'azione questa volta e'
organizzata dall'ISM che tra il suo coordinatore locale ed i volontari sono
in tutto in tre e per questo hanno chiesto la presenza di noi quattro. I
ragazzi dell'ISM, un americano ed un indiano, sono qui da pochi giorni e si
trovano gia' catapultati in questa azione. Dal Centro per i Diritti Umani,
dove salutiamo la delegazione francese che sta per ripartire, ci muoviamo
alla volta di Rafah. Prima di recarci sul luogo dell'azione, in quella terra
di nessuno creata dai bulldozer israeliani li' dove una volta c'erano delle
abitazioni palestinesi, incontriamo il capo della squadra degli operai alla
municipalita' di Rafah. Evitiamo volentieri un altro incontro con il
sindaco, quindi a bordo di due pick-up ci dirigiamo nella 'spianata' a
qualche decina di metri dal confine con l'Egitto e a qualche centinaia di
metri dall'avamposto militare israeliano. Prima di uscire alla scoperta
sfoderiamo il nostro passaporto e ci muoviamo verso il pozzo nero otturato
dai detriti e la pompa non ancora riparata in fila, con le braccia alzate e
e il librettino bordeaux col simbolo della Repubblica Italiana. Dopo aver
percorso un centinaio di metri tra i cumuli di detriti, ci seguono i
lavoratori palestinesi muniti di attrezzi da lavoro ed un camion con
rimorchio. Li scortiamo formando una 'linea di interposizione' tra la pompa
e gli israeliani che non vediamo ma che sicuramente ci scrutano. Infatti,
dopo alcuni minuti dall'inizio dei lavori di riparazione nonche' di
smaltimento delle pozze di liquami, dall'avamposto israeliano partono alcuni
colpi che colpiscono il camion, fermo a pochissimi metri dalla nostra linea,
colpendo il radiatore, il lunotto anteriore e il gancio meccanico,
mettendolo cosi' fuori uso. In principio, come e' naturale che sia, ci
accucciamo, poi ci tiriamo su guardando ancora verso la bandiera con la
stella di Davide che sventola dall'alto dell'avamposto.
Successivamente in due ci stacchiamo dalla fila per scortare l'arrivo di
altri operai e di altra attrezzatura. Poi con Luca torniamo indietro e
saltiamo su un bulldozer giunto per rimuovere il camion con rimorchio ormai
fuoriuso, una mano ai maniglioni, un'altra col passaporto bene in vista. Gli
spari senza dubbio ci hanno scosso ma continuiamo la nostra azione, aiutati
ancora una volta da "Bella Ciao" che allieta il lavoro, e' il caso di dire,
di merda di questi lavoratori, in principio tesi, in seguito ai colpi
sparati (non che non ne siano abituati). Ci mobilitiamo per avvertire in
Italia dell'accaduto, oltre che i nostri amici giornalisti che sono a
Gerusalemme, il centro israeliano per i diritti umani Bt'Selem e il
consolato italiano a Gerusalemme; ognuno a suo modo si muove. Il lavoro
certosino, cominciato alle 10 del mattino, si protrae per diverse ore tra la
riparazione delle tubature, la bonifica delle pozze di liquami con un
autospurgo e la rimozione di detriti per mezzo di un bulldozer. Alle 14
circa, il lavoro degli operai, che piu' volte nelle passate settimane era
stato interdetto dal tiro dei soldati israeliani (per quanto fosse stato
concesso loro il permesso di lavorare sulla pompa) e' ormai quasi del tutto
terminato, con la tensione placatasi in seguito ad un colloquio di uno dei
capi della squadra con un ufficiale israeliano. In questo modo, in tre
giorni di lavoro, grazie all'azione internazionale di interposizione, e'
stato possibile riparare la pompa ed evitare il rischio di epidemie in
seguito allo stagnare dei liquami a poche decine di metri dalle case
abitate, non ancora demolite, per le solite ragioni di sicurezza, da
Israele. Le foto dell'azione di oggi all'indirizzo:
http://www.inventati.org/liberapalestina/rafah2706.htm
*** 25.06 - Rafah (racconto di Maurizio)
Quando mi sveglio sono gia' sul taxi con i ragazzi per andare al centro per
i diritti umani (CDU) di Khan Younis ad incontrare un gruppo di francesi del
Movimento Civile Per La Protezione Del Popolo Palestinese. Purtroppo pero'
il pullman, atteso per le H 8,00 era ancora fermo al semaforo di Abu Holi,
qualcuno aveva scattato fotografie e i soldati avevano chiuso il semaforo e
sequestarato le macchine fotografiche. Dopodiche' tutti francesi erano scesi
dal bus ed avevano aperto una trattativa per riavere gli apparecchi. Quando,
dopo un paio d'ore, verso le H 10,00, la compagnia di francesi ha recuperato
il maltolto ed e' finalmente riuscita a passare, le tre ragazze dei Berretti
Bianchi, sulla via del rientro in Italia, erano appena arrivate al semaforo
che pero' era gia' diventato rosso. H10,30 i francesi arrivano al CDU H11,00
incontro con il sindaco di Rafah H12,00 inizia l'azione di protezione dei
diritti umani del popolo palestinese. Sulla linea di confine con l'Egitto
gli israeliani si sono ritagliati due fasce di sicurezza, la prima di una
dozzina di metri, costeggiata da due muri prefabbricati, che separa i due
confini di stato. La seconda, di circa 50m, e' la fascia di sicurezza con il
Territorio Palestinese, su questa fascia sono state demolite tutte le case.
