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Notiziario Coltiviamo la pace - domenica 09 giugno 2002
NOTIZIARIO "COLTIVIAMO LA PACE" - DOMENICA 09 GIUGNO 2002
"GROWING PEACE TOGETHER" NEWS - SUNDAY, JUNE 09TH, 2002
TRAINING PROJECT: "GROWING PEACE TOGETHER" - Responsible: Prof. Giovanni
Gianfrate - E-mail: gianfrate@dada.it
SUB-PROJECT: MAILING LIST, FOR THE PEACE IN THE HOLY LAND - Responsible:
Prof. Lorenzo Paolino, deacon - E-mail: info@coltiviamolapace.com -
Activity of project: Communications from the Christian Community in the
Holy Land.
The news spread through this mainling list is an activity of a training
project which involves young people, in order to educate them to democracy
and peace and to let them reflect about these conditions as the background
of a civil life together and of prosperity for everyone. Our students and
teacher colleagues take part at the mailing list. We accept and spread
requests of help and reflections about peace in the Holy Land, which we
receive from the Patriarchate of Jerusalem and from our friends who are
interested in a just solution of the Israelo-arabic conflict.
"GROWING PEACE TOGETHER" CULTURAL ASSOCIATION - http://www.coltiviamolapace.com
SOMMARIO:
01 - LA DISTRUZIONE DEL SANTUARIO DI SANTA BARBARA
02 - GLI ULIVI DI ABOUD
03 - ABOUD, "CITTÀ DEI FIORI"
04 - LA VIA DI ABOUD / THE WAY TO ABOUD
05 - "OMBRE GIOVANI", PER LA PALESTINA
06 - I PALESTINESI NEL CINEMA ARABO
07 - SOLIDARIETÀ
01 - LA DISTRUZIONE DEL SANTUARIO DI SANTA BARBARA
di Lorenzo Paolino e Giovanni Gianfrate
L'antico santuario di Santa Barbara di Aboud (pronuncia Abüd), in
Palestina, è stato fatto saltare dai militari israeliani domenica 2 giugno
2002. "Nel corso della sua vita lunga di tremila anni - riferiva un anno fa
Israel Shamir, scrittore e giornalista ebreo di Giaffa - Aboud aveva
adottato la fede cristiana da Cristo stesso […] e c'è una chiesa a darne
testimonianza, una delle chiese più antiche sulla terra, costruita nei
giorni di Costantino nel quarto secolo dopo Cristo, oppure forse in epoca
precedente, come ipotizzano alcuni archeologi. La chiesa è un gioiello,
restaurata con cura e mantenuta con diligenza". Da domenica 2 giugno 2002
questa chiesa non esiste più. Come i Taleban nella valle di Bamiyan, i
militari del civilissimo e democratico Stato di Israele hanno minato e
distrutto definitivamente "una delle più antiche chiese sulla terra". È
stato indiscutibilmente un grave atto di intolleranza religiosa degli ebrei
verso la presenza cristiana in Palestina? Di più. È stato un gravissimo e
deliberato atto criminale contro il patrimonio storico e culturale della
civiltà umana, atto di pura follia perpetrato da ebrei fanatici, ignoranti,
culturalmente e civilmente degenerati. Grazie alla prodezza di questi
fedeli esecutori degli ordini di Arik (Sharon) anche per questa importante
testimonianza della Cristianità possiamo dire quanto un gruppo di giovani
cristiani di Aboud hanno scritto riguardo la distruzione, avvenuta nel
Medio Evo, di un'altra chiesa: "Niente è rimasto tranne la memoria".
Quello che è accaduto ad Aboud, nella generale indifferenza e con la
complicità di una compiacente disinformazione, non è un caso singolare, un
incolpevole casuale incidente. Anzi, la distruzione di una chiesa può
apparire un episodio quasi marginale in considerazione agli sconvolgimenti
avvenuti negli ultimi cinquant'anni di aggressione sionista in Terra Santa.
Centinaia di antichissimi villaggi sono stati interamente distrutti, rasi
al suolo con la dinamite. Alberto B. Mariantoni, scrittore e giornalista,
in un articolo sul nostro Notiziario del 4 aprile 2002, ha ricordato "il
famoso villaggio biblico di Emmaüs che è diventato, come per incanto, la
"Foresta Canada", una gradevole ed ombreggiata pineta dove vanno a fare il
pic-nic, il sabato pomeriggio, gli attuali coloni Israeliani".
Aboud è uno dei tanti antichissimi villaggi non ancora distrutti, ma dove
la vita viene resa impossibile, dove la gente vi è rinchiusa ed è alla
mercé di qualche soldato che sparando su qualsiasi cosa che si muova è
convinto di adempiere al suo dovere.
Aboud, "città dei fiori", luogo nativo del profeta Abdia, di San Todro e di
Santa Barbara, dei primi cristiani e dei primi martiri, dove Gesù Cristo
stesso ha insegnato alla gente il comandamento dell'amore, che è rimasta
nella fede cristiana per due millenni, oggi è minacciata nella sua
sopravvivenza da fanatici ebrei sionisti che, farneticando, sognano la
conquista della "Grande Israele", quell'Israele durata qualche decennio
quasi tremila anni fa, da governare con un ordinamento politico tutto
particolare che potrebbe definirsi "teodemocrazia".
Come per gli altri villaggi ancora esistenti della Palestina storica, la
maggioranza (più del 60%) della originaria popolazione è espatriata ed è
sparsa per tutto il mondo alla ricerca di una vita migliore e dignitosa.
Aboud, città abitata da cristiani che si vantano di appartenere alla chiesa
Cattolica Romana, città dalle nove chiese quasi tutte distrutte e dalle
nove sorgenti d'acqua a cui non è permesso attingere, che vede ogni giorno
sradicare i suoi secolari olivi e con essi le radici della propria
millenaria esistenza, città assediata, affamata e assetata, si sta
chiedendo perché i Cristiani d'Occidente non spendono una sola parola per
la loro sopravvivenza, non fosse altro "in nome della Carità cristiana".
La notizia della distruzione del santuario di Santa Barbara di Aboud ci è
stata data da Enrico Gervasoni, che ringraziamo.
"Su diversi giornali oggi - domenica 2 giugno 2002 - si legge che militari
israeliani hanno fatto saltare un santuario e si dice che loro sarebbero
stati ignari del fatto che si è trattato del santuario di Santa Barbara di
Aboud. Non è possibile che loro non lo sapessero, visto che si trattava di
un sito largamente conosciuto". Gervasoni ha ricordato e ci ha inviato
l'articolo (che fa parte di un libro che è appena uscito in Italia) di
Israel Shamir sugli ulivi di Aboud, "uno scrittore ebreo che ha mantenuto
una coscienza libera, cosa che non avviene certo nel prevenuto e ignorante
mondo Occidentale, che a volte si definisce cristiano (Ma senza la "Carità"
intesa come "Amore", ci si può definire cristiani o credenti?). Un mondo
nominalmente cristiano o credente che dei cristiani di Palestina e
d'Oriente non gliene frega niente, anzi … scimmiotta e tifa per Israele:
cioè per l'aggressore e l'oppressore dei Palestinesi, cristiani compresi.
Ormai la propaganda antiaraba e antimusulmana è talmente penetrata nelle
teste "occidentali" che i cristiani d'Occidente preferiscono stare con gli
adoratori del vitello d'oro, piuttosto che cercare un dialogo con gli
Adoratori del Dio di Abramo o Ibrahim.
È risaputo che non è demonizzando gli altri che si dà valore alle proprie
convinzioni. Anzi, basare la propria fede solo sulla "denigrazione" degli
altri, sfruttando le lacune dei mondi altrui, senza peraltro dare contenuto
ad una proposta di valori da applicare nella vita terrena anche non
necessariamente "conforme" al secolare potere dominante.
La Carità intesa come Amore per il Prossimo, di qualunque razza o fede o
ceto uno sia, è ormai un optional praticato a discrezione da soggetti
autonomamente sensibili al Soprannaturale e non certo una costante di una
Organizzazione che dichiara essere nata e fatta per questo. Quando lo
Strumento, cioè l'Organizzazione, finisce per divenire fine a se stesso,
sia nell'impegno che nello scopo, si perde di vista il perché sia stata
costituito.
I Cristiani di Palestina, con gli altri Cristiani d'Oriente, cominciano ad
accorgersi che nello "Strumento" e nella "Struttura" c'è qualcosa che non
va … e forse anche delle anomalie di fondo".
Sul culto in Italia di Santa Barbara, al sito http://www.santiebeati.it
Maurizio Misinato e Giovanni Sicari riferiscono: "Nonostante il padre
Dioscoro, l'avesse rinchiusa in una torre per impedirlo, Barbara divenne
cristiana. Per questo motivo fu denunciata dal prefetto Martiniano durante
la persecuzione di Massimiano (III-IV sec.) e imprigionata a Nicomedia. Fu
prima percossa con le verghe, quindi torturata col fuoco, subì quindi il
taglio delle mammelle e altri tormenti. Infine venne decapitata per mano
del padre, che la tradizione vuole incenerito subito dopo da un fulmine.
Sempre la tradizione racconta che durante la tortura le verghe con la quale
il padre la picchiava si trasformarono in piume di pavone, per cui la santa
viene talvolta raffigurata con questo simbolo. E' invocata come protettrice
contro i fulmini e la morte improvvisa e protettrice degli artificieri,
artiglieri, minatori e carpentieri, vigili del fuoco. Il corpo di S.
Barbara si venerava, dal 1009, nella chiesa di S. Giovanni Battista a
Torcello e attualmente si venera nell'oratorio appositamente costruito
presso la Chiesa di S. Martino a Venezia-Burano. La reliquia del cranio era
custodita, prima in un busto di legno poi in uno di metallo, nella chiesa
di S. Barbara dei Librari. Con la soppressione della parrocchia di S.
Barbara, avvenuta il 15 settembre 1594, l'insigne reliquia fu portata a San
Lorenzo in Damaso. Il reliquiario, parte argento e bronzo dorato, è da
attribuirsi alla prima metà del XVI secolo. Il Diario Romano (1926) indica
a S. Maria in Traspontina, nell'altare a lei dedicato, un frammento di un
braccio. Alcune reliquie non insigni di S. Barbara sono conservate, in un
cofanetto del XII secolo, nel Tesoro di S. Giovanni in Laterano."
02 - GLI ULIVI DI ABOUD
di Israel Shamir - Giaffa, Israele, 16 giugno 2001 - Testo tradotto da
Susanne Scheidt e speditoci da Enrico Gervasoni. Il testo originale in
lingua inglese si può trovare al sito
http://www.israelshamir.net/aboud_english.htm
Mentre l'armistizio mediato dalla CIA entra in vigore, mi arriva una
telefonata angosciata da Aboud, un paesino sulle pendici occidentali delle
colline di Samaria. Il villaggio è stato saccheggiato dalle forze armate
che avevano anche sparato contro due uomini. Oggi mi sono recato lì, per
vedere il paese e per farmi un'idea dell'armistizio.
Aboud si trova circondato da tutte le parti dai nuovi insediamenti ebraici.
Una nuova e buona strada ebraica ci porterà nella zona. Questa strada ha
una diramazione per Aboud a circa tre miglia di distanza dal paese ed è
giusto lì che la strada è stata bloccata da ciclopici cumuli di terra.
Volevamo vedere se saremmo stati più fortunati prendendo la strada
dall'altra estremità - ma con il medesimo risultato. Finalmente trovammo un
sentiero stretto, di terra battuta, tracciato in mattinata dai contadini
che ci permise di entrare.
Aboud è uno dei villaggi più graziosi della Palestina, richiama molto la
Toscana. Le sue case in pietra smussate dal tempo crescono su dolci
colline. Le vigne si spingono in alto fin sui balconi e rigogliose piante
di fico donano l'ombra alle stradine. La prosperità di un villaggio si
riconosce dalla spaziosità delle sue abitazioni e dalla nettezza accurata
delle sue strade. Gli uomini anziani stanno, se non sono rifugiati di Gaza
o Deheisce, sono gente del posto e qui si percepisce, in un attimo che
oltrepassa i tempi, la Terra Santa come dovrebbe e potrebbe far vivere
tutti in un piccolo recinto, ombreggiato da muretti, su banchi di pietra,
riuniti come gli anziani di Itaca del giovane Telemaco. Questa è "la porta
biblica" del paese, ossia, un diwan. Ragazzi portano loro caffè e frutta
fresca.
