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Il vero costo dei Diamanti by ManiTese



Rompiamo il SILENZIO delle ns emittenti locali e nazionali.
Lo sò che è un pò lungo ma la diformazione è massima, facciamolo girare
nelle ns Zone nei ns gruppi, scout e non.
ROMPIAMO IL SILENZIO dell'indifferenza   !!!

Giovanni Mannino
AGESCI---PNS Zona Galatea---


      IL VERO COSTO DEI DIAMANTI

      Amnesty International lancia, con l'adesione di Mani Tese, Azione
Aiuto, Greenpeace, Legambiente, Mani Tese, WWF, una Campagna per denunciare
la vergogna del commercio insanguinato dei diamanti.


      In alcuni paesi africani, come l'Angola, la Repubblica Democratica del
Congo (DRC) ed il Sierra Leone, i profitti provenienti dal commercio
illegale dei diamanti sono utilizzati per finanziare i conflitti armati. Il
risultato è che decine di migliaia di civili sono stati uccisi o torturati e
che milioni di essi sono profughi.

      Circa due milioni di persone, molte delle quali vivevano nelle aree
delle miniere od intorno ad esse, sono state costrette a lasciare le loro
case per sfuggire ai gruppi armati durante il conflitto nella DRC; molti
sono morti per la fame, il freddo e per la mancanza di cure con cui
combattere le malattie contratte mentre si nascondevano dai gruppi armati.
Amnesty International ritiene che migliaia, probabilmente decine di
migliaia, di civili inermi siano stati deliberatamente ed arbitrariamente
uccisi dalle forze armate coinvolte nel conflitto fin dall'agosto 1998.

      Il commercio dei diamanti nella Repubblica democratica del Congo è
stato una delle principali cause del conflitto armato, che ha coinvolto
almeno sei eserciti di governi stranieri e molti gruppi politici armati. Una
commissione di esperti dell'ONU, nel suo rapporto dell'aprile 2001,
concludeva che "il conflitto nella DRC si è incentrato principalmente
sull'accesso, il controllo ed il commercio di cinque risorse minerali
fondamentali: coltan, diamanti, rame, cobalto ed oro."

      Durante i trenta anni di guerra civile in Angola, il gruppo politico
armato UNITA ha utilizzato i profitti provenienti dai diamanti per comprare
armi. Le armi sono utilizzate per sostenere i combattimenti dell'UNITA
contro il Governo dell'Angola e per contribuire alle violazioni dei diritti
umani, comprese le uccisioni e le mutilazioni di civili. Le sanzioni
dell'ONU imposte all'UNITA nel 1998 hanno reso illegale comprare diamanti
dall'UNITA o vendere loro le armi. Tuttavia, sebbene il commercio dei
diamanti da parte dell'UNITA si sia ridotto, esso non è stato interrotto - e
le uccisioni, le torture ed i rapimenti continuano.

      I diamanti sono stati anche uno dei fattori principali che hanno dato
origine al conflitto armato in Sierra Leone. Il gruppo ribelle del Fronte
Unito Rivoluzionario (RUF) ha condotto una campagna di terrore nei confronti
dei civili fin dal 1991, comprendente uccisioni, stupri e mutilazioni. Oltre
5000 bambini soldato sono stati impegnati - spesso costretti a forza e sotto
l'effetto di droghe- in sanguinosi raids contro i civili, che hanno
mutilato, ucciso, o a cui sono stati cavati gli occhi.

      Il RUF, controllando le aree di produzione dei diamanti del paese, ha
utilizzato il denaro proveniente dalla vendita dei diamanti per procurarsi
armi ed altri tipi di aiuto militare. Il governo della Sierra Leone ha già
messo a punto un sistema di certificazione per l'esportazione dei diamanti
approvato dall'ONU. Tuttavia, controlli sono ancora necessari nel paese per
seguire le tracce dei diamanti dal momento che sono estratti dalle miniere.

      Nella sua edizione del 26 novembre 2001, "Il Sole-24 ore" (
riprendendo una notizia del "Washington Post") citava come possibile la
vendita di diamanti della Sierra Leone da parte del RUF a Al Qaeda,
transazione che sarebbe avvenuta tramite la Liberia e con pagamento in armi,
cibo e medicine. Non ci sono elementi certi, ma il solo fatto che se ne
parli è un altro buon motivo per darsi da fare.