C'e' pero', nel bel mezzo delle macerie un casotto con una pompa per le
acque chiuse che serve a far defluire le acque fognarie e i liquami che
vengono dall'abitato palestinese. Purtroppo, durantre le demolizioni, il
pozzo nero e' rimasto soffocato dalle macerie e ogni volta che i palestinesi
si azzardavano ad andare a riparare la pompa i soldati gli sparavano
addosso. Cosi', da tempo il CDU aveva concordato questa azione con il
movimento spontaneo francese. I partecipanti all'azione si sarebbero
interposti tra i soldati e i lavoratori per permettere la riparazione della
pompa. Anche le autorita' israeliane erano state informate dell'azione e,
pare che avessero dato il loro consenso. Ora, questa faccenda di merda, non
e' affatto di secondaria importanza; la pompa era fuori servizio gia' da
oltre quattro mesi e questo significa che nelle case i liquami rigurgitavano
fuori dalle turche domestiche. E, con il caldo che fa da queste parti, le
mosche ed altre delicatezze il rischio di epidemie aumentava di giorno in
giorno. Alle H12,00 entriamo nella desolata fascia di sicurezza, oltre alle
due dozzine di europei con passaporto francese e belga, c'eravamo anche noi
italiani; due dell'Operazione Colomba, Fabio e Luca e io dei Berretti
Bianchi. Alla compagnia si erano aggiunti anche poco piu' di una dozzina di
palestinesi, tra operai, giornalisti e funzionari del CDU. Camminiamo
compatti verso la pompa, alle nostre spalle la casamatta delle guardie di
frontiera egiziane, davanti a noi la pompa e, oltre la pompa, in lontananza,
la torretta con la bandiera israeliana. Superata la pompa gli internazionali
si schierano in una fila di interposizione tra la torretta israeliana e la
pompa, subito la ruspa dei palestinesi con sopra l'autista e un francese
inizia a spianare l'area e gli operai si mettono al lavoro. Gli adulti
dentro le case che guardano la fascia di macerie faticano a trattenere i
bambini eccitati da questa stranissima novita'. Qualcuno si sporge troppo
dai muri pericolanti e dai mucchi di macerie che separano le case dalla
fascia di sicurezza, cosi' i soldati iniziano a sparare. Nessuno di noi si
muove, mostriamo i passaporti e rimaniamo con il braccio alzato brandendo il
libretto bordeaux come unica garanzia di immunita'. Tra i francesi una
palestinese naturalizzata ha il fazzoletto in testa e l'abito classico delle
donne di qui, c'e' anche una marocchina che si e' messa la camicetta
tradizionale del suo paese. Passa poco tempo e qualche altra schioppettata,
quando arriva, sferragliando in una nuvola di sabbia, un mezzo blindato che
si ferma di fronte a noi e alla pompa, gli operai continuano imperterriti il
loro lavoro. Due francesi si spostano a pochi metri dal blindato e rimangono
col passaporto innalzato come una bandiera, immobili come statue di sale,
mentre gli spari si fanno piu vicini. Alcuni perdono l'iniziale sicurezza e
si accucciano. Un elmetto verde spunta da dietro l'ultimo muro, e' una
guardia di frontiera egiziana che si ferma per tutto il tempo ad osservare
la scena. Poi una mano esce da una feritoia della torretta blindata, ma dal
movimento non si riesce a capire se intende ("vieni qui" oppure "vai via").
Uno degli operai scambia qualche parola con l'ufficiale corazzato poi
continua imperterrito a spalare merda. Uno degli operai si arrampica su di
un traliccio della luce per la riparazione, li in mezzo tra noi e la pompa,
tutti lo guardano e trattengono il fiato. Intanto uno del CDU mi ha detto
che il sindaco e' al telefono con gli israeliani e si sta accordando perche'
gli operai possano finire il lavoro in pace. Io cerco a stento di
controllare la paura, e quando vedo Fabio e Luca che sono ancora con gli
altri sulla linea del primo schieramento, ancora immobili sotto il sole che
nel frattempo ha raggiunto il suo zenit, non si muove un filo d aria, anche
l'ombra sembra scomparsa. Mi faccio coraggio e m'incammino verso di loro
guardando bene dove metto i piedi in quel groviglio di pavimenti, stele da
lampadario inghiottite dalle macerie e tondini per il cemento armato che
spuntano da ogni dove. Raggiunti i ragazzi, per abbassare la tensione e
recuperare un po' di coraggio, ci mettiamo a cantare 'Bella Ciao' tra gli
applausi dei presenti. Poco piu' tardi la tensione si allenta e arrivano
vassoi con te bollente e bottiglie di cola ghiacciata. Dopo un'oretta arriva
anche il pranzo, riso con carne, e cosi l'interposizione si trasforma in un
pic-nic e poi in uno svacco fino alle H17,00 quando, finite le riparazioni,
torniamo tutti da dove siamo venuti. Alcune delle foto dell interposizione
scattate da fabio in digitale sono visibili all'indirizzo:
http://www.inventati.org/liberapalestina/rafah2506.htm
*** 24.06.02
C'è un blocco stradale sulla strada che dal check point israeliano di Abu
Holi porta verso Khan Younis. Le macchine che arrivano da Gaza hanno magari
aspettato un paio di ore ad Abu Holi, quelle che vanno verso Gaza si
preparano all'attesa. Si trovano la strada sbarrata ma, a parte qualche
eccezione, nessuno si arrabbia. Non sono gli israeliani che bloccano la
strada, sono palestinesi seduti su delle sedie di plastica. Quelli in prima
fila hanno dei cartelli in arabo e dei piatti vuoti in mano. Sono i
lavoratori palestinesi rimasti disoccupati da almeno un anno e mezzo. La
strada viene bloccata solo un ora al giorno ma il presidio dura tutto il
giorno da almeno diciassette giorni. Hanno costruito un'ampia tettoia di
fronte alla sede del governatore della regione di Khan Younis. Dicono di non
essere soli ma di essere in accordo con i lavoratori di tutta Gaza e che
delle tettoie simili ci dovrebbero essere anche a Gaza e a Rafah. Sono tanti
sotto la tettoia e sono contenti di vederci, c'è molta voglia di comunicare,
chi più timidamente e chi meno, dopo aver scoperto che non sappiamo l'arabo,
ci chiedono se sappiamo l'ebraico, loro lingua da lavoro, visto che tutti
fino a due anni fa lavoravano in Israele. Un anziano smuove vecchi ricordi
di un inglese studiato a scuola e incomincia a spiegarci la loro situazione.