Nel corso della sua vita lunga di tremila anni, Aboud aveva adottato la
fede cristiana da Cristo stesso, ci racconta la tradizione locale e c'è la
chiesa a darne testimonianza, una delle chiese più antiche sulla terra,
costruita nei giorni di Costantino nel quarto secolo dopo Cristo, oppure
forse in epoca ancora precedente, come ipotizzano alcuni archeologi. La
chiesa è un gioiello, restaurata con cura e mantenuta con diligenza. I
capitelli bizantini delle sue colonne portano l'immagine della croce e di
ramoscelli di palme. Una lastra con iscrizioni nell'antico aramaico,
recentemente scoperta, è stata murata nella sezione meridionale del
perimetro della chiesa.
Aboud ha più di una chiesa: vi si trovano una chiesa cattolica, una chiesa
greco ortodossa ed una chiesa della comunità Church of God, costruita da
Americani. Il paese ha anche una moschea nuova, visto che cristiani e
musulmani di Terra Santa convivono in grande armonia. Il 17 dicembre tutto
il paese, musulmani e cristiani, si recano a venerare la patrona del paese,
Santa Barbara. Ella fu una ragazza del posto che si innamorò di un giovane
cristiano e si fece battezzare. Questo accadde nell'epoca cruenta
dell'Imperatore Diocleziano e la ragazza cadde martire delle persecuzioni.
Le rovine della più antica chiesa di Santa Barbara sono ancora visibili in
cima ad una collina distante un miglio dal villaggio. Ai piedi della
collina si trova la grotta sepolcrale di Santa Barbara ed è qui che i
contadini accendono le loro candele e chiedono che vengano concesse loro le
grazie.
Questo è un ottimo posto per comprendere la totale follia della narrativa
ebrea predominante, di un "paese senza popolo, abitato da qualche sparuto
gruppo di nomadi arabi arrivati nel settimo secolo". Gli archeologi hanno
accertato che questo villaggio non è mai stato distrutto o abbandonato da
tempo immemorabile e bastano gli occhi per rendersene conto, vedendo. Ulivi
secolari coprono le colline, testimoni delle radici profonde di Aboud e
donatori dell'olio d'oliva, principale prodotto alimentare e risorsa
economica di Aboud.
Appena fuori dal paese si vedono due giganteschi bulldozer americani, marca
Caterpillar, che stavano man mano divorando questi ulivi. Erano enormi,
blindati su tutti i lati con speciali lastre. Sembravano insormontabili
fortezze in movimento. Essi dominavano sul paesaggio come i mostri
meccanici dell'Impero del Male aggredendo Ewocks, nelle Guerre Stellari.
I contadini stavano fermi sui cumuli di terra messi lì per bloccare
l'ingresso al paese, guardavano le macchine distruggere la loro fonte di
reddito. Non potevano avvicinarsi ad essi, visto che non fu permesso loro
di lasciare il villaggio, la loro prigione. C'era una tenda e un paio di
soldati, armati di mitragliatrici, posti sulla collina sovrastante
l'ingresso per costringere la gente a restare dentro. La scorsa notte, la
vigilia del Sabato, aprirono il fuoco sugli abitanti del villaggio che
cercavano di uscire dal paese, ferendo due uomini. Gli altri tornarono
subito dentro, per la loro salvezza. Poi, le forze armate entrarono, con i
loro fuoristrada e, percorrendo le strade del paese furono accolti dalle
pietre dei ragazzi. I coloni ed i soldati ebrei spararono fiumi di
pallottole contro le finestre ed i tetti prima di ritirarsi, evidentemente
nella convinzione di avere adempiuto al loro dovere di onorare il Sabato.
Per me era possibile oltrepassare la linea invisibile, visto che vale
soltanto per i palestinesi. C'era un ufficiale israeliano, in un
fuoristrada largo, modello American Hummer, a fare il sopralluogo della
devastazione. Perché lo stai facendo, gli chiesi, non sai forse che c'è
l'armistizio? Dillo a Arik (Sharon), mi rispose, noi eseguiamo gli ordini,
nient'altro. Ma egli, e con lui gli altri soldati e gli autisti dei
bulldozer non erano in alcun modo avviliti da questi ordini. Questi alberi
secolari non avevano alcun significato per loro, come non lo aveva né il
villaggio né la chiesa vecchia di duemila anni e non lo avevano gli
abitanti, per loro semplicemente cose da abbattere.
La Palestina non è mai stata il paese deserto che i primi sionisti
affermarono di avere trovato al loro arrivo. Ma sicuramente diventerà tale
se non riusciamo a fermare queste macchine.
OLIVES OF ABOUD
by Israel Shamir - Yafa, Israel, June 16, 2001
http://www.israelshamir.net/aboud_english.htm
As the CIA-brokered cease fire went into effect, I received an anxious call
from the village of Aboud, on the western slopes of Samarian hills. The
village was raided by the army, and two men were shot. Today I went there,
to see the village and to feel the cease fire.
Aboud is surrounded by the new Jewish settlements from all sides. A brand
new Jewish road leads to the area. It forks off to Aboud some three miles
away from the village, and there the road is blocked by cyclopean heaps of
earth. We tried our luck at the other end, with the same result. Eventually
we found a narrow dirt track the peasants broke in this morning, and drove
in.
Aboud is one of the prettiest Palestinian villages, strongly reminiscent of
Tuscany. Its time-mellowed stone houses grow on the gentle hills. Vine
climbs up their balconies, leafy fig trees provide shadow to its streets.
The prosperity of this well-established village is seen in the spaciousness
of the mansions, in the meticulously clean roads. The old men sit in a
small and shady, walled enclosure, on the stone benches, like the aldermen
of Ithaca gathered by young Telemachus. That is the biblical 'gate of the
city', or a diwan. Kids bring them coffee and fresh fruits. Local people
are not the refugees of Gaza and Deheishe; here, as in a time warp, one can
see the Holy Land as it should and could be.
Three millennia old Aboud received the faith of Christ from Christ himself,
says the local tradition, and there is the church ready to prove it, one of
the oldest on earth, built in the days of Constantine in the 4th century,
or maybe even older, as some archaeologists claim. The church is a dainty
thing, carefully restored and well taken care of. The Byzantine capitals of
its columns bear the image of cross and palm branches. They recently
discovered a plaque in old Aramaic script immured in the southern wall of
the church.
Aboud has more than one church: there is a Catholic, a Greek Orthodox and
an American-built Church of God. There is also a new mosque, as Christians
and Muslims of the Holy Land live together in great harmony. On December
17th all of them, the Muslims and the Christians, go to venerate the
village patron saint, St Barbara. She was a local girl who fell in love
with a young Christian and was baptized. It happened in the rough days of
Roman emperor Diocletian, and she was martyred in the persecutions. The
ruins of the oldest Byzantine church of St Barbara are still seen on a hill
a mile away from the village. At the foothill, there is her burial cave,
and there the peasants lit their candles and ask their wishes to be
fulfilled.
It is a good place to understand the complete lunacy of the prevailing
Jewish view of Palestine as of the 'land without people' sparsely inhabited
by the Arab nomad latecomers. Archaeologists have proven that this village
was never destroyed or abandoned since the time immemorial, and our eyes
agree with it. Age-old olive trees cover the hills, confirming the deep
roots of Aboud and providing it with olive oil, its main staple food and
source of livelihood.
Just outside a village, there were two giant American-built Caterpillar
bulldozers slowly devouring the olive trees. They were huge, covered from
every side by armour plates. They appeared impregnable, like moving
fortresses. They towered above the landscape as the mechanical monsters of
Evil Empire attacking Ewocks in the Star Wars.
The peasants stood on the heaps of earth blocking the entrance to the
village and looked at the machines destroying their livelihood. They could
not walk towards them, as they were not allowed to leave their village,
their prison. There was a tent, and a few soldiers with a machinegun on the
hill above the entrance, and they were there to keep the people in. Last
night, on Sabbath eve, they opened fire on the villagers who ventured out,
and wounded two men. The rest run back in for safety. Then the army went
in, in their jeeps, driving through the village, met by stones of the kids.
The Jewish settlers and soldiers sprayed windows and roofs with their
bullets and drove away, apparently feeling their Shabbat duty fulfilled.
I was allowed to cross the invisible line, as it was for the Palestinians
only. There was an Israeli officer in a jeep, a wide American Hummer, who
oversaw the devastation. Why do you do it, I asked, don't you know there is
the cease fire? Say it to Arik (Sharon), he replied, we are just following
orders. But he, and the other soldiers, and the bulldozer drivers were not
despondent about these orders. These age-old trees meant nothing to them,
as the village and two millennia old Church, and the people meant nothing
to them. Just something to be devoured and destroyed.
Palestine never was the deserted land the first Zionists claimed they found
at their arrival. But it will become one, unless we stop these machines.
03 - ABOUD, "CITTÀ DEI FIORI"
Ricerca realizzata da Aboud Christian Youth - Traduzione di Giovanni Gianfrate.
Indirizzi e-mail per collegarsi con i Giovani Cristiani di Aboud:
aboudyouth@yahoo.com
elias@siemensdc.com
Siti web consigliati:
http://www.angelfire.com/pa2/aboud/index.html
http://www.al-bushra.org/latpatra/churches.htm
Introduzione al documento - Questo documento è stato costituito e
realizzato con notizie raccolte dagli appartenenti alla Aboud Christian
Youth (associazione dei Giovani Cristiani di Aboud - Palestina) con il
grande aiuto del Sig. Ibrahim Hmaid, che vorremmo ricordare e ringraziare
tanto per i suoi notevoli contributi. Il documento in inglese è stato
tradotto dall'arabo. Esso può essere considerato come un ampio riassunto
del documento arabo. Chi conosce la lingua araba ed è interessato a tale
edizione può fare riferimento direttamente al documento in arabo.
Eventuali osservazioni saranno accolti favorevolmente con grande amore. Per
presentare osservazioni si può contattare qualunque membro della Aboud
Christian Youth (della Chiesa Cattolica Romana) di Aboud.
Aboud (pronuncia Abüd) è una città palestinese situata su una strada
parallela al litorale. Questa strada collega Gerusalemme a Nazareth. Aboud
è a 45 km da Gerusalemme, la città santa in cui fu crocifisso Gesù Cristo.
Essa è situata a 450 m sul livello del mare.
In realtà, più del 60% della popolazione di Aboud vive all'estero. Riguardo
questo aspetto Aboud non rappresenta un caso unico. La sua situazione è
esattamente la stessa delle altre città e villaggi palestinesi. La maggior
parte della popolazione è sparsa per il mondo, alla ricerca di una vita
migliore e dignitosa. Questa è una delle conseguenze prodotte
dall'occupazione.
Aboud è un luogo molto romantico. La natura è particolarmente affascinante.
Essa è circondata da olivi, fichi e viti. Molte sono le piante selvatiche e
le erbe che si sviluppano sulle montagne e nei campi.
Aboud ha un clima mediterraneo. Le quattro stagioni si susseguono
regolarmente; raramente si vede la neve durante l'inverno.
Le tradizioni orientali dominano la vita sociale della gente: scambi di
visite e ritrovi in alcuni luoghi sono speciali occasioni.
Ad Aboud si può vedere il vestito nazionale palestinese, anche se tende ad
essere indossato soltanto dalle persone anziane sopra i 60 anni.
In questa piccola città si può sentire l'odore del miscuglio tra presente e
passato. Il passato più antico risale all'Impero Romano ed è testimoniato
dalle tombe scavate nella roccia.
Si dice che l'antico nome di Aboud significa "città dei fiori", dovuto alla
bellezza della natura e dei fiori che si sviluppano nelle sue terre.
Secondo un documento redatto dal ricercatore L.E.P. Lombardi, pubblicato
nel 1959, la denominazione "città dei fiori" è il nome che venne dato ad
Aboud dal sacerdote Elia Al-Aboudi. Si dice inoltre che la denominazione
Aboud è stata data con riferimento al profeta Abdia (da Aboud) il cui nome
è menzionato ne Vecchio Testamento della Bibbia.