      Il governo Liberiano è stato costantemente accusato di aver rotto
l'embargo commerciando i diamanti provenienti dalle aree del Sierra Leone
controllate dal RUF e dando assistenza militare al RUF. Anche nella stessa
Liberia, i civili subiscono violazioni dei diritti umani da parte delle
forze governative e di gruppi armati, nel nord del paese. Sebbene pochissimi
diamanti provengano dalla Liberia, il governo è stato accusato di utilizzare
i profitti provenienti dal commercio dei diamanti con il RUF per finanziare
l'acquisto di armi.

      Qualcosa si è fatto.

      Negli ultimi due anni, l'industria dei diamanti, alcuni governi e gli
organismi internazionali come l'ONU hanno incominciato a fare dei passi per
mettere fine al commercio mortale dei diamanti insanguinati Ma i progressi
in tale direzione sono molto lenti ed ogni ulteriore ritardo potrebbe
significare altre persone uccise, torturate o rapite.

      Chi acquista o regala un diamante anche piccolo deve potersi accertare
che i diamanti non provengano da zone di conflitto, per non sentirsi
complice delle violazioni dei diritti umani.

      La discussione tra i governi, l'industria dei diamanti e le altre
organizzazioni è tuttora in corso, tra l'altro, sotto il nome di "Kimberley
process" (chiamato così dal nome della città sudafricana con un ruolo chiave
nella estrazione e nel commercio dei diamanti) dove un Comitato tecnico si è
riunito diverse volte, e i risultati sono anche stati apprezzati dal
Consiglio Mondiale dei Diamanti di Anversa.

      Il "Kimberley process" è stato costituito su iniziativa del Sudafrica
da rappresentanti di governi, organizzazioni internazionali (ONU), numerose
Organizzazioni non governative, e operatori economici del settore
diamantifero; nella riunione del Comitato tenuta a fine Novembre 2001 in
Botswana è stato definito un quadro complessivo di riferimento per la
certificazione, che comincerà ad essere applicata a metà 2002 e sarà
pienamente effettiva alla fine del prossimo anno. E' prevista un'altra
riunione a fine Marzo 2002 in Canada per proseguire nella messa a punto del
sistema di controllo e certificazione.

      Esistono infatti ancora delle obiezioni di metodo e di principio da
parte di alcune delle ONG che hanno partecipato attivamente ai lavori
(Action Aid, Amnesty International, Fatal Transactions, Global Witness,
Oxfam International, Partnership Africa Canada, Phisician for Human Rights,
World Vision) e che hanno richiesto specifiche più stringenti sui paragrafi
13,14 e 15 della VI Sezione della procedura: in particolare, sulla raccolta
dei dati relativi all'estrazione, sul meccanismo di coordinamento e sulle
regole che presiedono all'attività di monitoraggio.

      Il ruolo dell'ONU

      In ogni caso bisogna non solo far sì che l'Assemblea dell'ONU nella
sessione primaverile del 2002 sancisca la necessità di regole precise
(approvando comunque un sistema di certificazione), ma anche che chieda al
Consiglio di Sicurezza di rendere vincolante la normativa per tutti gli
Stati membri.

      Sostengono le necessità di questi rigidi controlli alcuni Stati
-soprattutto africani- come Sudafrica, Botswana, Namibia che sono forti
produttori di queste pietre (questi tre stati insieme producono grezzo per 4
miliardi di dollari), e temono i possibili contraccolpi negativi sul mercato
per effetto di campagne di controinformazione e boicottaggio, e in qualche
modo anche i protagonisti economici del mercato come la De Beers, il
Consiglio Mondiale dei diamanti, l'Associazione Internazionale dei
Produttori di diamanti.

      Alcuni grossi paesi - invece - sono restii a introdurre la
certificazione obbligatoria: ad esempio gli USA, che acquistano il 65% dei
diamanti venduti in tutto il mondo (anche se proprio gli USA hanno approvato
a fine Novembre 2001 il "Clean Diamond Trade Act" che impone controlli alla
importazione di diamanti provenienti da zone di conflitto), o la stessa
Russia, produttrice di gemme grezze per quasi 2 miliardi di dollari. Forti
resistenze si registrano implicitamente anche da parte di paesi come Israele
e India che effettuano lavorazione e taglio di gemme grezze rispettivamente
per oltre il 25% ed il 40% del totale mondiale.

      Senza l'approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che
darebbe alla procedura il crisma della obbligatorietà, non ci sarebbero
controlli né certificazioni. Fra l'altro è già in discussione nell'ambito
del Comitato se è ipotizzabile un possibile conflitto di questa
obbligatorietà con le regole di libero commercio del WTO, e come
eventualmente risolverlo. Lo stesso problema potrebbe verificarsi con le
norme che regolano il commercio comunitario in Europa, come suggerisce Fatal
Transactionin un suo rapporto.