Vogliono che l'Autorità Nazionale Palestinese gli aiuti. Mi dice che in due
anni di disoccupazione hanno ricevuto per due volte un sussidio di 500
shekel per un totale di circa 220 euro. Il suo viso rugoso si contorce nel
tentativo di trovare le parole ma il racconto continua, dicendo che non ha
più i soldi per mantenere la famiglia. Arriva il presidente, i ricordi
scolastici sono più recenti e l'inglese si fa un po' più fluente. I
lavoratori chiedono all'amministrazione di garantire, energia elettrica,
istruzione e sanità gratuiti per i lavoratori disoccupati e le loro
famiglie. Chiedono anche l'aumento del sussidio. dicono che se le loro
richieste resteranno inascoltate, bloccheranno la strada per più tempo, poi
la lotta potrebbe continuare con lo sciopero della fame e l'occupazione del
palazzo del governatore. Il discorso si sposta poi sugli sprechi e la
corruzione interni all'Autorità Nazionale Palestinese che a detta loro ha
sprecato, e continua a sprecare i molti aiuti economici giunti dai paesi
arabi e dall'Europa. Ci dicono che loro non si possono permettere di
comprare la frutta perché troppo costosa. Hanno quindi deciso un
boicottaggio di tutta la frutta, costringendo i negozianti a non venderne
più entro sei giorni, la pena per i trasgressori sarà di vedersi mangiati
tutti i prodotti pronti alla vendita. Forse la protesta è un po' naïf ma non
posso che provare simpatia per questi lavoratori. Quando c'è ne andiamo ci
salutano tutti felici di aver raccontato la loro storia con la speranza che
il loro problema venga ascoltato anche lontano da quella strada.
*** 24.06.02
Ho conosciuto mio marito alla facolta' di farmacia dell'universita di Skopje
in Macedonia e dopo qualche anno ci siamo sposati, abbiamo vissuto insieme
undici anni poi, insieme, abbiamo deciso di venire a vivere in Palestina.
Per me l'importante era di vivere in pace in casa mia, non importa in quale
paese, era sufficente che uno di noi vivesse nella sua terra. Quando siamo
arrivati a Khan Younis nel 1995, siamo andati a vivere ad Al Qararah con la
famiglia di mio marito, poi abbiamo aperto una farmacia a Khan Younis ma
dopo qualche tempo abbiamo constatato che era meglio avere un altra entrata
e cosi' sono andata a lavorare come farmacista per la mezza luna rossa
palestinese. Mi piaceva la vita qui, il mio lavoro era buono e anche il
posto in cui vivevo era un posta tranquillo immerso nel verde, con molti
alberi, l'unica cosa che non mi piaceva erano i filari di fichi d india
lungo la strada. Tuttavia io sono cristiana, e qui hanno un altra cultura e
un altro modo di vivere, e anche per questo dopo tre anni, insieme ai due
fratelli di mio marito, un farmacista e un avvocato, con grandi sacrifici
abbiamo costruito la nostra casa nuova a due piani dove ogni fratello aveva
un appartamento di 170 metri quadrati dove vivere con la sua famiglia sulla
terra del padre. Questa casa e a pochi metri dalla strada dei coloni, quando
l' abbiamo costruita non era un posto pericoloso, ma l'inizio dell'intifada
ha segnato la fine della nostra pacifica esistenza. Tutto e cominciato la
sera del 22 novembre 2000 in Al Qarara, dove i primi carri armati hanno
scortato i buldozers nella nostra via. Quando li ho visti arrivare ho
pensato che finalmente avrebbero spianato quei filari di fichi d india
spinosi, ma invece hanno sradicato i settanta alberi di ulivo del padre di
mio marito, e stato orribile, sono corsa subito a casa e dal terrazzo vedevo
i bulldozers che si avvicinavano alla mia casa, mi sembravano macchine
strane, enormi, orribili come mostri. non avevo mai visto niente del genere
e non sapevo cosa fare, cosi sono scesa dal terrazzo, il buldozer era fermo
davanti alla porta di casa e io li pregavo di fermarsi sperando che
provassero un poco di pena per me, ma se ne andarono solamente quando ebbero
distrutto ogni cosa intorno alle case, la nostra e quella del padre di mio
marito. In seguito venivano tutti i giorni e se vedete quel posto oggi, non
c'e' piu' verde come prima, e diventato un deserto, abbandonato e desolato.
Dopo quattro mesi abbatterono tutti i pali della luce, cosi avevamo i cavi
dell'elettricita che correvano per terra lungo la strada. Ogni sera venivano
con i bulldozer e due carriarmati di scorta e tagliavano l'acqua e la luce.