A circa 1 km a est di Aboud vi è la valle denominata "Lemon Valley", Valle
dei Limoni. Limoni, aranci e qualche albero di melo possono essere trovati
in questa valle. Una sorgente fornisce più di 150 metri cubi di acqua pura
che fluisce senza che possa essere utilizzata. A questo proposito, è bene
ricordare che ai Palestinesi non è permesso controllare le loro acque, né
investire in alcun progetto che possa utilizzare le acque. Questo è ciò che
accade in conseguenza dell'occupazione. Le rovine di un vecchio mulino ad
acqua sono state localizzate pochi metri a nord della valle.
Complessivamente esistono nove sorgenti d'acqua nel territorio di Aboud.
Nessuna di queste viene utilizzata. Senza dubbio, queste sorgenti hanno
attratto le prime genti che hanno abitato About nei tempi antichi.
La posizione di About fra il nord e il sud della Palestina ha reso il luogo
molto strategico. Una delle strade commerciali romane attraversava Aboud.
Questa strada, che è fatta di piccoli pezzi di pietra impiantati nel
terreno, può essere vista utilizzare ancora attualmente nella città di
Aboud.
Si dice che in Aboud Gesù si sedette su un luogo elevato per insegnare alla
gente. Più tardi, in quel luogo venne costruita una chiesa detta del
"Messia". "Messia" è una parola aramaica che significa Cristo.
Successivamente, questa chiesa venne distrutta ed il luogo è utilizzato
come cimitero.
Secondo alcuni riferimenti storici, in Aboud esistevano nove chiese. Alcune
di queste vennero distrutte nel corso di guerre. Altre sono rovinate per
cause naturali. Qui elenchiamo queste nove chiese.
"Messieh Church", Chiesa del Messia. Questa chiesa è stata completamente
distrutta. Si crede che essa sia la più antica chiesa di Aboud. Le sue
poche rovine si possono vedere nel mezzo della città.
"Knnasieh Church", Chiesa dell'Incontro(?). Completamente distrutta, è
situata nella parte orientale della città.
"Saint Todros Church", Chiesa di San Todro. Completamente distrutta. Si
dice che San Todro provenisse dallo stesso villaggio di Santa Barbara. Per
questo, si crede che Santa Barbara potrebbe essere originaria di Aboud. La
chiesa è a pochi metri a est della città.
"Saint Barbara Church", Chiesa di Santa Barbara. Questa chiesa è situata ad
ovest di Aboud, alla sommità di una piccola collina. Le sue rovine sono
molto evidenti, con vasche, tombe, pozzi e piccole porte. Il luogo, in
parte ricostruito, è continuamente visitato dai credenti cristiani. Una
data commemorativa è stata fissata il 17 dicembre di ogni anno. In questo
giorno la chiesa è meta di pellegrinaggio e viene preparato un genere di
dolce detto "Barbara". Il dolce "Barbara" è fatto essenzialmente di farina
di frumento, zucchero e alcune spezie.
"Simon's Church", Chiesa di Simone. Sullo stesso posto dell'antica
costruzione è stata costruita l'attuale Chiesa Cattolica Romana. Questa è
frequentata dalle persone cattoliche di Aboud.
"Saint Anastasia Church", Chiesa di Santa Anastasia. Questa chiesa è
localizzata a sud di Aboud. Le sue rovine sono evidenti anche ai nostri
giorni.
"Saint Abadia Church", Chiesa di San Abdia. Le rovine di questa chiesa sono
nel mezzo della città, ad ovest della strada principale.
"Virgin Mary Church", Chiesa della Vergine Maria. Questa chiesa è stata
costruita nel IV secolo. Sant'Elena (madre dell'imperatore romano
Costantino, che divenne Cristiano e fece della Cristianità la religione
ufficiale dell'Impero) ne ordinò la costruzione. La chiesa è stata
distrutta diverse volte, come le altre otto chiese di Aboud. Tuttavia,
diversamente dalle altre otto chiese, essa non è mai stata completamente
distrutta a causa di una forza invisibile che causava la perdita delle
forze a chiunque tentava di danneggiarla. Questo miracolo e parecchi altri
hanno conferito alla Chiesa della Vergine Maria una speciale
considerazione. La chiesa è attualmente frequentata dalle persone
greco-ortodosse di Aboud.
"Dare Al-Kawkab Church", Chiesa del Monastero della Stella. È situata nella
parte orientale della città. La fine di questa chiesa è stata molto
tragica. Essa è stata attaccata durante le guerre del Medio Evo ed è stata
completamente distrutta. I sacerdoti vennero tutti uccisi. I documenti
religiosi, importanti libri e alcuni oggetti finemente artistici vennero
bruciati. Niente è rimasto tranne la memoria.
ABOUD
http://www.angelfire.com/pa2/aboud/index.html
Introduction to the document - This document was gathered and released by
Aboud Christian Youth members with the great help from Mr. Ibrahim Hmaid
whom we would like to mention and thank much for his deep concern. We would
like to notify that this English document was translated an Arabic one. In
fact, this English document can be considered as a summary of the Arabic
document; but not a brief summary. Anybody who is good in Arabic and
interested in this issue can refer to the Arabic document.
Any comments are welcomed with a great love. To submit your comments please
contact any member of Aboud Christian Youth (The Roman Catholic Church) in
Aboud.
Aboud - Aboud is a Palestinian town located on the road parallel to the
coast. This road connects Jerusalem with Nazereth. Aboud is 45Km from
Jerusalem; the holy city where Jesus Christ was crucified. It is 450m above
see level. To be realistic; more than 60% of Aboud's population are abroad.
Aboud is not unique in this matter; it's case is exactly like the other
Palestinian cities, towns, and villages. The majority is scattered; seeking
a better life; seeking dignity. That is what the occupation has made; if
you were wondering.
Aboud is a very romantic place, the nature is very charming. It is
surrounded by olive, fig, and grapes trees. Many wild plants and herbs grow
up in the mountains and open fields. The weather in Aboud is a
Mediterranean one; four seasons a year, and rarely you see snow even during
winter. Eastern traditions dominate the social life of the people,
exchanging visits, gathering in some places at special occasions, etc.
In Aboud you can see the Palestinian national dress although it is becoming
restricted to relatively old people over 60s. In this small town you are
able to smell the mixture of the present and the past. The ancient past
that goes back to the Roman Empire is resembled by the Roman tombs that are
graven in the stones.
It is said that the old name of Aboud is "the city of flowers", and that
name was due to the beauty of its nature and the various types of flowers
that grow in it's lands. According to a document written by researcher
L.E.P.Lombardi that was issued in 1959; the name "city of flowers" is the
name that was given to Aboud by a priest Elias Al-Aboudi. It is also said
that the name Aboud was given after the name of the profit Obidia (from
Aboud) whose name is mention in the old testament of the Bible.
About 1Km to the East of Aboud there is a valley which is called Lemon
Valley. Lemon, oranges, and few apple trees can be found in this valley. A
vivid water spring that gives more than 150 cubed meters of pure water is
flowing without being taken care of. In this context it is good to mention
that Palestinians are neither allowed to manage their waters nor to invest
in any project that uses these waters. This is what happens to you if you
were occupied. Old ruins of an old water mill located few meters to the
North of the valley. In fact, a total of nine water springs exit on Aboud's
lands. None of these springs is being invested. No doubt; these water
springs attracted the first people who resided in Aboud in the far past.
The location of Aboud between the North and the South of Palestine has made
it very strategic place. One of the Roman trade roads was passing through
Aboud. This road which is made of small pieces of stones planted in the
ground can be seen till these days in Aboud.
It is said that Jesus was sitting in Aboud on a high place to teach people
and, later on, a church was built in this place and was called "Messieh".
"Messieh" is an Aramic word which means Christ. Later, this church was
destructed and was used as a cemetery. According to some historical
references it is said that nine churches existed in Aboud. Some of these
churches were destructed during wars; others were ruined by natural
effects. Here we list these nine churches:
"Messieh Church" : This church is totally destructed and it is believed
that this church could be the oldest church in Aboud. It is in the middle
of the town. Hardly you can see the ruins of this church.
"Knnasieh Church" : Totally destructed; it is in the East side of the town.
"Saint Todros Church" : Totally destructed; it is said that Saint Todros is
from the same village of Saint Barbara. For that reason it is believed that
Saint Barbara could be from aboud. It is few meters East of the town.
"Saint Barbara Church" : This church is in the West of Aboud on the top of
a small hill. The ruins of this church are very apparent with its parts
like pools, graves, wells, and small gates. Part of the place was rebuilt
and is being visited by some Christian believers continuously. A memorial
date has been set at 17th of December from each year. In this day, the
church is visited and a kind of sweet is made called "Burbara". "Burbara"
is made basically from wheat, sugar, and some spices.
"Simon's Church" : On the same place of this church the Roman Catholic
Church is built. This church is being used by the Roman Catholic folk in
Aboud these days.
"Saint Anastasia Church" : "This church is located South of Aboud. The
ruins of this church are very clear till these days.
"Saint Abadia Church" : The ruins of this church are at the middle of the
town to the West of the main road.
"Virgin Mary Church" : This church was built in the fourth century. Saint
Hellen (mother of the Roman Emperor Costantin, who became a Christian and
made Christianity the official religion of the empire) commanded to build
this church. This church had encountered several trials of destruction
exactly the same way the other eight churches in Aboud had encountered.
Nevertheless, unlike the other eight churches, this church was not totally
destructed because of a an invisible force that caused complete benumbness
to any one who tried to disfigure it. This miracle and several others gave
this church a special position. This church now is being used by the Greek
Orthodox folk in Aboud.
"Dare Al-Kawkab Church" : It is located in the East side of the town. The
end of this church was a very tragic end; it was attacked during the middle
ages wars; it was completely destructed; the priests were all killed;
important doctrine documents and books and some fine arts were all burned;
nothing was left except memories.
04 - LA VIA DI ABOUD / THE WAY TO ABOUD
by Dr. Maria C. Khoury - http://www.angelfire.com/pa/aboudyouth
Foolishly thinking the closure is getting better, I set out in the hills
and countryside of the west bank to travel to a small Christian community
in Aboud where we offer elementary and junior high school education in the
Latin Partriarchate School next to the church where Fr. Aktham Hijazin has
been serving for the last three years. A very young and kind priest, Fr.
Aktham Hijazin is proud of the active youth group in the village where he
serves about 100 families. They publish a quarterly youth magazine entitled
"the voice of the city of flowers" and they maintain a web site at
http://www.angelfire.com/pa/aboudyouth
The village is about one hour Northwest from Jerusalem on what might be
thought of as a borderline before entering Tel Aviv. The two thousand
residents of Aboud are half mixed Christians and Muslims and surrounded by
Israeli settlers. Besides the Latin Church, there are two other church
communities in this lovely village, the Orthodox, and the Protostant school
and parish.
Every road to every single Palestinian village on the way to Aboud had a
large cement blocks about three feet high at the entrance of the village.
About four large blocks prevent the netrance and exit on these small roads.
One cement block sometimes is pushed out of the way and allows people to
temporarily get in and out the village. However, anytime the Israelis want
to make us prisoners in our own homes, they certainly have the power and
control to cage us in like animals.
These cements blocks have prevented about seventy children according to the
headmaster Mr. Ibrahim Hemad from reaching the Aboud school since sept
28th. By now these children have simply stopped being students at the Aboud
School. These students were a great loss for such a small school community.
My intention in visiting the Aboud School was to follow up two of our
English programs, the writing contest among all the schools and spelling
competition in the 6th and 7th grade. Also, to set up the Holy Land
Correspondence program where Palestinian girls in Aboud can exchange
letters with American girls to share ideas about culture, school and
traditions. Now, I have a list of boys that would like to participate in
the pen-pal activity but no American boys to match up.
Although its frightening to see the bad road conditions in the Holy Land, I
continued my journey to Aboud. What usually is very busy road hardly had a
soul travailing. And the cars that I did see frightened me even more. An
army jeep in the front and an army jeep in the back of the bus now
accompany most Israeli buses. It's a very strange site. I saw them pass and
throught how safe they are being accompanied by a jeep full of soldiers
with heavy -duty guns. The Holy Spirit usually accompanies me so I managed
to calm down the adrenaline that began to quickly flow at the sight of
these soldiers. The problem with the settlement roads is you never know who
might attack you at random. Israeli settlers on the mountaintops attack
Arabs woth white plated cars while Palestinians throw stones on yellow
plated cars.