      Peraltro, il Presidente di turno del Consiglio di Sicurezza,
l'Ambasciatore Moctar Ouane del Mali, in un comunicato stampa del 13
Dicembre scorso, ha sottolineato con rincrescimento come - nonostante
l'embargo sui diamanti illegali decretato dal C.di S. il 5 Luglio del 2000
con la Risoluzione n. 306- in Sierra Leone sia il RUF che la Civil Defence
Force (CDF) continuano a disporre di denaro ricavato dalla vendita di armi e
ha espresso l'auspicio che si possa arrivare presto ad un valido sistema di
certificazione.

      Il Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea, infine, l'11 Gennaio
scorso ha deciso di prorogare il divieto della importazione di diamanti
grezzi dalla Sierra Leone fino al 5 Dicembre 2002, salvo quelli la cui
origine è certificata dai governi.

      Che fare?

      Facendo pressioni su esponenti politici e governativi, operatori del
settore, diplomatici, bisogna sottolineare come il commercio illegale dei
diamanti costituisca un facile sistema per coloro che vogliono sfuggire alla
trasparenza delle transazioni commerciali e possa diventare una potenziale
fonte di riciclaggio di denaro sporco per organizzazioni armate anche
terroristiche.

      La nostra richiesta è chiara: chiediamo un controllo sull'origine dei
diamanti che istituisca


        1.. Un sistema di certificazione indipendente e trasparente; sia
esso quello risultante dal "Kimberley process" o un altro.


        2.. Provvedimenti legislativi a livello nazionale coerenti con la
normativa adottata a livello internazionale e diretti al controllo del
commercio dei diamanti sia all'interno dei vari paesi, che
sull'import/export;


        3.. Una procedura che impedisca acquisti di armi ed altri
equipaggiamenti militari (che si assume possano essere utilizzati per
commettere abusi dei diritti umani) pagati con i ricavi della vendita di
diamanti grezzi provenienti da zone di conflitto.

      Non chiediamo invece un generico boicottaggio di tutti i diamanti, né
di quelli provenienti da Angola, Sierra Leone e RDC.

      4) Sul procedimento di certificazione (quello "Kimberley" o uno
equivalente o migliore) chiediamo che:


        a.. Sia approvato dal Consiglio di Sicurezza delle NN.UU. in modo da
essere quindi vincolante per tutti gli Stati membri;


        b.. Preveda un sistema trasparente e indipendente di verifica sia
per i grezzi estratti ed esportati dalle miniere (allo scopo di accertare se
provengono da miniere situate in zone di conflitto), che per quelli oggetto
di prima importazione (es. dalle miniere alle aziende che li tagliano e
lavorano), che di seconda importazione (dalle aziende di lavorazione ai
commercianti o grossisti o fabbriche di gioielli);


        c.. Preveda regole per emettere dei certificati di esportazione, o
certificati di garanzia che, oltre a dichiarare il paese di origine,
assicurino che i diamanti non provengono da zone di conflitto;


        d.. Preveda un sistema di registrazione delle quantità prodotte, e
di quelle importate ed esportate da ogni Paese.

      Diamoci da fare

      A questa azione, proposta da Amnesty International, Mani Tese ha
offerto entusiasticamente la sua collaborazione, insieme ad Azione Aiuto,
Greenpeace, Legambiente, Mani Tese, WWF: ha assicurato il suo sostegno anche
la Banca Etica, mentre i nodi della Rete Lilliput saranno informati della
iniziativa ed invitati a partecipare.

      Chi vuole, può quindi mettersi in contatto con le sedi locali, dove
esistono, di queste organizzazioni, per poter organizzare un'attività in
comune, naturalmente secondo le possibilità concrete, caso per caso. Ogni
organizzazione ha un certo numero di cartoline a disposizione, che può
fornire su richiesta.

      La collaborazione tra queste associazioni non seguirà un copione
standard, ognuna di loro darà, secondo le possibilità e le caratteristiche
organizzative o strategiche, un contributo originale e perciò ancora più
valido. Tutte assicurano spazi sui loro giornali, aiuto nello smistamento
delle cartoline, diffusione della iniziativa con i mezzi più svariati, dalle
radio locali ai loro canali di comunicazione. Collegatevi anche al sito di
Amnesty http://www.amnesty.it/primopiano/diamanti/ dove potrete scaricare un
piccolo filmato da spedire ai vostri amici.

      Forse è un caso che il diamante abbia quasi la stessa forma
dell'Africa: comunque, ci offre un buon motivo di riflessione.