e noi di giorno dovevamo riparare i danni da soli. Ho cercato di parlare con
i soldati, come un essere umano, dicendo loro che non avevo mai pensato che
fossero miei nemici, che se non ci volevano far vivere li lo dicessero
chiaramente, ma che per favore non distruggessero piu' nulla. I soldati
ascoltavano ma non rispondevano nulla, i soldati fanno il loro lavoro, io
posso capirlo, ma continuavo a ripetergli che io non sono palestinese, che
sono macedone e anche se i palestinesi si sarebbero arrabbiati con me , loro
non erano miei nemici, io volevo solo vivere in pace a casa mia. In seguito
alla sera ci toglievano la luce dalla camera da letto, allora io ero
costretta ad andare a dormire sul pavimento della cucina con le mie due
figlie. Poi misero il filo spinato davanti alla casa e io ero costretta a
fare un lunghissimo giro per riuscire a rientrare in casa dopo il lavoro. Un
anno dopo, quando il ponte sulla strada dei coloni fu terminato i soldati
vennero con un ordine di evacuazione della casa e ci dissero che noi eravamo
brave persone ma che la nostra casa era troppo vicina al loro ponte e che
dovevamo andarcene in 48 ore, ma che siccome loro erano democratici, nelle
48 ore potevamo chiamare un avvocato ed appellarci all alta corte
israeliana. In seguito a cio' tornavamo ogni tre giorni alla nostra casa,
solo per affermare il nostro diritto alla proprieta' privata. L'ultima volta
sono andata verso i soldati che mi hanno fermata chiedendomi cosa volessi -
voglio andare a casa mia, quella e la mia casa - il soldato mi chiese se
volevo prendere qualcosa ed io risposi che volevo solo andare a casa mia,
allora lui chiamo' il suo comandante che arrivo dopo una mezzoretta con la
sua jeep, e mi disse che siccome io ero una persona per bene mi avrebbe
accompagnato a prendere quello che mi serviva ma che poi nessuno avrebbe mai
piu potuto tornare. A volte mi chiedo come ho fatto a vivere per due anni in
queste condizioni. ero molto avvilita e pensavo di non essere una buona
madre perche' facevo vivere le mie figlie in queste condizioni e forse avrei
dovuto fare qualcosa per portarle a vivere in un altro posto. Ho sempre
pensato che se riuscivo a vivere in pace in casa mia con la mia famiglia non
importava cio che succedeva fuori. ma i soldati non potevano capire questo e
non capivano neppure che io non li odiavo. Ancora oggi e difficile per me
comprendere perche' mi hanno obbligata ad abbandonare la mia casa. io sono
una straniera in questo paese e l' unico posto dove non mi sentivo straniera
era la mia casa.
Oggi le mie figlie hanno una sei anni e l' altra quindici, la piu' grande e
nata in Macedonia e forse ama la Macedonia piu' della Palestina. Se fossi
sola tornerei a casa, a casa, a casa. Ma ho la mia famiglia qui, mia figlia
ha iniziato i suoi studi in lingua araba e per lei sarebbe difficile
ricominciare in un altra lingua. Io avevo un buon lavoro a Skopje ma oggi
sarebbe difficile trovarne un altro, e cosa potrebbe fare mio marito? Non lo
so. Sarebbe molto difficile ricominciare tutto dall'inizio, mio marito ama
la sua terra e la sua famiglia, qui ha le sue amicizie e il suo lavoro, in
Macedonia la situazione e' difficile e noi non abbiamo soldi, per tutte
queste ragioni abbiamo deciso di rimanere qui, anche perche' mio marito non
potrebbe accettare di vivere mantenuto da me, non resisterebbe per molto
tempo in Macedonia. Il nonno di mio marito era di Jaffa e fu sfollato nel
1949 quando vennero ad abitare nella Striscia di Gaza, poi il padre di mio
marito si sposo' e compro' questo terreno ad Al Qarara vicino alla strada
dei coloni, infine i suoi figli hanno lavorato duramente per costruire
questa nostra casa, ma i soldati ci hanno distrutto la vita senza alcuna
ragione, senza che noi gli facessimo niente. Oggi viviamo tutti insieme in
un appartamento in Khan Younis ma io mi sento sempre sotto pressione perche'
il loro modo di vivere e troppo diverso dal mio e sono stanca, vorrei stare
un po sola. Ho una casa ma non posso abitarci.
*** 23.06.02 - STORIA DI KFEIE
Mi chiamo Kfeie, il mio nome significa "è sufficiente, è abbastanza" e si
può dire a Dio che per me "è sufficiente, è abbastanza" con i problemi. Sono
nata a Bersceva, ma nel 1948 sono scappata con la mia famiglia che ancora
ero piccola. La mia famiglia possiede ancora delle terre nel Negev ma noi
non ci possiamo nemmeno andare. Siamo arrivati qui a Al Qararah, nella
striscia di Gaza, noi siamo beduini, non riusciamo a vivere in città abbiamo
bisogno di spazi aperti. Non ho speranza per il futuro, vedo nero. Mio
marito è infermo, tredici anni fa si è ammalato, e non può più lavorare,
prima, lavorava in Israele e con i soldi guadagnati manteneva tutta la
famiglia, siamo riusciti a costruire anche una casa di un piano, quando mio
figlio si è sposato ha costruito il secondo e si è stabilito con tutta la
sua famiglia che è composta di sei persone. Circa tre mesi fa, nella stessa
notte in cui è stato attaccato anche il villaggio di Abasan, stavamo tutti a
casa quando, più o meno a mezza notte, un esplosione ha colpito il secondo
piano della nostra casa. Il colpo era mirato alla finestra ma fortunatamente
nessuno si è fatto male. Mio figlio, combattente palestinese, sapendo di
essere ricercato dagli israeliani è scappato. Poco dopo sono arrivati sei
carri armati e tre bulldozzer, poi dai megafoni ci hanno urlato di uscire
tutti dalla casa. Quando siamo usciti, con solo i vestiti che avevamo
indosso, i buldozzer hanno cominciato a distruggere la mia casa. I soldati
non ci hanno nemmeno dato il tempo di prendere nulla, nemmeno i documenti,
tutto è rimasto sepolto nelle macerie. I soldati sono rimasti a presidiare
l'area fino alle cinque di mattina, poi se ne sono andati. Ora vivamo in una
baracca e mio marito da quel giorno non ha nemmeno la forza di andare a
vedere le rovine della nostra casa. La nostra famiglia è composta di sette
persone: io e mio marito, che è invalido, un altro figlio è ceco e soffre di
un lieve ritardo mentale, ho un figlio piccolo che fa le elementari e due
figlie, una fa la scuola secondaria e l'altra è separata dal marito quindi è
tornata a vivere con noi. L'unico che contribuiva al mantenimento della
nostra famiglia era mio figlio maggiore che è un combattente, prima viveva
nell'appartamento sopra il nostro con la sua famiglia, ma ora è stato
costretto ad affittare un appartamento in città e soldi per noi non ha soldi
ufficienti per mantenere anche noi. Prima dell'inizio di questa intifadah i
servizi sociali ci aiutavano per la cura di mio marito ma ora le autrità ci
dicono che non ci sono più soldi. Gli israeliani sono sempre stati nostri
nemici, perchè ci hanno sempre preso le nostre terre.