Having reached aboud safe and following a succesful school visit, I head
for home. To my surprise there was a new checkpoint set up at the point
that was not there when I had passsed in the morning. The soldiers stopped
me. "Shalom Shalom" To make a long story short, I was not able to pass from
the same road I had traveled in the morning to return to my home. Although
I tried to be logical and explain my home was just ten minutes away and my
children were waiting for me after school to let then in the house and feed
them. I need to go home badly. I'm very good at begging and I have gotten
use to waiting but the soldier got sick of my pleading and weaning and
said: "if you don't go back, I will shoot."
"I have done nothing wrong, I just want to go home, please let me get by."
"If you don't go now, I will shoot your car"
well, I know the grace of God was still with me but I was not going to pass
this checkpoint. By now, my children are locked out of the house, they will
not eat lunch on time, and I better not show up with bullet holes in my car
because my husband will kill me if this soldier misses. Besides, Mercedes
parts are too expensive to buy on this side of the world. All of sudden, I
knew what Mr. Barak meant when he said that the Palestinians would have
limited access to roads. I guss it means in my case, I can go to work in
the morning, but I can't go back home. This is the democracy of Israel and
insanity of the Israeli occupation.
Thus, frustrated, angry and mad some people have dealt with these
conmditions since 1948. I truly believe the world dose not know the daily
suffering and lifetime struggle of the Palestinian people. we are not
asking for luxuries here like swimming parties, hockey games, disneyland
and field trips. We are asking for the basic right to go to school and
work. If you are an American voter, please contact your senators and
representatives today. Organize a petition in your youth group or in your
church community and present it to congress to plead for basic human rights
in Palestine. Please know that you can make a difference because it is the
American government that is giving blind support to Israel and igmoring
war-criminal behaviors and the atrocities we have seen in the last five
months. The land where our lord and Savior established our Christian roots
deserves a better environment than this current tragedy and bloodshed.
05 - "OMBRE GIOVANI", PER LA PALESTINA
"Ombre Giovani" è un progetto promosso dall'Assessorato alla Pubblica
Istruzione della Provincia di Firenze al quale hanno aderito sette istituti
superiori fiorentini incentrato sulla rappresentazione dell'universo
giovanile del cinema contemporaneo. L'obiettivo formativo è quello di
consentire "una gestione autonoma e consapevole del rapporto con la sfera
dell'informazione e della comunicazione audiovisiva, allo scopo di
contribuire alla crescita delle capacità critiche e del gusto estetico dei
giovani, coltivandone le potenzialità espressive e creative". Il progetto è
realizzato da un gruppo molto affiatato di docenti,coordinato dalla
Prof.ssa Maria Teresa D'Arcangelo, in collaborazione con il Laboratorio
Immagine Donna (Tel. 055 4288054) che annualmente organizza il festival
Incontro Internazionale di cinema e Donne. Al progetto "Ombre Giovani"
collabora il gruppo di lavoro di "Coltiviamo la Pace".
Mercoledì scorso, 5 giugno 2002, alla presenza dell'Assessore alla Pubblica
Istruzione della Provincia di Firenze, Piero Certosi, si è tenuta nell'aula
magna dell'Istituto Tecnico Agrario di Firenze la manifestazione conclusiva
delle attività svolte nell'ambito del progetto "Ombre Giovani", con la
pubblicazione di un Quaderno Cinema (che raccoglie relazioni, articoli e
saggi prodotti dai ragazzi) e la visione di brevi soggetti cinematografici,
sceneggiature, idee per videoclip e installazioni multimediali. Erano
presenti gli "autori" del Liceo Artistico Statale L.B. Alberti, del Liceo
Ginnasio Machiavelli-Capponi, dell'Istituto Tecnico Agrario di Firenze,
dell'Istituto Professionale di Stato per i servizi commerciali e turistici
Sassetti-Peruzzi, del Liceo Scientifico Agnolotti, dell'Istituto Tecnico
Commerciale Alessandro Volta, del Liceo Scientifico Niccolò Rodolico.
Fra le attività del progetto "Ombre Giovani" hanno avuto particolare
rilevanza la proiezione di alcuni documenti riguardanti la Palestina. Il
particolare sono state realizzate le seguenti iniziative.
20 Ottobre 2001 - Proiezione dei film "L'ULIVO" e "FADWA" della regista
palestinese Liana Badr al Cinema Alfieri Atelier di Firenze, nell'ambito
del XXIII Incontro Internazionale di Cinema Donne, realizzato dal
Laboratorio Immagine Donna.
"L'ULIVO" di Liana Badr, Palestina, 2000 - "In Palestina credono che
l'ulivo sia un dono di Dio alla Terra. Da sempre quest'albero ha offerto
luce, fuoco, nutrimento e sollievo al dolore. Chi distrugge gli ulivi
distrugge le radici più profonde di quella terra. Nel solo 1999
l'occupazione israeliana ha abbattuto 15.180 alberi d'ulivo. Il film
racconta i segreti della relazione intensa che lega le donne di Palestina
ai loro ulivi.
Nell'ombra delle loro foglie leggiamo la storia della nostra presenza su
questa terra. Nei nodi delle loro radici ritroviamo tutte le leggende dei
tempi passati perché l'albero è il focolare della vita.
Oum Ahmad racconta i sontuosi e splendidi rituali rurali della raccolta
delle olive, momento di gioia per uomini, donne e bambini. Il silenzio
tragico di Eman esprime la sua disperazione per non poter più raggiungere e
curare i suoi ulivi. Samia Halabi dipinge la scoperta del rapporto tra
ulivi, terra e identità".
"FADWA" di Liana Badr, Palestina, 2000 - "A dodici anni, per aver accettato
un fiore da un adolescente, Fadwa Touqan si vede proibire dal fratello la
scuola e la strada. «Tu non uscirai più dalla casa fino a quando non ti
porterò al cimitero». Un altro fratello, invece, guiderà i suoi passi sul
cammino della poesia. Un cammino solitario ma in sintonia con le vicende di
un intero popolo. Il film ripercorre la vita di Fadwa e la sua lotta per
conquistare la libertà e costruire la sua identità. Esprime tutta la
femminilità di questa voce che è riuscita a diventare uno dei simboli della
città di Nablus, quando a Nablus era sconveniente persino citare un nome di
donna.
LA NAZIONE.it - http://lanazione.monrif.net/chan/2/28:2626910:/2001/10/15
di Chiara Di Clemente, 15 ottobre 2001
FIRENZE — Amazzone e sirena: alzi la mano (oppure la pinna), chi fra le
donne non ha cercato di esserlo, chi fra le donne si è sentita costretta ad
esserlo, chi almeno una volta lo è stata. Una volta nella vita sia
incantatrice, sia guerriera.
«Amazzoni e sirene», come saltuariamente tutte noi, è anche il tema della
23esima edizione degli Incontri Internazionali di Cinema e Donne in
programma a Firenze da oggi, e fino al 22 ottobre. Rassegna che parte (con
l'incontro di questo pomeriggio con Mariangela Melato, nella foto grande)
dalla distanza della «rappresentazione»: così, in queste due dimensioni
mitologiche, all'opportunità femmina seduttrice all'opportunità "maschia"
combattente, sono state pervicacemente raccontate — divise, inscatolate dal
cinema come dalla letteratura — generazioni e generazioni di donne. «Ma
quando sono le donne stesse a raccontare — si chiede la rassegna —, cosa
succede? La scissione resta, o si annulla? Guardare il mondo da dietro la
macchina da presa, poi, non può essere un modo di annullare questa
contrapposizione, di rendere la combattività più deduttiva e la seduzione
più efficace?».
Donne di pace
E' guerriera perché ha vinto, è sirena perché ogni suo gesto è soave quanto
ipnotico, improntato alla grazia indiana: Mira Nair è l'ultima, in ordine
di tempo, fra le donne registe la cui visione del mondo ha trionfato al
Festival di Venezia; ed è contemporaneamente guerriera e sirena Niloufar
Pazira (nell'altra foto), l'attrice afghana protagonista del «Viaggio» di
Makhmalbaf: al cinema, in queste ore, i suoi enormi occhi azzurri brillano,
dietro alle grate del burqa, d'orgoglio e determinazione; in tv la vediamo
fascinosa e suadente, combattere ai dibattiti perché le bombe americane
risparmino vittime innocenti. In sei giorni al cinema Alfieri Atelier
(info: Laboratorio Immagine Donna, 055-4288054) verranno presentati 60
film, tra corti, medi e lungometraggi, in arrivo dagli Usa e dalla Cina,
dalla Germania e dall'Italia; immagini e storie il cui cuore è sempre
quello d'una (o più d'una) donna, d'una autrice. A partire dalla georgiana
Nana Djordjadze, anche lei protagonista della giornata d'apertura, cui
verrà consegnato il Sigillo della Pace del Comune di Firenze: creatrice
ella stessa di combattive sirene (Sybille, la lolita in guerra contro le
ipocrisie in "27 baci rubati"), ella stessa dissidente amazzone della
poesia.
Donne in guerra
Ed è palestinese Liana Badr, altra stella pensante del Festival: poetessa,
romanziera, oltre che regista. Ancora, la «nostra» Mariangela Melato:
eterea sirena ronconiana e popolarissima amazzone wertmulleriana, donna
forte e di cuore. Donna libera, più che altro. Perché alla fine, che si sia
amazzoni, o sirene, o entrambe, l'importante è solo una cosa, al cinema ed
altrove. Essere libere di sceglierlo. Essere libere di esserlo.
REPUBBLICA.it - 19 Ottobre 2001
http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20011019/firenze/11finto.html
La palestinese Liana Badr bloccata a Gerusalemme
RISCHIA di non poter venire a Firenze la regista palestinese Liana Badr,
attesissima ospite oggi degli Incontri internazionali di cinema e donne: è
rimasta bloccata all'aeroporto di Gerusalemme da dove ieri non si
decollava, e la tragica situazione della sua terra ha complicato il suo
viaggio. Domani al cinema Alfieri (via dell'Ulivo 4, ore 16, per
informazioni telefono 0554288054) saranno proiettati i suoi film Fatwa e
L'ulivo. Il primo è il ritratto della poetessa palestinese Fatwa Touquan,
il racconto della sua storia, dall'età di dodici anni - quando per aver
accettato un fiore da un adolescente si vide proibire la scuola e la strada
- fino all'età adulta quando, con la poesia, si è fatta interprete del
dramma della sua patria e del suo popolo. L'ulivo è invece dedicato
all'albero simbolo della Palestina.
Intanto la regista georgiana Nana Djordjatze, anche lei ospite della
rassegna fiorentina, ha ricevuto ieri in Palazzo Vecchio il «Fiorino della
pace», applaudita da un foltissimo pubblico di studenti. La Djordjatze è
autrice di 27 baci perduti, che racconta luoghi sconosciuti all'Occidente,
come il Caucaso o la Colchide, oggi dilaniati dalla guerra: nel film sono
visti dagli occhi di una donna, che riesce a superare i conflitti grazie ai
rapporti umani tessuti dall'amore femminile per la civiltà.
REPUBBLICA.it - 21 Ottobre 2001
http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20011021/firenze/01spafi.html
di Beatrice Manetti
Fugge a piedi dalla Palestina per venire al festival
Da molti anni in Palestina la strada più breve tra due punti non è sempre
una linea retta. A volte funziona meglio uno zig zag, altre volte una
figura più complessa. Per arrivare a Firenze da Ramallah, dove vive, la
scrittrice e regista Liana Badr ha dovuto allontanarsi, andare verso est, e
poi tornare indietro. Dopo l'assassinio del ministro israeliano Rehavam
Zeevi, nei Territori palestinesi non si entra e non si esce. All'ingresso
di Ramallah, intorno a un check point installato da pochi mesi, si replica
ogni giorno lo stesso copione di pietre e fucili. Liana Badr l'ha aggirato
di notte, ne ha superato un altro dove è stata perquisita con una minuzia
esasperante, ha raggiunto il confine giordano e a piedi nudi, senza
bagagli, ha attraversato il ponte. Il resto è stato più semplice: Amman,
Milano, e infine Firenze, dove ieri la Badr ha presentato due suoi film,
L'ulivo e Fadwa, agli Incontri internazionali di cinema e donne. I messaggi
email che ha scritto in questi giorni alle organizzatrici del festival
raccontano una storia avventurosa, ma parlano anche di un'antica
umiliazione e di una tenacia che lascia senza fiato. La sua presenza qui,
emozionata e combattiva, dice tutto quello che c'è da dire sulla libertà
individuale e sul coraggio che dà il rispetto di se stessi.
