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"La guerra infinita" di Giulietto Chiesa
“Ottimi conoscitori dell’Occidente, altrettanto ottimi conoscitori
della disperazione sociale del Sud del mondo, manipolatori brillanti del
fanatismo religioso islamico, straordinariamente ricchi, frequentatori dei
più esclusivi circoli finanziari internazionali, dotati di un’alta capacità
d’insider trading, con accesso a informazioni riservate di carattere
politico, diplomatico e militare”. Così Giulietto Chiesa, tra i principali
esperti italiani di questioni internazionali, subito dopo l’11 settembre
delineava l’identikit degli organizzatori dell’attacco all’America:
rifuggendo ai luoghi comuni, presi in prestito dai fumetti e dai film, che
vedevano il nemico nel singolo Osama bin Laden. Con altrettanta profondità
Chiesa, nel suo libro La guerra infinita edito meno d’un mese fa da
Feltrinelli, prospetta uno scenario attuale dove “l’idea della guerra al
terrorismo è ingannevole, perché serve a mascherare un disegno più vasto:
la militarizzazione del pianeta”.
La crisi di sistema della globalizzazione è il punto di partenza
dell’analisi. L’11 settembre, con la scelta dell’Amministrazione Bush di
reagire con una guerra che, avvisa, durerà più d’una generazione, è per
Chiesa l’inizio dell’era dell’Impero degli Stati Uniti d’America. Essa
modificherà gli assetti geopolitici e le abitudini di vita delle diverse
aree dell’Occidente. Compreso il Mezzogiorno, per il quale il giornalista
ravvisa il rischio che già Franco Cassano avvertiva prima della partenza da
Taranto delle navi italiane coinvolte in Enduring freedom: divenire “una
sequenza di torri d’avvistamento moderne tormentate dalla paranoia”.
L’Impero che Chiesa individua è diverso dal nuovo ordine globale
sovranazionale del quale parlano nel loro libro, edito da Rizzoli e
intitolato, appunto, Impero, Toni Negri e Michael Hardt. “Il cambio epocale
dopo l’11 settembre non riguarda il controllo delle risorse, ma del
pianeta. Per quindici anni l’Occidente ha esaltato la capacità della
globalizzazione di guidare il mondo. Nel 2000 questo sistema entra in
crisi. Il prodotto interno lordo occidentale non cresce, gli Stati Uniti
entrano in recessione, il Giappone si ferma, l’Europa arranca invece che
risultare la locomotiva di riserva dell’economia mondiale. Dieci anni fa,
nel pieno della globalizzazione, si diceva che a quei tassi di crescita si
sarebbe verificata una crisi economica mondiale paragonabile a quella del
1929. Se quelle previsioni erano giuste, questa crisi è in atto ed è
sistematicamente occultata. Lo dimostrano fallimenti come quello della
Enron (la società energetica, finanziatrice delle campagne elettorali del
presidente Bush e di vari parlamentari democratici e repubblicani, che ha
bruciato le pensioni di migliaia di piccoli risparmiatori nel più grande
crack della storia, nda). A fronte di questo c’è lo sviluppo enorme della
Cina. Chi sta sul ponte di comando sa che da qui al 2017 la Cina
rivaleggerà, in tecnologia e sviluppo, con la potenza dell’Impero. L’11
settembre viene quindi usato come pretesto per preparare il grande scontro
tra l’Occidente e la Cina, e arrivare al 2017 imponendo la pax americana.
Essa, per l’attuale gruppo dirigente degli Stati Uniti, consiste nel
rendere il tenore di vita del popolo americano non negoziabile. Si cerca
quindi di rilanciare l’economia occidentale attraverso un colossale riarmo
che non ha precedenti, con gli Stati Uniti che dispongono d’una potenza
militare che non ha eguali e che non vuole concorrenti di alcun genere,
come hanno dimostrato le operazioni di Afganistan: noi europei siamo dei
vassalli, usati con funzioni ausiliarie e subalterne. In questo contesto
s’inseriscono le condizioni attuali del pianeta. Siamo pericolosamente
vicini ai limiti dello sviluppo, producendo una trasformazione
dell’equilibrio naturale. Negli ultimi anni abbiamo assistito
all’incremento della desertificazione e al dimezzamento del patrimonio
idrico. Un solo miliardo di uomini su sei vive in condizioni normali. Cosa
succederà se anche la Cina comincerà a produrre e a consumare energia in
quantità pari all’Occidente?”.
Nell’analisi di Chiesa echeggia la denuncia di Dwight Eisenhower nel
congedarsi dalla presidenza degli Stati Uniti nel 1961: “Dobbiamo vigiliare
contro l’acquisizione d’una influenza incontrollata, cercata o meno, da
parte del complesso militare industriale. (…) Non dobbiamo permettere che
il peso di questo complesso possa mettere a rischio le nostre libertà o il
processo democratico”; ma anche l’intervista di eri, al Corriere Economia,
di Norman Myers, consulente del premier inglese Tony Blair: nel 1998 la
siccità, la deforestazione e le inondazioni hanno causato più rifugiati
delle guerre, e fra vent’anni saranno trecento milioni gl’immigrati in fuga
dalla miseria. Per la Puglia porta d’Europa e per il Mezzogiorno, dice
Chiesa, “si prospettano tempi difficili. Bush è venuto a Pratica di Mare
per dirci che la guerra arriverà anche da noi. Lui sa che le azioni
militari degli Stati Uniti produrranno delle reazioni e che, volenti o
nolenti, ne saremo partecipi. Il problema dell’immigrazione risulterà
aggravato, e la Puglia dovrà sopportare le conseguenze del suo essere un
avamposto nel Mediterraneo. Gli immigrati verranno per sopravvivere: per
mangiare, per bere, per lavorare. Noi non potremo fermarli, né chiudere le
coste pugliesi con il filo spinato”. La guerra infinita condizionerà anche
l’apparato economico, che guarda ai Balcani e al Mediterraneo come aree di
espansione commerciale. “Tutte le ipotesi di sviluppo pacifico saranno rese
subalterne allo sviluppo militare: e la guerra è un’attività produttiva per
la quale si muore”, ravvisa con amarezza Chiesa rispondendo all’ipotesi
d’un ritorno della Puglia alle condizioni della guerra fredda, che la
vedeva come regione più militarizzata d’Italia. Poi conclude: “Le
alternative a questo scenario dipendono dal fatto che il mondo è molto più
complicato di quanto ritenga l’attuale gruppo dirigente americano, che è
molto limitato e la cui linea irresponsabile non sa valutare gli effetti
che produce. Ho scritto questo libro perché il sistema mediatico, che è
parte di questo disegno, non dice la verità e queste cose non emergono.
L’opinione pubblica è manipolabile, e spesso non ha la possibilità di
emanciparsi. Occorre perciò un grande salto culturale, al centro e in
periferia, dei gruppi intellettuali e dirigenti europei, affinché si prenda
coscienza d’un pericolo che è altissimo”.
Pietro Andrea Annicelli
Alessandro Marescotti
a.marescotti@peacelink.it
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