*** LA MAMMA DI A. RACCONTA
Siamo venuti ad abitare a Khan Younis nel 1996, vivevamo in Arabia Saudita
e, come chiunque altro volevamo rientrare nella nostra terra in seguito agli
accordi di oslo e alla creazione dell ANP. Mio marito e un ingegnere edile e
l'ANP gli aveva commissionato molto lavoro in palestina. oggi lavora ad Abu
Dabi negli Emirati Arabi uniti, ma non riesce a raggiungermi in Palestina,io
vivo qui da sola con le mie tre figlie e, finche era vivo, con A.. A. e S.
erano legati da una profonda amicizia, anche piu' forte dei legami
famigliari,erano sempre fuori insieme, stavano in casa molto poco. Un giorno
il fratello minore di S. era andato a tirare sassi al check point di al
Tufah, cosi' S. e mio figlio andarono a prenderlo per riportarlo a casa, ma
sulla via del ritorno si divisero,da una parte S. e il suo fratellino e dall
altra A.. Sulla via di casa A. si era riparato dietro un muro perche' i
soldati gli sparavano, ma alcuni proiettili dum dum raggiunsero lo spigolo
del muro ed esplodendo a pochi centimetri dalla sua faccia sbrecciarono lo
spigolo, cosi' che le scheggie del muro lo ferirono ad un occhio. Quando lo
portarono all'ospedale dissero che doveva essere operato perche' rischiava
di perdere la vista, allora l'ANP lo fece trasferire in Arabia Saudita dove
lo operarono due volte e riusci a recuperare la vista anche se doveva
portare gli occhiali. Era un venerdi sera quando A. mi disse che andava ad
un matrimonio a Raffah con i suoi amici S. e M., io non sapevo nulla di
quello che faceva A. nella resistenza, pero' sentivo che sarebbe successo
qualcosa di brutto, ma non sapevo che cosa. Piu' tardi chiamai mia sorella
che vive a raffa due volte, la prima le chiesi di mandare suo figlio a
vedere dove era A., la seconda volta parlai direttamente con suo figlio che
era gia tornato a casa e mi disse che A. era ancora alla festa. Era gia
notte quando mi chiamo il marito di mia figlia chiedendomi se A. era tornato
a casa, gli risposi di no, che non era ancora rientrato. Quando mia sorella
venne a Khan Younis e busso alla mia porta in lacrime capii che ahmed era
morto. Dopo tre giorni dalla disgrazia vennero a trovarmi la madre e la
sorella di S., che era morto insieme a mio figlio, ma io non riuscivo ancora
a piangere, non so perche, forse il mio dolore era troppo grande. Oggi
quando vedo la TV e guardo tutti quei giovani che muoiono nella West Bank,
mi ricordo di A. e piango molto, ma non riesco a farlo davanti alle mie
figlie. piango da sola, non voglio che altri vedano il mio dolore. A. era il
mio unico figlio maschio e quando tutte le mie figlie saranno sposate io
rimarro sola, non ho altri figli maschi che si prendano cura di me quando
saro vecchia.
*** LA MAMMA DI M. RACCONTA
Sono nata a Sen Sen un villaggio a nord di Erez, fuori dalla striscia di
Gaza. quando sono venuta ad abitare a Khan Younis con la mia famiglia avevo
solo tre mesi, mio padre era stato ucciso durante la guerra del 1948 e noi
siamo stati sfollati nella striscia di Gaza, e siamo venuti a vivere a Khan
Younis. oggi viviamo qui in questa baracca di lamiere con il pavimento di
sabbia perche ci hanno bombardato la casa. Mio figlio M. era sposato e
andava a lavorare in Israele come bracciante agricolo o muratore, era lui
che manteneva la nostra famiglia. Quando e morto ha lasciato due figli, uno
di tre anni che porta il suo nome e uno di tre mesi nato dopo la sua morte.
Non sapevo nulla della sua attivita nella resistenza armata, quella sera M.
mi disse che andava ad un matrimonio con i suoi amici, S. e A.. Piu' tardi,
quella notte, qualcuno venne a dirmi che M. era morto in uno scontro a fuoco
con i soldati israeliani, poi venne un altro e mi disse che era rimasto
ferito. Poi vennero i suoi fratelli e mi confermarono che era morto. Il
giorno dopo portarono il corpo di M. a casa ed io potei vederlo e salutarlo
per l ultima volta. Ora siamo senza di lui e i miei due figli non lavorano e
non c'e' nessuno che ci aiuta ad andare avanti. L'ANP ci da una piccola
pensione di guerra ma e insufficiente, anche l'UNRWA ci da 120 kg di farina
ogni anno ma non ci basta per vivere. Mio marito e morto durante la prima
intifada e io sono rimasta con due figlie e quattro figli, compreso M. che
era il piu giovane, aveva dodici anni quando e morto suo padre e dopo 11
anni e morto anche lui sempre a cusa degli israeliani. I soldati mi hanno
strappato il padre ancora prima che nascessi, poi hanno ucciso mio marito e
ora mio figlio, mi hanno bombardato la casa costringendomi a vivere in
questa baracca di lamiere, come posso desiderare la pace? Gli israeliani
uccidono tutto cio che e palestinese, animali, alberi, case, persone, molti
dei nostri figli sono orfani di padre, per questo vanno a combattere e
nessuno li riesce a fermare. Noi amiamo la pace ma finche sharon sara al
governo non ci potra essere pace.