In «L'ulivo», dove Badr racconta la tragedia palestinese attraverso la
strage degli alberi, una vecchia contadina cerca ogni giorno di entrare nel
suo pezzo di terra confiscato, ogni giorno viene respinta, ogni giorno ci
riprova. «E' la cosa migliore che abbiamo: l'ostinazione». E non è l'unica
che lei, intellettuale cresciuta in una Gerusalemme ancora non divisa e poi
nel ricco melting pot del Mediterraneo orientale, tra Libano, Siria e
Tunisia, condivide con le vecchie palestinesi ancorate alla terra cui dà la
parola nel suo film: «La nostra società ha valori che si tramandano nel
tempo: io sono cresciuta nella continuità di questi valori. La maggior
parte dei palestinesi dipendono dagli ulivi per la loro sopravvivenza ed io
stessa, che ho passato tanti anni in esilio, ho conservato l'idea che se in
casa ci sono il pane e le olive c'è benessere, c'è sicurezza, e quindi si
può vivere. Ma adesso, con la colonizzazione israeliana, si tagliano
indifferentemente le radici degli ulivi e quelle delle persone, si
compromette la loro possibilità di sopravvivere e si uccide la loro
memoria. In questa situazione la battaglia più difficile è quella per
mantenere l'anima intatta».
Forse è per questo che i suoi documentari raccontano il punto di vista
delle donne, «perché la guerra colpisce sempre più le donne degli uomini.
Alle palestinesi l'occupazione israeliana ha portato via tutto, diritti,
lavoro, consapevolezza di sé. Si salvano solo grazie alla solidarietà
reciproca». E tra le donne privilegiano le artiste, le voci in cui Liana
Badr può sentire un'eco della sua. In L'ulivo è quella della pittrice Samia
Halaby, in Fadwa quella di Fadwa Touqan, una delle più grandi poetesse
palestinesi. «Quando sono rientrata in Palestina, dopo ventisette anni di
esilio, ho trovato un paese profondamente cambiato. Negli anni Sessanta
c'era un interesse diffuso per la cultura, un bisogno di conoscere,
comunicare, creare. Trent'anni dopo la maggior parte delle persone erano
senza lavoro, in prigione o in esilio. L'urgenza di sopravvivere era più
forte di qualsiasi altro desiderio. Così ho capito che la battaglia per la
cultura era la più importante da fare. In più, la storia di Fadwa Touqan
tratta argomenti che sono fondamentali per la mia vita. E' la storia di una
donna tenuta prigioniera nella sua stessa casa, da cui alla fine è riuscita
a fuggire grazie alla sua creatività. Il fatto è che le donne palestinesi
hanno tutte la stessa storia, anche se ognuna ne dà la sua versione
personale».
In nome di quella storia, Liana Badr ha provato a capire perfino gli uomini
e le donne che il dodici settembre, nei campi profughi di tutto il Medio
Oriente, hanno alzato le due dita in segno di vittoria: «Sono reazioni
primitive, ma hanno un'origine precisa. L'occupazione israeliana ha fatto
sì che l'ignoranza crescesse tra la popolazione, soprattutto tra le donne,
e l'ignoranza, la miseria, l'oppressione, non danno mai buoni frutti: in
Palestina, prima della seconda Intifada, non c'era traccia di
fondamentalismo. Qualcosa del genere sta succedendo in Afghanistan, dove
gli Stati Uniti raccolgono oggi i frutti che hanno seminato in anni di
oppressione e di manipolazione. E' una guerra politica e ideologica, la
religione sta solo sullo sfondo». Se poi si deve proprio scomodare l'Islam,
ascoltate la versione di Liana: «Sono musulmana. Credo in Dio. E credo che
tutti abbiano il diritto di credere nel loro Dio».
BEATRICE MANETTI
Lunedì 22 Ottobre 2001 - Proiezione speciale del film "L'ULIVO" al Cinema
Alfieri Atelier, Firenze Incontro con l'autrice degli studenti delle scuole
fiorentine aderenti al progetto "Ombre Giovani" e "Coltiviamo la Pace".
Martedì 23 Ottobre 2001 - Incontro con Liana Badr con i giovani della
Consulta Provinciale degli Studenti e del progetto "Coltiviamo la Pace"
presso l'Istituto Tecnico Agrario di Firenze.
PROVVEDITORATO AGLI STUDI DI FIRENZE
Firenze, 11 ottobre 2001
Ai Dirigenti Scolastici degli Istituti Statali e Legalmente Riconosciuti
d'Istruzione Secondaria ed Artistica di "° grado di Firenze e Provincia.
Oggetto: Incontro con Liana Badr
Si porta a conoscenza che. in occasione degli Incontri Internazionali di
Cinema e Donne sarà presente a Firenze la più importante regista
palestinese Liana Badr. Si tratta di una artista particolarmente impegnata
nel far conoscere la cultura e la tradizione del suo paese attraverso il
cinema, ma anche attraverso la letteratura. I terni del suo lavoro sono
appunto le tradizioni palestinesi e la ricerca della Pace e della libertà.
segnatamente quella femminile contro ogni forma di razzismo e sessismo.
Liana Badr sarà accolta a Firenze con particolare interesse e amicizia e
ricevuta ufficialmente in Comune.
Sabato 20 ottobre ore 11 [per le difficoltà incontrate nel viaggio dalla
Palestina l'incontro è avvenuto martedì 23 ottobre 2002] nei locali
dell'Istituto Tecnico Agrario è stato organizzato un incontro tra i giovani
impegnati nel progetto "Coltiviamo la pace" e gli studenti della Consulta
studentesca fiorentina. Liana Badr ricopre anche incarichi ufficiali nel
Ministero della Cultura del suo paese, quindi l'incontro fornirà žžtili
elementi di conoscenza rispetto ad una realtà culturale oggi cruciale, ma
tutto sommato poco nota e potrà avere anche aspetti organizzativi per
quello che riguarda lo sviluppo dei progetti di collaborazione.
I capi d'Istituto sono pregati di informare della iniziativa gli studenti
della Consulta che già dal precedente anno scolastico hanno aderito al
progetto, ed a favorire la loro partecipazione.
Paola Maresca, Provveditore agli Studi
INCONTRO CON LIANA BADR - Scrittrice e regista palestinese
Intervento di Paola Corsinovi - Coordinatrice degli studenti del gruppo
permanente di lavoro del progetto "Coltiviamo la Pace"
Spesso, parlando del nostro progetto per la cooperazione e la pace, mi
viene chiesto: perché ti occupi di questi problemi? Cosa importa a noi di
quello che succede fra Israeliani e Palestinesi? Sono fatti loro. Ogni
volta devo spiegare: vedi, tu esisti su questo pianeta ¼
Io penso, come i miei compagni e i docenti impegnati in questo progetto,
che non serve studiare letteratura, matematica, scienze ¼, se non si è
consapevoli di esistere, di "essere" in questo mondo. "Essere" in questo
mondo significa: rendersi conto che vi sono troppe ingiustizie, troppe
guerre, troppa miseria, troppa ignoranza. "Essere" in questo mondo
significa: fare la propria parte, quanto è possibile fare a ognuno di noi,
per la pace e il benessere di tutta l'umanità.
Con questo spirito, noi accogliamo oggi Liana Badr e ci auguriamo che
questo sia l'inizio di una lunga amicizia.
While I'm talking about our project for the co-operation and the peace, I'm
often asked: "why are you interested in these problems? What do we mind
about what happens to the Israelis and the Palestinians? It's their
business. Every time I have to explain: "You see, you exist on a planet…
which is called Earth…
I think, as my friends and the teachers committed in this project, that
it's not useful to study literature, mathematics, science… if we are not
aware of existing, of "being" on this world. "Being " on this world means
to get aware that there are too many injustices, too many wars, too much
poverty, too much ignorance. "Being" on this world means to get our own
role, to do as much as we can for the peace and for the welfare of all the
humanity.
Today we meet Liana Badr with these feelings and we wish that this will be
the beginning of a long friendship.
CORRIERE DI FIRENZE - 15 Novembre 2001
di Chiara Pruneti, Elisa Meloni, Alberto Cheloni
La città santa in venti fotografie - Incontri e film hanno fatto conoscere
ai ragazzi Gerusalemme
FIRENZE - Avremmo voluto organizzare il momento di festa per Liana Badr
all'aperto, sotto le splendide conifere, accanto alla vasca delle ninfee,
però c'era la mostra fotografica da montare e, col tempo incerto non si
poteva rischiare. Alla fine abbiamo deciso per la biblioteca, un posto
serio pieno di libri antichi e scuri. Le foto le abbiamo sistemate tra un
ripiano e l'altro e poi, per rendere il tutto più chiaro e allegro abbiamo
sistemato piccole piante di olivo in vaso agli angoli e composizioni dai
toni caldi di frutta e foglie. Così abbiamo fatto diventare mostra una
piccola parte della documentazione fotografica realizzata durante il
viaggio di ricognizione e contatto compiuto da un gruppo di studenti
dell'Istituto due anni fa. Il quella occasione i ragazzi avevano
partecipato ad un seminario di studenti europei sui temi della cooperazione
e il professor Gianfrate si era scatenato a fotografare di tutto. Da un
volume mostruoso di materiali abbiamo scelto venti foto da ingrandire e
montare su pannelli. Tra le foto ve ne sono alcune in cui gli olivi
occupano tutto lo spazio mentre in altre è il contesto paesaggistico a
prevalere. Ci sono paesaggi urbani, come quello di Budra, un piccolo
villaggio di fronte alla collina di Samaria e inquadrature di Gerusalemme
con la cupola dorata della moschea di Omar, simbolo della Palestina. Sempre
da Gerusalemme la porta di Damasco fra gli olivi, ingresso misterioso e
antico al quartiere arabo. Tra i paesaggi non urbani troviamo colline
brulle, strade sterrate, campi delimitati da muretti di pietra a secco.
Prevalgono il grigio e il marrone dell'olivo, il rossastro della terra e
l'azzurro del cielo terso. Soltanto in due foto sono presenti soggetti
umani: nella prima due donne camminano lungo la strada e nella foto della
Porta di Damasco abbiamo due turisti e una guardia armata. Dalla metà del
prossimo mese (15 novembre) la mostra potrà essere esposta nelle scuole che
ne faranno richiesta, corredata da un opuscolo illustrativo. Sarà anche
bandito un concorso per la miglior fotografia o il miglior video o servizio
fotografico, o saggio di pittura, scultura, grafica o altro linguaggio
visivo dedicato agli olivi in Toscana. Le migliori opere saranno premiate
ed esposte durante la Festa di primavera dell'Istituto Tecnico Agrario e,
se la situazione sarà nel frattempo migliorata, a Nablus, in Palestina.
CORRIERE DI FIRENZE - 15 Novembre 2001
È il dialogo la scommessa dei giovani
di Paola Corsinovi
L'Istituto Tecnico Agrario dal '99 partecipa ad un programma di
cooperazione con i due stati - Un viaggio in Israele e Palestina per capire
e conoscere gli altri.
FIRENZE - Eh, no! Calma, calma non è che al Tecnico Agrario hanno inventato
l'ennesima specializzazione o che in azienda qualcuno ha inventato
l'ennesima rosa di colore inusuale. Questa volta si tratta di un "corso"
che riguarda tutti e di una pianta davvero rara e di questi tempi in via di
estinzione. Tutto è cominciato nel 1999 con l'idea di partecipare al
"programma di cooperazione tra Toscana, Israele e Palestina" in cui
l'Istituto Agrario si proponeva di offrire la sua competenza nel settore
della formazione professionale agraria e ospitalità per la preparazione di
gruppi di giovani di quest'area geografica attraverso scambi con scuole.