*** 22.06.02 - COMUNICATO CONGIUNTO BERRETTI BIANCHI-PAPA GIOVANNI
XIII-OPERAZIONE COLOMBA
Questa mattina quattro volontari dell'Operazione Colomba e dei Berretti
Bianchi stanno cercando di entrare nell'area di Al Mawassi. L'area di Al
Mawassi si estende nella fascia costiera nelle municipalità di Khan Younis e
Rafah, nella parte meridionale della striscia di Gaza. La zona di Al Mawassi
è considerata "zona gialla" dopo gli accordi di Oslo, cioè sotto completa
amministrazione civile e militare israeliana. Le ottomila persone
palestinesi che vi abitano sono sottoposte a numerose restrizzioni da parte
delle autorità israeliane. Il coprifuoco viene imposto tutte le notti, è
vietato ai palestinesi costruire nuove abitazioni o strutture pubbliche. La
diretta vicinanza con gli insediamenti e la massiccia presenza di militari
mette la popolazione civile in una continua situazione di pericolo, tensione
e paura. Nell'area non sono presenti strutture sanitarie e per i palestinesi
che vi abitano è molto difficile entrare e uscire dall'area. Vi sono casi di
persone alle quali, pur essendo residenti nell'area, viene negata l'entrata
e, spesso, sono costrette a bivaccare nelle vicinanze del check point
nell'area di Tufah, considerata molto pericolosa a causa dei continui
scontri tra l'esercito d'occupazione israeliano e le forze palestinesi.
La situazione economica ad Al Mawasi è disastrosa per la difficolta, da
parte dei contadini, di coltivare la loro terra, e di trasportare fuori i
prodotti. Anche la pesca risente di queste restrizzioni, i due attracchi per
pescherecci, giacciono inutilizzati, ormai da quasi due anni. L'accesso per
i palestinesi non residenti è vietato e anche gli stranieri sono costretti a
richiedere un particolare permesso presso le autorità militari israeliane.
L'area di Al Mawasi è tra le più fertili e ricche di risorse idriche della
striscia di Gaza e da circa vent'anni in parte occupata da insediamenti
israeliani. Le autorità israeliane giustificano tutte le restrizzioni
causate alla popolazione civile palestinese con il pretesto della sicurezza
dei tremila coloni israeliani, costringendo cosi ottomila palestinesi,
residenti nell'area, in una situazione che ricorda molto i ghetti ebraici
della prima metà del secolo scorso. Miloon Kothari, Relatore Speciale delle
Nazioni Unite sul Diritto alla casa, afferma, nel suo recente rapporto, che
Israele giustifica questi insediamenti come necessari a causa del "naturale"
incremento demografico. Ma, mentre il numero dei coloni cresce del 12%
all'anno, la popolazione israeliana è aumentata appena del 2% all'anno.
"Israele ha utilizzato la crisi attuale per consolidare l'occupazione dei
territori palestinesi - ha riferito Kothari - La costruzione di nuovi
insediamenti israeliani è incendiaria e provocatoria e i coloni sono liberi
di esercitare violenze e di occupare le terre. Israele ha costruito più di
100 colonie - case per circa 200.000 Israeliani - sulla terra occupata
durante la Guerra dei Sei giorni, e continua a costruirne." Condividiamo le
affermazioni di Miloon Kothari e per questo siamo decisi ad entrare
nell'area di Al Mawasi per poter testimoniare la situazione in cui la gente
vive.
*** 19 giugno - NOTIZIE DA KAHAN YOUNIS
Poco dopo le 21,00 elicotteri apache decollano verso la striscia di gaza, i
loro obbiettivi sono tre officine meccaniche, una alla periferia di Gaza
city, la seconda dentro Gaza City e la terza a Kahan Younis. Alle 21,20 dal
tetto della casa in cui viviamo ad Al Aassan Al Kabira, alla periferia di
Khan Younis si possono vedere chiaramente i bengala che scendono dal cielo,
lanciati da un caccia F16 dell aeronautica militare israeliana, e subito
dopo i lampi giallastri delle esplosioni, provocate dai missili sparati
dagli elicotteri apache sui bersagli illuminati dai bengala. in venti minuti
circa l'operazione si conclude, un ferito a Gaza e due a Khan Younis, nessun
morto. La mattina seguente andiamo sul posto dell attacco a Khan Younis e ci
raccontano che hanno sparato quattro missili aria-terra dentro una piccola
officina meccanica dove, secondo la stampa israeliana si fabbricavano bombe.
Naturalmente tra i palestinesi nessuno ne sa nulla. Lo spostamento d aria
causato dall'esplosioni ha fatto uscire i muri di mattoni dalle loro cornici
di cemento armato. nel garage accanto all officina un auto blindata e
implosa a causa dello spostamento d'aria, l'appartamento sopra il negozietto
ha riportato danni strutturali ancora da valutare, ma fortunatamente nessuno
della famiglia, che pure era in casa al momento delle esplosioni, si e fatto
male. La casa di fronte e stata scoperchiata e ora la cucina, la camera da
letto, lo studiolo e il bagno hanno per tetto un cielo di stelle.
*** 19.06.02 - Comunicato
Ci e' appena giunta notizia dell'ennesimo cieco, assurdo attentato a
Gerusalemme. Altre cinque persone si aggiungono alle diciannove vittime
innocenti morte nell'attentato di ieri (18.06) sempre a Gerusalemme. Da
qualche settimana viviamo nella striscia di Gaza, nella municipalità di Khan
Younis, dove andiamo a dormire con le famiglie che vivono, di notte, sotto
coprifuoco solo perchè la loro casa sorge troppo vicino alla strada dei
coloni la quale spacca in due parti la striscia di Gaza. La vita della gente
è molto dura e in tutti gli aspetti della quotidianità l'occupazione è
presente e condiziona tutto; dal lavoro all'istruzzione, dall'economia alla
vita personale tutto ha a che fare con l'occupazione. La rabbia e la
frustrazione di molti viene sfruttata dai gruppi che credono che la
strategia degli attentati sia l'unica possibile, applicando una politica di
morte che non ha altro risultato che dare ancora più forza a chi, in Israele
e nel mondo, sostiene la brutale politica di Sharon. Molta parte della
società civile palestinese, invece, lavora per convogliare la frustrazione e
la rabbia della gente in forza positiva, per cercare forme alternative di
lotta dove non vengano coinvolti i civili. Ci dissociamo totalmente con chi
crede che la strategia violenta sia una strada che porta alla pace e con
questo intendiamo sia gli attacchi suicidi in Israele ma anche la politica
di occupazione, oppressione e umiliazione che Israele sta portando avanti
nei territori occupati ancor prima dell'inizio dell'operazione "muraglia di
difesa". In Israele molti la pensano come noi e sono molti ad aver capito
che la sicurezza, per israeliani e palestinesi, si avra' solo partendo
proprio dalla fine dell'occupazione: il motto dei pacifisti israeliani è
"l'occupazione ci uccide". Impugnando il diritto di difesa, la politica
messa in atto da Israele si dimostra oppressiva e violenta tanto quanto gli
stessi attentati da parte palestinese, avendo quale unico effetto quello di
fomentare ulteriormente l'odio e di favorire i gruppi estremisti. Operazione
Colomba Berretti Bianchi
*** 20/6 - STORIA DI R.
"Era il 22 aprile del 2000. L'intifada non era ancora iniziata. Barak è a
capo del governo isreliano e Clinton alla Casa Bianca. Sono le quattro del
pomeriggio quando arriva la notizia che alcuni carri armati hanno
oltrepassato la "linea verde". Subito Ri., 20 anni e suo cugino A., 12 anni,
corrono verso quel punto a circa due chilometri dalle loro case, per vedere
cosa succede. Quando arrivano sul posto vedono due carri armati che sostano
a copertura di un caterpillar gigantesco che sta demolendo una casa ormai
disabitata, troppo vicina alla fascia di sicurezza. Il manovratore ha le
cuffie e pare ascoltare musica. I due ragazzi iniziano a tirare sassi al
bulldozer, quando vedono alcuni militari scendere da un blindato e venire
nella loro direzione, si nascondono dietro un cespuglio. In quel momento da
uno dei carri armati aprono il fuoco con proiettili da 55 mm. Uno di questi
colpisce Ri. di striscio alla testa, che cade in una pozza di sangue mentre
A. piange terrorizzato. Da lontano altri vedono la scena e subito chiamano
l'ambulanza che lo trasporta in un ospedale di Gaza, dove Ri. rimane in coma
per 12 giorni. Quando i medici avevano perso le speranze, miracolosamente si
è risvegliato. Tuttavia i medici consigliano il trasferimento di Ri. in un
ospedale estero meglio attrezzato per la riabilitazione motoria. Ma questo
non è mai stato possibile per ovvie ragioni di denaro e adesso anche a causa
dell'intifada. Oggi Ri. vive "su di una carrozzina", e racconta la sua
storia agli stranieri di passaggio (come noi), per trovare il modo di andare
all'estero e ricominciare a camminare. E' paralizzato al braccio e alla
gamba sinistra. Il proiettile ha lasciato una conca sulla parte destra del
cranio, delle dimensioni di un pugno chiuso.
*** 20/6 - STORIA DI S.
Prima di venire in palestina abitavamo ad Abu Dabi negli Emirati Arabi
Uniti, ci siamo trasferiti nella Striscia di Gaza nel 1992 in seguito agli
accordi di Oslo e alla creazione dell Autorita Nazionale Palestinese. S.
aveva 11 anni, io [R. la sorella] 12 e il nostro fratello maggiore F. 13, le
mie sorelline erano molto piccole e i due fratellini sono nati qui. Quando
siamo arrivati ala periferia di Khan Younis vicino al check point di Al
Tufah, qui cera solo sabbia e i soldati israeliani non sparavano a nessuno.
Mio padre torno a Abu Dabi per lavorare un altro anno e noi rimanemmo qui a
vivere con i nonni, quando mio padre torno' aveva risparmiato abbastanza
soldi per costruire questa casa dove abitiamo con tutta la nostra famiglia.
La vita era buona non cerano probelemi con i soldati e noi potevamo vivere
in pace, e stato solo nell autunno del 2000 che la nostra vita si e
trasformata in un inferno a causa di Sharon. Ho chiesto a mia madre se
ricordava altri periodi come questo e mi ha risposto di no, nemmeno la
guerra del 1976 e stata cosi brutta. Questo e il peggior periodo della
storia della palestina. Molti nostri amici sono morti,erano ragazzi giovani
di 20, 21, 19 e 17 anni. Mio fratello S. era sempre molto arrabbiato per
quello che succedeva qua ad Al Tufah, a Raffah e anche per quello che si
vedeva in TV. Avevamo un amico che studiava all'universita di Gaza e ogni
giorno attraversava il semaforo di Abu Hol, un giorno gli hanno sparato
mentre era seduto in macchina in attesa di passare e l'hanno ucciso. Lui
voleva solo andare a studiare, come molti altri quel giorno, ma l'hanno
ucciso, hanno sparato su tutte le macchine in attesa di passare il semaforo.