Dal 1 al 10 agosto 2000 una delegazione di studenti ha partecipato alla
Settimana Internazionale di Incontro per Giovani organizzata dalla
Municipalità di Nablus.
Poi è diventato molto difficile perché nei territori il diffuso clima di
scontro si è trasformato in qualcosa di molto simile alla guerra con
esplosioni, carri armati e tutto il resto. Il gruppo di lavoro permanente,
docenti e studenti, non si è però arreso alla drammaticità dei fatti e ha
continuato a operare in diverse direzioni, sempre allo scopo di costruire
strumenti di comunicazione e momenti di conoscenza reciproca per favorire
la formazione interculturale dei giovani. Una prima azione è stata la
traduzione della guida turistica della Palestina prodotta dalla Palestinian
Association for Cultural Exchange (P.A.C.E.) di Ramallah in italiano. Il
testo, che ovviamente scritto in arabo aveva traduzioni in inglese,
francese e tedesco, è stato reso in italiano con un lavoro collettivo degli
studenti di dieci giorni e revisionato dai docenti del gruppo di progetto.
Sono stati aperti centri di interesse in varie classi allo scopo di
documentare il presente e approfondire i temi culturali direttamente
connessi alle culture israeliana e palestinese.
A partire dalla celebrazione della Giornata della Memoria si è lavorato sui
temi della Shoah e della sua rappresentazione nella letteratura e nel
cinema italiano. Per quest'anno si prevede un approfondimento sulla musica
popolare ebraica e la sua riscoperta da parte delle giovani generazioni.
È aperta una "Mailing list, per la pace in Terra Santa". Costituisce
un'attività di informazione rivolta prioritariamente agli allievi
dell'Istituto Tecnico Agrario di Firenze. Attraverso la Mailing list
vengono soprattutto recepiti e rilanciati gli appelli del mondo cristiano.
Di particolare interesse sono i racconti sulla vita quotidiana dei bambini
palestinesi nelle difficoltà del conflitto, che meriterebbero un'apposita
pubblicazione.
Approfittando della presenza a Firenze della più importante regista
palestinese, Liana Badr, è stata organizzata una giornata di incontro
collegata alla presentazione del suo film, "L'ulivo".
Martedì 4 Dicembre 2001 - Proiezione del documentario "LA CASA DEI LIMONI"
nell'aula magna dell'Istituto Tecnico Agrario di Firenze Incontro con gli
autori con i giovani impegnati nei progetti "Ombre Giovani" e "Coltiviamo
la Pace".
LA CASA DEI LIMONI - Documentario girato con i giovani palestinesi nati e
cresciuti nei campi profughi. Regia di Isabella Sandri e Giuseppe Gaudini -
Testi e riprese di Isabella Sandri - Montaggio di Rossella Mocci - Musiche:
Ipsilon Indi - Italia, 1999.
"Cosa è successo ai bambini palestinesi di Sabra e Shatila nati dopo la
strage nei campi profughi del 1982 e la fine della guerra civile in Libano?
Alcuni non sanno neanche da dove vengono, ne chi sono. Altri invece
chiamano ancora il loro paese "Palestina". Per loro profughi, mal tollerati
in Libano, Israele è ancora il loro paese. Anche Nadia, bambina di dieci
anni, lo crede e percorre al contrario la stessa strada che suo nonno fu
costretto a fare ne!1948 quando fu scacciato da Haifa, dalla sua "Casa dei
limoni", Ma non potrà neppure passare il confine perché, contrapposta alla
sua follia del suo sogno di tornare, Nadia troverà la follia del conflitto
e della separazione".
Mercoledì 5 giugno 2002 - Giornata conclusiva dell'attività di progetto
"Ombre Giovani" - Incontro degli giovani autori con Piero Certosi,
Assessore alla Pubblica Istruzione della Provincia di Firenze.
DAL QUADERNO CINEMA DI "OMBRE GIOVANI" 2001/2001
Incontro con Liana Badr
di Elisa Meloni, Eleonora Casini
Lunedì 22 Ottobre ore 10 - Cinema Alfieri Atelier via dell'Ulivo, 9 -
Proiezione speciale del film L'ulivo e incontro con l'autrice
L'ulivo - Regia e sceneggiatura: Liana Badr - Montaggio: Kais Zubaiúdi -
Musica: Bashar A. Rabou - Fotografia: Usama Silwadi. Palestina, 2000, col.
37', video
In Palestina dicono che l'ulivo sia un dono di dio alla terra. Da sempre
quest'albero ha offerto luce, fuoco, nutrimento e sollievo al dolore. Chi
distrugge gli ulivi distrugge le radici più profonde di quella terra. Nei
lunghi anni di conflitto, che hanúno travagliato il paese, alle perdite
umane si sono accompaúgnate puntuali le distruzioni degli oliveti. II film
racconta i seúgreti della relazione intensa che lega le donne di Palestina
ai loro ulivi.
Nell'ombra delle loro foglie leggiamo la storia della nostra presenza su
questa terra. Nei nodi delle loro radici ritroviamo tutte le leggende dei
tempi passati perché l'albero è il focolaúre della vita.
Esiste un legame unico e speciale fra le donne palestinesi e l'albero
dell'ulivo. Per migliaia di anni l'albero ha fornito le donne
dell'essenziale per vivere. Cibo, fuoco, legno e profitúto. Nel film questo
legame è raccontato dalle immagini di donne che difendono le loro terre e
le loro case. Scopriamo la profondità di questo legame dall'osservazione
della vita quoútidiana della donne. Samia Halaby, artista e pittrice
raffinata, descrive in modo intellettuale, artistico e mistico il suo
intimo rapporto con l'ulivo. Si laureata in Storia dell'arte, ha lavoraúto
per i Musei d'Arte Moderna in varie parti del mondo, è torúnata in
Palestina a insegnare disegno alle donne nell'ambito di uno specifico
programma di sviluppo. Disegna alberi d'uliúvo e discute le loro
caratteristiche.
È stato possibile realizzare questo film grazie all'impegno geúneroso di
numerose donne riunite nel Creative Women Foúrum.
II film è composto da interviste in cui le donne palestinesi parlano del
ruolo che l'ulivo ha nelle loro vite. I differenti punti di vista formano
poi l'immagine completa.
Ulivi e ricerca della memoria - Samia Halaby è un'artista molto nota i cui
genitori sono emiúgrati negli Stati Uniti. Racconta l'amore per la sua
terra che ha guidato il suo ritorno in Palestina. Mostra i suoi quadri con
gli ulivi mentre è intervistata nel quartiere di Gerusalemme ovest in cui è
nata e cresciuta, a Yaffa dove ha vissuto con la sua famiglia prima che
fossero costretti a partire. Ricostruiúsce il periodo dell'infanzia sino
all'emigrazione forzata della sua famiglia negli Stati Uniti, per mostrare
quale peso abbiaúno avuto nel suo lavoro i suoi sentimenti di donna
palestineúse nella Diaspora.
Ulivi e terre confiscate - L'autorità civile israeliana ha costruito un
edificio su un terúreno di proprietà di Iman a Ramallah. Di conseguenza
Iman non è autorizzata a entrarvi a meno che non lo faccia di naúscosto.
Quando lo ha fatto, quest'anno, è rimasta sconvolta dalla scoperta che
qualcuno aveva abbattuto gli alberi d'uliúvo.
Ulivi e protezione della casa - Una donna che ha vissuto a Gerusalemme fin
dalla nascita, descrive l'intimo rapporto che ha instaurato con l'albero di
ulivo che ha piantato e di cui si è presa cura nel giardino di casa sua
allo scopo di lasciarlo in eredità ai suoi nipoti. è deúterminata a
continuare i suoi sforzi a dispetto dei continui tentativi da parte della
Israeli Municipality di Gerusalemme di allontanare i residenti arabi dalla
città.
Ulivi e raccolta delle olive come eredità culturale - Una donna di Salfeet
descrive il suo intimo legame con l'uliúvo e spiega i benefici che derivano
dalla coltivazione. Tali vantaggi sono parte integrante ed essenziale della
vita quoútidiana delle palestinesi. Racconta la sua storia, di come lei e
la sua famiglia siano occupate nella stagione della raccolta delle olive.
Ulivi e senso di appartenenza a un luogo - Um Fouad vive da sola nella sua
casa, con gli ulivi in giardiúno. Coltiva la terra e si prende cura degli
alberi. Suo marito e suo figlio sono andati a vivere negli Stati Uniti da
molto tempo. Ci descrive il legame con la sua casa raccontando i fatti
salienti della sua vita a partire dalla fuga dalla guerra nel 1967 e il
successivo ritorno.
Monte degli Ulivi a Gerusalemme e i tentativi di alteraúre il paesaggio -
Demolizioni illegali di case e lavori dissennati da parte della Israeli
Municipality modificano il paesaggio naturale di Monte Ulivi deturpandolo.
Vengono aperte strade ignorando il legaúme tra questo paesaggio e la
tradizione e la cultura religiosa degli arabi di Gerusalemme.
LIANA BADR è la più importante regista palestinese. Ha otútenuto premi e
riconoscimenti internazionali, ma soprattutto, è stata capace di esercitare
questa professione nella difficilissima condizione che da anni caratterizza
il suo paese. E' anche una scrittrice di successo, le cui opere, romanzi,
racúconti e poesie, sono state tradotte in molte lingue. Ha anche scritto
molti libri per ragazzi. La sua opera si è soprattutto incentrata sui temi
della donna, della guerra e dell'esilio, con forti elementi autobiografici.
E' nata a Gerusalemme e creúsciuta a Gerico. La sua famiglia è fuggita in
Giordania dopo l'invasione del 1967 e poi a Beirut, dopo il settembre nero
del 1970. La guerra civile libanese I' ha costretta a lasciare l'università
dove studiava filosofia e psicologia.
Ha lavorato come volontaria in varie organizzazioni femminili in Palestina
e come reporter sul campo e redattore all'interno della sezione culturale
della rivista Al Hurriyya.
Dopo il 1982, anno dell'esodo palestinese dal Libano, Liana ha vissuto a
Damasco, Tunisi e ad Amman per poi ritornare in Palestina nel 1994. E'
sposata e ha due figli.
Attualmente dirige il Dipartimento Cinema e Audiovisivo del Ministero
Palestinese della Cultura a Ramallah. E' fondatrice dei periodico Dafater
Thagafiyya.
Informazione sul cinema palestinese sono contenute nel voúlume Il cinema
dei Paesi Arabi di Andrea Morini, Erfan Rashid, Anna Di Martino e Adriano
Aprà, Venezia, Marsilio 1993 pp.gg.165-174
Dal sito web: http://www.solidarite-palestine.org/litt.html
Liana Badr et sa famille, sous surveillance constante des services secrets
israéliens, furent contraints à l'exil et quittèrent Jéricho pour Amman,
quelques années avant les événements de Septembre Noir. Diplômée de
philosophie et de psychologie de l'université de Beyrouth, elle dut
interrompre ses études lorsqu'éclata la guerre civile libanaise.
Journaliste à Beyrouth jusqu'à l'invasion israélienne de 1982, elle rejoint
Damas d'où elle est expulsée en 1986 et part pour la Tunisie. Elle est
désormais responsable du secteur audiovisuel au Ministère de la culture
palestinien. Elle porte une attention particulière à la condition des
femmes arabes, dirigeant un travail collectif dans le cadre de l'Union des
femmes palestiniennes en Jordanie, et travaillant dans les camps libanais
de Sabra et Chatila.
Témoin de la tragédie quotidienne des Palestiniens, soucieuse d'écrire
l'histoire de son peuple et du rôle qu'y ont joué les femmes, Liana Badr
use d'un langage nouveau et contemporain, renonçant à l'arabe littéraire
classique pour s'emparer du langage de tous les jours. Son roman, Une
boussole pour un soleil, est un récit d'exil et de guerre; il a pour
héroïne une jeune femme palestinienne de Jéricho, révoltée contre une
double oppression: celle de son peuple, et sa condition de femme au sein
d'une société où les hommes occupent la première place.