S. rimase molto turbato da quel fatto. Un giorno alcuni elicotteri apache
fecero un incursione vicino al check point di Al Tufah e bombardarono alcune
case, mio fratello F. si era nascosto in una di queste e un muro gli crollo
addosso, un suo amico lo tiro fuori dalle macerie salvandogli la vita e lo
accompagno all ospedale, di ritorno dall ospedale questo nostro amico ando'
a sparare ad Al Tufah e fu ucciso. Quel giorno S. disse che voleva anche lui
un kalashnikov per andare ad uccidere i soldati, per lui le continue
aggressioni e tutti quei morti erano diventati un incubo insopportabile,
cosi insieme ai suoi amici andava a sparare alla torretta del check point di
Al Tufah, cosi per la rabbia di aver perso tanti amici e per l'impotenza e
la disperazione di non aver alcun modo di difendersi dall'occupazione, solo
cosi si poteva sentire meglio, perche' aveva fatto qualcosa, forse era
inutile ma almeno aveva fatto qualcosa. Noi a quel tempo non sapevamo nulla
di quello che faceva S., lui non ci raccontava nulla. Una volta gli
israeliani hanno risposto al fuoco con il gas velenoso e anche S. lo ha
respirato e lo hanno subito trasportato all ospedale, dove per una settimana
e rimasto immobile nel letto, satva molto male. Molti altri in questa zona
hanno respirato i gas velenosi dei soldati israeliani. Durante la
convalescenza all'ospedale S. inontro un uomo della resistenza armata
palestinese che lo arruolo' per combattere i soldati israeliani, S. non
voleva uccidere civili ma voleva combattere i soldati perche' erano loro che
ci aggredivano continuamente. Piu' tardi quando usci' dall'ospedale fu
chiamato per una missione a Raffah, la citta al confine con l'Egitto. In
quell'occasione fecero saltare in aria un carroarmato. Quando torno' a casa
mi disse che un carro israeliano era esploso a Raffah, io gli chiesi come lo
sapeva, perche' la TV non aveva detto nulla, ma lui rispose solo -io lo so-.
Seppi che era stato lui solo dopo la sua morte quando me lo racconto un suo
amico, si era specializzato in esplosivi e lo comandavano in missioni per
far esplodere i carri armati e i bulldozer che demoliscono le nostre case.
Tutti i giorni andava con i suoi amici e partecipava a queste missioni
oppure andava a spare al check point di Al Tufah, ma non ci diceva nulla,
solo che usciva con gli amici. Una sera usci di casa per andare ad una festa
e mio padre gli disse di non fare tardi, verso la mezzanotte e mezzo,
qualcuno busso alla porta e disse che c'era stato un ferito durante uno
scontro a fuoco al check point di Al Tufah, lo avevano portato davanti a
casa nostra, in strada, e volevano un auto per accompagnarlo all ospedale.
F., mio fratello maggiore, usci per prendere l'auto e quando vide il ferito
si rese conto che era S., suo fratello rimase li davanti al corpo
insanguinato di S. che ra privo di sensi, rimase li e non sapeva cosa fare.
Poi finalmente lo portarono allospedale e videro che era ferito ad una
gamba, lo medicarono e lo ingessarono, S. rimase a casa immobilizzato dal
gesso per due mesi, poi comincio ad essere impaziente e ando' a chiedere al
dottore di cavargli il gesso, ma il dottore si rifiuto perche' non era
nacora guarito, S. insistette e minaccio il dottore, lui doveva liberarsi
dal gesso che lo costringeva a camminare con la stampella, quella li appesa
al muro. Cosi nonostante il dottore gli avesse proibito di togliersi il
gesso S. ando' da un amico e con il suo aiuto se lo tolse, quando torno' a
casa stava molto male e rimase a letto per quattro giorni. Poi venne a
cercarlo il suo amico Ahmed, ma io gli dissi che S. stava riposando e che
non volevo svegliarlo, ma lui insistette che era molto importante cosi andai
a chiamare S., che usci insieme ad Ahmed per andare al matrimonio di un loro
amico. Dopo la festa partirono per una missione. I miei genitori erano
andati a trovare dei parenti quella sera, e qualcuno telefono' a mio padre
sul cellulare per informarlo che cerano stati tre feriti sul fronte di
Raffah, mio padre che lavora alla TV palestinese trasmise la notizia in
redazione, senza farci troppo caso. Poi il suo amico lo chiamo' nuovamente e
gli chiese dove fosse S., mio padre rispose che era ad una festa, non poteva
immaginare che invece era morto a Raffah, e il suo amico non sapeva come
dirglielo, cosi gli chiese di mandare qualcuno a cercarlo. F. ando' a
cercare S. ma non lo trovo in nessun posto. Mio padre capi che doveva essere
successo qualcosa di grave e richiamo il suo amico, il quale gli disse che
S. era stato ferito gravemente e stava all'ospedale di Raffah. Cosi' mio
padre prese l'auto e corse a Raffah, quando arrivo' all'ospedale vide i tre
corpi di S., A. e M., erano morti. Stavano preparando due mine anticarro da
usare contro i buldozer, ma i soldati li avevano visti e gli avevano sparato
una granata che aveva fatto esplodere anche le mine uccidendoli sul colpo.
S. era tutto punteggiato di sheggie sul volto e gli altri due erano
sfigurati e irricinoscibili. Quando mi dissero che S. era stato ferito non
volli crederci, lui aveva moltissimi amici ed erano tutti la fuori, in
strada, a sparare e piangere di rabbia, ma io non riuscivo a credere che gli
fosse successo qualcosa e non volevo neppure uscire in strada, non volevo
sapere nulla, i miei sentimenti mi soffocavano e non riuscivo a muovermi.
Rimasi in casa a piangere per molte ore, mentre fuori gli amici di S.
sparavano in aria, poi portarono a casa il corpo di S. per un ultimo saluto
prima del funerale, allora lo vidi e credetti alla sua morte. Mio padre mi
disse che Dio ci aveva dato il meglio e che S. era morto da martire. S.
diceva sempre che lui viveva per questa terra, la nostra terra e che non
voleva nulla per se, solo morire per la sua terra. S. aveva 19 anni, sua
sorella R. di 22 ci ha raccontato la sua storia.
Aggiornamenti continui su
http://www.informationguerrilla.org/storie_dalla_palestina_dimenticata.htm