OEuvres traduites:
Une Boussole pour un soleil, Genève, Metropolis, 1992 (ISBN 2-88340-015-6)
Étoiles sur Jéricho, Paris, L'esprit des péninsules, 2001 (ISBN 2-84636-013-8)
Ospiti nel "giardino della pace"
di Daniele Cavíni, Marta Giabbani, Francesca Scalise
Liana Badr, scrittrice e regista palestinese, nata a Gerusalemme e a lungo
vissuta in esilio, è venuta in Italia per preúsentare una delle sue
migliori opere: il film L'ulivo dedicato a questa pianta che, in Palestina,
é associata alle attività fonúdamentali della vita e della preghiera. Nella
pellicola vi è un intreccio di storie diverse, raccontate da donne
palestinesi che descrivono la loro situazione. Non ci sono scene esplicite
di violenza, si mostra piuttosto come, tagliando le radici degli alberi
vengano tagliate anche le radici di una popolazione e i valori che da
millenni si tramandano.
Molti allievi del nostro Istituto hanno assistito alla proiezione del film
lunedì 22 ottobre. II giorno dopo c'è stato un inconútro con l'autrice,
organizzato nell'aula magna dell'Istituto Tecnico Agrario, tra gli studenti
che aderiscono al progetto Coltiviamo la pace e i rappresentanti della
Consulta Provinúciale degli studenti che ha appoggiato, sin dalla sua
nascita, il progetto stesso. Oltre al gruppo di lavoro ormai consolidato e
composto da numerosi studenti e professori, è stato attivaúto quest'anno in
alcune classi anche un centro di documentaúzione per approfondire la
conoscenza delle culture palestineúse e israeliana e documentare le
iniziative promosse dall'Istituto in questo campo. La regista ha parlato di
sé e della sua esperienza, è apparsa commossa e molto contenta di essere
riuscita a raggiungere Firenze dopo che le era semúbrato del tutto
impossibile attraversare le frontiere bloccate dalla guerra. Vedo nei
vostri occhi l'amicizia e l'intelligenza, so che potete comprendermi. Da
bambina, durante l'esilio, avevo molti compagni scuola orfani. I loro
genitori erano morti a causa della guerra, non parlavano mai di questa
traúgedia ma nei loro occhi si poteva leggere tutto il dolore della
perdita. Io mi fido sempre degli occhi dei giovani. Parlando del suo film
ha affermato che la "questione" non ha affatto l'aspetto esclusivamente
religioso che le viene attribuito, ma che si tratta di un problema
politico, quindi umano e umanaúmente risolvibile. Ci ha invitato a lottare
con coraggio per i nostri principi ma anche a rispettare gli altri. É stata
introúdotta dal preside dell'Istituto Agrario, Giancarlo Fegatelli, che ha
collegato la coltivazione mediterranea dell'ulivo agli eleúmenti culturali
che uniscono i popoli che hanno fatto, da sempre, di questa pianta un
simbolo di pace e di prosperità. Era presente anche l'assessore alla
Cultura del Comune di Firenze, Simone Siliani, che ha ricordato l'impegno
per la pace e per il dialogo della nostra città e le iniziative che in
questo senso sono state avviate. II saluto degli studenti è stato porúto da
Paola Corsinovi.
L'incontro si è concluso con la consegna di una fiorino d'oro, l'antica
moneta della libera Repubblica fiorentina, in ricordo della giornata. Poi,
tutti insieme, abbiamo raggiunto quello che dovrà diventare "L'uliveto
della pace" dove gli artisti che visiteranno la nostra scuola saranno
invitati a piantare un uliúvo e, a Liana Badr, abbiamo affidato la messa a
dimora della prima pianta.
Immagini e malinconia
di Gaime Fallai
Il film L'ulivo di Liana Badr è un bel documentario che parla della guerra
in Palestina ... nella malinconia, nella rassegnaúzione, spuntano delle
foglie color verde scuro, una chioma folta e circolare con frutti che
offrono molti doni: si vede un ulivo, due, tre, venti, cento, terreno a
perdita d'occhio coperúto di ulivi. L'ulivo è il simbolo della Palestina e
delle donne palestinesi. Nessuna donna ha il viso coperto dal velo. Liaúna
Badr fa cadere una stereotipo, il luogo comune della tv, vediamo solo
fazzoletti usati per ripararsi dal sole e dalla polúvere.
La guerra e i simboli
di Lavinia Marsicola, Lorenzo Andrei
Documentario molto particolare, non c'è che dire, perché la sua funzione
principale è quella di mostrarci l'altra faccia delúla guerra. Quella che
noi occidentali non conosciamo, quella che non vediamo mai in televisione,
quella che forse fa più paura. Nonostante il fatto che non ci siano
immagini violente, rispetto alle quali siamo ormai anestetizzati
dall'abitudine, si capisce il vero significato della parola guerra. Liana
Badr è riuscita a farlo attraverso simboli e testimonianze che lasciaúno
senza fiato lo spettatore, che riescono a fare capire come la parola guerra
non è solo un sinonimo di morte fisica di ciúvili, ma anche tentativo di
distruzione di una cultura.
La pittrice e la speranza
di Alessandro Lotti
C'è una pittrice che nei suoi quadri predilige il tema degli uliúvi. La
seguiamo mentre prova a tornare nella casa dove ha trascorso la sua
infanzia, la casa dei nonni. Da lì infatti nasce la sua ispirazione, perché
i suoi dipinti molto allegri, dai coloúri non sempre realistici, sono il
ricordo dell'amato giardino dei nonni, ricco di alberi, fiori, animali.
Utilizza grandi tele da cui traspaiono i sentimenti: serenità, speranza,
nostalgia e voglia di fuggire la guerra. Ormai, però, la casa è confiscata,
le porte restano chiuse e il giardino, distrutto, è invaso dalle erbacce.
Con l'arte combatto per la libertà contro l'intolleranza
Intervista a Liana Badr, di Francesca Ariano e Jacopo Fiorini
Lei è sempre vissuta in Palestina?
No, ho vissuto in molti paesi del Mediterraneo come la Tuniúsia, il Libano,
la Siria perché la mia famiglia na affrontato un lungo esilio. Sono una
giornalista che cerca di non restare alúla superficie, una donna che pensa
che rimanere in piedi e non lasciarsi appannare dalla polvere di un lungo
viaggio, è già una buona maniera di affrontare la vita.
Come ha vissuto il rientro in Palestina dopo l'esilio?
Quando sono tornata in Palestina, dopo 27 anni di esilio, ho trovato
un'atmosfera completamente cambiata. Quando ero bambina ricordavo un
ambiente in cui la cultura e l'arte in tutte le sue forme erano importanti
e molto rispettate. AI mio ritorno ho trovato che la povertà e la
preoccupazione per il presente erano tali che tutta questa vivacità
culturale e artiústica era del tutto scomparsa.
La Palestina è un paese fondamentalista?
La Palestina ha vissuto per centinaia di anni con religioni e popoli
diversi. Era come un mosaico colorato in armonia con la terra e le
differenti culture. Mio nonno aveva amici ebrei e cristiani e da ragazzo
era sempre contento di partecipare a una festa: che si trattasse del
Natale, di Yom Kìppur e della fine del Ramadam. Gerusalemme, poi, era una
città molto aúperta dove le diversità convivevano senza essere separate.
Che relazione hanno i palestinesi con l'olivo?
Per la maggior parte della gente, in Palestina la stessa soúpravvivenza è
legata alla coltivazione degli ulivi. Li vedono crescere, ne ricavano cibo
e denaro, scambiano i prodotti con le mercanzie di città. Si sentono sicuri
in questo rapporto con la terra e con l'ulivo. II problema di oggi è che i
coloni israeúliani, insieme agli ulivi, tagliano le radici delle persone,
soúprattutto quelle delle donne. L'ulivo rappresenta la memoria della vita
stessa, della loro storia. Con il processo di colonizúzazione migliaia di
ettari di terreno vengono confiscati. Arriúvano i bulldozer e tracciano
nuove strade tra gli insediamenúti, sconvolgendo la geografia dei luoghi.
Negli accordi che poi non sono stati rispettati i palestinesi avrebbero
dovuto conúservare la striscia di Gaza e cedere l'80% del territorio da
loúro storicamente abitato. Invece si è continuato a tagliare uliúvi,
distruggere case, arrestare persone, penetrando, ogni volta, più a fondo
nei territori.
Che cosa pensa di avere in comune con le donne del suo film?
Sono cresciuta in una società che aveva dei valori. Credo di essere in
"continuità" con i valori di queste donne.
Cosa è cambiato nella sua vita con l'esperienza della guerra?
La guerra distrugge la memoria e i suoi simboli, gli affetti soúno
cancellati e i luoghi irriconoscibili finché tutti si sentono estranei in
qualsiasi luogo e l'estraneità, come l'incapacità di comunicare, rendono la
vita misera e meno umana. Io sono nata a Gerusalemme ma non sono
autorizzata a rientrare in questa città. Le nostre esistenze sono limitate,
come rinchiuúse in "città di concentramento". I miei libri, tradotti in
molte lingue, circolano liberamente in numerosi paesi del mondo e
certamente sono venduti anche a Gerusalemme, ma io non posso passeggiare
nella mia città, vedere gli amici, far visita ai parenti. Hanno tagliato le
mie radici.
Nella sua formazione artistica c'è stato qualche incontro imúportante?
Per me è stata importantissima la conoscenza della poetessa Fadwa Touqan.
Ho dedicato a lei il mio secondo film perché la sua esperienza mi ha
insegnato molte cose che adesso fanno parte dei mio modo di agire. Da lei
ho imparato quanto sia importante non perdere di vista l'obiettivo di una
vita liúbera e giusta per le donne nel mio paese e certamente non solo. Se
si vuole lottare efficacemente per la libertà, bisogna partire dalla
libertà delle donne che si conquista attraverso la parola politica e la
parola artistica.
Lei ha rischiato molto per arrivare a Firenze e mostrare i suoi film. Ne
valeva la pena?
Sicuramente è il mio modo per sentirmi viva e non accettare l'imposizione
dell'isolamento. Io voglio continuare a far sapeúre quel che accade in
Palestina, a far sentire la mia voce di donna a tutti coloro che sono
disposti ad ascoltare. Per queústo, per comunicare nel modo piilž
universale possibile, sono passata dalla letteratura al linguaggio delle
immagini. Rifiuto tutte le forme di intolleranza, religiosa compresa. Sono
muúsulmana e ritengo che ciascuno debba, nel pieno rispetto, poter
praticare la religione in cui crede. Senza relazioni con la nazionalità
d'origine, né condizionamenti rispetto al luogo in cui abita.
06 - I PALESTINESI NEL CINEMA ARABO
da http://www.aljazira.it - La stampa araba della settimana dal 20 al 26
maggio 2002
Traduzione di Enrico Galoppini dalla rivista cartacea settimanale
al-Majalla (La rivista, Londra) del 04.05.2002
Il cinema palestinese è rinato per mano di un gruppo di giovani
palestinesi, attraverso film come quelli di Michel Khalifi (di Nazareth),
Elia Sulayman (della Galilea), Rashid Mashharawi (di Gerusalemme), ai quali
possiamo aggiungere nuove leve come Subhi az-Zubaydi, regista del film "Un
bagliore in fondo al cunicolo".
Possiamo valutare la presenza della questione palestinese nel cinema arabo
attraverso il film "Gli ingannati" del regista egiziano Tawfiq Salih, o
quello del libanese Burhan ‘Alawiyya "Kafr Qasim" [località palestinese che
è stata teatro di una strage, ndt.], così come nei film "Il porto di
al-Jalil" e "Cantico delle pietre" di Michel Khalifi, "Fino a nuovo avviso"
di Rashid Mashharawi, "Cronaca di una scomparsa" di Elia Sulayman.
La resistenza palestinese ha avuto un interesse speciale per il cinema,
considerandolo lo strumento più efficace per rivolgersi al pubblico. Agli
inizi del 1969, è attivo un gruppo di giovani che costituiranno il nucleo
dell'Istituto del cinema palestinese. Facevano parte di questo gruppo
Salafa Marcel, Mustafa Abu ‘Ali, Hani Jawhariyya, i quali all'inizio,
poterono seguire la rivolta riprendendo gli eventi che avevano un rapporto
diretto con la vita palestinese, nei limiti, ovviamente, delle loro modeste
possibilità. Successivamente, in Libano, ebbero l'opportunità di acquisire
attrezzature migliori rispetto agli inizi. Crearono l'Istituto del cinema
palestinese, inserito nelle istituzioni culturali della resistenza, e
realizzarono una serie di film di qualità artistica non omogenea.
Questo lavoro non è rimasto limitato all'ambito dell'Istituto del cinema
palestinese, dato che i diversi gruppi che facevano parte della resistenza
crearono delle loro sezioni, fra le quali ricordiamo la sezione del Fronte
democratico e un'altra del Fronte popolare.
Nel 1979 venne creato l'Istituto SAMID per il cinema, che produsse una
serie di film tra i quali ricordiamo "La chiave" (1976), "Il giorno della
terra" (1978) per la regia del palestinese Ghalab Sha‘th. Purtroppo le
devastazioni della guerra del 1982, che Israele mosse contro il Libano,
portarono alla distruzione degli Istituti culturali palestinesi, compreso
l'Istituto del cinema.
In effetti, la maggior parte dei film prodotti in quel periodo, si occupava
della realtà palestinese in maniera superficiale e incompleta. Anche la
qualità delle registrazioni audio era disturbata, tanto da spingere lo
spettatore ad abbandonare la sala talvolta.
Il film "Cronaca di un popolo" di Ghalab Sha‘th, che racconta la storia
della questione palestinese dalla fine del XIX secolo fino al 1973, anno
dell'intervento del leader dell' OLP Yaser ‘Arafat davanti all'assemblea
dell'ONU, rimane il più importante dei film documentaristici prodotti dagli
istituti culturali della rivoluzione palestinese.
Un grosso problema è stato quello dell'archiviazione, dato che non è mai
stata portata a termine la raccolta di tutti i documenti video per riunirli
in un unico centro. Rimasero sparpagliati nelle varie sezioni, e una grossa
percentuale andò perduta durante le devastazioni compiute da Israele in
Libano.
Quando l'OLP iniziò ad interessarsi al cinema, la questione palestinese era
già nota all'esterno grazie ad alcuni film come "Rivoluzione fino alla
vittoria" del gruppo americano Newsreel.
A livello arabo, Hashim an-Nahhas nel suo libro "L'identità nazionale nel
cinema" osserva che i film arabi che trattarono la prima guerra mondiale le
diedero una dimensione araba, visto che consideravano la terra palestinese
senza confini tra essa e l'Egitto, il cui esercito la difese come se fosse
parte del suo territorio. Si possono citare i film egiziani "Ragazzo
palestinese" (1948) di Mahmud Dhu ‘l-Faqar, "Nadia" (1949) di Laftin ‘Abd
al-Wahab, "Dio è con noi" (1955) di Ahmad Badrkhan, "La terra della pace"
(1957) di Kamal ash-Shaykh. Fra questi, "La terra della pace" è considerato
il più importante per la maturità di giudizio che vi è espressa, ed è
l'unico i cui fatti si svolgono in Palestina, attorno alle rovine di Dayr
Yasin, in cui si era consumata una nota strage, e in cui il palestinese
viene raffigurato come il proprietario della sua terra.
Gli ingannati. Sarà poi il film "Gli ingannati" (1972), di Tawfiq Salih, ad
essere considerato uno dei migliori film che abbia trattato la questione
palestinese, raccontata attraverso la storia di tre palestinesi che
rappresentano tre generazioni consecutive. Nel film, ambientato nel 1958,
ognuno di loro cerca una via d'uscita per liberarsi della crisi in corso
dopo la Nakba (il disastro) del 1948. E' presente una dimensione politica,
sociale ed economica che lega la situazione palestinese a quella araba in
generale, e mette allo scoperto le lacerazioni dell'identità araba. E se
per un verso accusa il sistema retrogrado precedente della perdita della
Palestina, d'altra parte addossa al sistema attuale la responsabilità di
soffocarla fino alla morte.
La cosa sorprendente è che "Gli ingannati", che abbiamo visto per la
quarantesima volta al festival francese delle minoranze nel 1990, in una
edizione dedicata all'immagine della Palestina nel cinema, continua ad
essere richiesto, ed è quel tipo di film la cui bellezza aumenta ogni volta
che viene rivisto, perché possiede un valore artistico che non passa col
tempo. Questo film finisce con la scena di un palestinese nudo sopra una
montagna di rifiuti che cerca di afferrare l'aria come se afferrasse la
polvere della sua terra che ha perso ormai.
Kafr Qasim. Mentre il film "Kafr Qasim" [nome di un villaggio palestinese,
ndt.] di Burhan ‘Alawiyya, che si basa sui fatti realmente accaduti della
strage di Kafr Qasim nell'Ottobre del 1956, non si limita alla cronaca
degli eventi, ma si spinge fino all'analisi dei rapporti economici e
politici che hanno governato e influenzato l'andamento degli avvenimenti,
in positivo e negativo, sia a livello del villaggio stesso che dell'intera
regione. Il film finisce insistendo sulla resistenza che certo non può
essere sostituita dalla comprensione della natura del conflitto, così come
spiegato nel film. Il finale è rappresentato da una lettera che scrive uno
dei sopravvissuti alla strage, il cui testo in effetti sono dei versi del
poeta palestinese Mahmud Darwish.
Il nuovo cinema palestinese. Il presente del cinema palestinese è in mano
ai nuovi cineasti come Michel Khalifi, Rashid Mashharawi, Elia Sulayman,
che mossero i primi passi con la realizzazione di film documentari come "Un
fervido ricordo" di Khalifi, "Lunghi giorni a Ghaza" di Mashharawi , ognuno
dei quali si distingue per uno stile cinematografico particolare.
Michel Khalifi è un narratore in "Storia dei tre gioielli", uno storico in
"Ma‘lul festeggia la sua distruzione" [Ma‘lul è il nome di una località,
ndt.], un poeta in "Nozze in Galilea", film che alla sua presentazione al
festival di Cannes riscosse un notevole successo. L'importanza di
quest'ultimo film risiede nel fatto che esprime in maniera convincente la
sofferenza dei palestinesi, la quale non è solo il risultato
dell'occupazione israeliana ma costituisce l'estensione dei problemi di cui
ha sofferto la società araba alla fine del XX secolo. Lo spettatore,
durante la visione di "Nozze in Galilea", si trova di fronte a un'opera che
riflette la realtà palestinese sotto forma di svariati simboli.
Rashid Mashharawi invece, è quello che meglio è riuscito a rappresentare
l'isolamento della vita dei palestinesi nel suo film "Fino a nuovo avviso",
che racconta come vive una famiglia palestinese a Ghaza, quando le forze
d'occupazione impongono il coprifuoco, arrestano le persone, demoliscono le
case sulla testa dei loro proprietari. La cosa più interessante del film è
che si allontana da quel tipo di film dai toni urlati, slogan rivoluzionari
e chiacchiere vanagloriose che sono presenti nei film di lotta degli anni
sessanta. Ci sembra che Mashharawi sia come quei miseri ragazzini di
strada, tutti impolverati, che sotto la mortificazione dell'occupazione non
hanno tempo per nessun tipo di "teatrino", istintivo come i ragazzi che
lanciano i sassi e scappano. Ed è forse questa sensibilità realista molto
diretta a costituire l'elemento più importante in questo film.
Elia Sulayman è considerato un nuovo talento. Con il suo film "Cronaca di
una scomparsa", osserva attentamente la "non-presenza" palestinese
all'interno di Israele. La sequenza di immagini ha un tono volutamente
neutro, quasi distaccato. Ma questa neutralità, negativa, è usata per
accusare il sistema israeliano che non ha mai concesso, né mai lo farà, al
palestinese che vive nelle terre occupate di realizzarsi pienamente. Nel
film, che ha vinto il premio "Dirigibile d'oro" al festival dei tre
continenti (Africa, Asia e America Latina) che si è svolto a Nantes in
Francia, questa tecnica narrativa viene utilizzata con spontaneità e
freschezza.
07 - SOLIDARIETÀ
PUBBLICA ASSISTENZA DI CAMPI BISENZIO - ASSOCIAZIONE AL-AWDA
Il giorno 23 aprile 2002, il Consiglio della Pubblica Assistenza di Campi
Bisenzio ha deliberato la donazione di una autoambulanza per la Palestina
tramite l'Associazione al-Awda. Inoltre ci stiamo impegnando per la
raccolta di medicinali (la lista potete trovarla nel sito <../Archivio
01/06 Coltiviamo la pace/01 Progetto Coltiviamo la pace/03 Anno
2001-2002/05 Mailing list/WWW.PALETINERCS.ORG>www.paletinercs.org) per
ulteriori informazioni e adesioni potete contattare il presidente di
al-Awda emergenza Palestina - E-mail emergenzapalestina@libero.it o la
presidente della Pubblica Assistenza di Campi Bisenzio, Nadia Conti ( Cell.
348 1334241) all'indirizzo e-mail: presidente.pacampi@tin.it
Per eventuali versamenti: c/c n. 65/9082 ABI 03006 CAB 03200 - Intestatario
del conto: Autorità Nazionale Palestinese
ISTITUTO TECNICO AGRARIO DI FIRENZE - PROGETTO "COLTIVIAMO LA PACE"
È operativo il conto corrente postale n. 25659517 Abi 07601, Cab 02800
intestato a Lorenzo Paolino, appositamente aperto per la raccolta di
contributi "Pro-MCRC Nablus" da devolvere a favore dell'MCRC (Multipurpose
Community Resourse Center) di Nablus - Palestina. I fondi raccolti vengono
periodicamente versati sul conto della Amman Cairo Bank - Nablus Branch -
di cui l'ente è titolare, e sono destinati all'acquisto di attrezzature
didattiche, corsi di recupero scolastico e dai disagi dei traumi della
guerra, pagamento di rette e altre spese scolastiche dei bambini più
bisognosi.
Per ulteriori informazioni potete contattare Lorenzo Paolino presso
l'Istituto tecnico agrario di Firenze o per e-mail:
<mailto:info@coltiviamolapace.com>info@coltiviamolapace.com
Il Multipurpose Community Resource Center (MCRC) di Nablus è un ente
costituito per attuare le direttive dell'accordo UNESCO/Palestinian
Autority Coordinating Committee. Il Centro ha iniziato ad operare nel
febbraio 1998, in seguito all'intesa tra l'UNESCO e il Comune di Nablus,
alla cui autorità è sottoposto.
L'attività dell'MCRC ha dato una svolta alla soluzione di problemi
fondamentali dei giovani palestinesi nell'attuale situazione. Più dei
tre-quarti della popolazione ha meno di 25 anni. La mancanza di una
adeguata istruzione e formazione professionale ha escluso molti giovani
dall'assunzione di un ruolo determinante nella vita socio-economica della
Striscia di Gaza e della Cisgiordania. Attualmente il Centro promuove la
raccolta di fondi per l'assistenza ai bambini che hanno subito ritardi
scolastici e traumi psicologici a causa dei danni della guerra,
particolarmente rilevanti nelle città della Cisgiordania.
Per ulteriori informazioni è possibile contattare direttamente il Direttore
dell'MCRC di Nablus, Dr. Ayman Al-Shaka'a (in inglese) ai seguenti
recapiti: Tel. +972 (2)92388170 - Fax +972 (0) 2379718 - ovvero tramite
e-mail: mcrc_n@yahoo.com
UN CONTRIBUTO ALLA PACE CHE NON COSTA NULLA
Ognuno di voi può contribuire alla pace in Terra Santa segnalando gli
indirizzi e-mail di amici e conoscenti, associazioni e istituzioni. Ci
rivolgiamo soprattutto agli studenti e ai docenti, che possono raccogliere
gli indirizzi e-mail per classe.
Potete anche contribuire inviando le vostre personali riflessioni e ogni
idea che possa contribuire alla pace fra Israeliani e Palestinesi. Vorremmo
poter accogliere le opinioni di quanti hanno voglia di esprimere un
pensiero di pace, Cristiani, Ebrei o Musulmani.
Ai docenti delle scuole superiori chiediamo di far svolgere temi nella
forma di articolo giornalistico sull'argomento: se ce li invierete via
e-mail ve li pubblicheremo nella nostra mailing list.
Lorenzo Palolino E-mail: info@coltiviamolapace.com
AVVERTENZA SUL TRATTAMENTO DATI PERSONALI - LEGGE 675/96
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vigenti in Italia. Per cancellarti dalla mailing list clicca qui e invia
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